RACCOLTA DI OPERE INEDITE RARE DI OGNI SECOLO DELLA LETTERATURA ITALIANA IN FIRENZE G. C. SANSONI, EDITORE 1899 IL PRINCIPE DI NICCOLO MACHIAVELLI TESTO CRITICO CON INTRODUZIONE E NOTE A CURA GIUSEPPE LISIO IN FIRENZE G. e. SANSONI, EDITORE 1899 ;7 > PROPRIETÀ LETTERARIA \H'i Firenze — Tip. Ci. Carnesecchi e Figli. A GIOSUÈ CARDUCCI CHE PRIMO E SOLO MI FU GUIDA A INTENDERE LO SPIRITO E LA FORMA DEGLI SCRITTORI ITALIANI AVVERTENZA Nel liberare per le stampe V opera presente , adempia a un dovere di gratitudine, venerazione, affetto, ringra- ziando tutti quelli che, ne' due anni durati in questa fa- tica, l'hanno resa migliore e, per me, più lieve. E, innanzi a tutti, si abbiano le mie grate parole Pio Rajna e Isidoro del Lungo. Libéralissimi ambedue, l'uno mi è stato largo di quanto acume e sicura scienza critica de' testi egli è fornito, l'altro di quanto gusto e conoscenza di nostra lingua e del volgar fiorentino egli è ricco. Ricordo anche e ringrazio Pasquale Yillari, Girolamo- Vitelli, Guido Mazzoni, Guido Biagi, Giuseppe. Cugnoni,. Mario Menghini: i quali tutti mi furono variamente utili per consigli o libri o notizie o agevolazioni di mano- scritti. Firenze, Agosto 1898. INTKODUZIONE CRITICA AL TESTO DEL « PRIN^CIPE » A chi abbia seguito le vicende del testo di qualche opera famosa a traverso le sue molteplici trascrizioni ed edizioni, spesso accade di trovare alla fine che l'im- magine stilistica e filologica dell'opera non è più quale originalmente era balzata dalla mente dello scrittore. Questo, allorché il testo non si sia abbattuto in un co- scienziosissimo copista tipografo, o in chi lo abbia rico- stituito con sano intendimento critico e con paziente lavoro metodico: il che, a dir vero, avviene di rado. Né io voglio dire degli errori, delle sviste, degli ammoder- namenti, della grafia e punteggiatura più o meno arbi- traria ; perché tutto questo, se muta colore alla veste del pensiero, pure non la stinge cosi, che un occhio acuto ed esperto delle sembianze antiche non possa raffigurarla e contemplarla qual fu realmente. Bensì intendo di quel travestimento, che e frutto del partito preso di modi- ficare, togliere o aggiungere, correggere più o meno lie- vemente gravemente, e presentare al pubblico l'opera in tal forma che possa meglio piacere. Il qual partito preso è colpa grave, né facilmente perdonabile, di pa- recchi tra gli editori del Cinquecento. Io credo ch'essi ragionassero su per giù come non pochi copisti del loro vili INTRODUZIONE CRITICA tempo: de' quali si sa che si studiavano di rendere il senso, ma, per incuria della forma, lo falsavano; e nella fretta del copiare, dimentichi delle invettive scagliate a' loro predecessori da Francesco Petrarca, da Col uccio Salutati e da molti umanisti, ^ ora tralasciavano, ora trasponevano, ora, non comprendendo bene, aggiunge- vano correggevano; né si peritavano di latinizzare parole volgari, o al contrario di rendere più italiane frasi e vocaboli latineggianti, o di adattare le desinenze al dialetto proprio, in quel tempo in cui la lingua aveva ancora una grande mobilita e incertezza. Nel fatto poi, l'editore poco scrupoloso procedeva con maggior disin- voltura; poiché, raffazzonando l'opera per il pubblico, agli errori e ai capricci dell' amanuense aggiungeva quelli del compositore, e alle correzioni sue quelle del pedante letterato, cui di solito affidava la revisione di ciò che piacesse poco o de' creduti sbagli di lingua, di pensiero anche. ^ Del qual fatto comunissimo, oltre le mille edizioni cinquecentistiche é'Wimc^af^ et corrette o ricorrette o Pipili vera et justa lettione ridotte, tra le molte prove, mi si offrono, pili facili e più accessibili a ognuno, quelle che ne apportarono lo Scherillo nell'edizione critica dell'^r- cadia di lacobo Sannazzaro, e il Rajna nell'ultima del De vulgari eloqiientia di Dante Alighieri. Il primo, di fatti, mettendo a confronto il manoscritto più vicino all'originale con la prima stampa, scrive ^: « Quanto alla 1 Vedi l'articolo di F. Novali Del Bibliofilo, Anno III, n. 1, p. 10-11. 2 Vedi, ad esempio, il « Decamerone ricorretto per Antonio Bru- cioli, 1538 » e la « Fiammetta emendata da M. Lodovico Dolce, 1542 » in S. BoNQi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, voi. I, fase. I,^ p. 6 e 37. 3 Cfr. « L'Arcadia di lacobo Sannazzaro » ecc. Introduzione, XIV, p. cCLXii. Torino, Loescher, 1888. INTRODUZIONE CRITICA IX « materia, non ha vere differenze con la stampa del « Summonte: in tutto non vi son mutati che una die- «. Cina di versi e una diecina di linee di prosa; ma quanto «alla forma idiomatica le differenze sono notevoli.... « Il codice ci da l'Arcadia ricca di maggior numero di «forme dialettali che non la stampa...: nella stampa « l'ortografia e classica costante, nel codice invece oscil- « laute ». E Pio Eajna, nel magistrale suo lavoro, che io non esito a chiamare modello del genere, paragonando la prima edizione del trattato dantesco, fatta dal Cor- binelli, con il codice di Grenoble, da cui l'aveva tratta, afferma che ^ « tra il testo, quale ci sta davanti nel «manoscritto, tenuto conto di tutte le modificazioni ivi « proposte e introdotte, e la stampa, le differenze non « son poche ». Quanto venga a soffrire da ciò la conoscenza piena, sicura, reale della lingua, dello stile, del pensiero d'uno scrittore, ognun vede agevolmente: poiché, a voler am- modernare le parole o mutarle o disporle in modo di- verso, tralasciarne alcune, aggiungerne altre, e aggrup- pare con arbitraria o malintesa interpunzione i con- cetti altrui in modo tutto proprio, là dove il genio con- cepì e volle che l'immagine del suo concetto fosse resa con quelle parole, con quell'ordine e magari con quegli errori suoi, a voler adattargli anche una sfumatura, un colorito minimamente più chiaro o più scuro, gli si rende lo stesso servigio che ad un capolavoro di pittura, quando altri lo copia o lo ristaura. E di questo tradimento sof- frono, sopra tutti, quegli scrittori, quali il Machiavelli, che, forniti da natura di una potente elasticità di espres- sione adattabile e flessibile ad ogni nuovo movimento ^ Cfr. « Il trattato de Vulgari Eloquentia a cura di Pio Rajna » a p. Lxxx e segg. Firenze, Le Mounier, 1896. X INTRODUZIONE CRITICA e momento del pensiero, traggono dall' intimo loro mille- forme nuove di stile : e questo or si restringe, or si al- larga, si colorisce, prende forma ora elegante, talvolta- rude, corre via, si allenta, fluisce tranquillo o s'intor- bida, colpisce, secondo che si agita e si dispone quel cervello geniale. E tra le opere del Machiavelli, la pili pensata e sentita, la più singolare di forma e di stile, quella che risente ancora del moto della vita politica^ pur ora spenta per lui, e meno s' impronta di quel ri- flesso lavorio letterario che culmina nelle Istorie, il Trattato del Principe^ ebbe a punto a soffrire pili delie- altre per questo tradimento. Già il Polidori in un articolo del giornale « La Ve- nezia »,^ richiamando l'attenzione degli studiosi su due- cento e più errori comuni nelle opere del Machiavelli, ebbe a lamentare che « gli editori, in ispezie dell'ultimo « secolo, empissero di loro frivole e pedantesche emen- « dazioni il dettato del gran Segretario; talché, quanto « a questa (l'Arte della Guerra), come a più altre fra le « sue scritture, è vie meno da faticarsi nel raddrizzare « gli errori in cui quelli caddero, che nello spazzare gli « arbitri a cui, per nescienza o per la nullità o falsità « del lor gusto, si abbandonarono ». Ma il Polidori non vide più in là di questa sparsa opera di corruzione, né risali più indietro delle ultime stampe. Ora io, discor- rendo in breve delle edizioni del Principe e delle copie manoscritte pervenuteci e che ho potuto vedere, intendo dimostrare propriamente che le stampe travestirona la forma dell'opera; e mi studierò di rintracciare e sta- bilire quale possa essere, non tanto la migliore, quanto la più sicura lezione del Principe. 1 Numeri 194, 195, 198, 199, 201, 207, 208, 209, 213 e 214. (Siena,. Tip. Mucci, 1862). INTRODUZIONE CRITICA XI li Una questione Machiavelli nella storia della critica de' testi non esiste; o, meglio, si giace inerte tra le molte edizioni, come vedremo appresso, e forse nella mente di qualche studioso; ma non è stata, fìn'ora, messa in rihevo. E pure, a que' moltissimi che hanno ripro- dotto il Principe nel presente secolo, bastava un super- ficiale raffronto tra una delle prime stampe, Bladiana, Giuntina o Testina, da una parte , e quella ben nota, curata dal Tanzini e Tassi [Italia 1813], dall'altra, per accorgersi dell'esistenza di un problema grave a risol- vere. Né in quelle ultime stampe, che pur si riattac- cano, quantunque poco fedelmente, a de' manoscritti, è fatta parola delle profonde divergenze formali tra testo e testo : par quasi che i loro compilatori non se ne siano accorti. Solo l' inglese ^ Burd, pochi anni or sono, po- nendo in fine al suo Principe commentato un' Appen- dice di varianti, non tutte, tra 1' Ediz. Italia 1813 e la Testina prima, notò questa differenza: nient'altro. Premetto, anzi tutto, che l'autografo del Principe o non esiste più o non fu trovato ancora, e che nessuna stampa pare sicuramente condotta su di esso; perché, nell'un caso, dimostrato prima che fu quella e non di- versa l'ultima forma voluta dall'autore, e nell'altro, che la stampa segui con fedeltà il testo originale, poco ri- marrebbe a fare per aver sotto gli occhi nostri l'im- magine esatta e sicura dell'opera. Sara quindi necessario ricorrere al solo mezzo che la critica ci offre in tal bisogno : la comparazione tra le ^ V. Il Principe by N. M. edited by L. Arthur Burd, Oxford, 1891, App. II, pp. 379-399. XII INTRODUZIONE CRITICA fonti diversGr Ma tra le stampe, tra i manoscritti, quali son degni d'esser tenute fonti sicure'? E incominciandomi dalle stampe, converrà innanzi che io apra come uria parentesi per ricordare il noto rifacimento del Principe, Augustini Niphi Medice i Philo- soPHi SuEssANi I De Regnano! peritia | ad Carolum yi ! Imper Oaesarem I SEMPER AuGusTUM | '. nella cui chiusa si legge : Finis Suessae^ die III Odohris M.D.XX.II. — Neapoli in aedihiis domiìiae Catherinae de Silvestro — Anno a na- tivitate Domini M.RXX.IIL Die XVI Martii.' Vivente il Machiavelli adunque, e dieci anni innanzi la prima stampa del Principe, il Nifo dovette averne avanti a sé una copia manoscritta, su cui condurre la falsificazione sua. Ma chi pensasse trarne elementi per la ricostituzione del testo, si apporrebbe male; poiché l'operetta mirabile vi è cosi allungata, spezzettata, rifusa, rimpinzata di esempì e sentenze e citazioni comuni, af- fogata in sproloqui senza fine, e tutto cosi mal rinvolto in un quasi maccheronico latino, che a fatica ne potresti liberare una sola serie di concetti del Machiavelli, netti e precisi. E non solo questo rifacimento nulla giovò, se non altro, alla diffusione del pensiero machiavellico, ma, indirettamente, gli nocque. Perché io credo che da esso i Giunta, primi a scorbacchiare il filosofo suessano, traes- sero, nella prefazione loro al Principe, la falsa interpre- tazione de' veleni e degli antidoti;'^ e da esso, e dalle fre- quenti citazioni della Politica di Aristotile e deir Ora- zione a Nicocle di Isocrate, io penso che il Triantafillis ^ La copia esaminata è della Nazionale di Firenze, segnata M- 1141-4. 2 Cfr. o. e. del Nifo, Dedica a Carlo V, e. 2 : « Invenies enim in bis tum tyrannica, tum regia facinora breviter explicata, velati in medicorum literis venena et antidota, illa quidem ut fugias, haec vero ut persequaris ». INTRODUZIONE CRITICA XIII fosse indotto a levar tanto scalpore sulla conoscenza del greco e su' plagi dal greco perpetrati da N. Machia- velli. ^ Ma, non ostante che il testo sia cosi travisato e deformato, pure la mia paziente ricerca ha fatto si, che anche il Nifo, se bene per pochissimi luoghi, possa metter la sua voce nel coro discorde, e ne giovi in qualche modo al resultamento finale. Ma di ciò più in- nanzi. IH La prima edizione e indubbiamente quella del Biado: Il Principe di Niccholo Machia | vello al Magnifico Loren|zo DI Piero de' Medici | (segue la Vita di Castruccio ecc.) Roma MDXXXII.^ Dopo il frontespizio è una carta con la ta- vola dei capitoli in italiano: a. e. 1, retto e verso, è una lettera in data 4 Gennaio 1532, con cui Antonio Biado di Asola offre il libro a Filippo Strozzi. A e. 2 è la dedica a Lorenzo De' Medici; e dalla e. 3 al verso della e 35 va il Principe. Passarono dunque cinque anni dalla morte del Ma- chiavelli, e più che diciotto da che l' opera era stata composta, prima che essa venisse alla luce per le stampe. Dell'edizione fatta dal Biado di alcune opere del Machiavelli affermarono il Fumagalli e il Belli, neP « Catalogo delle edizioni romane di A. B. A. », essere essa « edizione principe rarissima delle opere del Se- « gretario fiorentino, cavata fedelissimamente dagli ori- 1 Anche il Boterò, {Dell' Uffitio del Cardinale, Roma, 1599, p. 63), affermò che il Principe sia un plagio della Politica di Aristotile; ma io non son certo, come per il Triantafillis, ch'egli conoscesse l'opera del Nifo. 2 La copia esaminata è nella Marucelliana, segnata 2-C-yiII-73. 3 N. XIV degP Indici e cataloghi pubblicati a cura del Ministero della Pubblica Istruzione, (voi. unico, fase. I, Roma 1891, p. 9-10). XIV INTRODUZIONE CRITICA « gioali di propria mano dell' autore, e sulla quale il « Giunti condusse linea per linea Taltra sua fatta negli « anni medesimi ». Nella quale affermazione essi segui- rono quanto ne avevan detto già l'erudito Carlo Lozzi ^ e Domenico Bernoni.* E tale opinione si trasse da ciò che Antonio Biado, dedicando la stampa dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (18 Ottobre 1531) a Monsignor Giovanni Gaddi, gli scriveva: «Quanto alla «scrittura io mi terrò sempre giustificato con l'origi- « naie di propria mano dell' autore, donde per bene- « fizio di Mons. Reverendissimo de' Ridolfi, padron mio, « si sono fedelissimamente cavati ». Ma questo non ri- pete il Biado né del Principe né delle Istorie; né se ne trova alcun cenno nelle prefazioni o dedicatorie premes- sevi. E, se pure si può credere che il Biado ebbe del Principe o l'autografo o una copia sicura, io non oserei giurare su la fedeltà scrupolosa di chi stampava. Facile sorge il sospetto in chi legga, nella Dedica che lo stesso Biado fece delle Istorie, pure a Mons. Giovanni Gaddi, in data 25 Marzo 1532, o sia poco dopo che i Giunta, in Firenze, gli avevano riprodotti i Discorsi, le seguenti parole: «Si degni accettare in protettione, questa mia « fatica et favorirla, non dico contra gli calunnia- « tori de l'Autore ma contro gli laceratori del po- « vero stampatore. La presuntione de' quali è tanta, che « non solo mi trafiggono de' falli, che io potrei non « bavere avvertiti, ma ardiscono anchora di scorreg- « germi le correttioni, come nel mandar fuora li Discorsi « mi avvenne ». Ecco una duplice confessione, di sbagli ^ Cfr. una nota di C. Lozzi a p. 34-35 del Bibliofilo, Anno ITI, N. 3. Marzo 1883. 2 Vedi p. 195-210 dell'opera « Dei Torresani, Biado e Ragazzoni celebri stampatori a Venezia e Roma ecc. Milano, Hoepli, 1890 ». INTRODUZIONE CRITICA XV commessi e di correzioni fatte al testo del Machiavelli, pure in un'opera eh' egli aveva affermato di riprodurre dalV originale. E il sospetto di poca fedeltà sarà mutato in certezza, quando, più oltre, porremo a fronte un passo originale de' Discorsi con la stampa. Che sarà quindi avvenuto del testo del Principe, su la cui derivazione dall'autografo, come apparirà più innanzi, si può forte- mente dubitare? Delle sviste tipografiche del testo bladiano, comuni per altro a molte stampe, se non cosi frequenti, e ge- neratrici di parecchie false interpretazioni, mi limito a citare le più gravi : MaccMavelli per Machiavelli, verità per varietà nella Dedica; sonno per sono tre volte nel cap. I; ordinaria per straordinaria , lor' acquisterà per lo riacqui- sterà nel cap. II; delVor per del lor e si Romani per i Romani nel cap. UT ; de che gli per che degli nel VI ; con- cesse per concessi e questo per questa nel VII; manca celebrato nella frase intra li eccellentissimi homini cele- brato del cap. VIII; ossicurare per assicurare e tenergli per temergli nel IX; contando per contado nel X; presor iper presono nel XII; veneri per venne, fatta non tutte unite per fatta, son tutte unite nel XIII; guadagtiar sene invece di guardarsi nel cap. XV; ti conduci per ti conduce nel XVI; e nel XIX tenuti per temuti, apace per rapace^ della guardia per dalla guardia; nel XX a riddere per a riperdere \ nel XXI chi per non invece di chi perde non e il modo tristo per il manco tristo] nel XXlll dove per deve-, nel XXIV sua per suta, e nel XXVI disse, il- lustrarte, nuoi, per dissi , illustrare, nuovi, e in fine la pietà per la pietra, E questi sono i meno leggeri tra i molti errori fortuiti, talvolta corretti, talvolta ereditati dalle stampe seguenti, e pure nella maggior parte fa- cilmente correggibili: ma di quelli voluti, o meglio delle correzioni apportate al testo originario, non ci si può XVI INTRODUZIONE CRITICA accorgere né se ne può discorrere, se non avvertendo prima che tra i manoscritti sincroni o di poco poste- riori, che abbiano una certa autorità, non v' è alcuno che coiTisponda a questa prima stampa. Lascio stare ora la questione, che riprenderò più sotto, intorno al testo manoscritto, e quale sia la lezione migliore, e se il Biado ebbe avanti a sé una redazione sconosciuta finora a noi. Le differenze della lezione bladiana dalla comune de' manoscritti sono pur troppo e spesso non lievi. Già i titoli dei capitoli, che i più dei mss. portano con unanime lezione in latino, sono qui liberamente e non sempre bene volgarizzati; e questi volgarizzamenti non corrispondono affatto né a' titoli, pure italiani, del ms. Parigino, 709, né a quelli del Cor- siniano 440. Sono inoltre nel testo ms. quattro sentenze latine (Cfr. Gap. VI, 28, 9; XIII, 65, 13; XXI, 103, 1; XXVI, 117, 12), 1 tolte da Tacito o da Livio, ^ quan- tunque lievemente modificate (poiché ognun sa che il Machiavelli citava sempre a memoria): il Biado e il ms. Parigino le riportano in volgare; ma non somi- gliano per nulla. Si può dubitare che l'unanime testo latino sia originale del Machiavelli, e la discorde ver- sione italiana sia opera de' trascrittori? Nel testo bladiano la grafia delle parole è sempre variabile e capricciosa, e medesimamente le desinenze de' verbi : ad esempio, mia e sua per ìniei e suoi che sono quasi sempre ne' mss., di rado si trovano qui, e cosi * Noto, una volta per tutte, clie nelle citazioni il primo numero romano indica sempre il Capitolo, la prima cifra arabica la pagina del testo, e l'ultima o le ultime cifre arabiche le righe. 2 Si osservi anche che queste sentenze, pure storpiate, ricorrono nelle Lettere, ne' Discorsi, come vedremo a suo luogo; e dovevano occorrere spesso sulle labbra del Machiavelli e de' suoi amici dotta- mente conversanti su materie politiche. INTRODUZIONE CEITICA XVII permetfeno in luogo di permedano, e soggetto in luogo di suhiedo; e bastorno, fumo, posserno spesso adornano la bìadiana, non i mss.; e tutti i verbi infiniti nella bla- diana sono sempre tronchi e infiorati di un apostrofo, là dove ne' manoscritti raramente non sono per intero. Cosi la maggior parte de' sido e fatta stato; e tutti i nomi di popoli o potentati senz' articolo sono articolati. Ma questo, che pur non toglie poco alla figura reale dell'opera, e nulla in confronto delle differenze di parole e di collocazione di frasi intere e talvolta di periodo: le quali possono forse esser tratte da un testo ignoto; ma, a chi ben guardi e sottilmente osservi, hanno tutto il carattere di correzioni volute, di puliture limate, di leccature cercate. E di queste il Machiavelli non era capace; e non fu di certo, pili che nelle altre, in questa opera: la quale, non scritta certo con intendimenti let- terari di pura arte, ma fatta a sfogo di quel ribolli- mento di pensieri e meditazioni testimoniatoci dalle let- tere al Vettori tra il 1513 e il '15, serba ancora le tracce della sua composizione quasi tumultuaria. Non pare, ad esempio, voluto, nella Dedica, 3, ^ piil deiettarsi in corrispondenza di pm care contro deiettarsi de' mss/? e conosciuto et inteso [4, 4] non par tirato dal- l' iw^^wc/er^ di sopra rispetto al solo conosciuto de' mss.? Cosi nel cap. II, 6, 4 et andrò nel ritessere queste orditure di sopra disputando come ecc. mi sembra correzione di ft andrò ritexendo li orditi soprascritti et disputerò come ecc.: tanto più che il Biado venne a togliere al periodo la forza e la perspicuità che gli viene dalle tre coordi- nate. E nello stesso capitolo [6, 8] il latino preterire V ordine è vulgato in trapassare l'ordine; e lo riacquista [6, 12J, cosi semplice e vigoroso nella chiusa del periodo, stampandosi si trasformò in racquisterà, quasi a far con- trapposto al futuro manterrà, di sopra. Al cap. Ili, S, XVIII INTRODUZIONE CRITICA 19, secondo i mss. gli eserciti sono spenti o fugati di Italia^ ma secondo il Biado sono spenti e cacciati di Italia; cosi Francia h dal Biado quasi commentato in re di Francia, là dove il Machiavelli in tutte le sue lettere, con modo sbrigativo, comune allora, scrive sem- pre Francia, Spagna o Inghilterra in luogo dei loro re o governi. E poco appresso [10, 10], delle colonie il Ma- chiavelli affermò essere quasi compedi delle province in cui si mandano; ma il Biado interpetrò, e male, sono quasi le chiavi. Poco sotto [10, 12] si legge rie' mss.: nelle colonie 7ion si spende molto^ e sanza sua spesa o poca ve le manda e tiene. Cosi forse aveva scritto il Machiavelli con quella sua libertà di stile che talvolta pare una continua anacolutia; ma il Biado volle aggiungere il soggetto e unificarlo, quasi non si capisse, e stampò: nelle colonie non spende molto il principe^ e senza sua spesa ecc. Più giù [12, 1] tutti insieme fanno globo si tra- sforma in tutti insieme fanno massa, che pare un brutto neologismo, e ohviare [12, 22] si muta in riparare, e i fisici in medici [13, 1], il progresso del tempo nel corso del tempo [13, 2]. E, saltando, cosi a capriccio, nel capi- tolo VII 29, 14 e 30, 14 le barbe fiorentine son trasfor- mate in radici più italiane, e preporlo imitabile [37, 18] è fatto più volgare in preporlo ad imitar, E nel cap. Vili 39, 20 figulo non è ripulito in orciolaio per mera avver- sione al nobile latino ì e tra avendo deliberato e diventare [40, 4] non fu interposto voler per una stupida voglia di maggior chiarezza? e il volgare raunò [40, 8] non è nobilitato in congregò? e alla difesa della obsidione [40, 15], che pareva ostico, non fu sostituito la difesa di quella (città)? E seguitando a spigolare: al cap. XIII, due volte aliene h mutato in altrui e d'altri] al XIV, 66, 8 per avverso in per contrario, e negligere [66, 11] in disprezzar. Né con diverso sistema al XIV, 66, 15, le INTRODUZIONE CRITICA XIX parole liberamente e irregolarmente collocate intra le al- tre cagioni che ti arreca di male son fatte rigar dritto eosi : intra le altre cagioni di male che ti arreca. Al cap. XVIT, 75, 25 i mss. hanno la forma latina e converso, che dal Duecento al Cinquecento, da Dante al Guicciardini, fu sempre adoperata: ma il Biado stampò: o temuto che amato, Nel cap. XVIII, 80, 23-24 si legge co' mss.: Alexandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad altro che ad ingannare homini, et sempre trovò suhiecto da po- terlo fare : ma la stampa : Alessandro VI non fece mai al-' tro che ingannar uomini, né inai pensò ad altro e trovò sug- gello da poterlo fare, Nel cap. XIX, 90, 24 e 91, 1 secondo i mss. si legge : si querelò in Senato come Albino, poco co- noscente de' benefitii ricevuti da lui, haveva dolosamente cerco di amazzarlo; ma nel Biado: si querelò in Senato di Albino che come poco conoscente de' beneficii ricevuti da lui aveva a tradimento cerco di ammazzarlo; e mi pare tutta una correzione per studio di maggiore regolarità per paura che altri capisse poco; nella stessa guisa che in fondo al cap. XXI, 105, 4-5, dove i mss. portano perché questo non vuol ìnancare in cosa alcuna, il Biado stampò questo non si vuole mai che manchi in cosa alcuna. Nella fine del cap. XXIV, 111, 12 dove il Machiavelli calcò sul suo concetto scrivendo : quelle difese solamente sono buone, sono certe, sono durabili ecc., il Biado, soppri- mendo i due verbi, trasse fuori la sbiadita affermazione : sono buone, certe e durabili. Nella stampa romana al cap. XXV, 113, 10, si legge: credo ancora che sia felice quello il modo del cui procedere si riscontra con la qualità de' tempi, e similmente sia infelice quello dal cui procedere si discordono e' tempi. Regolare, composto, chiaro, non è vero^ salvo forse quella differenza di soggetto, il modo che si riscontra co' tempi, e i tempi che si discordano dal procedere: anche un chiasmo c'è, ma non un sog- XX INTRODUZIONE CRITICA getto logico. E i mss. con più di spontaneità, e di logica forse; portano: credo ancora che sia felice quello che ri- scontra el modo del procedere suo con le qualità de' tempii e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e' tempi. Gli dava a' nervi l'anacoluto all'one- sto revisore! E lascio stare: una più lunga enumerazione riusci- rebbe inutile; tanto più che le varianti saranno ripor- tate a pie di pagina nel testo critico; che sommano a più d'un migliaio; e ognuno vi potrà esaminare a suo agio le dififerenze tutte. A me questo carattere di ri- facimento, di volgarizzamento, di pulitura più lette- raria e regolare, che ha la lezione del Biado, fa pen- sare appunto a un' opera di correzione voluta. Il qual pensiero mi viene luminosamente provato dal fatto seguente. I Discorsi y affermò il Biado, sono fideliss imamente cavati dall'originale. Or bene, ecco la minuta del Proe- mio di mano del Machiavelli,^ e di sotto, in nota, le differenze dalla stampa romana e tìorentina de' Giunta, e, chiuse tra parentesi, le differenze proprie e sole della Giuntina. « Anchora che per la invida natura degli huomini « sia sempre suto non altrimenti periculoso trovare « modi et ordini nuovi che sia cercare acque et terre « incognite per esser quelli più prompti ad biasimare «che ad laudare le actioni d'altri: uon di mancho « spinto da quel naturale desiderio che fu sempre in « me: di operare sanza alcuno respecto quelle cose che « io creda rechino comune benifitio ad ciascuno: ho de- ^ È riprodotta tale e quale, salvo i nessi che sono sempre sciolti^ di su l'autografo conservato nella Nazionale di Firenze, tra le Carte Machiavelli, voi. I, n. 74. INTRODUZIONE CRITICA XXI « liberato entrare per una via : la quale non essendo « suta anchora da alcuno pesta : se la mi arrecherà fa- « stidio et dificultà mi potrebbe anchora adrecare pre- « mio mediante quelli che humanamente di queste mia « fatiche el fine considerassino : Et se lo ingegno povero 5 «la poca experienza delle presenti cose: et la debole « notitia delle antique faranno questo mio conato de- « fectivo et di non molta utilità : daranno almeno la « via ad alcuno che con più virtù più discorso et iudi- «tio: potrà ad questa mia intentione satisfare: Che se io « non mi adrecherà laude non mi do verrebbe partorire «biasimo: Considerando adunque quanto honore si ad- « tribuisca ad la antiquità : et come molte volte la- « sciando andare infiniti altri exempli uno fragmento : « d'una antiqua statua: sia suto comperato gran prezo: 15 «per haverlo ad presso di se honorarne la sua casa: « poterlo fare imitare ad coloro che di quella arte si « delectono et quegli di poi con ogni industria si sfor- «zono: in tucte le loro opere rappresentarlo: et veg- « giendo da l'altro canto le virtuosissime operationi che 20 « le storie ci mostrono che sono state operate : da regni « et repubbliche antique : da i re capitani cittadini la- « tori di leggi et altri che si sono per la loro pratica « affaticati essere più tosto admirate che imitate : anzi « intanto da ciascuno in ogni minima cosa fuggite: che 25 « di quella antiqua virtù non ci è rimasto alcuno segno: « non posso fare che insieme non me ne maravigli et « dolga: et tanto più quanto io veggo: nelle differente Qui incomincia il Biado. 12-13. Considerando io quanto honore si attribuisca alia antichità 14. an- dare molti altri essempi 15. antica sia stato comperato 17. da coloro 18. si deiettano 18-19. et quelli poi... si sforzano 20. dall'altro 21. le historie 21-22. da Regni, da Rep. antiche 22. Datori 24. esser più presto ammirate (G. più tosto con meraviglia lodate che) 25. in ogni parte fuggite 26. antica rimaso alcun 27. meravigli 28. veggio II XXII INTRODUZIONE CRITICA « che intra cittadini civilmente naschano o nelle ma- « lattie nelle quali li huomini incorrono essersi sempre « ricorso ad quelli iuditii o ad quelli remedi che dagli « antiqui sono stati indicati o ordinati: perché le leggio 5 « civile non sono altro che sentenze date dagli antiqui « iureconsulti e' quali riducti in ordine a molti presenti « iureconsulti indicare insegnano: Né anchora la medi- « Cina è altro: che experienze facto dagli antiqui me- « dici sopra le quali fondano : e' medici presenti elloro 10 « iuditii : Non di mancho: nello ordinare le repubbliche «nel mantenere li stati nel governare e' regni: nello « ordinare la militia et administrare la guerra nel iudi- « care e' subditi : nello adcrescere V imperio : non si « truova principe né repubblica né capitano che ad gli 15 « exempli delli antiqui ricorra: « Il che credo che nasca non tanto da la deboleza : « nella quale la presente religione ha condotto el mondo « da quel male che ha facto ad molte provincie et « città cristiane uno ambitioso otio quanto : da non 20 « bavere vera cognitione delle storie per non trarne « leggendole quel senso né gustare di loro quel sapore « che le hanno in se : donde nasce che infiniti che le « leggono piglono piacere di udire quella varietà degli «accidenti che in epse si contengono: sanza pensare 25 « altrimenti di imitarle giudicando la imitatione non « solo difficile ma impossibile : Come se il cielo : il sole, 1. intra i (G. tra i) nascono 2. gli 3. a quelli giudicii o a quelli ri- medii (G. a quelli rimedii o a quelli giudicii) 4. antichi giudicati 4-5. leggi civili 5. sentenzio antichi 6. le quali ridotte in ordine a presenti nostri 7. giudicare 8. esperienza fatta (G. sperienza) antichi 9. la quale i 9-10. li loro giudicii (G. i loro) 10. Non di meno 11. gli i 11-18. nell'or- dinar 12. amministrar (G. amministrare) 12-13. giudicare i 13. accrescere Io 14-15. né principi né Repu. né capitani né cittadini che egli essempi de- gli antichi ricorra. (G. né prencipe, ne Rep. né capitano, ne cittadino) 16. Il che mi persuado che dalla 17. educatione il 18. che uno ambitioso otio ha fatto a molte 19, dal 20. (G. cognitione vera) historie 23. che leg- gano pigliano d' udire delli (G.dagli) 24. esse contengano senza 25. (G. ad imitarle) INTRODUZIONE CRITICA XXIII « li elementi : li huomini fussino variati di moti d' or- « dine et di potenza da quello che gli erono antiqua- « mente: volendo per tanto trarre gli huomini di questo «errore: ho giudicato necessario: scrivere sopra tutti « quelli libri di tito lìvio che da la malignità de' tempi 5 « non ci sono stati interropti quello che io secondo la « cognitione delle antique et moderne cose indicherò « essere necessario per maggiore intelligentia d'essi: ad « ciò che coloro che leggieranno queste mia declara- « tioni possino più facilmente trarne quella utilità: per 10 « la quale si debbe cercare la cognitione delle storie et « benché questa impresa sia difficile non di mancho « aiutato da coloro che mi hanno ad entrare sobto «questo peso confortato: credo portarlo in modo che « ad un altro resterà breve cammino ad condurlo ad 15 « loco destinato » : L'opera di correzione, di rifacimento, è la medesima che nel Principe. I dialettalismi e i latinismi troppo forti, i costrutti poco regolari o comuni, gli articoli, le desi- nenze de' verbi, per fino un concetto, quello della reli- 20 gione causa del presente ozio^ tutto è rimaneggiato ar- bitrariamente dall'editore. Si potrà obiettare che questa è una minuta, e che il Biado abbia avuto la lezione definitiva, tutta ripulita, del Machiavelli stesso. Voglio concedere che la prima 25 parte sia stata soppressa dal Machiavelli stesso: che a me non pare, e per l'altezza e nobiltà de' concetti, e perché la nostra mente in que' pensieri d'introduzione si adagia meglio che non subito entrando in materia. Ma non posso concedere che egli, esagerato sempre 30 1. gli gli fussero moto 2-3. erano anticamente 5. dalla 6. in- terrotti 7. secondo l'antiche et moderne cose (G. secondo l'antiche et cose mo- derne) 7-8. giudicherò esser 8-9. accioche 9-10. questi miei Discorsi leg" peranno 10. possino trarne 11. (G. debba) ricercare della historia 12^ non di meno 13-14. sotto a questo 15-16. a luogo (G. alluogo) XXIV INTRODUZIONE CRITICA neir espressione, abbia pensato ad attenuare infiniti in molti; che egli, fiorentino, abbia reso più italiani i dia- lettali suto, mia, leggie civile, non di manco, sanza, e per /; che egli, nutrito di latino, nel sangue^ abbia sostituito datori a latori, discorsi a declarationi; né in fine che egli, scrittore de' più liberi e vivaci, abbia corretto e' quali riditeti in ordine in le quali ridotte in ordine. Non può es- sere, insomma, che il Machiavelli stesso abbia, con tanta accanita persecuzione, cacciati via i dialettalismi, i lati- nismi, gli anacoluti, le libertà di costrutto, cose tutte che perdurano vivaci e vigorose e copiose per fino nelle Istorie, l'ultima e più letteraria delle sue opere. Ed e pos- sibile che il Machiavelli si sia fatto inquisitor di sé stesso, mutando destramente religione in educazione, ^ egli che ben più liberamente della religione corruttrice della vita civile parlò poi ne' cap. IX e X dell'opera ì E, per poco che ci affacciamo sul princìpio dell'opera, ecco che ci si offrono prove novelle. De' Discorsi non si conosce alcun buon ms. intero: tanto che gli editori d' Italia 1813, dovettero fermarsi alle prime stampe. Ma in un volume delle Legazioni (autografe) dell'Archivio di Stato in Firenze, (del fondo Rinuccini, di buona provenienza quindi),^ tra Scritti vari e frammenti, si giace nascosto un quinternetto, non autografo, dove sono frammenti de' Discorsi E precisamente al Cap. I del Lib. I, s' in- contrano queste differenze. Il ms. legge: quale principio fu quello; datori di legge; unità; dopo; nati de luoghi; alti impeti; bisognerebbe loro lasciare molti de' loro ri- dotti; mossi da questi pericoli o da loro medesimi: ma la stampa porta: qual principio fosse quello; legislatori; virtù; dipoi; natii del luogo; allo impeto; converrebbe ^ Si noti che educazione non fa che ripetere, in sostanza, Vam- hitioso otto con cui è in relazione disgiuntiva. 2 Classe X, Dist. 4, n. XI. INTRODUZIONE CRITICA XXV loro lasciare abbandonati molti de^ loro ridotti ; per fuggire questi 'pericoli, mossi o da loro medesiìni, ecc. ecc. Né, credo, mette conto che io mi dilunghi tanto a citare, quanto io mi sono allargato a ricercare e raf- frontare stampe e manoscritti delle opere machiavel- liche. Mi sembra che il fin qui detto basti. Ho insistito alquanto su l'esame di questa prima edizione, perché essa, lievemente modificata, corretta a volte ammodernata, servi a costituire la lezione vul- gata del Principe, quale i pili avranno letto, meditando, con la mente più ai pensieri profondi che alla forma in cui erano espressi. IV A distanza di poco più che quattro mesi dal Biado, i Giunta di Firenze diedero alla luce il Principe. Nel frontespizio di questa seconda edizione si legge: Il Prin- cipe DI Niccolò Ma! chiavelli al Magnifico | Lorenzo di Piero I de' Medici | (segue la Vita di Castruccio ecc.);^ nel mezzo della pagina è il solito gìglio sorretto da due puttini con il motto Nil candidius, e in fondo m.d.xxxii. Segue, per alcune carte non numerate, una lettera di Ber- nardo di Giunta di Firenze, l'ottavo giorno di Maggio dell'anno MDXXXII, al molto Rev. Mons. Giovanni Gaddi, a cui dedicando la stampa, egli accenna non solo alla versione o rifacimento latino perpetrato e messo fuori dal Nifo, ma ancora alle prime avversità, suscitate da quell'opera, troppo grave di verità; nude e crude. E appresso è la tavola de' capitoli, quindi la dedica a Lo- renzo de' Medici, e da p. l a 41, retto e verso, il Principe. ^ La copia esaminata è nella Nazionale di Firenze, segnata C. 4-2-10. XXVI INTRODUZIONE CRITICA La febbre d'interessi, che moveva a gareggiare i Biado e i Giunta nel dare alla luce le opere del Ma- chiavelli, fece si che questi affrettassero, affannassero quasi l'edizione; la quale riuscì spropositata anche que- sta volta, ma non cosi gravemente come la prima. 1 Giunta, con gli errori del primo esemplare sotto gli occhi, potettero certo aver agio di evitarli; ma non sempre riuscì loro; talvolta anzi ne aggiunsero di prò- prii; come, ad esempio, provedersi si, e chi vi sarà per che vi sarà nel cap. Ili, tante per tanti nel V, r attoni per le attioni e a tiepidi per e tiepidi nel VI, i pregressi nel VII, e face per fece, etice per etiche, e tutte l'altre che non sono in luogo di tutte Valtre sono nel XIII. Cosi nella fine del cap. XIV si legge 'parata risesterla invece di parata a ì^esistere ai suoi colpi, nel XVII neir insolentì a per né V insolentia; e sul finire del XVIII cap. è omesso e deWuna e delV altra è inimicissimo ; e nel XIX Antonina diviene Antonio, nel XXI Bernabò h mutato in Bernardo,. e gli eserciti si trasformano negli esercita. E basti degli errori tipografici. Ma sono volute certe differenze di grafia e di forma, come torgliele per torgnene, uffitiali per ufficiali, devea per deveva e r^cognoscere per riconoscere, nimico per inimico, e Franzesi per Francesi; nelle quali varietà la Giuntina pare accostarsi più alla parlata fiorentina, come si accostò più al buon senso togliendo quel continuo troncamento fi- nale de' verbi infiniti, tanto fastidioso nell'edizione ro- mana. Il Giunta, del resto, al primato della lingua ci teneva, e già nella Prefazione a' Discorsi in data 10 No- vembre 1531 avea dichiarato esser bene che vedessero la luce nella sua patria « si per essere più atta a man- « tenergli nella sua prima purità, e si perché si deve « credere l'autore molto più contentarsi vedere i suoi « diletti figliuoli uscire fuori custoditi et puliti per manO' INTRODUZIONE CRITICA XXVII « della sua prima et più veneranda madre che per al- « trui ». E confessava cosi anche di pulirli ! Altre diffe- renze dalla stampa romana di lezione vera e propria, che portano senso o frase diversa, e dalle quali appari- rebbe avere il Giunta guardato a qualche manoscritto, vi sono certamente; poche si, ma singolari. E trasce- gliendone alcune, al cap. Ili, ad esempio, dove la Giun- tina porta Conchiiido queste colonie che non costono, il Biado e i mss. leggono Concludo che queste colonie non costono ; così nel cap. IV, si ritruova per si triiova^ e facilità ci ebbe, per facilità ch'ebbe. Nel cap. XI il Giunta e i mss. hanno acquistarli e tenerli in luogo del sem- plice acquistarli, e nel XII veruno fla che niegìii invece di nessuno sarà che nieghi, e liberissime per libéralis- sime. La sentenza del cap. XIII, 62, 24, che secondo la Giuntina e i mss. si dovrebbe leggere: In somma nelle mercennarie è più pericolosa la ignavia, nelle ausiliarie la virtuy e allungata dal Biado con le parole et pigrizia al conbatere interposte tra ignavia e ìielle, E l'altra sen- tenza del cap. XIX, che il Giunta e i mss. portano; li principi debbono le cose di carico fare subministrare ad altri, et quelle di gratia a loro medesimi, è per intero trasformata dal Biado, che stampò: li principi debbono le cose di carico metter sopra d'altri et le cose di gratia a sé medesimi. Né mi riesce in fine di spiegare in al- tra maniera, se non che il Giunta ebbe sottocchio un manoscritto e il Biado corresse per voglia di miglio- rare, il divario che passa tra l'una e l'altra lezione nel Cap. XXVI, 117, 3; poiché il Giunta e i mss. leggono: ]<ìé ci si vede al presente in quale lei (la) possa piti spe- rare che nella Illustre casa Vostra (la) quale con la stia fortuna et virtù, favorita da Dio et dalla chiesa, della quale è ora principe^ possa farsi capo di questa redem- ptione: ma il Biado, o chi correggeva per lui, infastidito XXVIII INTRODUZIONE CRITICA delle tre relative mutò, forse in meglio, per il rispetto letterario, e scrisse: ^ Né si vede al presente che ella possa sperare altra che la illustre casa vostra potersi fare capo di questa redentione, sendo questa dalla sua virtù e fortuna tanto suta esaltata, e da Dio e dalla Chiesa, della quale tiene ora il principato , favorita. Con il qual mutamento tutto corre piano e liscio: ma come ne rimane morti- ficato quel farsi capo di questa redemptionCy cosi solen- nemente e splendidamente proclamato e rilevato su la chiusa del periodo! Raccogliendo in breve l'analisi del testo giuntino, vi si possono distinguere tre gruppi diversi: il primo, non molto numeroso, di differenze grafiche o lievi muta- menti di parole non comuni né al Biado, né a' mss. : il secondo, scarsissimo, ma di lezioni importanti, comuni a' mss. , che non poterono esser tratte se non da uno di questi: il terzo, numerosissimo, nella proporzione di novantanove a cento, di lezioni comuni solo col Biado. Da che sorge naturale la domanda: sole poche lezioni del secondo gruppo furon tratte da un ms., perché i Giunta non lo seguirono in tutto ? Ma si può anche do- mandare : perché i Giunta seguirono nella massima parte il Biado? perché ne copiarono anche errori ma- teriali, quali, ad esempio, ^^/^^i per sw^i XI, 52, 11, vivere per vincere XVIII ,82, 7,? occasioni per occisioni XIX, 91, 18, carti per corti XXIII, 107, 10, la pietà per la pietra XXVI, 118, n La chiave che risolve questi dubbi credo si trovi nel- r Introduzione a' Discorsi e nelle differenze della stampa riportate di sopra. Si osservino quelle varianti rispetto ^ 11 Bonghi nel noto libro Perché la letteratura ecc., xii, p. 140 se la prese maledettamente conquesto periodo; mail Mach, nonne avea colpa. INTRODUZIONE CRITICA XXIX alla Giuntina: vi si distingueranno appunto tre gruppi. Il primo è della maggior parte delle lezioni comuni al Biado; il secondo, assai meno numeroso, di raffazzona- menti e correzioni proprie; il terzo, scarsissimo (una sola), di lezione simile all'autografo. Questi fatti non portano €he una sola conclusione : che- cioè i Griunta, seguendo come ne' Discorsi cosi nel Principe passo passo i fogli di stampa del Biado (e questo comodo rubarsi e corrersi dietro è un fatto ben noto nella storia della tipografia cinquecentistica), ne copiarono la lezione, che pareva, e certo era, pili adatta al pubblico, mescolandovi qual- che elemento proprio di racconciatura; e, dove non capissero, o troppo brutta o contro al senso sembrasse la versione stampata, ricorrevano a un ms., tanto per darsi l'aria di far cosa nuova e originale. A che vera- mente, come gli editori di tutti i tempi, cosi anche i Giunta, tenevano molto. La Giuntina, adunque, non segni linea pei' linea, come altri affermò,^ la Bladiana, la corresse anzi, o se ne allontanò, le rare volte che volle, e rimase scorretta di errori propri e d' altrui; e cosi incerta tra la le- zione manoscritta e quella stampata, alla quale per altro rimase più che mai stretta, essa non può servire di fondamento a una lezione buona e sicura. A questo punto, io voglio rincalzare con un pili forte argomento di fatto su la infedeltà, verso lo stesso ms. adoperato, degli editori cinquecentisti in genere e de' Giunta in ispecie. Sanno gli studiosi che esiste nella Nazionale di Firenze un preziosissimo codice, non nu- merato, che tra le altre cose contiene un Libro intero, il quinto, e parecchi altri frammenti autografi deWArfe della Guerra di N. Machiavelli. La lezione manoscritta ^ Y. sopra a p. xiv. XXX INTRODUZIONE CRITICA corrisponde in sostanza a quella stampata da' Giuntar « nelli anni del Signore M.D.XXI a dì XVI d'Agosto. « Leone X pontefice » . ^ Una mano sacrilega, che si stu- dia di riuscire identica a quella dell'autore, ma si rivela troppo spesso nelle lettere sforzate e nell' inchiostro più recente e di un nero più vigoroso, apportò qua e là al testo correzioni semplici di grafia, di desinenze, o di volgarizzazione di parole troppo latine, dando cosi un carattere uniforme, sistematico, alla lingua del Machia- velli ; che nel testo poi apparisce sempre incerto, inco- stante e rozzo, ma assai meno che nel Principe e nelle Lettere Familiari. E, si come non una di queste corre- zioni è trascurata dalla Giuntina, né d'altra parte si può pensare che sia quello un ritocco fatto dopo la stampa per uniformarsi a questa, perché in tal caso sarebbero state modificate certe altre differenze, che noterò or ora, per questo io son venuto, dopo lungo esame, nella con- vinzione, che gli eredi Giunta si siano serviti di quel ms. di cui ci è rimasto solo una parte. Non importa fermarsi su le correzioni e su chi le potè apportare al testo ms., ma si bene su le differenze. Tra le quali citerò per il Libro primo nelle e. 7 ed 8 del ms. le forme Hcentia^ mia, da le, sopra che, sendo, lo ex er cito, particulare, dna, che gli, con i Romani, usato, sappino, fumo dna, con mag- giore, usare questo exercito^ in luogo delle stampate, li- cenza, miei, dalle, sopra a che, essendo, Vesercito^ partico- lare, due, ch^ egli, co^ Romani, usata, sappiano, furono due^ con maggior, esercitare questo esercito; e nel principio del Libro quinto, dove la stampa legge, nimico, rimanente, constringe, il ms. a e. 35 ha inimico, restante, costrigne; ^ La copia esaminata è nella Nazionale di Firenze, segnata: 4- 6-299. Il Contini e il Bongi dubitano che la data di questa ed. sia la vera. Lascio ad altri approfondire e decidere la importante que* stione. INTRODUZIONE CRITICA XXXI e si teìne che non ti assalti, si trova nel codice si teme non ti assalti, e dalla virtù imi che da ninno altro bene- ficio è scritto da la virtù piti che da nessuno altro bene- fitio. E questo è assai poco a paragone delle nume- rose differenze che s' incontrano a ogni passo, quantun- que V Arte della guerra, per quello che io ho visto, h certo tra le opere del Machiavelli la più fortunata e la meno guasta dagli editori. Può dunque la Giuntina meritare tanta autorità da servire di fondamento a un testo critico del Principe? Io credo di no : né mi sarei fermato a lungo su di essa, se da questa stampa, assai più che dalla prima Romana, la maggior parte degli altri editori non avesser tratta la lezione vulgata, più comune, e se certe differenze dall'edizione del Biado e certe comunanze con i mss. non le conferissero quasi il vanto di stampa originale^ Queste due prime edizioni, famose e ormai rarissime, bastarono alla prima diffusione del Principe. Ma, cre- scendo sempre più la fama e lo studio delle opere del Machiavelli, in quell'orgia di stampe a cui si abbandonò l'Italia intorno alla metà del secolo, quasi presentisse la tempesta della nuova Inquisizione, logicamente ne- mica e spietata a' libri profani né troppo innocenti, il Principe, tra il 1538 e il 1554, ebbe ancora parecchie altre edizioni; ma le più nelFancor libera e grande Ve- nezia. 11 Gamba, il Brunet, il Graesse citano una ri- stampa de' Giunta, ma chi la pone nel 1540, chi nel 155L Ne ho visto una copia nella Nazionale di Firenze, e porta la data 1551. E in 4*^, e non è che una semplice ristampa di quella del '32. E anche il Graesse asse- risce'esisterne edizioni del 1535, '37 e '39, in Venezia; ma XXXII INTRODUZIONE CRITICA senza alcuna indicazione di stampatore. A me non è riuscito trovarle qui in Firenze; ma non saranno certa- mente assai diverse dalle altre che ho vedute ed esa- minate, e delle quali i bibliografi parlano. Prima di queste per antichità e la seguente: Il Principe di Ni- colò I Machiavelli ecc. In Yinegu m.d.xxxviii.^ Il volumetto è di carte 84; il Principe va da e. 1 a 51. Segue la Giun- tina, con qualche sbaglio e correzione tutta propria. Rarissima è la edizione Aldina:^ Il Prencipe di Nicolò Ma! chiavelli ecc. ecc. Nel mezzo del frontespizio ha Tàn- cora con il delfino, e in fondo m.d.xl e in fine al vo- lumetto, In Yinegia, nell'Anno m.d.xl. In casa de' Fi- gliuoli DI Aldo. È di e. 84, e il Principe va da e. 2 a 49. La lezione non ha pregio di sorta, poiché segue or la Romana or la Fiorentina, e più spesso questa che quella; or correggendo or aggiungendo qualche sproposito, pun- teggiando orribilmente, tanto da fare della Dedica un periodo solo, e cosi del Capitolo primo, e modificando le parole secondo il costume invalso nelle stamperie ve- neziane d'allora, come principe, virili, rovina in prencipe, verMy roina, e scrivendo disaggi clehbolezza, trappassare e cosi via. Non diverso valore, se non per la minore o maggior rarità, hanno l'Aldina seconda del 1546, l'edi- zione di Comin da Trino 1541 (che ha per altro l'ancora aldina) e quella, rarissima e bellissima, di Giolito de' Ferrari, 1550, e l'ultima italiana, del secolo, di Domenico Giglio, 1554. Le quali tutte, edite in Venezia, seguirono sempre la lezione fiorentina; non senza le modificazioni che sembravano a ciascuno opportune, e alle quali ho ^ La copia esaminata è nella Nazionale di Firenze, numerata XIX-6-132. Appartenne ad Amerigo Strozzi, ed è tutta segnata, tal- volta corretta e annotata ne' margini, di sua mano. 2 Una copia è nella nota collezione Aldina del conte d' Elei, pos- seduta dalla Medicea -Laurenziana. È se^-nata G. 3-234. INTRODUZIONE CRITICA XXXIII accennato parlando dell'Aldina prima. Nel 1550 erano già incominciate le edizioni straniere, che si moltiplica- rono con l'irrigidirsi del costume e del Santo Ufficio in Italia. Le più portano falsa data o nessuna, come la COSI detta Testina nelle sue cinque, e forse più, forme differenti, ma di lezione sempre uguale, salvo in parti- colari insignificanti.^ Su questa Testina, di cui si pensa fosse fattura di fuorusciti italiani in Ginevra, riprodotta poi, non certo sempre l'anno 1550, come reca il frontespizio, ma du- rante il primo Seicento, bisognerà che io mi fermi al- quanto. Essa ebbe un tempo gran fama, tanto che la Crusca non sdegnò farsene testo ; né ha perduto ancora di stima nell'opinione di molti; eppure, per il rispetto critico, non e' è edizione peggio eseguita e più arbitraria. E ben vero ch'essa corregge, spesso assai opportuna- mente, e migliora il testo già vulgato in parecchi punti, e giustamente ; ma è anche vero che essa, costituita sul testo bladiano e giuntino, preferendo or questo or quello senz'altra ragione che un'ombra di estetica, rifò;, a sua volta, liberamente le parole e le frasi al Machiavelli. Già le desinenze de' verbi e de' possessivi dal dialetto sono foggiate a forma di lingua; e per il resto, poche citazioni basteranno a provare quanto affermo. Nel cap. IV, tirarsi dietro e' poptdi e corretto in trarsi dietro i popoli, e considerrete in considererete ; nel cap. VI tutti quelli de che gli ordini nuovi farehhon bene della bladiana è corretto in tutti quelli che gli ordini nuovi farebbero bene; ma la giuntina e i mss. hanno che delti ordini; nel prin- cipio del cap. VII da poi che vi son posti, legge la Te- ^ La copia esaminata da me, corrispondente al n. 1 del Gamba, mi fu gentilmente prestata dal suo possessore, l'illustre prof. G. V. Giaccio. Il Principe è nella parte II, da p. 1 a 68. XXXIV INTRODUZIONE CRITICA stina invece del fiorentino e più svelto da poi vi san jposte; e onde per onde che, e a Magione in vece di alla Magione; nel cap. IX, vi si fondi e corretto in vi si fonda; nel X raffreddi in raffreditij tutti tanto potenti e di qualità, in tutti potenti ecc.; al cap. XII durare poca fatica de' più è mutato in dare poca fatica e Onde che a Carlo in Ond' è che a Carlo, Peggio ancora: nel cap. XIV {ti fa) contennendo si trasforma in {ti fa) disprez- zarCy e più giù in vile e appresso in disprezzato ; com^ nel XIX di nuovo in vile e poi in abietto: i quali mutamenti, del resto, erano già, incominciati nell'Aldina e nella Giuntina seconda. A me par troppo evidente che cor- ressero cl-edendo, sciocchi!, di migliorare il Machiavelli. Del resto la Testina segue assai più fedelmente la Giuntina, che è di poco più vicina al ms., anzi che la Bladiana; anche negli errori, aggiungendone spesso di propri, come uhhidiroìio per ubbidiscono nel cap. lY; e nel Y è omesso ?naggior vita, e nel YI volgendosi a tor quel della Chiesa, parole necessarie al senso; nel IX è stampato per esser eguali invece di par esser eguali; e nel XII è il grosso errore di lezione, che guasta anche qualche edizione modernissima; «giudicarono non potere pili vincere, perché non volevano né potevano licenziarlo », in luogo della più razionale lezione delle prime stampe e de' ms perché non voleva, né potevano ecc. E basti di questa famosa edizione. YI Dal 1532 al 1554 vi furono dunque dodici edizioni del Principe. La loro rarità attesta la diffusione e la persecuzione dell'opera; e il trovarsene le poche copie quasi sempre segnate o annotate ne' margini ci prova quanto essa abbia esercitato le menti a meditarla. Già INTRODUZIONE CRITICA XXXV fin dal 1549, il Busini in una lettera al Varchi, da Roma, scriveva ^ « Qui son vietate e proibite a vendersi tutte « le opere del nostro Machiavelli, e vogliono fare sco- « munica a chi le tiene in casa; .... Dio aiuti il Boccaccio, « Dante e Morgante e Burchiello! ». E il Cavalier Muzio nella 99°^^ delle Lettere Cattoliche, da Milano, Tanno 1550, opinava doversi proibire il Machiavelli. Ma questi non fu compreso ne' primi due Indici deMibri proibiti; e le sue opere, solo nel 1559, furono da Paolo lY messe al bando del mondo cattolico. Ora, non potendosi esse stampare più in Italia,^ e sentendosi pur vivo il desi- derio di leggerle e meditarle, incominciò il contrabbando straniero. Cosi, oltre le Testine, avemmo, tra le altre opere, il Principe stampato in Palermo — appresso gli heredi di Antoniello degli Antonielli — XXVIII di Gennaio, 1584 — ma in realtà uscito dall'officina di Grio- vanni Wolff, in Londra. Per la lezione esso non differisce punto dall'Aldina e dalla Giolitina. Scarse ad ogni modo furono le edizioni machiavellesche del Seicento e del primo Settecento, e tutte straniere, tra le quali mette conto ricordare quella di La Haye 1726, e di Londra 1747, che ebbero sempre a modello la Testina, elimi- nandone a gara le anticaglie. Ma, sul finire del secolo decimottavo, in quel certo commovimento di spiriti, in quel fervore di studi, che indusse i principi italiani alle prime riforme e i lette- rati condusse al neo-classicismo, e appresso durante la rivoluzione e il risorgimento politico, le opere del grande prosatore ebbero in Italia nuovi onori di stampe e cure amorose di dotti e diligenti editori. Vi si dedi- ^ Cfr. Lettere del Basini, Firenze, Le Monnier, p. 241. 2 Cfr. neìV Archivio storico italiano — Serie V, Tomo XIX. Di- spensa I, del 1897, pp. 126-135 — « Un aneddoto di Bibliografìa Ma- chiavellesca » di S. Bongi. XXXVI INTRODUZIONE CRITICA carono in diversa misura e con intendimenti diversi, chi a ristampare e illustrare, chi a rifare il testo di su' ma- noscritti, il Baretti, il Foscolo, il Poggiali, il Tanzini e il Tassi, il Polidori, il Guerrazzi: e da quasi tutte le of- ficine tipografiche dell'alta e della media Italia torna- rono alla luce quelle opere. Solo il mezzogiorno d'Italia non se ne curò; e più in giù di Arno, meno la prima Romana del Biado e l'ultima a cura del Ferino, non ne troveresti alcuna edizione. Nominare tutte queste edizioni non importa: sono in tutto una trentina ; e, tra queste, pochissime avreb- bero veramente contribuito al miglioramento del testo e al riavvicinamento della lezione alla primitiva, se colpevole incuriosità e mancanza di metodo non aves- sero prevalso in chi si curò di reimprimere. Fero nulla meritano le edizioni di Amsterdam 1763, Londra 1760 e 1768, Parigi 1768, e pure di Londra 1772, e 1777, le due ultime curate dal Baretti; ma tutte seguono più o meno liberamente la Testina. Un vero e pro- prio lavoro critico sul testo del Principe e delle al- tre opere fu intrapreso e proseguito solo in Firenze, ma non con quella sicurezza e precisione di metodo, né con quella scrupolosità di esecuzione, che solo ci avrebbe soddisfatto. La magnifica edizione del 1782, Firenze, Cambiagi, fu condotta per la munificenza e sotto gli auspici del granduca Leopoldo. A' quattro volumi precede una Notizia, dove si afferma di aver corretto il testo del Principe sul creduto apografo del Buonaccorsi, ms. Mediceo-Laurenziano, XLIY, 32: ma dall' esser corretto all'esser fondato sul manoscritto ci corre ; e di fatti se ne discosta moltissimo. Questa edi- zione fu riprodotta nel 1796 in Firenze; ma tosto si tornò alla lezione antica con la stampa di Filadelfia (Livorno), 1792 e 1796-97, che il Poggiali curò e che INTRODUZIONE CRITICA XXXVII le edizioni di Milano, Classici, 1804, e di Milano, Mussi, 1811, fedelmente seguirono.* Al tempo dell'impero Napoleonico, Reginaldo Tan- zini e Francesco Tassi prepararono un' edizione vera- mente splendida di tutte le opere del Machiavelli: e su questa, che servi di fondamento ad alcune edizioni e agli studi recenti, converrà che mi soffermi, almeno per quanto riguarda il Principe. Nel frontespizio si legge: Opere | di | Niccolò Machiavelli I cittadino e segre- tario | fiorentino | Italia, MDCCCXIII. È in 8 volumi; il Principe è nel IV.*" Tanto nella Notizia premessa, quanto in tutta l'edizione, si segue, si allarga, si corregge la fiorentina del 1782; se non che i rass. furono meglio esaminati. Oltre il ms. Laurenziano XLIV, 32, fu tenuto a riscontro anche il Riccardiano 2603; su la scorta dei quali (preferendo pure talvolta nelle minutaglie il Ric- cardiano) ^ il Tanzini e il Tassi « cogliendo il più bel fiore » e « senza seguire scrupolosamente il Machiavelli nella irregolarità della sua ortografia » e pur serven- dosi delle stampe più antiche, misero fuori un testo del Principe, che certamente è lontano da quello vulgata del Biado, de' Giunta, della Testina, ma che non è né anche quello di alcun manoscritto. Di fatti, i titoli e le sentenze latine son tutte volgarizzate, ma non diver- samente dalla prima comune lezione del Biado. E ci- tando a caso, tra le tante, molte varianti da me rac- colte, e lasciando indietro le difterenze ortografiche, nella Dedica si legge, 'piu dilettarsi, V onori, le permei- ^ Ho visto del Principe (ed. di Filadelfia, 1792) l' esemplare unico in pergamena che il Poggiali fece imprimere per suo uso. E nella Nazionale, segnata D. 10, 4, 16. La lezione sta tra la Bladiana e la Giuntina: a pie di pagina son riportate pochissime varianti dal ms. laurenziano. 2 Cfr. p. civ e cxv del voi. I. XXXVIII INTRODUZIONE CRITICA tono in luogo di delectarsi, la honori, li permedano ; e nel Gap. II trapassare^ si manterrà sempre, per esempio, da' suoi, in vece di preterire, sempre si manterrà, in exemplis, da' sua; e nel Gap. Ili che gli uomini per le quali sono che gli uomini, ti trovi avere inimici per tu hai inimici, spenti e cacciati per spenti e fugati, il re di Francia per Francia, acquista per acquistano, non ispende molto, da tma parte non offesi per non si spende molto, da uno canto inoffesi; lo acquistato gli torna in perdita invece di lo acquisto li torna perdita ecc. ecc. E, lasciando stare, ora, V errore critico fondamen- tale di essersi senz' altro fidato ad un ms., che non è né r originale né l'apografo più sicuro, bastino queste poche citazioni per dimostrare quanto poca fedeltà ser- barono essi al manoscritto, e quanto più si fidarono delle stampe, e per mettere su l' avviso gli studiosi che troppo ciecamente seguissero questa edizione, o vi si fondassero. La quale, del resto, diede una lezione assai più vicina che le altre all' originale ; e fu seguita nella ristampa di Firenze, Parenti, 1843, e pure di Firenze, Gardinali, 1853. Da un' opera di strano connubio fra le tre edizioni del Biado, Testina e Italia 1813 usci fuori l'edizione di Gapolago, Tip. Elvetica 1849. Su questa, non so perché, né con quale criterio, fu riprodotta l' ul- tima curata dal Burd, Oxford, Glarendon press, 1891. Ma la tradizione della vulgata non si diede già per vinta, e seguitò per le altre stampe di Parigi, Desprez, 1837, di Firenze, Polidori, 1853, Milano, Sonzogno, 1877, e Guigoni, 1878 e di Firenze, Barbèra (ed. diamante) 1868, fino all'ultima di Eoma, Ferino, 1889 : nelle quali tutte il testo andò peggiorando; perché ad errori tra- dizionali, nati qua e là e non saputi eliminare, si ag- giunsero non pochi errori generati da sé nelle oflScine diverse. Né rimasero meno attaccati alla tradizione INTRODUZIONE CRITICA XXXIX coloro che in antologie generali o speciali scelsero qual- che passo delle opere del Machiavelli; né meno l'ultimo di essi, il Finzi,^ nella cui Crestomazia machiavellica si può leggere, ad esempio, nel cap. Ili del Principe: e sarehheli riuscito il pensiero ben presto, dove si dovrebbe avere : e sarehheli riuscito il pensiero bene preso ; e nella lettera famosa al Vettori si può leggere: cosi rinvolto in questa viltà e mi spoglio da quella veste contadina dove r Al visi ^ ha: cosi rinvolto tra questi pidocchi, e 7ni spoglio quella vesta cotidiana ecc. ecc. Bisogna però riconoscere che la tradizione fu rafforzata, ed errori vecchi e nuovi furon ribaditi, da un letterato ed erudito di fama, F. L. Polidori : * il quale, come scrisse egli stesso, nel con- durre la edizione Le Mounier delle opere del nostro, edizione stimata e seguita da moltissimi, si fondò su la Bladiana, e tenne a riscontro con quella la Testina, la edizione Poggiali e quella del Tanzini e Tassi. Cosi ac- crebbe la confusione, mescolando tra sé cose diversissime. Da questa fitta selva di criteri differenti, di errori e varianti, rampollate qua e là, il testo del Principe non poteva che uscirne guasto e contraffatto. E pure esso non avea sofferto Y ultimo oltraggio, che su la fine del Cinquecento gli preparava il Santo Ufficio. Di che si hanno parecchie prove. Già il Muzio, fin dal 1562, pre- parava una correzione ed espurgazione di tutte le opere : e più tardi, adoperandosi i nipoti Machiavelli perché fossero ripubblicate, il Vescovo di Heggio ^ ne scriveva 1 Torino, Clausen, 1897. 2 Lettere familiari di N. M. (ediz. integra). Firenze, Sansoni, 1883. Sono stampate di su gli autografi o di su' buoni apografi di Giuliano de' Ricci. 3 II Principe e i Discorsi ecc. Firenze, Felice Le Mounier, 1857, cfr. Avvertimento delV editore, p. iv. * V. a p. 59 della Notizia premessa all'edizione Cambiagi, 1782, e tra le carte Machiavelli del fondo Palatino. XL INTRODUZIONE CRITICA da Koma a Lodovico Martelli in Firenze, in data 22 febbraio 1572: «Ora si darà un'altra rivista alle sue «opere, e poi si penserà a pregare le SS. W. che le « voglino correggere nella lingua, come avranno fatto « il Boccaccio, acciò il mondo abbi le fatiche di questo « valentuomo ». Oh Sant'Ufficio correttor di lingua! Di quest'opera di correzione e di castrazione la Biblio- teca Ambrosiana di Milano possiede un argomento vi- sibile in una copia delle Historie -fiorentine del Biado, che ha molte cancellature a mano ed estesi tratti co- perti con striscio di carta ; e una postilla spiega. « E « stato corretto conforme allo esemplare sottoscritto dal « M. R. Padre Inquisitore ». Tale opera di distruzione non vide la luce, perché i nuovi Aristarchi della lingua, del costume, del pensiero, pretesero che il nome di Mc- colò Machiavelli fosse cancellato dalle stampe: a che i nipoti nobilmente si rifiutarono. VII Da quanto si è venuto dicendo fin qui su le edizioni del Machiavelli, se appare chiaro che la fortuna del grande prosatore segui di pari passo le sorti dell'Italia e della sua vita civile e letteraria, non risulta meno evidente che né le prime stampe e più famose hanno autorità sufficiente, o concordano in tutto tra loro, né quelle riportate a buoni manoscritti vi furono fedeli, né quelle che pur vollero ridurre il testo alla primi- genia lezione servendosi delle une e delle altre, vi riu- scirono : ond' è che nessuna ci offre una lezione che la critica possa accettare. Se dunque il testo del Principe fu sempre pubblicato o con arbitrio o senza metodo, sorge naturale. la necessità di una nuova edizione. INTRODUZIONE CRITICA XLI Ma basta, a tale scopo, attenersi semplicemente al ms. provato migliore 1 Come ho detto già, le mie ricerche non son riuscite a scovare né l' originale, né un sicuro apografo : poiché, in tal caso, basterebbe una intelligente fedeltà. Qua- lunque altro ms., per sé solo, non potrebbe mai soddi- sfare alla ragione critica, perché non avviene mai che una serie di trascrittori, attraverso i quali dev'esser passato un testo, non tolga o aggiunga o involontaria- mente sbagli, non modifichi per false interpretazioni malinteso amor di chiarezza. Conviene dunque ricor- rere allo strumento di che la moderna critica de' testi si arma, per giungere a risultati sicuri : ossia all' esame comparativo de' manoscritti, compresa la prima stampa, che pur sempre, toltane l'opera personale dell'editore, -ha valore di manoscritto. E, per sgombrare il terreno, distinguo subito due categorie di mss. : l'una derivata dalle stampe (e basterà accennarli), l'altra indipendente. S' intende bene : gli uni e gli altri non son tutti. 'Chi è esperto di tali ricerche, sa per prova dolorosa come a mala pena si riesca a vedere e sapere di una ;parte de' mss. sparsi per le biblioteche italiane ed eu- ropee. Non di meno, io son persuaso fermamente che quelli rinvenuti da me bastino a ricostituire critica- mente il testo. I manoscritti copiati dalle stampe, poco meno d'una decina, sono: il Magliabechiano XXX, 7, 42 (carte 132-157), del sec. XVII, e il Palatino 604^ (carte 7-9S), del sec. xvni, -tutt' e due della Biblioteca Nazionale di Firenze : ' Appartenne al Poggiali, e forse fu preparato per l'ediz. di J^iladelfia, 1792. XLII INTRODUZIONE CRITICA il Riccardiano 2142 (pag. 1-179), tra il sec. xvii e- XVIII, e il Eiccardiano 3214 (pag. 1-625), del sec. xviii:. (dalla p. 128 alla 135 se ne ripete una parte): il Barberiniano LVI, 135 (carte 1-80), del sec. xvii: il Chigiano 0, II, 21, del sec. xvii: il Marciano, ci. II, CLXII, del sec. xvii: il cod. 613-614 della Biblioteca Comunale di Ve- rona (carte 1-92), del sec. xvii. Non mi dilungherò a provare che questi derivano dalle stampe. Quando tutta l'opera Bladiana di rifaci- mento, le lezioni sbagliate, le interpretazioni false, vi si trovano accettate pienamente e a chiusi occhi, è na- turale che sien copiate, e non si debba tenere nessun conto di loro, né degli spropositi ne' quali incorre la cieca fretta de' trascrittori. Più tosto, sarà opportuno osservare, a chi non trovasse naturale l'esistenza di tanti mss. (e certo non son tutti) dopo le stampe, che la rarità di queste, e l'impossibilità o la difficoltà di procurarsene copia, per i rigori del Santo Uffizio, do- vevano di necessità portare queste trascrizioni. I manoscritti, indipendenti dalle stampe, che io ho potuto esaminare, sono sei. Primo e più degno di tutti, per 1' autorità del nome che porta, è il Mediceo-Laurenziano, pluteo XLIV, co- dice XXXII, che Biagio Buonaccorsi donò a Pandolfo Bellacci, lontano parente per parte della moglie. È un bel volumetto di cm. 20 X 10, legato in marocchino rosso rabescato; con dieci borchie agli angoli e in mezzo, che tutte hanno le palle medicee. Senza contare le guardie, le carte sono 108, secondo la moderna nume- razione, a pie di pagina; ma i numeri antichi in alto vanno da I a V, e ripigliano e chiudono con il Principe da I a C, a cui seguono tre carte bianche non segnate. Ogni facciata contiene 22 linee di scritto, in carattere INTRODUZIONE CRITICA XLIII regolare, quasi calligrafico; che molti pensano sia di mano del Buonaccorsi; ma io non oserei affermarlo. La carta prima (retto e verso) contiene la lettera con che Biagio Buonaccorsi presenta e raccomanda l'ope- retta a Pandolfo Bellacci, e che fu riprodotta più volte. Notevoli sono in essa le frasi « ti mando V operetta « composta nuovamente de' principati dal nostro Niccolò « Machiavelli » e « preparati acerrimo defensore con- « tro a tucti quelli che per malignità et invidia lo vo- « lessino secondo l' uso di questi tempi mordere et la- « cerare ». Le carte II e III contengono la Dedica del Machia- velli a Lorenzo de' Medici, e dal verso della e. Ili al verso della e. V è l' indice de' capitoli co' titoli in latino. A e. P^' comincia il Principe, ma senza alcuna inte- stazione, e solo con il titolo del primo capitolo in la- tino : finisce al verso della e. C. Leggiere miniature ador- nano e abbelliscono la prima lettera di ciascun capitolo; e a pie della e. I è, pure miniato, lo stemma de' Bei- lacci. Note marginali richiamano i nomi storici e geo- grafici del testo, ovvero accanto a una graffa è scritto nofabilel o nota distmctio\nem\ , o altro. Quanto all' età del codice, non può riportarsi pili in qua del 1522 o '23, in uno de' quali anni mori certa- mente Biagio Buonaccorsi; che di Pandolfo Bellacci non ho potuto saper altro se non ch'egli fu de' priori nel 1485. E, se si considera da un lato, come s' è detto di sopra, ch'egli chiama V operetta nuovamente composta, e dall'altro che accenna già a quelli che volevan mordere e lacerare il libro, e dovea quindi essere trascorso alquanto tempo dal decembre del 1513, allor che il Machiavelli ripidiva e ingrassava ^ il Principe; se in fine si ponga mente che 1 Cfr. la lettera famosa a F. Vettori in Alvisi, op. cit. p. 809. XLIV INTRODUZIONE CRITICA esso è già dedicato a Lorenzo de' Medici, non a Griu- liano, com' era prima intenzione dell'autore (e tal mu- tamento ^ avvenne forse alla morte di Giuliano nel 1516); non si stenterà a collocare V epoca di questo mano- scritto tra il 1516 e il '20, con maggior probabilità per la data più antica. Segue il Riccardiano 2603, di cm. 20x 15, legato an- ch'esso in marocchino rosso, rabescato. Ogni pagina e di linee 21. Il volumetto è di carte 98; la prima bianca; a e. 2 è la dedica a Lorenzo de' Medici, e nel verso della e. 3 e nella e. 4 l' indice de' capitoli in latino ; da e. 5 a 98 va il Principe. La scrittura pare identica a quella del Laurenziano ; non ha miniature, ma si le note marginali. Nell'interno della legatura si trova scritto con carattere dififerente. « Questo libro è di Marco di « Tinoro Bellacci Chi l'accattassi lo renda per carità ». Questo Marco si trova priore nel 1506; e il padre suo, Tinorus Marci Belli de Bellaccis, fu priore nel 1502, come nel 1485 Pandulphus Marci Belli de Bellaccis. 11 possessore di questo codice era dunque nipote di Pan- dolfo, a cui Biagio Buonaccorsi avea già donato il Prin- cipe. Per questo, e come indicherebbe il carattere, il ms. non dev' esser lontano assai d'età dal precedente. Singolare è il ms. di Parigi. Appartiene a quella Bi- blioteca Nazionale, ed è segnato col n. 709 tra i mss. italiani. È un bel volumetto, legato pure in marrocchino rosso, con fregi dorati, e nel mezzo delle due facce e agli angoli vi è ripetuta una corona comitale con le iniziali P.P. intrecciate, pure in oro. Misura cm. 16 X 11 , ed ha righe 18 per pagina. Dopo la copertina, in prin- cipio e in fine, una striscia di pergamena rimane del- ^ Cfr. Villari, N. M. e i suoi tempi, (ed. seconda, Hoepli, 1895) voi. II, pp. 382-383. INTRODUZIONE CRITICA XLV l'antica guardia del codice, che è di e. 118. Nel margine superiore della e. 1, è scritto G. B. Q{uaratesi) ^ 8287, che starebbe a testimoniare non solo il possessore primo del codice, ma anche l'esistenza di una ricca biblioteca presso questa famiglia fiorentina, antica e nobile per molti priori e gonfalonieri. Nella e. 1 e 2 è la Dedica a Lorenzo con il titolo « Niccolo Machia! velli al Ma- gnlifico Lorenzo | de Medici| ». Alla e. 3 « Opera di Nic- colo Malchiavelli de Priincipati » e poscia il testo che va fino alla e. 118, cui seguono le ultime 5 carte bianche. Vi sono le note marginali, ma più frequenti nelle prime carte, e diverse dagli altri mss. E la prima lettera di ciascun capitolo è sempre tralasciata, in attesa forse dell'opera del miniatore. Afferma il Mazzatinti ^ che tutti i manoscritti pro- venienti dalla Biblioteca del conte Filippo di Bethune sono legati in marocchino rosso, e portano la corona comitale con un doppio P.P. intrecciato, che sta per Fìiilippe. Ora il conte Philippe de Bethune, di antica e nobilissima famiglia francese, fratello al celebre Sully, visse dal 1561 al 1649; fu ambasciatore in Scozia, in Alemagna, a Roma e presso il Duca di Savoja, e scrisse un opuscolo « Observations et maximes politiques pou- « vants servir au maniement des affaires publiques » dove mise a profitto il Principe del Machiavelli. Né mi pare improbabile che, intorno al '600, il conte di Bethune, dimorando in Italia per le sue ambascerie, trovasse modo di acquistare il manoscritto dell'opera famosa. Il quale è di carattere somigliante al Laurenziano e al ^ Un Giovan Battista di Bartolomeo Quaratesi visse nella prima metà del Cinquecento. 2 V. « I manoscritti italiani delle Biblioteche di Francia » p. €XXVII. XLVI INTRODUZIONE CRITICA Eiccardiano citato. Ma è da notare che i titoli non sono più in latino, ma in italiano, e pure non hanno nulla che vedere con quelli deiredizione bladiana copiati poi dalle altre. Ad esempio, il Parigino legge al cap. I : Di quante ragioni sieno e' Principati, e in che modo si acqui- stino, dove il Biado porta: Quante siano le spetie de' principati^ et con quali modi si acquistino; al cap. IV: per qual cagione el regno di Dario il quale da Alexandro fu occupato, non si rehellò da sua subcessori dopo la morte di Alexandro j ma presso il Biado: Perché il regno di Dario, da Alessandro occupato, non si rehellò da li suc- cessori di Alessandro doppo la morte sua; al cap. XVI: della libertà et della parsimonia: ma nel Biado della li- beralità et miseria; al cap. XXIV: exhortatione ad pigliare la difesa di Italia et liberarla dalle mani de' barbari, ma presso il Biado: esortatione a liberare la Italia da i bar- bari, A questi pochi esempì basterà contrapporre la le- zione latina del Laurenziano, perché ognuno si persuada che non sempre il Biado tradusse con precisione come il trascrittore del Parigino : di fatti al cap. I si legge : -Quot sint genera principatuum et quibus modis acquiran- tur, al cap. IV Cur Darii regnum, quod Alexander occu- paverat, a successoribus siiis post Alexandri mortem non defecit, al XIV De liberalitate et parsimonia, e al XXVI Exìiortatio ad capessendam Italiam in libertatemque a bar- baris vindicandam. Medesimamente sono volgarizzate alcune sentenze latine del contesto, ma sempre in modo diverso dal Biado; cosi nel cap. XXVI, dove il Lauren- ziano legge iustum est bellum quibus necessarium etc, il Parigino traduce: et la guerra è iusta a chi è necessaria; ma il Biado : quella guerra è giusta che gli è necessaria : e a dir vero la sentenza di Livio è meglio rispettata, in latino e in volgare, da' manoscritti. Nel cap. XXI, il Laurenziano riferisce, lievemente storpiate, le parole INTRODUZIONE CRITICA XLVII messe da Tito Livio in bocca al legato romano: qiwd autem isti dicunt non interponendi vos bello, nihil magis- alienum rebus vestris est, (nam) sine gratia sine dignitate- premium victoris eritis ; le quali sono dal Parigino tra- dotte : quello che costoro dicono di non vi travagliare della guerra, non può essere né piti contro né più dannoso alle cose vostre, perché sanza gratia sanza dignità sarete preda di chi vincerà', ma il Biado con notevole diversità e con troppe più parole stampò : quanto alla parte che si dice essere ottimo et utilissimo a lo stato vostro il non v'intro- ìnettere nella guerra nostra, niente vi è più contrario, im- però che non vi ci intromettendo, senza grazia e senza ri- putazione alcuna resterete premio del vincitore. Ora, scartando V ipotesi che la peggior traduzione sia dell'autore, sorge naturale la domanda: chi volga- rizzò? il trascrittore o il Machiavelli? A che né io né altri credo possa rispondere; perché si può tanto so- stenere che al Machiavelli piacesse conservarsi più latino, specie in un'opera dotta, quanto che all'autore medesimo fosse un giorno garbato di farsi più italiano; , se pure non è lecito e più consentaneo alla natura delle cose credere che un qualunque copista, per rendere più agevole la lettura dell'opera a qualche poco lette- rato che glie ne aveva chiesto copia, ne togliesse via da sé ogni difficoltà latina. Certo è che la interpreta- zione sua è sempre più logica e più italiana che non sia nelle stampe : e questo divario riesce tutto a scapito del Biado e della sua autorità. Splendido codice è il Barberiniano LYI-7. Esso è legato in pelle rossa con dorature, membranaceo, di e. 87; delle quali le prime tre non numerate contengono la Dedica a Lorenzo de' Medici e l' indice de' capitoli in latino. Il carattere appare elegantissimo, del primo Cinquecento. La prima lettera è superbamente miniata; XLVIII INTRODUZIONE CRITICA € pure miniate sono le prime lettere de' capitoli; e tutto fa pensare che il volumetto fosse donato e presentato a qualcuno. Le solite note marginali in rosso richiamano i soggetti trattati e i nomi propri. Si potrà forse pen- sare che il ms. sia dono del MachiaveUi stesso a qual- cuno di que' Tanfani, suoi vicini di villa, che egli rac- comandò una volta ^ al Vettori, e che poi diedero ori- gine a' Barberini di Roma. Ma le troppe lacune non mi fanno credere che il Machiavelli Tabbia donato lui, senza pur guardare se l'opera del copista sia stata bene o male eseguita. I titoli son tutti in latino. Il codice Corsiniano MO (collocazione 43, B, 35) è un volumetto legato in pelle color nocciuola, di e. 88, di linee 20 per pagina. Dopo la prima carta bianca, nella e. 2, di mano moderna, e il frontespizio : « Il Principe I di I Niccolò Machiavelli | cittadino fiorentino | al Mag.**° Sig." Lorenzo de' Medici | dedicato i Ms. | da Teofilo Mo- ¦chio Senese». Ma alla e. 3, del vecchio carattere, si trova scritto: « Libro de' Principati di Niccolò Ma|chia- , velli cittadino fiorentino : al Mag.*'" Lorenzo de' Medici giovane ». Nel verso della e. 3 si legge : « Teophilo Mochio Senese a li lettori ». « Non sperate lettori di leggere : né più grata né pili « degna et necessaria lettione di questa operetta che « vi si dà: Se volete sapere quello che hanno ad tenere «li signori che reggono: et quelli che di farsi signori « et di reggere hanno loro anima: Per ciò che qui ve- « drete con li exempli antiqui et nuovi tutte quelle cose « descripte che convenghano ai Principi: che quante et « quali sieno non è veruno che non le debbia et pensar « et sapere. Valete ». Ricomincia la numerazione: nelle e. 1 e 2 è la De- 1 V. Lett. fam., o. e. CLII, p. 364. INTRODUZIONE CRITICA XLIX dica; nella e 3 è l' indice de' capitoli in latino e in ita- liano, che va fino a tutto il retto della e. 4 ; e dal verso della e. 4 alla e. 88 va il Principe. Questo Senese trascrittore dev'essere certo Teofilo di Ser Jacomo di Pietro di Moco, battezzato il 12 ot- tobre del 1474.^ Se la copia corsiniana sia proprio quella di mano sua o un'altra derivatane, non saprei affermare. Certo le volgarizzazioni de' titoli, più tosto goffe, e certe giunte e correzioni che tradiscono e rivelano lo scrittore del discorsino a' lettori riferito, mostrano un'opera per- sonale di ritocco, infinitamente minore che quella del Biado, ma sempre nociva e atta più che altro a ingar- bugliare la matassa. Si tenga però sempre presente che i titoli latini dell' indice sono eguali a quelli del Lau- renziano, Riccardiano e Barberiniano; ma i titoli volgari non hanno che fare né con quelli del Biado né con quelli del ms. Parigino. Altro ms., che i titoli latini e la lezione in generale identica agli altri dimostrano indipendente dalle stampe, è il codice Marciano della Biblioteca di Venezia, segnato Classe II, LXXVII, 41 . È legato in pelle bianca : misura cm. 21x13. È di carte 79; ma i numeri dall'I al 6 sono ripetuti. Il carattere difficilissimo, tutto a ghiri- gori, parrebbe collocarlo nel primo seicento, quantunque una certa regolare disposizione delle righe e delle pa- role lo abbia fatto nel Catalogo attribuire al sec. xyi. Certe particolarità, come risceva per riceva e Uscito per lecito, fanno pensare che il trascrittore sia toscano. ^ Debbo la notizia alla cortesia del cb.mo sig. A. Lisini : e lo ringrazio. INTRODUZIONE CRITICA Vili Solo dall'esame comparativo dei manoscritti e della prima stampa, che, pure corretta e rifatta, ha sempre valore di manoscritto, si può trarre certa regola per la ricostituzione critica del testo. Indico con B il ms. Barberiniano LVI, 7; con C il Corsiniano MO; con L il Laurenziano XLIV, 32; con M il Marciano, classe II, LXXVII, 41; con P il Parigino 709 ; con R il Riccardiano 2603, e con b la stampa del Biado, Roma 1532. E prima di tutto : nessuna di queste fonti è derivata da una delle altre? Per rispondere, si può semplificare l'argomentazione, fondandola su le lacune e le giunte. Le principali lacune di B sono:^ III, 17, 7-9; VI, 28, 4-5; IX, 46, 17-18; XI, 54, 23-25; XII, 56, 4-6; XIX, 88, 4-5; tutte d'un rigo: d'una parola o due: Vili, 40, 15 alla; XVI, 74, 4-5 e quello che; XIX, 86, 9 parte; 87, 4-5 d'animo nondimeno; 94, 14 di loro; XX, 95, 4 tenuto; 95, 14 trovati; 96, 4 principe nuovo. Le giunte sono: III, 10, 21 et di 'più; XIV, 69, 6 sopradicto. Nes- suno degli altri mss. né la stampa hanno queste giunte : tutti i mss. e la stampa riempiono le lacune ugualmente. Dunque B non è la fonte di C, L, M, P, R, b. C è solitario in poche lacune: I, 5, 3 tutti] VI, 25, 3 cose; XXII, 107, 1-2 li assai carichi li faccino temere le mutazioni. Assai più forti e numerose sono le giunte : di periodi interi talvolta: di cui vedi. III, 13, 25; IV, 19, 9; Vili, 41, 21; XXI, 104, 16-17: di semplici parole: III, 17, 14 è stata; IV, 20, 1 tutto; VII, 32, 22 capi; 38, ^ Il primo numero romano indica il capitolo, la prima cifra ara- bica la pagina, l'ultima o le ultime la riga o le righe. INTRODUZIONE CRITICA LI 7 forzare: X, 51, 12 V amore ecc. ecc. Nessuna di que- ste è portata da stampa o mss., Dunque C non è la fonte di B, L, M, P, R, b. L non ha giunte o lacune proprie, e lievissime dif- ferenze da tutti gli altri mss.: dunque L può esser la fonte di qualche altro ms., e può anche esserne derivato, eccetto che da b, stampato nel 1532, dieci anni circa dopo la morte del Buonaccorsi. M si trova solo in lacune di righe intere: YI, 9, 12; IX, 45, 9-10; XII, 55, 13; XVII, 75, 19-20; XIX, 85, 5- 6; 88, 10-11; XXIII, 108, 21-22; di una o più parole: VII, 31, 14; 32, 27-28; X, 51, 5-6; 51, 9; XII, 55, 4-5; XIII, 61, 15-16; XV, 70, 7-8; XVI, 71, 13; 73, 22-23; XVII, 75, 12-13; 75, 19-20; XVIIl, 79, 18; XIX, 83, 5; 87, 22-24; 90, 17; XX, 95, 21-23; 96, 4-5; XXI, 102, 21; 103, 3-4; XXIII, 107, 19; 109, 7; XXVI, 119, 1. Forti giunte si riscontrano, solitarie, al VI, 28, 14; Nll, 36, 6; 38, 11; 39, 5; IX, 48, 1; X, 52, 5; XIII, 65, 6; XVIII, 81, 15-16. Dal che si può trarre che anche M non potè esser fonte né a B, né a C, o L, P, R, b. P ha lacune di righe intere al III, 11, 15-16; 12, 9- 11; XVI, 73, 20-22; XXI, 104, 19-20; di una o pili parole al III, 9, 7; 12, 16; 14, 16; VII, 36, 14; VIII, 41, 13; 41, 16; XI, 54, 28; 55, 1-2; XII, 60, 23; XIII, 64, 12; 65, 18; XIX, 83, 26; 91, 13; 91, 24; 93,21-22; XX, 98, 15; 99, 22; XXI, 101, 5; 101, 18; XXIT, 106, 11; XXIV, 109, 20; 110, 19-20; XXV, 115, 2; XXVI, 116, 11. Le giunte son lievi, né possono dar materia ad alcun ragiona- mento; ma le lacune son numerose e gravi. E però anche da P non possono esser derivati B, C, L, M, R, b. R si trova solitario in sei lacune di semplici pa- role: III, 17, 3 ordinario; V, 23, 10-12 dimenticano', VII, 29, 15 avverso; Vili, 43, 1-2 loco; XIII, 61, 21 sono; XXI, 102, 1 uomo. Ma, quantunque sien poche, se tutti Lll INTRODUZIONE CRITICA i mss. e la stampa le riempiono unanimente ed egual- mente, se in nessun altro testo è avvenuto alcun turba- mento di lezione nel posto di quelle lacune, è naturale che nessuno sia derivato da R. Al Gap. Vili, 41, 7 R interpreta: periculi si mantenessi ; ma tutti gli altri: periculosi mantenessi. Al C. XX, 98, 28 aggiunge, solo, potere. Dunque, né anche R può aver dato luogo a B^ C, L, M, P, b. b, in fine, non può esser stata fonte ad alcuno degli altri testi, perché, se solo di alcuno si può affermare sia anteriore al 1532, nessuno certo gli si accorda né pure nella decima parte di quel migliaio circa di differenze, dovute a un'opera di correzione vera e propria del Biado di chi per lui curò la stampa. Naturalmente, non ri- porto qui le prove che sono tutte sparse a pie di pagina sotto il testo ; e sono frequentissime. La prima conchiusione sicura a cui si perviene, è che de' sette testi nessuno può aver dato luogo all'altro, eccetto L. Ma, per stabilire la posizione di L nell'albero genea- logico de'mss., bisognerà prima esaminare gli aggrup- pamenti diversi. 11 primo e più importante gruppo e quello di B M b contro C L P R. B M b si accordano in una trentina di lezioni, e in sei giunte, contro C L P R. Le giunte sono: IV, 18, 20 di queste due diversità di governo contro di questi dua governi; V, 23, M che era suta posta con- tro che era posta; VII, 31, 2-3 lo esemplo delle azioni sua contro le azioni sua; e 31, 7 non vedeva via di poterlo contro non vedeva di poterlo; IX, 46, 24 ma che etiam loro contro ina che loro; e 45, 17 comandato né oppresso da^ grandi contro comandato da^ grandi. Ora non può essere che B M b abbiano egualmente riempito le la- cune di C L P R, se alcuno di essi fosse derivato da L. INTRODUZIONE CRITICA LUI Cosicché il gruppo C L P E e il gruppo B M b si riattaccano all' originale, ciascuno per via propria; ed L non può aver dato luogo né a B né ad M né a b : né può esserne derivato. Resta a vedere se da L può esser derivato C o P o R ; o viceversa. Anche C R formano un gruppo a sé, poiché s'accor- dano contro B L M P b in una lacuna: XVIII, 82, 10 et li pochi ci hanno luogo; e in molte giùnte, II, 6, 6 ad vivere sotto; III, 8, 18 volta; Vili, 44, 19 mai; XI, 54, 7 non; XII, 56 di questo ecc. ecc. E di più C R hanno in comune una quindicina di trasposizioni, e una ventina di lezioni e interpretazioni proprie. Da che si deduce che C R hanno un comune prototipo, che indicheremo con n. Può questo essere L? No, per certo; che non è ammissibile un cosi gran numero di combinazioni in due trascrittori diversi, né anche in un medesimo trascrittore che in due volte di- verse copiasse il testo. Né L può dal canto suo derivare dal prototipo di C R, perché non ne ha preso alcuna delle lezioni del gruppo C R, o, mutandole, non avrebbe potuto tutte indovinarle tali e quali sono in B M P b. Dunque né B né C. né M né R né b possono avere per fonte L, né L può venire da alcuno di essi. E sic- come s' è dimostrato che P non è fonte di alcuno degli altri sei testi, resta a vedere se esso derivi da L. P volgarizza tutti i titoli de' Capi e i passi latini del testo: non sempre le particelle latine di tutti gli al- tri mss. Ma come si spiega, se è derivato da L, che al C. Vili, 40, 14 M e P hanno non solimi (che dev'es- sere la lezione originale), e B C L R b non solamente? Cosi, al C. XV, 71, 3-4 P, d'accordo con B, ha la lezione buona V infamia di quelle, ma C L M R hanno V infamia di quelli. Al C. XII, 59, 10 L pòrta, solo, battuto che loro ebhono: ma tutti gli altri hanno battuto che ebbono; lo IV Liv INTRODUZIONE CRITICA stesso avviene al XYI, 72, 1; L porta ella si dehhe] gli altri la si dehhe; e al XXI, 101, 6 B ed L altra di questo, e gli altri oltre a questo. Se P copiò da L, perché in queste, sian pure, minuzie non si accorda con L, ma con gli altri? Certo L e P hanno grande affinità tra loro; ma non si può in nessun modo affermare che T uno sia derivato dall'altro. Più'tosto^ si può pensare a un comune pro- totipo : ma troppo spesso L si accorda con gli altri con- tro P; e il gruppo L P è di cosi lieve importanza, che non porta di necessità l'esistenza di un altro interme- diario. I loro incontri, per me, son sempre casuali. Ogni testo dunque rimane indipendente dall'altro. IX Si è parlato di un gruppo CLPR, BMb, e di un altro C R, e quindi di tre intermediari, che indi- chiamo con o', o", u. Ma v' è un altro gruppo formato da B b: i quali s'accordano più di sessanta volte in giunte, lacune, trasposizioni, mutamenti forti. Basterà che io citi le giunte: et come è detto, VII, 35, 19; di Na- poli VII, 36, 7 ; d'altri, XVIT, 78, 13; e i forti muta- menti : sanza dependere dalla fortuna e forze d'altri contro e non sarebbe più dependuto dalla fortuna e forze d'altri, YII, 36, 15; a ritornarvi contro a rinnovare Vili, 44, 16; Como contro Conio, XII, 60, 17; incorrere per necessità contro necessitato incorrere, XVI, 74, 12-13; si fa d'uno si- gnore e del cervello suo contro si fa del cervello d'uno si- gnore, XXII, 105, 9-10. E ognuno converrà che B b hanno un comune prototipo, che indicherò con p. Abbiamo dunque determinato due gruppi e due sotto- gruppi, due prototipi maggiori e due minori: ossia INTRODUZIONE CRITICA LV €LPEeBMb:BbeCR:e quindi o', o", /?, u. E un primo albero ipotetico, indicando con l'originale, po- trebbe esser questo: o M T'b e R Ma è proprio necessario che ciascuno di questi mss. -e la stampa, e ciascuno de' prototipi, min ori abbia do- vuto cogliere le lezioni comuni dell' originale attraverso o' ed o' ? E non può essere, ad esempio, che M o L o P venga ciascuno per conto suo dall'originale? Per sbrogliare la matassa, in che c'involge questa domanda, sarà prima di tutto da stabilire il valore che si deve attribuire a ciascun testo e a ciascun gruppo. Il che servirà anche a dar la ragione della nessuna im- portanza che attribuisco, per la ricostituzione critica del testo, ad altri aggruppamenti minori, ad altre combi- nazioni binarie, a cui accennerò da ultimo. S'intende bene che, rispondendo, mi limiterò alla sintesi di quanto ho osservato da me; né io potrò qui rifare l'analisi mi- nuta di ciascuna variante, che ognuno può seguire da sé, sotto il testo. Le ragioni facili, per cui tante lezioni, o solitarie o binarie o di gruppi maggiori, sono senz'al- tro escluse, balzano agli occhi di ognuno che legga : quelle più difficih, o meno evidenti, e le più importanti a stabilire il valore de' gruppi e di qualche testo, sono sparse per le note; con sufficiente chiarezza, credo. E chiedendo, a chi legge, un po' di fiducia nello studio po- sto per due anni attorno al presente testo, vengo senz' al- tro a conchiudere. 11 manoscritto migliore è L, eccetto nelle lezioni in cui si accorda con C P R contro B M b, LVI INTRODUZIONE CRITICA solo contro B M : ma, in generale, è il meno lacunosa e il più corretto e, forse, il più diligentemente trascritto. Seguono per correttezza, in ordine di merito, P e B, salvo dove questo si accorda con b; poi R, salvo dove s'ac- corda con C: ma i due ultimi (B ed E) hanno lacune, giunte, molti mutamenti per maggior chiarezza di senso, per false interpretazioni. Vengono poi M e C, tutti e due molto lacunosi, con molte giunte, con molti errori : C anzi rivela spesso, nelle giunte, il carattere perso- nale di Teofilo Mochio ; tanto in esse è di goffa pedan- teria, non dissimile da quella dimostrata nel discorsino a' lettori riprodotto. ^ Ultimo, peggiore di tutti, b : falso non solo nelle lezioni che ha comuni con B, ma in tutte le altre mille arbitrarie, le quali, solo, egli oppone a' testi mss. Quanto al valore de' gruppi B b e C R, meglio che dalle inutili giunte e dalle lacune, credo si debba de- terminare dalle differenze. E chi le esamini una ad una, troverà che queste son sempre causate o da falsa inter- pretazione del testo, o da voglia di renderlo più chiaro o di evitare le frasi e i costrutti e le collocazioni o ri- petute difficili. Questo sarebbe necessario dimostrare, se non me ne dispensasse quanto son per dire. Poiché, se io dimostro che il gruppo C L P R sbaglia sempre^ o quasi sempre, quando si trovi contro B M b, siccome una certa quantità di errori simili non può esistere senza che tra V originale e i testi vi sia un comune interme- diario, ne viene di naturale conseguenza che C R ab-^ biano verso l'originale un intermediario comune ad L P; e siccome C R, formando gruppo a sé, hanno un pro- totipo, questo sarà per necessità inferiore al prototipo C L P R. Il gruppo C R dunque, rappresentando un ^ Cfr. a pag. xlviii. INTRODUZIONE CRITICA LVII lesto che deriva da o\ non ha valore di sorta contro L P, che rappresentano due voci contro una: e molto meno contro B L M P b, che rappresentano più proto- tipi. E a que'due mss. rimane il valore collettivo in- sieme con tutti gli altri o con la maggior parte degli -altri, e il valore che ciascun ms. può avere per sé, nelle questioni complesse e complicate di varia lezione. Che B M b abbiano sempre ragione contro C L P R, e talvolta solo B M, è dimostrato via via nelle note: confronti chi ha pazienza: II, 6, 8; III, 11, 16; III, 14, 6; III, 16, 3; IV, 18, 19 e 20; lY, 19, 9; IV, 21, 1; V, 23, 14; VI, 26, 5; VII, 31, 2-3 e 7; VII, 34, 13 e 14-15; Vili, 42, 23; IX, 45, 17; IX, 47, 7 e 11 ecc. ecc. Ma, se dalla comunanza delle non buone lezioni in L P R si può trarre V esistenza di un comune inter- mediario tra essi e T originale, non si può altrettanto per B M b ; poiché è chiaro che le buone lezioni si pos- sono cogliere da sé o per via propria nell' originale. Ora B ed M hanno poche lezioni false comuni, e queste sono, per me, incontri casuali, non dissimili né più numerosi degli incontri con alcuno degli altri mss.: né sono le- zioni vere e proprie, più tosto modificazioni lievi, che ciascuno può aver portato da sé al testo. M non si accorda con B in nessuna delle vere e pro- prie lezioni, ma sempre sbagliate, in cui questo è con b ; dunque neppure il supposto p dev' essere stato fonte ad M. Resta a vedere se y5 M abbiano avuto un comune intermediario. Si è già detto che questo non è neces- sario: osservando poi le tante volte che M si accorda con C L P R contro P (risultante da B o da B b), e le tante che B si accorda con C L P R contro M, scema la probabilità di questo intermediario. E in fine, se P ed M avessero una fonte comune, proveniente dall' ori- .ginale, com'è possibile che essa fonte B b (o y9) ed M LVIII INTRODUZIONE CRITICA non abbiano ereditato nessuna falsa lezione? Perché gli esperti eli copie manoscritte sanno bene che non v'è trascrizione che non porti seco una serie più o meno numerosa di errori. E più sicuro dunque con- chiudere per la indipendenza di M e A E indicando con ^ il ms. o la serie di mss. a tra- verso cui è passato M, e con la lunghezza delle linee la maggiore o minore distanza di ciascun ms. dal testo originale, ne viene che l'albero genealogico più sicura è il seguente: o B b L M P R Dal quale albero risulta evidente il valore del gruppo* B b, il quale da solo rappresenta un solo prototipo, y^, contro due, /a ed o'. Il gruppo B b, dunque, a priori non ha valore di sorta; e di fatti porta sempre lezioni errate o arbitrarie correzioni: confronta, ad esempio, ITI, 10, 1 e 21; HI, 15, 20 e 21; III, 17, 3 e 9; IV, 21, 8; Vili, M, 16; XIV, 68, 15 ecc. ecc. X Ho lungamente pensato, se la serie di buone lezioni portate da B M b, o da B M solo, possa esser derivata da una seconda stesura originale del Machiavelli stesso- INTRODUZIONE CRITICA LIX Ma il Machiavelli, se veramente avesse^ non dico rifatto, ma soltanto scritto una seconda volta, il Principe, non si sarebbe mai limitato a lievi mutamenti di forma. Uno scrittore, insomma, la cui energia è tutta di pensiero e scarsa la cura della forma, non può aver ripreso l'opera sua più meditata, senza modificare qualche concetto o esempio errato (e ve ne sono), o che sembrasse tale al suo cervello, nel continuo lavorio evolutivo delle idee» Questa ragione, da sola, basterebbe anche a dimo- strare la falsità di b ; il cui rifacimento è tutto di for- ma; se contro la stampa non fosse pili che sufficiente rinferiorità e a volte l'insensatezza della sua lezione: intorno a che si confronti almeno: Dedica, 3, 6 e 14; 4, 4 e 9; II, 6, 13; III, 7, 12; III, 10, 10 e 18; III, 12, 1 e 22; III, 14, 3 e 8 ecc. ecc. e tutte le varianti di b, e le molte note apposte a rilevarne alcune delle peggiori. Vi sono poi altrettanti gruppetti minori quante sono possibili combinazioni tra sette numeri: ma gli accordi tra mss. di famiglie diverse avvengono sempre in lievi modificazioni al testo, presumibilmente originale, ma, non sempre tra i mss. medesimi : e sono certo incontri casuali. Né mette conto parlarne; e a suo luogo, se- condo la necessità e l'opportunità, ne sarà ragionato nelle note. Di queste però, un gruppo non si può trascurare: ed è delle lezioni di C R b contro B L M P. Le più importanti sono: VII, 30, 4 questi modi contro questi modi detti; Vili, 40, 15, alla difesa di quella contro alla di- fesa della obsidione; XII, 58, 24 et tenendolo contro et se lo tenevano ; XIII, 64, 7 Insomma contro In fine ecc. Con- cesso pure che tutte sieno naturali e casuali corre- zioni di n e b, non si potrà mai credere però che sia> casuale la giunta che al Gap. XIV, 67, 6 fanno C E e b contro gli altri, i quali portano solo mai levare dalla LX INTRODUZIONE CRITICA guerra, laddove essi aggiungono e nella pace vi si debba più esercitare che nella guerra, lo credo (cfr. la nota a p. 67) che la giunta non sia del Machiavelli: ma, se essa nacque o in b o in n^ prototipo di C R, non potè nascere in tutte e due. E vero che in E è giunta mar- ginale e di carattere differente dal testo, mi sembra; ma in C è nel testo. Se R e C furono trascritti dopo la stampa, si potrebbe sospettare che dalla stampa la giunta sia entrata ne' mss.; ma, perché solo quella e non alcun' altra delle importanti lezioni diverse? La contaminazione di due testi non è facile né solita nelle trascrizioni; ma in una edizione preparata e più pro- babile. E però sono inclinato a credere che il Biado, o chi per lui, preparando per il pubblico il Principe, avesse innanzi due testi, uno derivato da ^ o lo stesso y9, e un altro derivato da n^ o lo stesso k, ma per ragioni di provenienza, forse, attribuisse più importanza a ^ che a ìi. Questa ipotesi mi diventa quasi una realtà, allor- ché osservo altri due gruppi minori: ossia di BM con- tro CLPRb, ediCb contro B L M P R. B M si accordano contro C L P R b al cap. Ili, 11, 16: e potenti contro e più potenti : al VII, 32, 19 et hono- rolli secondo le loro qualità contro li honorò secondo le qualità loro; 37, 4 che si aveva contro che in si poco tempo si aveva; IX, 45, 14 o con quello de' grandi contro con il favore de^ grandi; 47, 7 si possono contro si debbono; 47, 11 examinare contro considerare ecc. C b portano nella Dedica, 2, 3 più delectarsi contro delectarsi e 4, 1, che da me contro come da me; XVII, 76, 22 da le donne contro delle donne; XXIV, 110, 5 di buoni amici contro di buone arme e 110, 15 tenere contro trarre; XXVI, 117, 8 surga contro si vegga e 119, 20 che redimirno (b redimerono) contro e redimere ecc. Le molte discordanze da B, e quindi da P, confer- INTRODUZIONE CRITICA LXI mano, io credo, quanto ho accennato : e V accordo so- litario con C parrebbe determinare questo secondo testo del Biado, come derivato da n e comune a C. Cosi il valore di b si vien fermando con maggior precisione. Siccome ogni ms. e ogni intermediario, di solito, rappresenta una serie di mss. intermediari, più o meno lunga, non diversamente sarà de' nostri testi. Ora è certo che il gruppo il quale presenta meno dif- ferenze, complessivamente, dagli altri gruppi presi in- sieme, deve rappresentare un intermediario più vicino degli altri all' originale. Si deve quindi conchiudere dal- l' analisi fatta di sopra, che o sia più accosto all'ori- ginale che non /^ o ^, discordando ciascuno di questi due gruppi troppe volte, e sempre in peggio, dagli altri insieme: e in ordine di merito verrebbe primo o\ se- condo ^, terzo ^. E b si sarebbe servito di ^, testo già scorretto in non pochi luoghi, poi di k, testo secondario, che. alle non molte scorrezioni di o' avrà aggiunto non poche di proprie. A che si è aggiunta un'opera di mo- dificazione profonda alla forma dello stesso testo ms. che si aveva innanzi.^ XI Tutto questo risonare di voci discordi, a chi per poco abbia pratica di mss., non reca certo meraviglia: poiché il trascrittore, specie se intelligente e di comune cul- tura, le più delle volte dà al testo un'impronta sua, ^ Un altro ms. indipendente dalle stampe, del sec. xvi, è nella Biblioteca Comunale di Perugia. (V. la descrizione nel voi. V degli Inventarii ecc. del Mazzatinti, 425, G. 14). Me ne diede già notizia il Comm. 0. Tommasini, che ringrazio; ma solo da poco mi è stato possibile averne de' passi trascritti. Da' quali mi risulta che esso LXII INTKODUZIONE CRITICA di grafìa, d' interpretazione, di errori, di mutamenti nobili o volgari. Ma più profondo ci colpisce la dif- ferenza di forma, che spesso va oltre la superficie, in un migliaio circa di lezioni, tra la prima stampa e i ma- noscritti. Ed è facile che altri pensi e domandi: non potè il Machiavelli stesso aver corretto da cima a fondo l'opera, per suo piacere o per darla alle stampe? Eagioni esterne ed interne negano cotesto originale rifacimento. Dopo la lettera al Vettori del 10 dicembre 1513, in cui scriveva d' aver compiuta l'opera (ed ora la ripuliva e r ingrassava), egli non tornò mai a parlare del Prin- cipe; pare, anzi, che nel fervore de' nuovi studi e de' nuovi incarichi medicei dimenticasse l' opera sua profe- tica. La copia dal Buonaccorsi donata al Bellacci, por- tando la dedica a Lorenzo de' Medici, dopo la morte di Giuliano (1516) quindi, non potè esser trascritta avanti che il Machiavelli la ripulisse e V ingrassasse. Neil' opera si parla, come di personaggi viventi, di Leon X (XI, 55, 1-2) morto nel 1521, di Massimiliano (XXIII, 108, 6) morto il 15 gennaio 1519, di Ferdinando il CattoHco (XVIII, 82, 11 e XXI, 100, 12) morto il 23 gennaio 1516. Al Gap. XXVI, citando le battaglie fatte da Italiani soli, ne' passati venti anni, incomincia da quella del Taro, (Fornovo, 1495) e finisce con quella di Mestri {\h\\): il ventennio, approssimativo, termina dunque al 1513, quando compose il Principe. Perché dunque, se cor- resse, egli ci conservò anacronismi, a togliere i quali bastava sopprimere un presente o de nostri tempi? ms. appartiene alla famiglia fi. Basti, a prova, che, solo nel Gap. II, si accorda con BCLPR contro M in ritexendo, con BM contro OLE, in orditi, con B contro L e M in minori necessita, e cosi via. Forme grafiche e desinenze son guaste non poco. In sostanza, questo ms. nulla muta a quanto son venuto dimostrando. INTRODUZIONE CRITICA LXIII E, passando alle ragioni di ordine interno, io non posso rassegnarmi a credere, ripeto e insisto, che la mente del Machiavelli, nel continuo infaticabile lavorio, proprietà, del genio, con che nuove idee creava, o le rinnovellava, abbia, rifacendo un'opera, prefisso a sé medesimo un limite formale: non più in là della scorza. Ed egli, il Machiavelli, fiorentino e latino nel sangue, scrittore di impeto vivace e libero, avrebbe dato accanita caccia a'iatinismi, a' dialettalismi, alle sentenze e a'titoli latini^ alle anacolutie naturali e vigorose, agi' iperbati, a' liberi costrutti e riferimenti, alle audaci costruzioni di pen- siero. Le Lettere e i Discorsi ne abbondano, e ci offrono l'immagine stessa del testo manoscritto: né assai dis- simili, meno per le parole e sentenze latine, ci si presen- tano VArte della guèrra e le Istorie, se bene di fattura pili letteraria. Il Machiavelli, dunque, avrebbe corretto solo la forma, sempre in peggio, come s' è in parte dimo- strato e per intero si dimostrerà nel testo critico e nelle note; e sempre contro l'uso delle altre sue opere. Tutti i mss., non derivati dalla stampa, le si accordano contro : e contro di essa anche il Nifo per quattro luoghi (V, 23, 14; Vili, 39, 21; XIII, 62, 24; XIV, 67, 6), fatico- samente trovati da me nello slavato rifacimento, pro- testa d' accordo con i mss. E tra la stampa postuma e i mss., alcuni de' quali certamente sincroni, non può essere dubbia la scelta. Chi copia, oltre gli sbagli casuali, se modifica, non può avere altro interesse che la chiarezza, o, rare volte^ l'affermazione di un'opinione propria: e questo può portare sino al tiranno di Siena sostituito al principe nel C, alle giunte esplicative del C, o alle volgariz- zazioni che il P e il C fanno de' titoli e il P delle sen- tenze latine. Ma chi stampa può avere un interesse più generale LXIV INTRODUZIONE CRITICA 6 pili vivo: quello di presentare al pubblico un' opera che si venda, che piaccia quindi al pubblico e sia di facile e chiara lezione. Di qui il superficiale rifacimento, che contenta li per li chi legge, ma guasta non di rado il senso e contradice spesso al contesto. Nel caso parti- colare poi, non lieve spinta potè essere l'opinione d'il- letterato che il florido verboso Cinquecento appiccò al Segretario fiorentino. Se, dunque, il nodo della questione si riduce qui: — corresse o no il Machiavelli V opera sua quale dal Biado fu stampata? — io non temo di tagliar netto, rispondendo di no. — XII Come si deve e si può, dunque, criticamente, ricosti- tuire il testo? Eliminando la Giuntina e la Testina, per ciò che s' e affermato innanzi, salvo dove o confermano la lezione ms. dove e questione d'interpretare, né curando le stampe che ne derivano, perché inutili ripetizioni di errori, e attenendoci a' mss., non riporremo certo in pra- tica la teoria del « più bel fior ne coglie ». Seguendola il Tanzini e il Tassi riprodussero un manoscritto solo, il Laurenziano: ma, oltre che ne accettarono gli errori, in moltissimi luoghi se ne allontanarono : e seguendola il Polidori riprodusse il Biado, a cui aggiunse non po- chi suoi spropositi. La qual contradizione sarà sempre r effetto più sicuro di ogni teoria puramente soggettiva. Codesto canone critico del « più bel fior ne coglie », buono forse quando le fonti non sono per nulla sicure e autorevoli, e quando siamo certi che lo scrittore era perfettissimo, e aveva precisamente i nostri gusti, non solo non ha valore scientifico di sorta, ma, applicato al Machiavelli, a nulla giova. Il Machiavelli è tale scrit- INTRODUZIONE CRITICA LXV tore, la cui forma né si può fissare né è delle più li- mate e pure; e questo suo carattere sarà sempre sco- glio, insormontabile, a ricostruire la immagine filologica di una sua opera. Egli è troppo libero e vivo e vario. Ma, dove si tratti di lezione, non di forma grafica, a ricostituire il testo, ci varrà sicuramente il criterio oggettivo di servirci delle voci che risuonano ancora, comparandole tra loro. E, ricordando l'albero genealo- gico fissato di sopra, e come ciascuna fonte, non essendo derivata dall'altra, può scientificamente servire, io verrò via via fermando il testo coli' escludere, innanzi tutto, ogni lezione di ciascun ms. o della stampa, contro cui tutti gli altri si accordino. In secondo luogo, quando due gruppi si accordano contro la lezione del terzo, questa sarà da escludere : e però C L P R e B b preval- gono contro M ; e cosi B b e M contro C L P K, o solo B ed M contro CLPRb. Cosi, quando si accordino buoni mss. delle tre diverse famiglie, p. e. M, B, L, o anche di due, p. e. B, L, P L ed M ecc., è facile escludere le lezioni degli altri, specie considerando che L è il meno guasto dei mss. e i più guasti sono M e C R. 1 gruppi B b e C R, secondari, si rifiutano senz'altro; ma il primo, perché rappresenta p, che può esser derivato diretta- mente dall' originale, si deve, talvolta, discutere. S'in- tende bene che queste, come tutte le regole, soffrono eccezioni : ma quando la logica le imponga. E occorrono anche dei luoghi, in cui è necessario correggere stampe e mss. ; ma questo solo tre volte, e dove il mutamento è di un da in un di (III, 8, 9), di un o in ^ (XVI, 74, 7), e di un delle in dalle (XVII, 76, 22). Ma di tutto, dove occorre, sarà data ragione, e ne sarà discusso. ^ ^ Forse anche al C. XYIII, 82, 11, aggiungendo un non, secondo l'ipotesi riferita in nota, il testo verrebbe più chiaro: ma non mi par necessario. La proposta è del prof. R. Fomaciari. LXVI INTRODUZIONE CRITICA Difficilissimo riesce fissare la grafia delle parole, nelle quali non solo discordano i testi manoscritti e stampati, ma il Machiavelli con sé stesso, e non nelle opere di- verse, ma nella pagina, nella riga medesima. E, volendo far cosa leggibile, mi è sembrato meglio seguire il buon senso, dando alle parole tal forma che rendano solo il suono antico : poiché, se il Machiavelli e i suoi trascrittori scrivevano tuctOj respecto, ohservare, epso ecc., essi cer- tamente non pronunziavano se non tutto, respetto, os- servare^ esso ecc. Ma l'ammodernamento grafico non va più in là: e chi vuol persuadersene, paragoni il passo autografo dell' Introditzmie a' Discorsi, riportato, con il testo del Principe. Quanto alle desinenze, ano e ono, orno, orono e arono ecc., a' troncamenti, all' interpunzione, alle forme diffe- renti d' una parola medesima, io mi sono aiutato con uno studio paziente, diligentissimo, degli autografi nu- merosi del Machiavelli, specie delle Legazioni e dei frammenti dell' ^r^^ della Guerra, e con quella cono- scenza, che ho potuto acquistarmi, dello stile e del perio- dare suo. Ma qui si erge sempre, né sempre superabile, lo scoglio della natura variabile dello scrittore. Chi può pretendere di fissare il momento grafico, filologico, sti- listico del Machiavelli? Di cui non credo esista tra gli scrittori italiani indole artistica, più liberamente e va- riamente mossa e atteggiata. Si abbiano presenti al- cune delle meravigliose Lettere familiari, E anche qui l'indagine paziente, la comparazione degli autografi, l'accordo di questi con alcuno de' mss., specie con L, o 1' accordo tra tutte le fonti, in fine r amorosa meditazione su la genesi di ciascuna frase, di ciascun concetto del Machiavelli, (ma ciò, per l'inter- punzione e il periodo, sarà meglio spiegato nell' edi- INTRODUZIONE CRITICA LXVII zione scolastica), mi fanno sperare di essermi accostato alla forma del Principe, qual' egli la creò. Sotto il testo ho riportato le varianti di lezione, e le varianti grafiche che mutano fisonomia alle parole. I troncamenti e le desinenze non ho riferiti tutti, perché inutili. Avverto, per quelle volte che la va- riante non è riferita, che b, per sistema, a mia, tua, sua, sìito, sèndOj avere a sostituisce sempre miei o mie,y tuoi tue ecc. e stato, essendo^ avere da, Non ho curato mai di ricordare quali testi portino homo, homini, dicto, e quali huomo, huomini, dedo, avendo sempre trovato le seconde forme negli autografi: ed ho quindi adottato detto, uomini, uomo. E in fine ho aggiunto delle note critiche, dove alle discussioni delle varianti dubbie e alle ragioni, non sempre facili a intuire, della lezione preferita, si mescolano spesso osservazioni, che met- tono in rilievo le più importanti e le più guaste e insensate correzioni della stampa. Né ho trascurato, quand'era opportuno, di afforzare la lezione con le^ fonti, che ne' singoli casi servirono al Machiavelli stesso. XII Quale, in fine, il risultamento di tanto ricercare e comparare e ragionare? Se io fossi pervenuto solo a dimostrare la correzione bladiana, se avessi arricchito la storia della lingua e dello stile di alcune poche nuove parole e modi e di nuove movenze, se avessi dato sicuro saldo fondamento alla lezione di un'opera, qual' è il Principe j se fossi insomma riuscito ad affermare una serie di fatti filologici, o non conosciuti non provati prima, io sarei soddisfatto, e LXVIII INTRODUZIONE CRITICA con me, spero, la critica italiana. Ma v' è di più: io penso che, per questa ricostituzione di testo, e la prosa del Principe ci guadagni, balzandone fuori più vera sempre, spesso più viva logica e bella, e la storia let- teraria se ne giovi, poiché ne vien lumeggiata la evo- luzione letteraria del Machiavelli. Ma che s' intende per bella prosa? Quelli a cui piace lo scrivere tutto liscio e piano, che non sforzi l' intelli- genza, tutto regolare ed uguale, senza asprezze, senza movimenti originali che sembrino strani o non comuni, quelli insomma che preferiscono la lingua fissa, la gram- matica e la sintassi dalle cento regole e dalle mille eccezioni, la prosa senza macchie e senza raggio, quelli torceranno il viso al nuovo Principe. Ma chi ama l'efficacia, la vigoria, la potenza dell'espressione, an- che tra certe forme rozze e disadorne; chi segue con intenso compiacimento d'arte il libero, vario, vivace muoversi del pensiero, pur tra molte noncuranze; chi sente in quel lineare netto e preciso del concetto^ a brevi rapidi tocchi, talvolta incompiuti, in quel ri- lievo continuo dato a ciò che più importa, in quel bal- zare quasi vulcanico di massi ardenti e informi^ non collocati in ordine regolare né cementati visibilmente tra loro ; chi sente in tutto questo lo spirito del Machia- velli, dovrà riconoscere la superiorità del testo critica- mente ricostituito. Non è il lucido brillante finito; è il fulgido diamante grezzo ancora; che la mano ine- sperta del Biado troppo spesso scheggiò, di cui troppe volte velò r intensa luminosità. Anche la storia letteraria, ho detto, ne acquista qualche cosa; e la storia della prosa machiavellica, in ispecie, meglio si delinea ne' suoi periodi principali. Si persegua di giorno in giorno lo svolgersi, l' erom- pere, quasi, dalla scabra corteccia, dell' energia artistica INTRODUZIONE CRITICA LXIX e pensatrice nel Machiavelli, appena sbalzato giù, dal turbinio de' negozi e degli affanni politici, alla vita mo- notona, per lui dispettosa, in villa, o in città, tra le conversazioni negli Orti Oricellari, fino alle prime grazie medicee, alle ultime cure letterarie e civili. Si lascino da parte le manifestazioni di pura arte, la Mandragola y la Novella di Belfagor, V Asino d'oro ed altro: si consi- derino insieme le Lettere al Vettori tra il marzo del 1512 ei primi del 1515, specialmente il Principe, i Discorsi; fino a tutto il 1517,^ insomma: si pensi, dopo, slVArte della guerra, incominciata nel 1519, compiuta intorno al 1520 insieme con la Vita di Castruccio, agli otto libri delle Istorie, dal 1521 al 1525; e siJeggano attentamente su' manoscritti, e si paragonino le contenenze logiche, le movenze stilistiche, il materiale linguistico. Ed ecco delinearsi, ne' due gruppi, due tipi di prosa, i cui estremi son segnati dalle Lettere e dal Principe per una parte, dalle Istorie per l'altra: tra mezzo, si toccano quasi i Discorsi e i Dialoghi dell'Arte della Guerra. V è di co- mune l'aria di famiglia; ma gli individui non sono ì medesimi. Ne' tre scritti del primo gruppo, tu noti il ricorrere frequente delle sentenze latine, delle congiun- tive latine, avanzi di un gergo curiale che si va smet- tendo a fatica, un numero assai fitto di latinismi e idio- tismi vigorosi, in parole, frasi, costrutti, una più ampia, e maggior libertà di forme grafiche e di desinenze, una vivacità d' iperbati, ellissi, costruzioni di pensiero, liberi riferimenti, forti anacoluti, un muoversi dell' intelletto- più vivo e a scatti, un ricorrere di concetti medesimi, spesso incompiuti, un balzare di pensieri non visibil- ^ Su la data della composizione de' Discorsi, salvo le giunte di fatti ed esempì, che vanno sino a' primi del 1521, cfr. Villari, L. II, p. 277. LXX INTRODUZIONE CRITICA mente collegati tra loro, a blocchi di marmo miche- langiolescamente sbozzati, non finiti e politi alla maniera del Canova. Se poi osservi con occhio acuto gli scritti ultimi, tu vedi sempre lo stesso uomo, lo stesso scrit- tore, ma con lo spirito direi, pili tranquillo, con la veste, direi, meno disadorna, più composta. Pare insomma che, dove prima era più vivacemente italiano nella sostanza e latino nella forma, dopo diventi più italiano nella forma, ma più latino, e talvolta pesante, nella sostanza. Scorrono i rivi del pensiero con maggior continuità e fluidità: meno spesse vengono a rompere la superficie sovente liscia quelle che si voglion dire irregolarità: r idiotismo e il latinismo, pur contrastando fieramente e permanendo sino all'ultimo, le congiuntive e le sen- tenze latine, a poco a poco scomparendo del tutto, ce- dono alla più pura corrente italiana, e le onde del pe- riodare, meno disuguali, si svolgono non di rado ampie e sonore, sopra tutto nelle Istorie, Questo non porta di necessità che dal Principe si debba togliere quanto di latino e fiorentino e rimasto ne' mss. Ho già detto che non poteva il Machiavelli es- sersi limitato solo a un rifacimento formale. Ma da que- sto si può fermare il momento letterario della creazione del Principe, e attribuirgli il suo posto nella storia della prosa italiana. Il Machiavelli, fiorentino puro, nulla gua- sto o verniciato dalla vita diplomatica e cortigiana, nulla mutato e fatto italiano da' frequenti contatti (come di poco appresso lui il Gruicciardini), lungo tempo can- celliere della Eepubblica, bruttato quindi, nelle forme, di curialità, per più che trent'anni vissuto nel Quattro- cento (e r età giovenile è la meglio assimilatrice), mo- stra le tre impronte negli scritti meno lontani dalla vita politica. E vi aggiunge di suo la brevità e intensità, proprie dell'uomo pratico, la potenza e novità del pen- INTRODUZIONE CRITICA LXXI siero, lo scatto vivace, talvolta dispettoso, che gli deriva dall'amaro esilio politico, dall'ozio forzato, dalla volga- rità e imbecillità di tanti tra i politici e i principi italiani. Ond' è che nella sua prosa e nella corrispon- denza epistolare tra lui, il Vettori, il Buonaccorsi, il Nerli, gli elementi popolare e latino, sempre accosto Tuno all'altro, giammai fusi, ricordano ancora il con- trasto tra latino e volgare; e la schiettezza, la viva- cità, la libertà, la leggerezza fanno pensare al comune carattere de' prosatori toscani da Leon Battista Alberti -a Leonardo da Vinci, e alla maggior affinità del loro scrivere con quello del Poliziano, ^ della Macinghi-Stroz- zi, ^ del Pulci, ^ di Lorenzo il Magnifico, '^ e di tutto quel ciclo di corrispondenti politici, che s' impernia nella casa Medicea, avanti la cacciata di Piero. E, se il Bonghi^ trovò e lodò il Cellini per naturalezza e libera sintassi assai vicino a Platone, assai maggior Platone, per que- sto rispetto, e in regione più alta e nobile, mi sembra il Machiavelli del primo tempo. Dopo il 1517, è altra cosa. Le conversazioni dotte e eulte degli Orti Oricellari, il pili copioso e meglio assi- milato nutrimento latino per gli studi ultimi su Livio, Tacito, Cicerone, su' minori dell'età d'argento, la prima 1 Cfr. le Lettere ecc. (1475-1494) , edite la prima volta da Isidoro Del Lungo, nelle Op. volg. di A. A. P. a cura di T. Casini, Firenze, Sansoni, 1885. 2 Cfr. Lettere di una gentildonna fiorentina [vanno dal 1447 al 1470] pubblicate dal Guasti, Firenze, Sansoni, 1877. 3 Cfr. Lettere a Lorenzo il M. (1465-1484) pubblicate da S. Bongi, Lucca, Giusti, 1886. * V. nel Voi. IV delle Opere di L. il M., Molini, Firenze 1826: ma le sue scritture e lettere politiche e quelle de' suoi corrispon- denti giacciono nella massima parte inedite nell'Archivio di Stato iiorentino. ^ Op. cit. Lett. X, p. 106. LXXII INTRODUZIONE CRITICA opera grammaticale del Fortunio uscita nel '16 (e la tendenza era a fissare la lingua e la sintassi, come ne dimostra T altra opera del Bembo, composta in quel torno), in fine, V Orlando Furioso, che vide la luce nel 1516 appunto, splendido di purezza tanto più classica- mente italiana, tutto questo, dove usare una certa effi- cacia su lo spirito, ricco di artistica mobilità, del Ma- chiavelli. Né io saprei spiegare altrimenti la evoluzione letteraria che da' dialoghi militari segue e finisce nel- r opera storica. E il Quattrocento che divien Cinque- cento, il Toscano che si fa Italiano nella prosa, come nella poesia, come in tutte le arti del tempo glorioso. A tale risultamento ci può condurre uno studio di arida critica filologica, qual' è una ricostituzione di testo^ sia pure del Principe di Niccolò Machiavelli. Giuseppe Listo. IL PRINCIPE Machiavelli NICOLAUS MACLAVELLUS AD MAGNIFICUM LAURENTIUM MEDICEM Sogliono el più delle volte coloro che desiderano acqui- stare grazia appresso uno Principe, farseli incontro con quelle cose che infra le loro abbino più care o delle quali vegghino 5 lui deiettarsi ; donde si vede molte volte essere loro presentati cavalli, arme, drappi d' oro, prete preziose e simili ornamenti degni della grandezza di quelli. Desiderando io adunque offe- rirmi alla vostra Magnificenzia con qualche testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato intra la mia sup- 10 pellettile cosa quale io abbia più cara tanto existimi, quanto la cognizione delle azioni delli uomini grandi imparata con una lunga esperienzia delle cose moderne et una continua le- zione delle antique: le quali avendo io con gran diligenzia lungamente escogitate et esaminate et ora in uno piccolo vo- 15 lume ridotte, mando alla Magnificenzia vostra. E benché io indichi questa opera indegna della presenzia di quella, tamen quasi le chiavi 11. b e fanterie M o fanti 12. b non ispende molto il principe e senza 13. C lolle 15. B C L P R che li b che gli 16. P nuocere, tutti 17. b da una parte non offesi, e per questo si quietano facilmente, da l'altra paurosi di non errare, perché non intervenisse loro 19. M come quelli 20. b Conchiudo 21. B e R b fedeli offendono B sendo poveri non possono nuocere et di più dispersi coni' ho dicto. b essendo poveri e dispersi, non possono nuocere, come ho detto. 1. vi puoi. Nel ms. prototipo di B b e in C può nacque forse da vo- glia di unificare il costrutto: ma il variare è proprio del Mach., e in tutto il Principe spessissimo un discorso impersonale è interrotto da queste vi- vaci apostrofi a persona immaginaria : il che, del resto, era vezzo del parlar comune. 10. compedi, ceppi: latinismo non capito da b, che corresse in chiavi. 15. clie li e clie gii mi sembrano guasti di chelli o chegli. 18. per timore ripete veramente paurosi; mix perché, di b, che indica fine, non è chiaro quanto la lez. ms., che viene a dire: o sia temono che non avvenga ecc. 21. non possono ecc. Nel ms. prototipo di B b la lez. dovè essere tur- bata: B non bene si accorda col passo ricordato {come è detto) ; e b ha voluto collocare la gerundiva nello stesso ordine: che non era necessario. IL PRINCIPE 11 poveri e dispersi, come è detto. Per il che si ha a uotare che li uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere; perché si ven- dicano delle leggieri offese, delle gravi non possono; si che l'offesa che si fa all' uomo debbe essere in modo che la non tema la vendetta. Ma tenendovi, in cambio di colonie, gente » d'arme, si spende più assai, avendo a consumare nella guar- dia tutte le intrate di quello stato ; in modo che lo acquisto li torna perdita; et offende molto più, perche' nuoce a tutto quello stato tramutando con li alloggiamenti el suo esercito; del quale disagio ognuno ne sente, e ciascuno li diventa ini- io mico: e sono inimici che li possono nuocere, rimanendo bat- tuti in casa loro. Da ogni parte dunque questa guardia è inutile, come quella delle colonie è utile. «Debbe ancora chi è in una provincia disforme, come è detto, farsi capo e defensore de' vicini minori potenti, et in- is gegnarsi di indebolire e' potenti di quella , e guardarsi che per accidente alcuno non vi entri uno forestiere potente quanto lui. E sempre interverrà che vi sarà messo da coloro che saranno in quella mal contenti, o per troppa ambizione o per paura ; come si vidde già che li Etoli missono e' Ro- 20 mani in Grecia; et in ogni altra provincia che li entrorono vi furono messi da' provinciali. E l'ordine delle cose è, che su- bito che uno forestiere potente entra in una provincia, tutti quelli che sono in essa men potenti li aderiscano, mossi da invidia hanno contro a chi è suto potente sopra di loro; 2.> tanto che, respetto a questi minori potenti, lui non ha a du- rare fatica alcuna a guadagnarli ; perché subito tutti insieme 1. B b Perché 3. M delle offese legieri e delle gravi i. B P debba b deve 7. b le entrate b V aquistato gli torna in perdita 10. M ciascuno ne sente 12. C L P R adunque 15. C meno 15-16. P minori potenti di (luella e guardarsi 16. C L R b e più potenti b guardare 17. b forestiere non meno potente di lui 21. b loro entrorno 22. b àella cosa 24. C L P R meno 25. C L P R dalla invidia b da una invidia M b che hanno C 1. Hato 26. b egli 16. e' potenti corrisponde esattamente air unanime abbassorono e' po- tenti di sotto [p. 12, 10]: il pm fu trasciuato forse da corrispondenza con minori potenti di sopra. 12 IL PRINCIPE volentieri fanno uno globo col suo stato che lui vi ha acqui- stato. Ha solamente a pensare che non piglino troppe forze e troppa autorità; e facilmente può coti le forze sua e col favore loro sbassare quelli che sono potenti, per rimanere in 5 tutto arbitro di quella provincia. E chi non governerà bene questa parte, perderà presto quello che ara acquistato, e, men- tre che lo terrà, vi ara drento infinite difficultà e fastidii. E' Romani, nelle provincie che pigliorono, osservorono bene queste parti; e mandorono le colonie, intrattennono e' men IO potenti, sanza crescere loro potenzia, abbassorono e' potenti, e non vi lasciorono prendere reputazione a' potenti forestieri. E voglio mi basti solo la provincia di Grecia per esemplo. Fu- rono intrattenuti da loro li Achei e li Etoli; fu abbassato el regno de' Macedoni ; funne cacciato Antioco ; né mai e' meriti 15 delli Achei o delli Etoli feciono che permettessino loro ac- crescere alcuno stato ; né le persuasioni di Filippo Pindussono mai ad esserli amici sanza sbassarlo; né la potenzia di An- tioco posse fare li consentissino che tenessi in quella provin- cia alcuno stato. Perché e' Romani feciono in questi casi quello 20 che tutti e' principi savi debbono fare : li quali non sola- mente hanno ad avere riguardo alli scandoli presenti, ma a' fu- turi, et a quelli con ogni industria obviare : perché, preveden- dosi discosto, facilmente vi si può rimediare; ma, aspettando che ti si appressino, la medicina non è a tempo, perché la 25 malattia è diventata incurabile. Et interviene di questa come 1. ì) fanno massa con lo stato che egli vi ha acquistato 3. M troppo C la forza 4. C L P R b abbassare 6, M quello ara, 7. b I Romani 8. C in quelle 8-9. b pigliorno .... intrattenerno b i men M li men 9-11. P e meno potenti et non vi lasciorono 11-12 M E mi basti 12. b essempio 14. M Macedonii 16. P Pindussono ad esserli 17. M abassarlo 19. e m P R in questo caso 20-21. L P hanno ad avere non solamente C R hanno ad avere riguardo non solo b hanno aver 22. b riparare 23. P vi si può facil- mente 24, b non è più 25. b divenuta 1. col SUO Stato che lui ecc. è ripetizione, che chiarisce e determina meglio il concetto, naturalissima al Mach, che scriveva quasi parlasse 'inu- tile quindi la correzione del b. 19. questi casi preferisco, perché mi sembrano più, o sia quelli di An- tioco, di Filippo, degli Achei, degli Etoli. 22. obviare, andare incontro agli scandoli ftituri, non riparare di b, che si può solo di cose avvenute. i .^ 9 IL PRmCIPE 13 dicono e' fisici dello etico, che nel principio del suo male è facile a curare e difficile a conoscere, ma, nel progresso del tempo, non l'avendo in principio conosciuta né medicata, di- venta facile a conoscere e difficile a curare. Cosi interviene nelle cose di stato ; perché, conoscendo discosto, il che non è 5 dato se non a uno prudente, e' mali che nascono in quello, si guariscono presto ; ma quando, per non li avere conosciuti, si lasciono crescere in modo che ognuno li conosce, non vi è più remedio. Però e' Romani, vedendo discosto l'inconvenienti, vi remediorono sempre, e non li lasciorono mai seguire per io fuggire una guerra, perché sapevano che la guerra non si lieva, ma si differisce a vantaggio (t' altri ; però vollono fare con Fi- lippo et Antioco guerra in Grecia, per non la avere a fare con loro in Italia; e potevano per allora fuggire l'una e l'altra; il che non vollono. Né piacque mai loro quello che tutto di è in 15 bocca de'savì de' nostri tempi, di godere el benefizio del tempo, ma si bene quello della virtù e prudenzia loro ; perché el tempo si caccia innanzi ogni cosa, e può condurre seco bene come male, e male come bene. Ma torniamo a Francia, et esaminiamo se delle cose dette 20 ne ha fatto alcuna; e parlerò di Luigi e non di Carlo, come di colui, che, per avere tenuta più lunga possessione in Ita- lia, si sono meglio visti e' sua progressi : e vedrete come elli ha fatto el contrario di quelle cose che si debbono fare per tenere uno stato disforme. 25- 1. h ì medici della etica che nel principio suo è facile... ma nel corso del tempo 3. B L M P lo R la P conosciuto ... medicato 5. 1) del' stato 8. C lassono 1) lascino 9. b si Romani R vedendo e Romani 10. b li rimediorono 11. Mia non si leva eleva 12. b con vantaggio C volseno evolsero 14. B et runa 16. b tempi, godere li benefici del tempo, ma bene 19. b male, male 21. C come che 22. b del quale 23. C L P R visti ineglio B progressi sua C li suoi R li sua b li suoi andamenti 25. C uno stato [in una provincia] disforme 1. dello etico ecc. Al Gap. XIII mss. e stampe leggono: come io dissi di sopra delle febbri etiche; al rigo 3 tutti i mss., meno P, portano cono- sciuta, medicata: di sopra si parla della malattia, di sotto difficile a co- noscere, conosciuta, facile a conoscere meglio si adatterebbero a malattia: e tutto parrebbe dar ragione a della etica (^malattia) di b. Ma bisognerebbe sopprimere del suo male: ed è impossibile che tutti i trascrittori l'ab- biano aggiunto di testa loro. Il Mach, può forse aver scritto della etica: ma pili probabile mi sembra che egli, con quell'agilità di movenze logiche 14 IL PRINCIPE El re Luigi fu messo in Italia dalla ambizione de'Vini- ziani, che volsono guadagnarsi mezzo lo stato di Lombardia per quella venuta. Io non voglio biasimare questo partito preso dal re ; perché, volendo cominciare a mettere uno pie 8 in Italia, e non avendo in questa provincia amici, anzi sen- doli, per li portamenti del re Carl(X serrate tutte le porte, fu forzato prendere quelle amicizie che poteva: e sarebbeli riu- scito el partito ben preso, quando nelli altri maneggi non avessi fatto errore alcuno. Acquistata adunque el re la Lom- 10 bardia, si riguadagnò subito quella reputazione che li aveva tolta Carlo: Genova cede; Fiorentini li diventorono amici: Marchese di Mantova, Duca di» Ferrara, Bentivogli, Madonna di Furli, Signore di Faenza, di Peserò, di Rimino, di Came- rino, di Piombino, Lucchesi, Pisani, Sanesi, ognuno se li fece 15 incontro per essere suo amico. Et allora posserno conside- rare Viniziani la temerità del partito preso da loro, li quali, per acquistare dua terre in Lombardia, feciono signore el re di dua terzi di Italia. Consideri ora uno con quanta poca dif- ficultà posseva il re tenere in Italia la sua reputazione, se 20 elli avessi osservate le regole sopradette e tenuti securi e difesi tutti quelli sua amici, li quali, per essere gran nu- mero e deboli e paurosi, chi della Chiesa, chi de' Viniziani, erano sempre necessitati a stare seco ; e per il mezzo loro po- teva facilmente assicurarsi di chi ci restava grande. Ma lui 2. e l) volsero P quello stato 3. b biasimare questa venuta o partito 5. b essendoli M sendogli 6. C L P R chiuse le porte tutte 8. b il pen- siero 10. P si guadagnò 11. b cedette 13. P di Faenza, Peserò, Rimini, Camerino, Piombino 15. B per averlo M P posserono 16. b li Ven. P pre- so li quali 18. L P a de' C del terzo M con questa 19. E tenere il re 20. C L P R soprascritte 21. b amici suoi R b gran 22. P Chiesa et chi 23. P forzati B b posseva 24. b egli e stilìstiche, irregolari, ma facili alla natura sua, dal concetto di malattia sia trascorso a quello del malato , e di qui sia tornato alla malattia. Da Ihavendo derivò forse lo ad alcuni mss. 3. partito. Non si comprende la giunta del b se non per errore deri- vato dalla precedente venuta: il Machiavelli discute il partito preso dal re, non la venuta sua. 6. serrate mi par più efficace di chiuse, mutato sbadatamente nel prototipo di C L P R. 8. il partito può esser preso, non il pensiero secondo b. IL PRINCIPE 15 non prima fu in Milano, che fece il contrario, dando aiuti a papa Alessandro, perché elli occupassi la Romagna. Né si accorse con questa deliberazione che faceva sé debole , to- gliendosi li amici e quelli che se li erano gittati in grembo, e la Chiesa grande, aggiugnendo allo spirituale, che gli dà 5 tanta autorità, tanto temporale. E, fatto uno primo errore, fu constretto a seguitare in tanto che, per porre fine alla ambizione di Alessanc^o, e perché non divenissi signore di Toscana, fu constretto venire in Italia. Non li bastò avere fatto grande la Chiesa e toltisi li amici, che, per volere el regno io di Napoli, lo divise con il re di Spagna; e, dove lui era prima arbitro d'Italia, e' vi misse uno compagno, a ciò che li ambi- ziosi di quella provincia e mal contenti di lui avessino dove ricorrere; e, dove posseva lasciare in quello regno uno re suo pensionario, e' ne lo trasse, per mettervi uno che potessi cac- 15 ciarne lui. E cosa veramente molto naturale et ordinaria desiderare di acquistare; e sempre, quando li uomini lo fanno che pos- sano, saranno laudati, non biasimati; ma, quando noti pos- sono, e vogliono farlo in ogni modo, qui è l'errore et il bia- 20 simo. Se Francia adunque con le sue forze posseva assaltare Napoli, doveva farlo; se non poteva, non doveva dividerlo. E, se la divisione fece co'Viniziani di Lombardia meritò scusa per avere con quella messo el pie in Italia, questa merita biasimo, per non essere escusata da quella necessità. Aveva 25 dunque Luigi fatto questi cinque errori: spenti e' minori po- 2. M Lepsandro b egli 4. M erono 5. b aggiungendo B C P R li 7. MPefu 9. CLPR forzato b gli fu forza venire C di venire b E non C fatta 10. M toltosi gli 11. C prima lui era B primo 12. BP Rb vi misse 15. C ne b egli ne C R che ne potessi cacciare lui M ne po- tessi trarne lui b cacciare 18. C possono M b possino 19. b ne saranno M possano 20. C L P R ad ogni B b il biasimo e l'errore 21. CLPR pos- seva con le forze sua 23. B R b con Vin. 24. M per avere messo con quella el pie C meritò 25. B C scusata b scusato M llaveva facto dunque Luigi cinque erori 26. B adunque fatto Luigi 9. constretto. Può ben essere che nel prototipo di C L P R forzato e in b gii fu forza nascessero spontaneamente per evitare la ripet. di con- stretto : ma anche questo potè derivare a B e M dall' uguale parola a due righe sole di distanza. 20-21. il biasimo mi pare effetto dell'errore: male quindi collocarlo prima, come in B b. 16 ¦ IL PRINCIPE tenti, accresciuto in Italia potenzia a uno potente, messo in quella uno forestiere potentissimo, non venuto ad abitarvi, non vi messo colonie. E' quali errori ancóra, vivendo lui, pos- sevano non lo offendere, se non avessi fatto el sesto, di tórre 5 lo stato a' Viniziani : perché, quando non avessi fatto grande la Chiesa né messo in Italia Spagna, era ben ragionevole e necessario abbassarli; ma, avendo preso quelli primi partiti, non doveva mai consentire alla mina loro : perché, sendo quelli potenti, arebbono sempre tenuti li altri discosto dalla 10 impresa di Lombardia, si perché Yiniziani non vi arebbono consentito sanza diventarne signori loro, si perché li altri non arebbono voluto torla a Francia per darla a loro, et andare ad urtarli tutti a dua non arebbono avuto animo. E se alcuno dicessi: el re Luigi cede ad Alessandro la Romagna et a Spa- 15 gna el regno per fuggire una guerra, respondo con le ra- gioni dette di sopra, che non si debbe mai lasciare seguire uno disordine per fuggire una guerra, perché la non si fugge, ma si differisce a tuo disavvantaggio. E se alcuni altri allegassino la fede che il re aveva data al papa, di fare per 20 lui quella impresa , per la resoluzione del suo matrimonio et il cappello di Roano, respondo con quello che per me di sotto si dirà circa la fede de' principi e come la si debbe osservare. Ha perduto adunque el re Luigi la Lombardia per 1. e accresciuta 2. C habitare 3. C messe M non vi messo colonie [col farsi inimici coloro] e quali ancora B P R b Li quali C L P R errori, vi- vendo lui, possevano ancora M P b potevano 5. L P havessino 6. B bene 6-7. R ragionevole abassarli 7. b presi 8. B doveva consentire b essendo 9. B R tenuto 10. P perché non vi harebbano 12. C L P R volsuto 13. C R urtare b et andarli ad urtare ambedui 16. C b debba M non debe C R lassar mai 17. L R b ella non 19. L P aveva obligata 21. b e per il cap- pello 22. L R ella b come si debba 23. L dunque 3. E' quali errori ecc. La lacuna di errori dopo il pron. relativo ci spiega come in M abbiano fatto una giunta marginale pur che sia. Ancora mi par meglio collocato , come in B M b, subito dopo errori , perché il concetto dì passaggio e movente di questo periodo è concessivo; e ancora avrebbe qui valore di Tuttavia. 5. avessi ha per sogg. Luigi; errore di trascrizione quindi havessino. 19. data. In L P ohìigata nacque forse per amore di peregrinità, e con fede è certo più efficace ; ma più probabile criticamente e più naturale mi sembra dar la fede di fare. 10 IL PRINCIPE 17 non avere osservato alcuno di quelli termini osservati da altri che hanno preso provincie e volutole tenere. Né è miraculo alcuno questo, ma molto ordinario e ragionevole. E di questa materia parlai a Nantes con Roano, quando el Valentino, che cosi era chiamato popularmente Cesare Borgia, figliuolo di papa Alessandro, occupava la Romagna: perché, dicendomi el cardinale di Roano che li Italiani non si intendevano della guerra, io li resposi eh' e' Franzesi non si intendevano dello stato ; perché, se se n' intendessino, non lascerebbano venire la Chiesa in tanta grandezza. E per esperienzia s'è visto che la grandezza, in Italia, di quella e di Spagna è stata causata da Francia, e la ruina sua causata da loro. Di che si cava una regola generale, la quale mai o raro falla : che chi è cagione che uno diventi potente, ruina; perché quella potenzia è causata da colui o con industria o con forza ; e 1' una e 1' altra di i^ queste dua è sospetta a chi è divenuto potente. [IV] CùR Darii regnum quod Alexander occupa verat A SUCCESSORIBUS SUIS POST AlEXANDRI MORTEM NON DEFECIT. Considerate le difficultà le quali si hanno a tenere uno stato di nuovo acquistato, potrebbe alcuno maravigliarsi 20 2. E b volutele 3. B b ragionevole et ordinario R molto ragionevole 5. b cosi vulgarmente era chiamato l» figlio 6. M Lepsandro 7. b il cardinale Roano 7-9. B intendevano dello stato 8. b che i 9. B C b intendendosene 11. C R et di quella 12. C sua [è stata] causata b sua è proceduta 13. B quali L C P R di rado 14. C M P R b rovina 16. M a quello che è M R diventato 17. C Per qual causa ne i successori di Alesandro da poi la sua morte non mancò il regno di Dario che epso Alesandro haveva occupato P Per qual ca- gione el regno di Dario, il quale da Alexandre fu occupato, non si rebellò da sua subcessori dopo la morte di Alexandre b Perché il regno di Dario, da Alessan- dro occupato, non si rebellò da li successori di Alessandro doppo la morte sua 19. b in tenere 20. B e R b acquistato di nuovo 3. ordinario si oppone subito a miraculo; poi nasce in mente che è secondo ragione : non buona quindi mi sembra la collocazione di B b. 9. se se n' intendessino. Il gerundio, più spicciativo , e forse per evi- tare r alliterazione di se se n' intendessino , potè esser nato facilmente da sé in B b e in C. 12. causata, b volle variare e compiere con è proceduta; C ripete senza bisogno è stata per la vicinanza con le stesse parole. MACniAVEI,L,l 2 18 IL PRINCIPE donde nacque che Alessandro Magno diventò signore della Asia in pochi anni, e, non l' avendo appena occupata, mori ; Qonde pareva ragionevole che tutto quello stato si rebellassi; non di meno, e' successori di Alessandro se lo mantennono, 5 e non ebbono a tenerlo altra difficultà, che quella che infra loro medesimi, per ambizione propria, nacque. Respondo, come e' principati, de' quali si ha memoria, si truovano governati in dua modi diversi : o per uno principe e tutti li altri servi, e' quali, come ministri, per grazia e concessione sua, aiutono 10 governare quello regno, o per uno principe e per baroni, li quali, non per grazia del signore, ma per antiquità di sangue tengano quel grado. Questi tali baroni hanno stati e sudditi proprii, li quali li ricognoscono per signori et hanno in loro naturale affezione. Quelli stati che si governono per uno prin- 15 cipe e per servi, hanno el loro principe con più autorità; perché in tutta la sua provincia non è alcuno che riconosca per superiore se non lui; e, se obediscano alcuno altro, lo fanno come ministro et offiziale, e non li portano particu- lare amore. 20 Li esempli di queste dua diversità di governi sono, ne' no- stri tempi, el Turco et il re di Francia. Tutta la monar- 1-2. C L P E in pochi anni diventò signore della Asia 4. C R non di manco C b successori suoi R sua C mantennero 5. C hebbero b a tenerselo 6. B b per propria ambizione 8, C due b doi C L P R li quali 9. C R et per P commissione 12. M baroni stati 13. B b gli P lo ricognio- scono L P R per signore 17. M se obedissino C ad alcuno 18. b a ministro M et li porta 19. C L P R aflfectione. 20. C L P R di questi dua governi 13. li ricognoscono. La lez. di P derivò forse da signore, del protot. di C L P R, plurale dialettale per signori. 17. obediscano corrisponde a /anno; e l'imperf. soggiunt. nacque forse spontaneamente in M dalla forma ipotetica del concetto. 18. come ministro. Nel pensiero del Mach, fanno ha preso valore di obe- discano; e questo verbo, come l'affine comandare, nell'uso classico, quando indica sommissione consueta, vuole l'oggetto. Male quindi b aggiunse a, come prima C davanti alcuno. 19. amore. Nel ms. prototipo di C L P R affezione dovè sostituirsi per la uguale parola che termina il periodo precedente. Io penso che l'istin- tiva finezza del Mach, nell'uso della lingua, come prima gli avea fatto dire affezione di un sentimento naturale verso gli antichi signori, cosi ora lo induca a chiamar amore il sentimento riflesso verso i ministri del re. 20. diversità determina meglio che questi dua governi di C L P R ; né IL PRINCIPE 19 chia del Turco è governata da uno signore : li altri sono sua servi: e, distinguendo el suo regno in Sangiachi, vi manda di- versi amministratori, e li muta e varia come pare a lui. Ma el re di Francia è posto in mezzo d' una multitudine anti- quata di signori in quello stato riconosciuti da' loro sudditi 5 et amati da quelli: hanno le loro preeminenzie : non le può il re tórre loro sanza suo periculo. Chi considera adunque l'uno e r altro di questi stati, troverrà difficultà nello acquistare lo stato del Turco, ma, vinto che sia, facilità grande a tenerlo. Le cagioni delle difficultà in potere occupare el regno del Turco, io sono per non potere essere chiamato da' principi di quello regno, né sperare, con la rebellione di quelli ch'egli ha d'in- torno, potere facilitare la sua impresa : il che nasce dalle ra- gioni sopradette. Perché, sendoli tutti stiavi et obbligati, si possono con più difficultà corrompere ; e, quando bene si i5 -corrompessino, se ne può sperare poco utile, non possendo quelli tirarsi drieto e' populi per le ragioni assignate. Onde, chi as- 1. e b suoi 2, C L P R el regnio 4-5. C antiqua b antica di signori ricono- sciuti 6. M b preminentie 6-7. M le quali il re non può loro torre 8. C L P R questi dua stati L difficultà grande C L P R in acquistare 9. b è facilità C L P R ma facilità grande a tenerlo vinto che lo harà. P mantenerlo. C te- nerlo. [Cosi per adverso troverete per qualche rispetto più facilità a occupare lo stato di Francia, ma difficultà grande a tenerlo] 10. C L P R acquistare 11. b potere lo occupatore 13. C la tua 16. C L P R potendo 17. M onde che chi .... è necessario pensi b Onde a chi dà luogo ad ambiguità. Anche altrove il M. non credette inutile insistere su la diversità : p. e. al C. IX : questi dua umori diversi. 5. in quello stato è necessario compimento di antiquata. La colloca- zione, alquanto dura, fece sopprimere al b il compimento, mutare anti- quata neir affine antica, e rendere cosi meno preciso il concetto. Lo stesso costrutto si riscontra al Gap. XI : ordini antiquati nella religione. 9. vinto che sia. L'ambiguità del soggetto fece mutare al prototipo C L P R in vinto che lo harà : ma questa è lez. falsa, non solo perché vi- cinissimo e facile a intendersi sogg. è lo stato del Turco, ma più ancora perché sogg. di harà sarebbe Chi considera, il quale né acquista né tiene stato alcuno. Inutile poi e viziosa mi sembra la giunta di è innanzi a fa- cilità, che il b non intese subito oggetto di troverrà. — tenerlo. La lunga giunta marginale del C non è che inutile antici- pazione di ciò che il Mach, spiegherà ampiamente al § 4. 11. potere essere. Il b volle aggiungere il sogg. h occupatore, traendolo da occupare di sopra: ma di tali ellissi e costruzioni di pensiero il Mach. •è pieno. 17. chi assalta pensare. S' intende bene perché b abbia corretto in 20 IL PRINCIPE salta el Turco, è necessario pensare di averlo a trovare unito ; e li conviene sperare più nelle forze proprie che ne' disordini d'altri. Ma, vinto che fussi e rotto alla campagna in modo che non possa rifare eserciti, non si ha a dubitare d' altro 5 che del sangue del principe: il quale spento, non resta alcuno di chi si abbia a temere, non avendo li altri credito con li populi: e, come el vincitore, avanti la vittoria, non poteva sperare in loro, cosi non debbe, dopo quella, temere di loro. El contrario interviene ne' regni governati come quello di 10 Francia; perché con facilità tu puoi intrarvi, guadagnandoti alcuno barone del regno; perché sempre si truova de' mali- contenti e di quelli che desiderano innovare. Costoro, per le ragioni dette, ti possono aprire la via a quello stato e faci- litarti la vittoria; la quale di poi, a volerti mantenere, si tira 15 drieto infinite difficultà, e con quelli che ti hanno aiutato e con quelli che tu hai oppressi. Né ti basta spegnere el sangue del principe, perché vi rimangono quelli signori che si fanno capi delle nuove alterazioni; e, non li potendo né contentare né spegnere, perdi quello stato qualunque volta venga l'oc- 20 casione. Ora, se voi considerrete di qual natura di governi era quello di Dario, lo troverrete simile al regno del Turco ; e però ad Alessandro fu necessario prima urtarlo tutto e torli la cam- pagna: dopo la quale vittoria, sendo Dario morto, rimase ad 25 Alessandro quello stato sicuro per le ragioni di sopra discorse. E li sua successori, se fussino suti uniti, se lo potevano go- dere oziosi: né in quello regno nacquono altri tumulti, che 1. e [tutto] unito 4. b da dubitare 8. M quella sperare di loro 9. B come è 10. b facilità puoi 11. B perché si trova L M P si truovano C b mal' con- tenti 14. b da poi 15. P che tu hai aiutati 18. P capo 21. CE Se voi con- siderrete ora 22. C M ad quello del Turco 26. C b stati 27. C R secura- mente et ociosi a chi e M. in pensi: ma nello stile del Machiavelli nessun anacoluto è im- possibile. Del resto chi, come qui mi parrebbe, può ben valere se alcuno : uso elegante ben noto della lingua nostra, che sì riscontra ancora nel Principe, Gap. X, e ne' Discorsi, I, 1 e 6 : se bene poi con li conviene sì torni al costrutto ordinario del chi. 22. al regno. M e C possono casualmente essersi incontrati a ripetere il vicino quello, ossia governo, che potè anche sembrar meglio di regno. IL PEINCIPE 21 'quelli che loro propri! suscitorono. Ma li stati ordinati come quello di Francia è impossibile possederli con tanta quiete. Di qui nacquono le spesse rebellioni di Spagna, di Francia e di Grecia da^ Romani, per li spessi principati che erano in quelli stati; de' quali mentre durò la memoria, sempre ne furono e' 5 Romani incerti di quella possessione; ma, spenta la memoria di quelli, con la potenzia e diuturnità dello imperio, ne diven- torono securi possessori. E posserno anche quelli, combattendo di poi infra loro, ciascuno tirarsi drieto parte di quelle provin- cie^ secondo V autorità vi aveva presa drento ; e quelle, per 10 essere el sangue del loro antiquo signore spento, non ricono- scevano se non e' Romani. Considerato adunque queste cose, non si maraviglierà alcuno della facilità ebbe Alessandro a tenere lo stato di Asia, e delle difficultà che hanno avuto li altri a conservare lo acquistato, come Pirro e molti. Il che 15 non è nato dalla molta o poca virtù del vincitore, ma dalla disformità del subietto. 1, e L p R suscitorono loro proprii 3. b e di qui nacqueno C nacquero 4. L M a Romani 5. M b mentre che durò b sempre furono 6. B spenta quella la memoria 8. b poterono B b di poi anche quelli combattendo 9, b tra 10. C L P R preso B L P R dentro 11. C i sangui di loro antiqui signori spenti M de loro antici signori 12. M Considerate b Considerrando B C R tutte queste 13. b eh' ebbe 14. M avuti R avute 15. C per Pirro b e molti ^Itri 16. b è accaduto dalla poca o molta 17. C M difformità b suggetto 1. loro proprii. Appare evidente l'efficacia e il rilievo che risulta al- l'espressione dalla collocazione di B M b. 8. anche logicamente è attaccato subito a E posserno; e il concetto di gradazione da diventorono securi possessori a posserno tirarsi drieto non vien ritardato, come in B b da di poi, che assai meglio determina il tempo di combattendo. 11: antiquo signore. Si spiega facilmente come M e C si sieno incon- trati a mutare il sing. nel plur. parlandosi di più Provincie: ma la diver- sità medesima della correzione ci conferma questo singolare, nato dalla li- bera sprezzatura stilistica del Machiavelli. 12. Considerato anche altrove è riferito a nomi di genere e numero di- verso: al Gap. XII, p. e. mss. e stampe leggono unanimi considerato le ragioni e veduto Vorigine. Cfr. anche C. XXVI, principio. 22 IL PRINCIPE [v] QUOMODO ADMINISTRANDAE SUNT CIVITATES VEL PRINCIPATUS, >^ QUI ANTEQUAM OCCUPARENTUR SUIS LEGIBUS YIVEBANT ^ Quando quelli stati clie s' acquistano^ come è detto, sono § t * consueti a vivere con le loro legge et in libertà, a volerli 5 tenere, ci sono tre modi: el primo minarle; l'altro andarvi ad abitare personalmente; el terzo lasciarle vivere con le sua legge, traendone una pensione e creandovi dentro uno stato di pochi che te le conservino amiche. Perché, sendo quello stato creato da quello principe, sa che non può stare sanza 10 V amicizia e.potenzia sua, et ha a fare tutto per mantenerlo. E più facilmente si tiene una città usa a vivere libera con il mezzo de' sua cittadini, che in alcuno altro modo, volendola preservare. In exemplis ci sono li Spartani e li Romani. Li Spartani § 2r 15 tennono Atene e Tebe, creandovi uno stato di pochi; tamen le riperderono. Romani, per tenere Capua Cartagine e Nu- 1. e In che modo le Città o vero Principati (che prima vivevano con le loro leggi) si debbano governare, di poi che sieno occupate. P In che modo si debbino governare le città et principati li quali inanzi fussino occupati si vive- vano con le loro legge. b In che modo siano da governare le città o princi- pati, quali, prima che occupati fussino vivevano con le loro leggi. 4. P b con loro C R el secondo andarvi 5. B C P R minarli b rovinare 6. B C P R b lasciarli. 7. M cavandone M b drento 8. B e R te lo conservino amico P te li conservino amici b essendo 9. B suto creato 10. b ha da fare il tutto 12. in altro 14. b Sonoci per esempio gli 15. b tenerno C R creandovi dentro b nientedimeno 16. b perderono b I Romani P Carta- gine Capua 5-8. ruinarle. . . amiche. Se questa non fosse la lez. originale, mal si spie- / gherebbe l'accordo di L M, mss. lontani tra loro, contro gli altri, per i quali assai facile era correggere accordando le particelle pronominali con stati. Anche la diversità della correzione ultima, per cui B C K b riducono a uno solo lo stato da conservare e P si richiama al primo stati, par- rebbe dar ragione a quello che io credo probabile. Io penso, ciò è, che il Mach., dopo aver accennato agli stati conquistati in generale, civitates e principatus del titolo, si sia volto, naturalmente, e in ispecie, alle città, le quali veramente si possono minare: come appare anche dal per. terzo (r. 11) e dal § 2, dove si parla appunto di città. 16. le riperderono. Sparta veramente perdette Atene e Tebe una volta sola. Questo indusse b a stampare perderono, come unanimemente si legge IL PRINCIPE 23 manzia, le disfeciono, e non le perderono. Yollono tenere la Grecia quasi come tennono li Spartani, faccendola libera e lasciandoli le sua legge ; e non successe loro ; in modo che furono costretti disfare molte città di quella provincia, per tenerla. Perché, in verità, non ci è modo sicuro a possederle, & altro che la ruina. E chi diviene patrone di una città con- sueta a vivere libera, e non la disfaccia, aspetti di essere di- sfatto da quella; perché sempre ha per refugio, nella rebei- none, el nome della libertà e li ordini antichi sua; li quali né per la lunghezza de' tempi né per benefizii mai si dimen- io ticano. E per cosa che si faccia o si provegga, se non si disuniscano o dissipano li abitatori, non sdimenticano quel nome né quelli ordini, e subito, in ogni accidente, vi ricorrano ; come fé' Pisa dopo cento anni che ella era suta posta in servitù da' Fiorentini. Ma, quando le città o le provincie sono is use a vivere sotto uno principe, e quel sangue sia spento, sendo da uno canto usi ad obedire, dall' altro non avendo el principe vecchio, farne uno infra loro non si accordano, vi- vere liberi non sanno ; di modo che sono più tardi a pigliare l' arme ; e con più facilità se li può uno principe guadagnare, 20 et assicurasi di loro. Ma nelle repubbliche è maggior vita, 1. M et nolle bvolser tener M volsono 2. b la tennero 6. b padrone 7. C L P R disfacci 10. b per lunghezza di tempo... mai si scordano. M si di- menticano mai. 10-11. R mai si E per cosa 11. b cosa si faccia 12. B b non si dimentica L P R quello 13. b ma subito... vi si ricorre 14. b tanti anni M che era C L P R era posta b stata 16. M quello 17. b essendo da una parte . . . dall'altra 21. B e R b et assicurarsi poco appresso: ma la Crusca a npertZere attribuisce anche il significato di Perdere dopo di aver acquistato, e cita esempì a prova. 2. tennono. Secondo b, che aggiunge la, gli Spartani tennero la Gre- cia: ma il Mach, volle intendere come tennono, come seppero conservare r acquistato in generale, senza ricordare né pure Atene e Tebe. 14. cento anni non è il numero preciso, ma approssimativo; perché Pisa fu venduta da' Visconti a' Fiorentini nel 1406, e si ribellò nel 1494. Questo ci spiega la correzione di b. Anche il Nifo nel De Regnandi peritia, noto rifacimento del Principe, scrisse per centum annos. (Cfr. L. Ili, e. V). — suta mi par necessaria determinazione di posta, e dovè sfuggire al prototipo di C L P R. 21. assicurasi chiude il periodo quasi con uno scatto, ed è lezione dif- ficile, in cui non si potevano accordare da sé L P eM; com'era facile agli altri coordinare assicurarsi con guadagnare. ^4 IL PRINCIPE maggiore odio, più desiderio di vendetta ; né li lascia, né può lasciare riposare la memoria della antiqua libertà: tale che la più sicura via è spegnerle o abitarvi. [vi] De principatibus novis qui armis propriis 5 et virtute acquiruntur Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de' prin- § i cipati al tutto nuovi e di principe e di stato, io addurrò gran- dissimi esempli; perché, camminando li uomini quasi sem- pre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro 10 con le imitazioni, né si potendo le vie d'altri al tutto te- nere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche 15 odore; e fare come li arcieri prudenti; a' quali, parendo el loco dove disegnono ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere con lo aiuto di si alta 20 mira pervenire al disegno loro. Dico adunque, che ne' prin- § 2 cipati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si truova a mantenerli più o meno difficultà, secondo che più o meno è 4. C De Principati nuovi, che s' acquistano con la propria virtù et armi P Pe Principati nuovi che s' acquistano con l'arme proprie et virtuosamente b De principati nuovi che con le proprie armi e virtù s' acquistano 6. C de principi 7. C L P R, vi addurrò 10. P al tutto tenere le vie d'altri 12. b entrare 14. P ne renda almeno 17. B b arriva 18. b alto 18-19, b con la loro forza o frec- cia C frezza P freza 21. B principati nuovi b in tutto nuovi 21-22 L P R si truova più o meno difficultà 22. b difficultà a mantenerli P b più e meno 17. va. Ognun vede quanto sia proprio dire arriva della virtù degli uo- mini e va della virtù dell'arco. Falsa è dunque la lezione di B b fino a quanto arriva. 19. freccia. A che serve forza, giunta di h, che pare una chiosa? 21. tutti nuovi non parve chiaro a b, che stampò in tutto; ma, al Gap. I del Principe, mss. e stampe leggono nuovi tutti per « nuovi del tutto ». IL PRINCIPE 25 virtuoso colui che li acquista. E perché questo evento, di di- ventare di privato principe, presuppone o virtù o fortuna, pare che l'una o l'altra di queste dua cose mitighi in parte di molte difficujtà: non di manco, colui che è stato meno in sulla fortuna, si è mantenuto più. Genera ancora facilità es- sere el principe constretto, per non avere altri stati, venire personaliter ad abitarvi. Ma, per venire a quelli che per pro- pria virtù e non per fortuna sono diventati principi, dico che li più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. E, benché di Moisè non si debba ragionare, sendo suto uno mero esecutore delle cose che li erano ordinate da Dio, tamen debbe essere ammirato solum per quella grazia che lo faceva degno di parlare con Dio. Ma consideriamo Ciro e li altri che hanno acquistato o fondato regni: li troverrete tutti mirabili: e, se si considerranno le azioni et ordini loro particulari, parranno non discrepanti da quelli di Moisè, che ebbe si gran precettore. Et, esaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione, la 1. b virtuoso è Ce vento M do ventare 3. B pare l'una M P l'una et r altra B queste cose C due mitighi B b mitighino 4. C L P R b molte M nondimeno B b manco 5, M si è più mantenuto. b l'essere 7. C L P R ad abitarvi personalmente. B b personalmente b venirvi, . . ad abitare. 10. M b debbe C L P R b sendo stato 11. C L P R commesse da Dio M cose or- dinateli da Dio 11-12. b pure merita d'esser admirato solamente 13, b con- siderando.., si troveranno 14. P acquistati B L P R fondati 15. C consi- deraranno M b considereranno 16. b non parranno differenti b eh' egli ebbe 17. C vite b non si vedrà 3, l'una l'altra. Non può essere che il Mach, abbia scritto Vuna et V altra, errore facile e comune a M P ; perché Vuna et V altra sarebbero precisamente le dua cose, che è il loro compimento partitivo. 7. personaliter ad abitarvi. Della collocazione accettata raccordo di B M b mi pare sufficiente ragione. La parola latina non potè derivare al trascrittore di M da capriccio suo proprio; che anzi avrebbe dovuto pre- ferire sempre la versione volgare. È nota anche la predilezione del Mach, per queste forme latine, avanzo di un brutto vezzo curialesco. 11. che li erano ordinate. Può ben essere, o che il Mach, stesso abbia preferito commesse, o che il protot. di C L P R l'abbia preferito per amor di peregrinità; e tanto più sono in dubbio, perché B b eM s' accordano nella parola ordinate, non nel costrutto intero. Ma più naturale e proprio mi sembra « commettere l' ufficio » e « ordinare le cose ». 16. discrepanti. Mal corresse il b questo latinismo che il Mach, ripetè nella nota Novella di Belfagor Arcidiavolo e ne' Disc. 383. 26 IL PRINCIPE. quale dette loro materia a potere introdurvi drento quella forma parse loro: e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sa- rebbe venuta invano. Era dunque necessario a Moisè trovare § ^ 5 el populo d' Isdrael, in Egitto, stiavo et oppresso dalli Egizii, accio che quelli, per uscire di servitù, si disponessino a se- guirlo. Conveniva che Romulo non capissi in Alba, fussi stato esposto al nascere, a volere che diventassi re di. Roma e fon- datore di quella patria. Bisognava che Ciro trovassi e' Persi 10 malcontenti dello imperio de' Medi, e li Medi molli et effemi- nati per la lunga pace. Non posseva Teseo dimonstrare la sua virtù, se n9n trovava li Ateniensi dispersi. Queste occasioni, per tanto, feciono questi uomini felici, e la eccellente virtù loro fece quella occasione esser conosciuta; donde la loro pa- 15 tria ne fu nobilitata e diventò felicissima. Quelli li quali per vie virtuose, simili a costoro, diventono s principi, acquistono el principato con difficultà, ma con faci- lità lo tengano: e le difficultà che hanno nelP acquistare el principato, in parte nascono da' nuovi ordini e modi che 20 sono forzati introdurre per fondare lo stato loro e la loro securtà. E debbasi considerare, come non è cosa più difficile a trattare, né più dubia a riuscire, né più pericolosa a ma- neggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vec- 25 chi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbano bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversarli, che hanno le leggi dal canto loro, 2. P che parse b che allor parse 3. b si saria 5. C [inegypto] L p R di Sdrael stiavo B C b schiavo 6. C di quella servitù 7. e P R b capessi 12-13. B occasioni feciono 14. B b f e 16. B e quali 18. C L P R in acquistare 19. B C P R b nascono in parte 21. P b Et debbesi 22. B né dubia P et più dubia C al riuscire 24. L R nimico B b tutti coloro 25. P facevano bene b bene, a tiepidi 25-26. b quelli de che gli ordini 27. b le leggi in benefltio loro 5. in Egitto mi par necessaria determinazione del luogo in cui il popolo d'Israele fu schiavo, e spiega meglio seguirlo di poco appresso. 25. fanno, tempo presente, rispetto air introduttore ha per nimici e ri- spetto a farehbano, è assai più giusto che facevano di P, correzione facile e spiegabile in un trascrittore che intendesse gli ordini nuovi essere già introdotti: non solo, ma contrappone una realtà a un'ipotesi. IL PRINCIPE . 27 parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienzia. Donde nasce che, qualunque volta quelli che sono inimici hanno occasione di assaltare, lo fanno parti^ianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che insieme 5 § 6 con loro si periciita. E necessario, per tanto, volendo discor- rere bene questa parte, esaminare se questi innovatori stanno per loro medesimi, o se dependano da altri; ciò è, se per condurre 1' opera loro bisogna che preghino, o vero possono forzare. Nel primo caso capitano sempre male, e non condu- lo- cano cosa alcuna; ma, quando dependono da loro proprii e possano forzare, allora è che rare volte periclitano. Di qui nacque che tutt' i profeti armati vinsono, e li disarmati rui- norono. Perché, oltre alle cose dette, la natura de' populi è varia; et è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile i» fermarli in quella persuasione. E però conviene essere ordi- nato in modo, che, quando non credono più, si possa fare § 7 credere loro per forza. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono possuto fare osservare loro lungamente le loro constituzioni, se fussino stati disarmati ; come ne' nostri tempi 20 intervenne a Fra' Girolamo Savonerola ; il quale ruinò ne' sua ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non crederli; e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano cre- duto, né a far credere e' discredenti. Però questi tali hanno nel condursi gran difficultà, e tutti e' loro periculi sono fra 25 via, e conviene che con la virtù li superino ; ma, superati che li hanno, e che cominciano ad essere in venerazione, avendo spenti quelli che di sua qualità li avevano invidia, rimangono 2. B b una cosa nuova C vedano LPR veggono b nata esperienza fer- ma 4. b parzialmente 5. B lo fanno tepidamente 6-7. M bene discorrere 8, B dependa 9. C o vero possino 9-10. M o vero possono forzare allora è che rare volte LPR rade 13. C tutti e 14. b oltra le 15. C R et facile 18. C b fare lor credere 19. b osservare lungamente 21. M interviene b frate C M Hieronimo C H P b rovinò 23. C L P R b aveva el modo b da tener 24, B miscredenti 25. P tutti loro C L P R tra 4. partigianamente con ardore partigiano, rispetto a parzialmente di b non solo è più proprio, ma si contrappone assai bene a tepidamente del r. 5. Cosi ha maggior naturalezza il modo dal canto loro rispetto a iti benefizio loro (p. 26, 27). 28 IL PRINCIPE potenti, securi, onorati, felici. A si alti esempli io voglio aggiu- § 8 gnere uno esemplo minore; ma bene ara qualche proporzione con quelli; e voglio mi basti per tutti li altri simili; e questo è lerone Siracusano. Costui di privato diventò principe di 5 Siracusa: né ancora lui conobbe altro dalla fortuna che la occasione; perché, sendo Siracusani oppressi, lo elessono per loro capitano; donde meritò d' esser fatto loro principe. E fu di tanta virtù, etiam in privata fortuna, che chi ne scrive dice « quod nihil illi deerat ad regnandum praeter regnum ». 10 Costui spense la milizia vecchia, ordinò della nuova; lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e, come ebbe amicizie e soldati che fussino sua, posse in su tale fondamento edi- ficare ogni edificio: tanto che lui durò assai fatica in acqui- stare, e poca in mantenere. [vii] 15 De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur ' Coloro e' quali solamente per fortuna diventano di privati § i principi, con poca fatica diventano, ma con assai si manten- gano ; e non hanno alcuna difficultà fra via, perché vi volano : 20 ma tutte le difficultà nascono quando sono posti. E questi tali sono quando è concesso ad alcuno uno stato o per danari, 1. B b et felici. C R honorati securi et felici. C R exempli voglio P ag- giugnen 4-5. B Syracusano. Né anchora lui 6. b essendo li 7. C R meritò esser 8. b ancora in 9, P dice che non li mancava niente ad regniare se non il regnio b dice che niente gli mancava a regnare eccetto il regno 10. b la nuova 12. M che furono CM b suoi C R potè b possette 14. M in man- tenere lo acquistato. 15. C De' Principati nuovi che s'acquistano con fortuna et arme d'altri P De' principati nuovi che s'acquistano con le arme et fortuna di altri b De' principati nuovi che con forze d'altri et per fortuna s'acquistano 17. P li b i 19. B b difficultà alcuna C P R b tra 20. B et tucte b da poi vi son posti 21. b questi tali sono quelli a chi è concesso alcuno stato M a alcuno è concesso 9. dice « quod nihil etc. » Il passo, citato a memoria, com' è costume del Mach., è quello di Giustino, XXm, 4: prorsus ut nihil ei regium deesse, praeter regnimi, videretur. La volgarizzazione di P e b, perché disforme, ci prova che originale è la versione latina. 21. E questi tali sono quando ecc. La correzione di b sì rivela falsa, an- IL PRINCIPE 29 o per grazia di chi lo concede: come intervenne a molti in Grecia, nelle città di Ionia e di Ellesponto, dove furono fatti principi da Dario, acciò le tenessino per sua sicurtà e gloria; come erano fatti ancora quelli imperatori che, di pri- vati, per corruzione de' soldati, pervenivano allo imperio. 5^ Questi stanno semplicemente in sulla voluntà e fortuna di chi lo ha concesso loro, che sono dua cose volubilissime et instabili: e non sanno e non possano tenere quel grado: non sanno, perché, se non è uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole che, sendo sempre vissuto in privata fortuna, io sappi comandare ; non possano, perché non hanno forze che li possino essere amiche e fedeli. Di poi li stati che ven- gano subito, come tutte V altre cose della natura che na- scono e crescono presto, non possono avere le barbe e cor- respondenzie loro in modo, che '1 primo tempo avverso non i^ le spenga; se già quelli tali, come è detto, che si de repente sono diventati principi, non sono di tanta virtù, che quello 1. e da chi M interviene 2. b deirEllesponto C furo M fumo 3. H lo 4. B 1» ancora fatti 5. C di 6. C R fortuna et Ivoluntc'i 6-7. P fortuna di altri cioè di chi 1) di chi gli ha fatti grandi, che sono 8. M né possono 10. M vissuto sempre il. b avere le radici 15. R tempo non 15-16. C M adverso le spengnie P tali che come è decto si 16-17. M che si subito sono b che si in un subito sono che perché al C. xiii mss. e stampe unanimi portano V irregolare, ma popo- lare, costrutto: L' arme ausiliarie... sono quando si chiama uno ]potentc ecc. 14. barbe, anche più sotto (p. 30, 14), fu corretto da b in radici. Ma anche nelle Istorie Fiorentine II, 23 piacque al Mach, adoperare le più vol- gari e fiorentine harhe per i Fondamenti di uno stato. 16. non le spenga. Secondo C ed M, in strano accordo qui, dovrebbe leg- gersi e punteggiarsi . . . loro: in modo che el primo tempo avverso le spe- gne; e, certo, r espressione ne verrebbe più recisa e vigorosa e più rispon- dente al genio stilistico del Mach. Ma 1' altra lezione è più naturalmente portata dal costrutto non possono avere ecc. ; e la giunta del non innanzi a spegne e il mutamento di questo in spenga non possono da sé esser nati in B b da una parte, e dall'altra in ciascuno dei tre mss. L P R, il cui prototipo dev' essere comune a C. Più agevole mi sembra la generazione spontanea di le spegne in C M, per effetto di una falsa interpret. comune. — de repente. Questo latinismo, tanto più efficace di subito, forse perché poco consueto alla nostra lingua, se bene come aggettivo si trovi in Dante Inf. xxiv, 149 e nel Petrarca, p. ii, Son. 28 e Cam. 3, e come av- verbio in lacopone da Todi 6, 25, 70 e nel Davanzali Tac. Stor. 3, 68 e 4, 30, ecc., fu corretto da M e b, ma in forma differente. 30 IL PRINCIPE che la fortuna ha messo loro in grembo, e' sappino subito pre- pararsi a conservarlo, e quelli fondamenti che li altri hanno fatto avanti che diventino principi, li faccino poi. Io voglio air uno et all' altro di questi modi detti, circa § 3 5 el diventare principe per virtii o per fortuna, addurre dua esempli stati ne' di della memoria nostra : e questi sono Francesco Sforza e Cesare Borgia. Francesco, per li debiti mezzi e con una gran virtù, di privato diventò duca di Mi- lano; e quello che con mille affanni aveva acquistato, con poca 10 fatica mantenne. Dall'altra parte Cesare Borgia, chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la fortuna del padre, e con quella lo perde ; non ostante che per lui si usassi ogni opera e facessi tutte quelle cose che per uno prudente e virtuoso uomo si doveva fare , per mettere le barbe sua 15 in quelli stati che l'arme e fortuna di altri li aveva concessi. Perché, come di sopra si disse, chi non fa e' fondamenti prima, li potrebbe con una gran virtù farli poi, ancora che si fac- cino con disagio dello architettore e periculo dello edifizio. Se adunque si considerrà tutti e' progressi del duca, si vedrà ^0 lui aversi fatti gran fondamenti alla futura potenzia : li quali 1. e L P R b grembo sappino 2. b a conservare 3. C fatti 4. C et al- l' uno C R b modi circa 5. M adducere 6. b nostra : questi 8. B con una gran sua C L R con una sua gran 12. b perdette 13. b e faccessinsi 14. b dovevan P dovessino b radici 16. P fa fondamenti CU b i 17. C L P R fare poi b fare di poi 19. C b si considera M si considereranno P tutti progressi 19-20. b si vedrà quanto lui avesse fatto 20. C a la sua futura 1. e' sappino. A me pare che il pìronome, facilmente sfuggito a C L P R b, ripigli assai bene il soggetto quelli tali, e lo richiami con efficacia dopo r oggetto quello che ecc. collocato innanzi al suo verbo conservarlo. 8. con una gran virtù. La giunta di sua non solo è inutile, ma sì dì- mostra anche falsa da sé per la diversa collocazione in B e C L R. 13-14. facessi . . . doveva. La doppia correzione di b è inutile per ciò che si è avvertito al C. m, p. 9, 16 : e qui facessi potrebbe anche intendersi verbo di lui, soggetto sottinteso : né il rapido mutamento di costrutto deve meravigliare nel Mach. La lezione di P dovessino è facilmente portata dal sogg. cose e dai precedenti soggiuntivi usassi e facessi. 14. barbe. Vedi la nota precedente alla p. 29, 14. 17. farli poi. La ripetizione del vicino oggetto li, che del resto è vezzo popolare toscano frequente nel Machiavelli, avrà indotto il trascrittore del prototipo di C L P R a tralasciarlo. Fare di poi di b potrebbe anche essere •una svista tipografica. IL PRINCIPE 31 non indico superfluo discorrere, perché io non saprei quali precetti mi dare migliori a uno principe nuovo, che lo esem- plo delle azioni sua: e se li ordini sua non li profittorono, non fu sua colpa, perché nacque da una estraordinaria et § 4 estrema malignità di fortuna. Aveva Alessandro sesto, nel s voler fare grande el duca suo figliuolo, assai difficultà presenti e future. Prima, non vedeva via di poterlo fare signore di al- cuno stato che non fussi stato di Chiesa; e, volgendosi a tórre quello della Chiesa, sapeva che el duca di Milano e Viniziani non gnene consentirebbano ; perché Faenza e Rimino io erano di già sotto la protezione de' Viniziani. Vedeva oltre a questo l'arme di Italia, e quelle in spezie di chi si fussi possuto servire, essere in le mani di coloro che dovevano te- mere la grandezza del papa; e però non se ne poteva fidare, sendo tutte nelli Orsini e Colonnesi e loro complici. Era 15 adunque necessario si turbassino quelli ordini, e disordinare li stati di coloro, per potersi insignorire securamente di parte di quelli. Il che li fu facile; perché trovò Viniziani che, mossi da altre cagioni, si eron volti a fare ripassare Franzesi in Italia: il che non solamente non contradisse, ma lo fé' più 20 facile con la resoluzione del matrimonio antiquo del re Luigi. § 5 Passò adunque il re in Italia con lo aiuto de' Viniziani e 1. M io non ludico 2-3. C L P R che le actioni sua b non gli giovorno 4-5. C R extrema et extraordinaria B R Alexandro. VI." 7. e L P R vedeva di 8. M fussi della chiesa 10. C gliene 11. C b eran già 13. B b nelle 14. M gran- dezza sua e però 15. b e lor sequaci. 16. C b che si turbassero 17. b li stati d' Italia per C solamente di parte 19. M e Franzesi b i Francesi 20. b ma fece C li fé 22. B dunque 2-3. lo esempio delle azioni fa da iwecetto assai meglio che le azioni stesse: e del resto B e M non possono averlo aggiunto ugualmente e ca- pricciosamente. Forse, amore di corrispondenza tra il plurale precetti ed azioni indusse C L P K a sopprimere lo esemplo. 7. vedeva via di poterlo. Se via fosse mancato neir originale, assai pro- babilmente in B e M la giunta sarebbe nata in forma diflferente: modo o mezzo, ad esempio. Dalle mie ricerche, nell' uso popolare e letterario, ve- dere di con r inf. non mi pare che esista ; e la forma esortativa vedi di con r inf. vale più specialmente « procura di ». La lezione da me accet- tata determina meglio ciò che mancava ad Alessandro, la via, il mezzo di far grande il Valentino. Facile era del resto a C L P R omettere via, e per la vicinanza di va e per la triplice alliterazione. 32 IL PRINCIPE consenso di Alessandro: né prima fu in Milano, che il papa ebbe da lui gente per la impresa di Romagna; la quale li fu consentita per la reputazione del re. Acquistata adunque el duca la Romagna, e sbattuti e' Colonnesi, volendo mantenere 5 quella e procedere più avanti, lo 'mpedivano duacose: l'una l'arme sua che non li parevano fedeli, l'altra la voluntà di Francia; ciò è che Parme Orsine, delle quali s'era valuto, li mancassino sotto, e non solamente li 'mpedissino lo acquistare, ma gli togliessino 1' acquistato, e che il re ancora non li facessi 10 el simile. Delli Orsini ne ebbe uno riscontro, quando, dopo la espugnazione di Faenza, assaltò Bologna, che li vidde andare freddi in quello assalto; e circa el re conobbe l'animo suo, quando, preso el ducato di Urbino, assaltò la Toscana: dalla quale impresa el re lo fece desistere. Onde che il duca deli- 15 berò non dependere più dalle arme e fortuna d'altri. E, la prima cosa, indeboli le parti Orsine e Colonnese in Roma; perché tutti li aderenti loro, che fussirio gentili uomini, se li guadagnò facendoli sua gentili uomini e dando loro grandi provisioni; et onorolli, secondo le loro qualità, di condotte e 20 di governi: in modo che in pochi mesi nelli animi loro la affezione delle parti si spense, e tutta si volse nel duca. Dopo questa, aspettò la occasione di spegnere li Orsini, avendo dispersi quelli di casa Colonna ; la quale li venne bene, e lui l'usò meglio; perché, avvedutisi li Orsini, tardi, che la gran- 25 dezza del duca e della Chiesa era la loro mina, feciono una dieta alla Magione, nel Perugino. Da quella nacque la rebel- lione di Urbino e li tumulti di Romagna et infiniti periculi del duca, li quali tutti superò con lo aiuto de' Franzesi. E, 1. P fu in Italia che 4. B duca di Romagna C R b battuti 7. ìt cioè te- meva che Tarmi 11. C R lui li vidde 15. B b da la fortuna et armi 17-18. M se li guadagnino b si guadagnò 18. C gentiihomini suoi 19. C L P R b li onorò C L P R secondo le qualità loro b secondo lor 20. M si spense nelli animi loro 21. M al duca 22. B b questo C li [capi] Orsini 25. C L P R la ruina loro C feceno la dieta 27-28. M periculi li quali 28. B b superò tutti 7. ciò è che l'arme ecc. Non fu colto subito da b il valore di questa proposizione appositiva dichiarativa di l' una, V arme sua : e però aggiunse temeva, che è ben diverso da lo 'mpedivano (r. 5). 22. Dopo questa è tratto da prima cosa di sopra (r. 16): inutile quindi mi sembra la correzione del prototipo di B b in questo. IL PRINCIPE 33 ritornatoli la reputazione, né si fidando di Francia né di altre forze esterne, per non le avere a cimentare, si volse alli inganni. E seppe tanto dissimulare V animo suo, che li Orsini, mediante el signor Paulo, si riconciliorono seco; con il quale el duca non mancò d'ogni ragione di offizio per s- assicurarlo, dandoli danari veste e cavalli ; tanto che la sim- plicità loro li condusse a Sinigallia nelle sua mani. Spenti adunque questi capi, e ridotti li partigiani loro amici sua, aveva il duca gittati assai buoni fondamenti alla potenzia sua, avendo tutta la Romagna con il ducato di Urbino, parendoli, mas- io sime, aversi acquistata amica la Romagna e guadagnatosi tutti quelli populi, per avere cominciato a gustare el bene esser loro. E, perché questa parte è degna di notizia e da essere imitata da altri, non la voglio lasciare indrieto. Preso chs is- ebbe el duca la Romagna^ e trovandola suta comandata da signori impotenti, li quali più presto avevano spogliato e' loro sudditi che corretti, e dato loro materia di disunione, non di unione, tanto che quella provincia era tutta piena di latrocinii, di brighe e di ogni altra ragione di insolenzia, 2» 6. B b veste danari e cavalli 8-9. M aveva gittati el duca b gittate lò-ll. b con il Ducato di Urbino e guadagnatosi 12. b incominciato 15. b non voglio lasciarla 16. C b trovandola esser stata 17. b impotenti quali M più tosto B R spogliati 17-18. P li loro 18. B correptili b correttoli C data 18-19» b dato loro più materia di disunione che d' unione H disunione tanto che B. et non di unione 19. b era piena 20. b altra sorte 10. parendoli ecc. Al b parve forse inutile ripetizione la prop. gerundiva da parendoli a Bomagna; e uni guadagnatosi, che dipende da aversi, ad avendo, e soppresse il resto. Ma la lezione ms. corrisponde più alla verità storica, che il Mach, ben conosceva, trattandosi del Valentino: poiché questi si acquistò sopra tutto l' amore de' popoli di Romagna, fedelissimi a lui, laddove il ducato d' Urbino gli si ribellò due volte. Cfr. la nota opera del- l' Alvisi su Cesare Borgia (§ V e § VI). 16. suta comandata. L' incontro tra C e b ò casuale, avendo tutti e due voluto correggere il suto dialettale. 19. non di unione. La giunta e il mutamento del b son portati da jpm 'presto di sopra; ma, per la lacuna di M, non si può esser certi se il Mach, abbia scritto non di unione, oppure et non di unione, secondo B. Ad ogni modo la lezione unanime di C L P R mi par più vigorosa e difficile; più probabile quindi. Machiavelli 8 34 IL PRINCIPE ludico fussi necessario, a volerla ridurre pacifica et obediente al braccio regio, darli buon governo. Però vi prepose messer Remirro de Orco, uomo crudele et espedito, al quale dette pie- nissima potestà. Costui in poco tempo la ridusse pacifica et 5 unita, con grandissima reputazione. Di poi indicò el duca non essere necessario si eccessiva autorità; perché dubitava non divenissi odiosa ; e proposevi uno iudicio civile nel mezzo della provincia, con uno presidente eccellentissimo, dove ogni città vi aveva lo avvocato suo. E, perché conosceva le rigorosità 10 passate averli generato qualche odio, per purgare li animi di quelli populi e guadagnarseli in tutto, volle monstrare che, se crudeltà alcuna era seguita, non era nata da lui, ma dalla acerba natura del ministro. E, presa sopr' a questo occasione, lo fece mettere una mattina, a Cesena, in dua pezzi, in sulla 15 piazza, con uno pezzo di legno et uno coltello sanguinoso a canto. La ferocità del quale spettaculo fece quelli populi in uno tempo rimanere satisfatti e stupidi. 1. giudicò necessario 2. b darle un buon B C R buono B R b propose 3. B pienissima 4. b in breve tempo 5-6, C non iudicò el duca essere neces- sario 1) non essere a proposito 6. B necessaria 6-7. C non venisse b non diventasse odiosa, proposivi 7. C M preposevi 8. m con uno indice 8-9. B P b città aveva 11. C b volse 12-13. C L P R da una acerba 13. B b preso CPb sopra questo L M questa 14. B b in dua pezi a Cesena L P una mattina mettere a Cesena in dua pezi C R una mattina a Cesena mettere in dua pezzi 15. B legnie 6. necessario. L'accordo di M con C L P R escluderebbe necessaria di B; tanto più che spesso accade al Machiavelli considerare gli astratti femminili come neutri: p. e. ritornatoli la reputazione (p. 33 r. 1). S'intende bene che b mutò senz'altro esser necessario in essere a pro- posito per evitare la ripetizióne a breve distanza della stessa frase. 13. dalla acerba. L'artic. indeterminato di C L P R non ha ragion d'es- sere, e fu trascinato forse dal vicino alcuna di sopra e una di sotto. — sopr' a questo. Forse il vicino femminile occasione avrà indotto i trascrittori di L e M a mutare questo in questa. Ma qui il neutro mi pare risponda più al concetto del Machiavelli. 14-15. lo fece... piazza. A riordinare la lezione, troppo turbata qui, basti riflettere che a collocare mettere subito dopo fece son d'accordo B b e M contro C L P R, che rappresentano un ms. solo, e tutti convengono nel porre ima mattina, comp. di tempo, avanti il comp. di luogo, a Cesena. Il disordine avvenne, forse, per essere in dua pezzi troppo lontano dal suo verbo mettere. Evidentemente alla mente del Machiavelli si presentarono prima le generalità dell'azione, tempo e città; poi, volendo quasi porre I IL PRINCIPE 36 ^ 9 Ma torniamo donde noi partimmo. Dico che, trovandosi el duca assai potente et in parte assicurato de' presenti pe- riculi, per essersi armato a suo modo et avere in buona parte spente quelle arme che, vicine, lo potevano ojffendere, li restava, volendo procedere con lo acquisto, el respetto del re di Francia; 5 perché conosceva come dal re, il quale tardi s' era accorto dello errore suo, non li sarebbe sopportato. E cominciò per questo a cercare di amicizie nuove, e vacillare con Francia, nella ve- nuta che feciono Franzesi verso el regno di Napoli , contro alli Spagnoli che assediavono Gaeta. E l'animo suo era assicu- 10 rarsi di loro: il che li sarebbe presto riuscito, se Alessandro viveva. E questi furono e' governi sua quanto alle cose pre- ;§ 10 senti. Ma, quanto alle future, lui aveva a dubitare in prima che uno nuovo successore alla Chiesa non li fussi amico, e cer- cassi torli quello che Alessandro li aveva dato : e pensò farlo i5 in quattro modi: prima di spegnere tutti e' sangui di quelli signori che lui aveva spogliati, per tórre al papa quella occa- sione; secondo, di guadagnarsi tutti e' gentili uomini di Roma, come è detto, per potere con quelli tenere el papa in freno ; terzio, ridurre el Collegio più suo che poteva; quarto, acqui- 20 stare tanto imperio, avanti che il papa morissi, che potessi per sé medesimo resistere a uno primo impeto. Di queste quattro cose, alla morte di Alessandro, ne aveva condotte tre; la quarta aveva quasi per condotta : perché, de' signori spo- gliati ne ammazzò quanti ne posse aggiugnere, e pochissimi 25 4, R spento 5. B b el respetto di Francia 6. b che dal re L da re b s' era avveduto 8. b cercare amicizie 9. b feceno i 10. M obsidiavano b di assicurarsi 11. M el che b il che già saria 12. C b suoi b circa le cose 13. b da dubitare 16. b con spegnere P tutti sangui 17. b spo- gliato b quelle occasioni 18. b con guadagnarsi 18-19. C R Roma per po- tere 19. B b per potere con quelli et come è detto, tenere el papa 20. b con ridurre P potessi B posseva b con acquistare 21-22. M potessi resistere 23. P condotto 25. C R b potè M posseva 8ott' occhio lo spettacolo sanguinoso, precisò in dua pezzi, in sulla piazza, con uno pezzo. . . uno coltello ecc. 16. di spegnere. La stampa, avendo riguardo a' quattro modi, corresse di in con quattro volte: ma la quadruplice unanimità de' mss. ci prova che il Mach, non badò a' modi, ma a pensò di poco innanzi. 36 IL PRINCIPE si salvorono; e' gentili uomini romani si aveva guadagnati, e nel Collegio aveva grandissima parte; e, quanto al nuovo acquisto, aveva disegnato diventare signore di Toscana, e possedeva di già Perugia e Piombino, e di Pisa aveva presa 6 la protezione. E, come non avessi avuto ad avere respetto § li a Francia, (che non gnene aveva ad avere più, per essere di già Franzesi spogliati del Regno dalli Spagnoli, di qualità che ciascuno di loro era necessitato comperare V amicizia sua), e' saltava in Pisa. Dopo questo^ Lucca e Siena cedeva subito, 10 parte per invidia de' Fiorentini, parte per paura; Fiorentini non avevano remedio: il che se li fussi riuscito (che li riu- sciva l'anno medesimo che Alessandro mori), si acquistava tante forze e tanta reputazione, che per sé stesso si sarebbe retto, e non sarebbe più dependuto dalla fortuna e forze , 15 d'altri, ma dalla potenzia e virtù sua. Ma Alessandro mori ¦ dopo cinque anni che elli aveva cominciato a trarre fuora la spada. Lasciollo con lo stato di Romagna solamente assoli- dato, con tutti li altri in aria, infra dua potentissimi eserciti 1, L P R e gentili homini si aveva b guadagnato 3. C R aveva deliberato 4, b possedeva già P preso 5. b avuto aver 6. M che non li havea ad avere più respetto b che non gliene avea d' avere B havere per essere 6-7. b esser gih i 7. B b del regno di Napoli 7-8. b in forma che ciascuno 8. B comparare b di comperare 8-9. B b sua saltava 10. b e parte 11-12. M che r anno medesimo gli riusciva 14. B b retto sanza dependere dalla fortuna P sarebbe dependuto b o forza 15. b ma solo dalla 16. b incominciato 1. romani in C è giunta marginale, e forse al trascrittore del prototipo di C L P R parve inutile ripetizione de' gentiluomini di Roma di sopra. 7. di qualità che. Non s'intende perché b abbia voluto in forma che^ più tosto che di qualità che, trovandosi questo modo consecutivo ne' Di- scorsi I, 1 e 2 e altrove. 9. e' saltava. Al prototipo di B b il pronome dev' essere caduto giù dalla penna; ma questo ripiglia cosi bene il soggetto principale dopo la lunga enumerazione e la complicata parentesi, che, a mio credere, non po- teva mancare nell' originale. 15. e non sarebbe più dependuto. Forse la rip. di sarebbe, forse il par- ticipio dependuto non molto dell' uso, fece mutare al prototipo di B b in senza dependere. Cosi, non solo si sarebbe perduto il rilievo che il Mach, volle dare tanto al reggersi da solo, quanto al non dipendere piti da nes- suno, ma ne sarebbe derivato anche il difetto della poco logica unione di ma dalla ecc. al resto. Si dovrebbe infatti sottintendere, ma, senza dipen- dere dalla potenzia ecc. IL PRINCIPE 37 , 12 inimici, e malato a morte. Et era nel duca tanta ferocia e tanta virtù, e si bene conosceva come li uomini si hanno a guadagnare o perdere, e tanto erano validi e' fondamenti che in si poco tempo si aveva fatti, che, se non avessi avuto quelli eserciti addosso, o lui fussi stato sano, arebbe retto a 5 ogni difficultà. E eh' e' fondamenti sua fussino buoni, si vidde : che la Romagna l'aspettò più d'uno mese; in Roma, ancora che mezzo vivo, stette sicuro, e, benché Ballioni, Vitelli et Orsini venissino in Roma, non ebbono séguito contro di lui; posse fare, se non chi e' volle, papa, almeno che non fussi io chi non voleva. Ma, se nella morte di Alessandro fussi stato sano, ogni cosa li era facile. E lui mi disse, ne' di che fu creato lulio secondo, che aveva pensato a ciò che potessi na- scere morendo el padre, et a tutto aveva trovato remedio, ec- cetto che non pensò mai, in su la sua morte, di stare ancora is lui per morire. 13 Raccolte io, adunque, tutte le azioni del duca, non saprei riprenderlo, anzi mi pare, come ho fatto, di preporlo imita- 1. b inimici, ammalato C M ferocità 2. b s'abbino 3. B li 4. B M che si aveva facti 5. C L P R b o fussi B retto ogni 6. M si vede 8. b mezzo morto 8-9. B Vitelli Orsini 10. C chi volse P R chi volle 10-11. b Potè fare se non chi egli volle, almeno che non fusse papa chi egli non voleva 13. M b pensato a tutto quello che M poteva 17. b Raccolto adunque tutte queste azioni M saperrei 18. B b come io ho B proporlo b ad imitar 1. ferocia. Da' mss. non si può trarre qual sia qui la vera lezione, es- sendo facilissimo lo scambio tra ferocia e ferocità, e trovandosi le due pa- role indifferentemente adoperate dal Machiavelli. Forse, si dovrebbe esclu- dere ferocità, troppo comune nel primo Cinquecento rispetto a ferocia, e portata da C M, mss. troppo guasti e scorretti. 4. in si poco tempo manca in B M. Donde lo trasse b? dal prototipo B b, da mss. di altra famiglia? Al concetto non sarebbe strettamente ne- -cessario: solo lo compie meglio. 5. lui, comune a B e M, qui mi pare determini meglio il concetto, volendo, forse, il Mach, notare che, se non Alessandro, almeno lui fosse stato sano. 13. a ciò che potessi. È probabile che M e b si sieno casualmente in- contrati nella giunta di tutto, tratto dal rigo seguente; ma io credo certo che il Mach, scrisse a ciò che ; perché il Valentino non aveva in realtà pas- sato a tutto, ma rimediato solo a tutto ciò che aveva pensato. 18. imitabile. Il costrutto troppo latino fece mutare a b in ac? imitar. Anche ne' Discorsi 1, 3 si legge: sopportabili da qualunche. 38 IL PRINCIPE bile a tutti coloro che per fortuna e con l'arme d'altri sono ascesi allo imperio. Perché lui, avendo l'animo grande e la sua intenzione alta, non si poteva governare altrimenti; e solo si oppose alli sua disegni la brevità della vita di Ales- 5 Sandro e la malattia sua. Chi adunque indica necessario nel suo principato nuovo assicurarsi de' nimici, guadagnarsi delli amici, vincere o per forza o per fraude , farsi amare e te^ mere da' populi, seguire e reverire da' soldati, spegnere quelli che ti possono o debbono offendere, innovare con nuovi modi 10 li ordini antichi, essere severo e grato, magnanimo e liberale, spegnere la milizia infidele, creare della nuova, mantenere l'amicizie de' re e de' principi, in modo che ti abbino o a benificare con grazia o offendere con respetto, non può tro- vare e' pili freschi esempli che le azioni di costui. Solamente 15 si può accusarlo nella creazione di lulio pontefice, nella quale lui ebbe mala elezione; perché, come è detto, non possendo fare uno papa a suo modo, poteva tenere che uno non fussi papa; e non doveva mai consentire al papato di quelli car- dinali che lui avessi offesi, o che, diventati papi, avessino 20 ad avere paura di lui. Perché li uomini offendono o per paura o per odio. Quelli che lui aveva offesi, erano, infra li altri. San Piero ad Vincula, Colonna, San Giorgio, Ascanio; tutti li altri, divenuti papi, aveano a temerlo, eccetto Roano e li Spagnoli, questi per coniunzione et obligo, quello per po- 25 tenzia, avendo coniunto seco el regno di Francia. Per tanto 1-2. ì> sono saliti 4. C b suoi 4-5. P della vita del padre e la 5. b e la sua infìrmità. 6-7. b guadagnarsi amici 7. C vincere [o forzare] o per forza 8-9. P spegnere che ti possino 9-10. P con nuovi ordini li ordini li. M creare della fedele e nuova b mantenersi 12.M de principali b delli principi b abbino a 13. P benificare o offendere b o ad 13-14. C R b trovare più 14. B li più 15. B b Tulio secondo ne la quale 16. C il duca ebbe M intentio electione 18. b acconsentire mai 19. b diventati pontefici 20. B P offendano 21. B b fra 22. B b Pietro 23. b altri assunti al pontificato avevan da temerlo L M R papa 24. M per convenzione 5. malattìa sembrò troppo volgare a b, che le sostituì la più nobile e curiale infìrmità. 11. della nuova. M aggiunse fedele, forse per corrispondenza con infi- dele di poco prima: ma la lacuna non può essere comune a tutti i rass. 23. divenuti papi. Osserva la pedantesca correzione di b, tanto studioso- di evitare le ripetizioni di ogni sorta. IL PRINCIPE 39 el duca, innanzi ad ogni cosa, doveva creare papa uno spa- gnolo, e, non potendo, doveva consentire che fussi Roano e non San Piero ad Vincula. E chi crede che ne' personaggi grandi e' benefizii nuovi faccino dimenticare le iniurie vecchie, s' inganna. Errò adunque el duca in questa elezione, e fu ca- 5 gione dell' ultima ruina sua. [vili] De his qui per sgelerà ad principatum pervenere § 1 Ma, perché di privato si diventa principe ancora in dua modi, il che non si può al tutto o alla fortuna o alla virtù attribuire, non mi pare da lasciarli indrieto, ancora che del- io l' uno si possa più diffusamente ragionare dove si trattassi delle repubbliche. Questi sono quando, o per qualche via scel- lerata e nefaria si ascende al principato, o quando uno pri- vato cittadino con il favore delli altri sua cittadini diventa principe della sua patria. E, parlando del primo modo, si is monstrerrà con dua esempli, uno antiquo, l'altro moderno, sanza intrare altrimenti ne' ineriti di questa parte, perché io iudico che basti, a chi fussi necessitato, imitargli. § 2 Agatocle siciliano, non solo di privata fortuna, ma di infima et abietta, divenne re di Siracusa. Costui, nato d'uno figulo, 20 tenne sempre, per li gradi della sua età, vita scellerata : non di 3. B b Pietro 4. M e nuovi benefizii 4-5. P le iniurie s' inganna 5. M la quale fu potissima cagione 7. M pervenerunt C Di quelli che per Tirannia sono fatti principi P Di quelli che per scelleratezze hanno acquistato principati b Di quelli che per sceleratezze sono pervenuti al principato 8-9. b ancora in dui modi principe 16. C L P R b r uno 17. c b senza B b entrare 18. b giudico che bastino C L P R iudico a chi fussi necessitato che basti C imitarlo 19. M ma infima 19-20. B b di privata ma d'infima et abiecta fortuna 20. B diventò b orcio- laio 21. R gradi della sua vita scelerata vita b gradi della sua fortuna 21. età. Facilissimo è lo scambio tra vita ed età, di R, anche per la stessa parola accanto. Ma b, correggendo età in fortuna, attribuì al Mach, un errore storico ; poiché Agatocle, pervenuto al principato, ultimo grado della sua fortuna non tenne vita scellerata: la quale però àvea tenuto per i gradi della sua età, nella fanciullezza e nella giovinezza. E basta guar- dare alla fonte, da cui il Mach, derivò il racconto, come dimostrò il Burd^ 40 IL PRINCIPE manco, accompagnò le sua scelleratezze con tanta virtii d'animo e di corpo, che, voltosi alla milizia, per li gradi di quella, per- venne ad esser pretore di Siracusa. Nel quale grado sendo con- stituito, et avendo deliberato diventare principe e tenere con ò violenzia e sanza obligo d' altri quello che d' accordo li era suto concesso, et avuto di questo suo disegno intelligenzia con Amilcare cartaginese, il quale con li eserciti militava in Si- cilia, raunò una mattina el populo et il senato di Siracusa, come se elli avessi avuto a deliberare cose pertinente alla 10 repubblica : et ad uno cenno ordinato fece da' sua soldati uccidere tutti li senatori e li più ricchi del populo. Li quali morti, occupò e tenne el principato di quella città sanza al- cuna controversia civile. E, benché da' Cartaginesi fussi dua volte rotto et demum assediato, non solura posse defendere 15 la sua città, ma, lasciato parte delle sua gente alla difesa della ossidione, con le altre assaltò l'Affrica, et in breve tempo liberò Siracusa dallo assedio, e condusse Cartaginesi in estrema necessità: e furono necessitati accordarsi con quello, 2. e R rivoltosi 3. B b essendo constituto 4. b voler diventar 6. C b stato 8. b congregò C R il senato et il populo 9. C appartenenti IL B tucti e 14. P et finalmente b et ultimamente B C L R b non solamente 15. B gente difesa 15-16. C R b alla difesa di quella, con M gente alla sua ciptà con le altre 16. P assaltò con le altre 18. C R per il che furono M in modo che furono b quali fumo B fumo b ad accordarsi con quello, ad esser Vili, p. 231. Giustino difatti al libro XXII, narra : « Agathocles... in Si- cilia patre figulo natus, non honestiorem pueritiani, quam principia origi- nÌ8 habuit ». La pueritia è uno de' gradì dell' età. La identica lezione nostra dovette avere innanzi a sé il Nifo, dove tradusse (op. cit. L. I, e. v.): « Agathocles patre figulo natus... per suae aetatis gradus scraper seelerate vixit ». 14. et demum... non solum. Le lezioni latine non possono essere che le originali del Mach.: ne sia prova anche il differente volgarizzamento di P e b, e l'accordo di P e M, mss. di famiglie diverse. 15. alla difesa delia ossidione, che vai quanto « a difèndere la città dal- l'assedio », tra per il latinismo, tra per la frase difficile, fu corretta, infe- licemente da M, abbastanza bene da C R b: ma il disaccordo della cor- rezione e l'accordo di B e L P nella lezione difficile ci è sufficiente ga- ranzia della sua bontà. 18. e furono necessitati. Il concetto è di sua natura consecutivo, e in- timamente legato al resto : questo ci spiega le tre difl'erenti correzioni di C R in per il che, di M in in modo che, di b in quali. Ma chi sia per poco esperto del genio stilistico del Mach, conosce bene che egli non sempre, IL PRINCIPE 41 esser contenti della possessione di Affrica et ad Agatocle lasciare la Sicilia. Chi considerassi adunque le azioni e virtù di costui, non vedrà cose, o poche, le quali possa attribuire alla fortuna; con ciò sia cosa, come di sopra è detto, che non per favore d'alcuno, ma per li gradi della milizia, li quali 5 con mille disagi e periculi si aveva guadagnati, pervenissi al principato^ e quello di poi con tanti partiti animosi e peri- culosi mantenessi. Non si può ancora chiamare virtù ammaz- zare li sua cittadini, tradire li amici, essere sanza fede, sanza pietà, sanza relligione ; li quali modi possono fare acquistare 10 imperio, ma non gloria. Perché, se si considerassi la virtù di Agatocle nello intrare e nello uscire de' periculi, e la gran- dezza dello animo suo nel sopportare e superare le cose av- verse, non si vede perché elli abbia ad essere indicato infe- riore a qualunque eccellentissimo capitano. Non di manco, la 15 sua efferata crudelità et inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia infra li eccellentissimi uomini cele- brato. Non si può adunque attribuire alla fortuna alla virtù quello che sanza Tuna e l'altra fu da lui conseguito. Ne' tempi nostri, regnante Alessandro VI, Oliverotto Fir- 20 miano, sendo più anni innanzi rimaso piccolo, fu da uno suo zio materno, chiamato Giovanni Fogliani, allevato, e ne' primi tempi della sua gioventù dato a militare sotto Paulo Vitelli, acciò che, ripieno di quella disciplina, pervenissi a qualche eccellente grado di milizia. Morto di poi Paulo, militò sotto 25 3. b vedria R cosa C L P R che possa 4. ìt con ciò sia che 5. ìt milizia quali 7. B b animosi partiti R pericoli si 13. P sopportare le cose 14-15. b esser tenuto inferiore a qualsisia 16. P crudeltà con infinite 17-18. b huomini. Non si può 20. P b da Fermo 21. b essendo più anni adrieto C piccolo [senza padre] 21. B pieno 25. b grado eccellente B Morto poi rade volte anzi, esprime pienamente i legami, i nessi subordinati corre- lativi tra concetto e concetto; e in generale, fuorché nelle Istorie fioren- tine, egli predilige la forma coordinata. 17-18. celebrato manca in b; ma è necessario compimento del concetto; e non manca né pure nella Giuntina. 20. Firmiano. Casuale mi sembra l'incontro di P e b; la forma latineg- giante è più sicura del Mach. 21. rimaSD piccolo. La giunta marginale del C è come una chiosa, punto necessaria: sMntende chiaramente che Oliverotto rimase orfano da piccolo. 42 IL PRINCIPE Vitellozzo suo fratello; et in brevissimo tempo, per essere ingegnoso e della persona e dello animo gagliardo, diventò el primo uomo della sua milizia. Ma, parendoli cosa servile lo stare con altri, pensò, con lo aiuto di alcuni cittadini di Fermo, 5 a' quali era più cara la servitù che la libertà della loro patria^ e con il favore vitellesco, di occupare Fermo. E scrisse a Giovanni Fogliani come, sendo stato più anni fuora di casa, voleva venire a vedere lui e la sua città, et in qualche parte riconoscere el suo patrimonio: e, perché non s'era affaticato per 10 altro che per acquistare onore, acciò eh' e' sua cittadini ve- dessino come non aveva speso el tempo in vano, voleva ve- nire onorevole et accompagnato da cento cavalli di sua amici e servitori: e pregavalo fussi contento ordinare che da' Fir- miani fussi ricevuto onoratamente: il che non solamente tor- 15 nava onore a lui, ma a sé proprio, sendo suo allievo. Non mancò, per tanto, Giovanni di alcuno offizio debito verso el nipote; e, fattolo ricevere da' Firmiani onoratamente, si al- loggiò nelle case sua: dove, passato alcuno giorno, et atteso ad ordinare quello che alla sua futura scelleratezza era ne- 20 cessario, fece uno convito solennissimo, dove invitò Giovanni Fogliani e tutti li primi uomini di Fermo. E, consumate che furono le vivande e tutti li altri intrattenimenti che in simili conviti si usano, Oliverotto, ad arte, mosse certi ragionamenti gravi, parlando della grandezza di papa Alessandro e di Ce- 25 sare suo figliuolo, e delle imprese loro. A' quali ragiona- menti respondendo Giovanni e li altri, lui ad un tratto si 2. H gagliardo in breve tempo diventò 3. b de' primi uomini 7. R casa sua, 12. b onorevolmente 13. M b che fussi 13-14. B b onoratamente da' Firmani 14. M onorevolmente 17. b, alloggiò 19. C sua sceleratezza 20. P convitò 21-22. b Et avuto che ebbero fine le vivande 23. b conviti si fanno, C L P R mosse ad arte 24-25. P Cesare Borgia suo 25. b suo figlio b A li 26. b egli a un tratto 3. el primo uomo non diventò veramente Oliverotto: e b corresse l'esa- gerazione, che è difetto solito al Mach., come notò il Villari, e come si rileva dalle sue opere. 23. ad arte. La collocazione di questo inciso secondo B M b gli dà ri- lievo ; e la sua importanza sfuggirebbe a chi leggesse di séguito mosse ad arte secondo C L P R. IL PRINCIPE 43 rizzò, dicendo quelle essere cose da parlarne in loco più se- creto ; e ritirossi in una camera, dove Giovanni e tutti li altri cittadini li andorono drieto. Né prima furono posti a sedere, che de' luoghi secreti di quella uscirono soldati, che ammaz- zorono Giovanni e tutti li altri. Dopo il quale omicidio, montò 5- Oliverotto a cavallo, e corse la terra, et assediò nel palazzo el supremo magistrato ; tanto che per paura furono constretti obbedirlo e fermare uno governo, del quale si fece principe. E, morti tutti quelli che, per essere malcontenti, lo potevono offendere, si corroborò con nuovi ordini civili e militari; in io modo che, in spazio d* uno anno che tenne el principato, lui non solamente era sicuro nella città di Fermo, ma era diventato pauroso a tutti li sua vicini. E sarebbe suta la sua espugnazione difficile, come quella di Agatocle, se non si fussi suto lasciare ingannare da Cesare Borgia, quando a Si- i^ nigallia, come di sopra si disse, prese li Orsini e Vitelli ; dove, preso ancora lui, in uno anno dopo el commisso parricidio, fu, insieme con Yitellozzo, il quale aveva avuto maestro delle virtù e scelleratezze sua, strangolato. Potrebbe alcuno dubitare donde nascessi che Agatocle et 20 alcuno simile, dopo infiniti tradimenti e crudeltà, posse vi- vere lungamente sicuro nella sua patria e defendersi dalli inimici esterni, e da' sua cittadini non li fu mai conspirato 1. M dicendo che quelle erono cose C da ragionarne in luogo 1-2. R par- larne più in secreto 1) in più secreto loco 9. P E, morto 11-12. P principa- to, era non solamente sicuro in Fermo 12. B b non solamente lui era securo 13. b diventato formidabile a tutti L M P tutti sua C b stata 14-15. C M P b se non si fussi lasciato ingannare 17. b lui un anno 21. C potessi b potette 15. si fussi suto lasciare ingannare dev'essere la lez. originale, e non si fussi lasciato ingannare, facile correzione di C M P b; che, altrimenti, non si spiegherebbe come il suto sia entrato in mss. di famiglie diverse, B e L R, né com' essi abbian conservato il difficile costrutto. Del quale, per altro, Grammatiche e Dizionari non danno esempio corrispondente : vi si accosta il Boccaccio nel Dee. Nov. 16, dove scrisse : « se io avessi creduto che conceduto mi dovessi esser suto ». Ma quel lasciare è attrazione dell' inf. seguente ? e il dialetto toscano ne ha ne aveva esempi ? ovvero tutta la frase è uscita di getto dalla sola penna del Mach. ? Certo è che tale co- strutto si riscontra nella lingua tedesca, che con l'inf., anzi che il participio, unisce l'inf. di certi verbi, quali lassen, sollen, ivollen ecc. 44 IL PRINCIPE I I contro: con ciò sia che molti altri, mediante la crudeltà, non abbino, etiam ne' tempi pacifici, possiito mantenere lo statO; non che ne' tempi dubbiosi di guerra. Credo che questo avvenga dalle crudeltà male usate o bene usate. Bene usate 5 si possono chiamare quelle (se del male è licito dire bene) che si fanno ad un tratto, per necessità dello assicurarsi, e di poi non vi si insiste dentro, ma si convertiscono in più utilità de' sudditi che si può. Male usate sono quelle le quali, ancora che nel principio sieno poche, più tosto col tempo IO crescono che le si spenghino. Coloro che osservano el primo modo, possono con Dio e con li uomini avere allo stato loro qualche remedio; come ebbe Agatocle. Quelli altri è impos- sibile si mantenghino. Onde è da notare che, nel pigliare uno § 8 stato, debbe 1' occupatore di esso discorrere tutte quelle of- 15 fese che li è necessario fare, e tutte farle a un tratto per non le avere a rinnovare ogni dì, e potere, non le innovando, assicurare li uomini e guadagnarseli col benificargli. Chi fa altrimenti, o per timidità o per mal consiglio, è sempre ne- cessitato tenere el coltello in mano; né mai può fondarsi 20 sopra li sua sudditi, non si potendo quelli per le fresche e continue iniurie assicurare di lui. Perché le iniurie si deb- bono fare tutte insieme, acciò che, assaporandosi meno, of- fendino meno : e' benefizii si debbono fare a poco a poco, 1. e L R con ciò sia cosa che 2. b non abbin mai possuto ancor ne' tempi pacifici mantenere 3. C et di guerra 4. C L P R bene usate o male usate. M bene. Bene b male o bene usate, 6. b si fanno una sol volta, 7. M convertono 8. b Le male usate son quelle quali 9. b da principio 9-10. B C R b crescono più tosto 10. B che si b osservaranno quel primo 11. b al stato suo avere 13. b che si 14-16. b discorrere e far tutte le crudeltà in un tratto e per non avere a ritornarvi ogni di e per poter non V innovando 15. B necessitato fare 16. B ad ritornarvi ogni B con le 17. e b con be- neficarli 19. B b si può fondare C R né può mai fondarsi 20. B sopra sua 20-21. B b continue e fresche 21. P debbano 4. male usate o bene usate. B b e M son d'accordo nel collocare prima male e poi bene : B si accorda con C L P R ne' due usate \ uno de' quali, ma non il medesimo, fu soppresso da M e b, appunto per evitare la ripet. 16. le avere a rinnovare. Io credo che il prot. dì B b abbia corretto in a ritornarvi per il successivo non le innovando. La lunga correzione di b sarà probabilmente derivata dalle rip. del concetto di necessità e della pa- rola fare, e dalle offese che non pareva rispondessero bene a crudeltà. IL PRINCIPE 45 acciò che si assaporino meglio. E debbe sopr' a tutto uno principe vivere con li sua sudditi in modo, che veruno acci- dente di male o di bene lo abbia a far variare : perché, venendo per li tempi avversi le necessità, tu non se' a tempo al male, et il bene che tu fai non ti giova, perché è indi- 5 cato forzato, e non te n' è saputo grado alcuno. [IX] De PRINCIPATU CIVILI Ma, venendo all'altra parte, quando uno principe citta- dino, non per scelleratezza o altra intollerabile violenzia, ma con il favore delli altri sua cittadini diventa principe della io sua patria, il quale si può chiamare principato civile, (né a pervenirvi è necessario o tutta virtii o tutta fortuna, ma più presto una astuzia fortunata), dico che si ascende a questo prin- cipato o con il favore del populo o con il favore de' grandi. Perché in ogni città si truovano questi dua umori diversi; e i5 nasce da questo, che il populo desidera non essere coman- dato né oppresso da' grandi, e li grandi desiderano coman- dare et opprimere el populo : e da questi dua appetiti diversi nasce nelle città uno de' tre effetti, o principato o libertà o licenzia. 20 1. B e L R ad ciò si b deve B sopra di P sopra tutto 2. ì> nessuno 4. b la necessità 6. b e non grado alcuno ne riporti. 7. C P b Del principato civile 9-10. M sceleratezza ma con il favore 13. b al 14. B M o con quello de' grandi. 16. b e nascon 16-17. L P R coman- dato et li grandi 17. M et oppresso C [né oppresso] 19. b surge B nella 14. con il favore. Mi sembra assai più probabile che B e M si siano casualmente incontrati a sostituire quello, per evitare la ripetizione ; la quale di solito al Mach, non dispiace punto. 17. né oppresso, giunta marginale in C, tratta forse dal concetto stesso, non può essere derivato arbitrariamente anche a B ed M: poiché, non solo ne è compiuta T antitesi con comandare et opprimere, ma ne viene a non esser taciuto, de' due concetti di comandare ed opprimere^ quello appunto su cui il Mach, insiste di più. Poco oltre, difatti, egli ripete: volendo questi opprimere e quello non essere oppresso (cfr. p. 46, r. 18-19) : e più avanti non domandando lui se non di non essere oppresso (cfr. p. 47, r. 22). 46 IL PRINCIPE El principato è causato o dal populo o da' grandi , se- § 2 condo che 1' una o V altra di queste parte ne ha occasione ; perché, vedendo e' grandi non potere resistere al populo, co- minciano a voltare la reputazione ad uno di loro, e fannolo 5 principe, per potere sotto la sua ombra sfogare V appetito loro. El populo ancora, vedendo non potere resistere a' grandi, volta la reputazione ad uno, e lo fa principe, per essere con la autorità sua difeso. Colui che viene al principato con lo aiuto de' grandi, si mantiene con più difficultà che quello 10 che diventa con lo aiuto del populo; perché si truova prin- cipe con di molti intorno, che li paiano essere sua eguali, e per questo non li può né comandare né maneggiare a suo modo. Ma colui che arriva al principato con il favore popu- § 3 lare, vi si truova solo, et ha intorno o nessuno o pochissimi 15 che non sieno parati ad obedire. Oltre a questo, non si può con onestà satisfare a' grandi e sanza iniuria d' altri, ma si bene al populo; perché quello del populo è più onesto fine che quello de' grandi, volendo questi opprimere e quello non essere oppresso. Preterea, del populo inimico uno principe 20 non si può mai assicurare, per esser troppi ; de' grandi si può assicurare, per esser pochi. El peggio che possa espet- tare uno principe dal populo inimico, è lo essere abbandonato da lui; ma da' grandi, inimici, non solo debbe temere di essere abbandonato, ma etiam che loro li venghino contro; 25 perché, sendo in quelli più vedere e più astuzia, avanzono 2. B b la occasione 4. b lo fanno 5. B e R b r ombra sua C L P R el loro appetito. 6. b alli 6-7. b ancora volta la riputazione a un solo vedendo 7. C reputazione sua 11. B C equali 11-12. b che a loro pare esser equali a lui, per questo 12. B b né maneggiare né comandare 14-15. M o pochissimi o nessuno che non fussino 17-18. B al populo perché quello de' grandi 19. b Aggiungesi ancora che del C d' uno popolo b il principe 19-20. M non si può mai uno principe 21. b aspettar 24. L ma che loro P R ma che li venghino B ma che etiam b ma che ancor loro 25. b essendo 11. che li paiano ecc. Il b, correggendo, travolse il concetto: a dir vero, se il principe non può comandare su que' grandi, gli è perché a lui sem- brano eguali: poco varrebbe, se questa opinione fosse loro, de' grandi stessi. 24. etiam mi par necessario, per corrispondenza con non solo; la collo- cazione differente nel protot. di B b può essere casuale, o portata da falsa interpretazione. del concetto. IL PRINCIPE 47 sempre tempo per salvarsi, e cercone gradi con quello che sperano che vinca. E necessitato ancora el principe vivere sempre con quello medesimo populo ; ma può ben fare sanza quelli medesimi grandi, potendo farne e disfarne ogni di, e torre e dare, a sua posta, reputazione loro. 5 E, per chiarire meglio questa parte, dico come e' grandi si possono considerare in dua modi principalmente. si go- vernano in modo col procedere loro che si obbligano in tutto alla tua fortuna, o no: quelli che si obbligano, e non sieno rapaci, si debbono onorare et amare; quelli che non si ob- 10 bligano si hanno ad esaminare in dua modi. fanno questo per pusillanimità e defetto naturale d' animo : allora tu ti debbi servire di quelli massime che sono di buono consiglio, perché nelle prosperità te ne onori, e nelle avversità non hai da te- merne. Ma, quando non si obbligano ad arte e per cagione i5 ambiziosa, è segno come pensono più a sé che a te; e da quelli si debbe el principe guardare, e temerli come se fus- sino scoperti inimici, perché sempre, nelle avversità, aiuteranno minarlo. Debbe, per tanto, uno che diventi principe mediante el fa- 2a vore del populo, mantenerselo amico: il che li fia facile, non domandando lui se non di non essere oppresso. Ma uno che 4. M fare e disfare 5. b dare quando li piace reputazione 7. C L P R b si debbono considerare b principalmente, cioè si governano 7-8. C O si proce- dono in modo 8-9. M alla tua fortuna col procedere loro 11. C L P R b si hanno ad considerare 12. B b allora ti debbi 13. b servir di loro et di quelli 14. M et non hai nelle adversità B b temere 15. M per arte 16. b e' pen- sano 17. b guardare tenergli 18-19. b l'aiuteranno rovinare. 19. B ad ruinarlo. 20. b diventa b per favore 5. a sua posta. Non s'intende perché b abbia mutato in quando li piace questo bel modo, che il Mach, preferi nella Legaz. al Valent. (Op. VI, 331), ne' Disc. I, 8 e nelle Istor. Fior. Vili, 35 e altrove. 7. si possono è spiegato bene da principalmente. È come se il Mach, avesse voluto dire: fra 1 tanti modi, in due principalmente si possono con- siderare i grandi. In C L P R e b debbono potè esser tratto dall' essere questo verbo consueto e ripetutissimo. 11. ad esaminare. Se è facile che C L P R e b abbian ripetuto conside- rare, verbo consueto, frequentissimo in quest' opera, non è altrettanto age- vole che B e M, senza sapere l'un dell'altro, abbian mutato identicamente in esaminare. Il qual verbo, qui, è assai più proprio dell'altro; poiché, se 48 IL PRINCIPE contro al populo diventi principe con il favore de' grandi, debbe inanzi ad ogni altra cosa cercare di guadagnarsi el po- pulo: il che li fia facile, quando pigli la protezione sua. E, per- ché li uomini, quando hanno bene da chi credevano avere male, 5 si obbligano più al beneficatore loro, diventa el populo subito più suo benivolo, che se si fussi condotto al principato con favori sua : e puosselo el principe guadagnare in molti modi, li quali, perchè variano secondo el subietto, non se ne può dare certa regola, e però si lasceranno indrieto. Concluderò 10 solo che a uno principe è necessario avere el populo amico: altrimenti non ha nelle avversità remedio. Nabide, principe delli Spartani, sostenne la ossidione di tutta Grecia e di uno esercito romano vittoriosissimo, e difese contro a quelli la patria sua et il suo stato: e li bastò solo, sopravvenente el 15 periculo, assicurarsi di pochi: che, se elli avessi avuto el po- pulo inimico, questo non li bastava. E non sia alcuno che repugni a questa mia opinione con quello proverbio trito, che chi fonda in sul populo fonda in sul fango : perché quello è vero, quando uno cittadino privato vi fa su fondamento, e 20 dassi ad intendere che il populo lo liberi, quando fussi op- presso da' nimici o da' magistrati. In questo caso si potrebbe trovare spesso ingannato, come a Roma e' Gracchi et a Fi- renze Messer Giorgio Scali. Ma, sendo uno principe che vi fondi su che possa comandare e sia uomo di core, né si 25 sbigottisca nelle avversità, e non manchi delle altre prepara- zioni, e tenga con l' animo et ordini sua animato l' univer- sale, mai si troverrà ingannato da lui, e li parrà aver fatto li sua fondamenti buoni. 1. b contro il M contro al volere del populo 2. C R debba avanti ad M guadagnarseli 4. b credono 5. P benefactore 5-6. b suddito più suo 6-7. B per li favori C E con li favori b per li suoi favori 9. B una certa E b regola, però 10. B b amico el populo 11. L M in le 12. E tuttala 14. b soprevenendo 20-21. b esso fussi oppresso dagli nimici 21. E dalli inimici 22-23. b come intervenne in Roma a' Gracchi et in Firenze a Messer 23-24. b essendo un principe quello che sopra vi si fondi che possa 24. b un uomo C R et non si 26. C , e con 27. E non si troverrà mai b , non si truoverà 27-28. b fatti i suoi prima al Mach, bastava considerare i grandi in generale, ora egli vuole esaminare gli animi di coloro che non s'obbligano al principe e per qua! ragione non s' obbligano. IL PRINCIPE 49 7 Sogliono questi principati periclitare, quando sono per sa- lire dall' ordine civile allo assoluto ; perché questi principi, o comandono per loro medesimi, o per mezzo de' magistrati. Nell'ultimo caso è più debole e più periculoso lo stare loro; perché gli stanno al tutto con la voluntà di quelli cittadini 5 che sono preposti a' magistrati: li quali, massime ne' tempi avversi, li possono tórre con facilità grande lo stato, o con farli contro o con non lo obedire. Et el principe non è a tempo ne' periculi a pigliare l' autorità assoluta ; perché li cittadini e sudditi, che sogliono avere e' comandamenti da' magistrati, w non sono, in quelli frangenti, per obedire a' sua; et ara sempre, ne' tempi dubii, penuria di chi si possa fidare. Perché simile principe non può fondarsi sopra a quello che vede ne' tempi quieti, quando e' cittadini hanno bisogno dello stato, perché allora ognuno corre, ognuno 'promette, e ciascuno vuole mo- 15 rire per lui, quando la morte è discosto ; ma, ne' tempi avversi, quando lo stato ha bisogno de' cittadini, allora se ne truova pochi. E tanto più è questa esperienzia periculosa, quanto la non si può fare se non una volta. E però uno principe savio debba pensare uno modo, per il quale li sua cittadini, sempre 20 et in ogni qualità di tempo, abbino bisogno dello stato e di lui: e sempre poi li saranno fedeli. [^] QUOMODO OMNIUM PRINCIPATUUM VIRES PERPENDI DEBEANT 1 Conviene avere, nello esaminare le qualità di questi prin- cipati, un' altra considerazione : cioè se uno principe ha tanto 25 stato, che possa, bisognando, per sé medesimo reggersi, o vero se ha sempre necessità della defensione d' altri. E, per 2. M principati 2-3. b principi comandano 3. b di 4. b lo stato loro ; 5. B si C P R li M eglino 6. b proposti 7. B si possono M grandis- sima 8. B o non b col M Et il principato none 9. P perché cittadini 11. B; et avere sempre 13. B C P b sopra quello 19. B Però 20-21. b sem- pre et in ogni modo e qualità 21-22. b dello stato di lui; 22. B L fideli. 23. B perdendi C Come bene considerar si debbano le forze di tutti e prin- cipati P In che modo si debbino considerare le forze di tutti principati b In che modo le forze de tutti i principati si debbino misurare 21. b la 27. C L R di Machiavelli 4 50 IL PRINCIPE chiarire meglio questa parte, dico come io indico coloro po- tersi reggere per sé medesimi, che possono o per abundanzia di uomini o di denari mettere insieme uno esercito insto e fare una giornata con qualunque li viene ad assaltare: e cosi s indico coloro avere sempre necessità d' altri, che non possono comparire contro al nimico in campagna, ma sono necessitati rifuggirsi drento alle mura, e guardare quelle. Nel primo caso si è discorso, e per lo avvenire diremo quello ne oc- corre. Nel secondo caso non si può dire altro, salvo che con- io fortare tali principi a fortificare e munire la terra propria, e del paese non tenere alcuno conto. E qualunque ara bene fortificata la sua terra, e circa li altri governi con li sudditi si fia maneggiato come di sopra è detto e di sotto si dirà, sarà sempre con grande respetto assaltato; perché li uomini 15 sono sempre nimici delle imprese dove si vegga difficultà, né si può vedere facilità assaltando uno che abbi la sua terra gagliarda e non sia odiato dal populo. Le città di Alamagna sono liberissime, hanno poco con- tado, et obediscano allo imperatore, quando le vogliono, e non 20 temono né quello né altro potente che le abbino intorno: per- ché le sono in modo fortificate, che ciascuno pensa la espu- gnazione di esse dovere esser tediosa e difficile. Perché tutte hanno fossi e mura conveniente, hanno artiglierie a suffi- cienzia: tengono sempre nelle canove publiche da bere e da 25 mangiare e da ardere per uno anno ; et oltre a questo, per potere tenere la plebe pasciuta, e sanza perdita del pubblico, hanno sempre in comune per uno anno da potere dare loro 1-2. 1) giudico potersi coloro 4. M ad saltare 6. b contro gli nimici M in campagna contro al nimico 7. e rifuggire M al fuggirsi b rifugirse L dentro 8. L P direno 8-9, B quello che occorre M b quello che ne oc- corre 10. B b munire e fortificare 12. L P R suo B P con subditi 14. M con grandi respecti B e gran b assaltato con gran respetto 16. L P R suo 18. b libéralissime, 21-22. C la obsidione 22. B epsa M lunga et difficile. 23. M mura e fosse C R b artiglieria 24. B b et tengano B nella canova publica 24-25. b publiche da mangiar M da mangiare da bere 20. P et mangiare et ardere 25. b anno. Oltre 8. quello ne occorre. Certo, la giunta del che in M e b e il mutamento di ne in cTie in B sono avvenuti per il pronome relativo taciuto dal Mach, con la solita eleganza e speditezza toscana. IL PRINCIPE 51 da lavorare in quelli esercizii, che sieno el nervo e la vita di quella città, e delle industrie de' quali la plebe pasca. Ten- gono ancora li esercizii militari in reputazione, e sopr' a questo hanno molti ordini a mantenerli. Uno principe, adunque, che abbi una città forte e non 5 si facci odiare, non può essere assaltato ; e, se pure fassi, chi lo assaltassi se ne partirà con vergogna; perché le cose del mondo sono si varie, che elli è impossibile che uno potessi con li eserciti stare uno anno ozioso a campeggiarlo. E chi replicassi: se il populo ara le sua possessioni fuora, 10 e veggale ardere^ non ci ara pazienzia, et il lungo assedio eia carità propria li farà sdiraenticare el principe: respon- do, che uno principe potente et animoso supererà sempre tutte quelle difficultà, dando ora speranza a' sudditi che el male non fia lungo, ora timore della crudeltà del nimico, ora 15 assicurandosi con destrezza di quelli che li paressino troppo arditi. Oltre a questo, el nimico, ragionevolmente, debba ar- dere e minare el paese in sulla sua giunta e ne' tempi, quando li animi delli uomini sono ancora caldi e volonterosi alla difesa ; e però tanto meno el principe debbe dubitare, perché 20 dopo qualche giorno, che li animi sono raffreddi, sono di già fatti e' danni, sono ricevuti e' mali, e non vi è più re- medio: et allora tanto più si vengono ad unire con il loro principe, parendo che lui abbia con loro obligo, sendo loro sute arse le case, minate le possessioni, per la difesa sua. E la 25 2. B P b della industria C de le quali P b si pasca. 3-4. b sopra questo 5-6. M liabia una cipta e non si facci C città cosi ordinata et non si facci 7. B M b partirebbe 8. L P R che li é 8-9. b gli è quasi impossibile che uno possi 9. M potessi stare con li eserciti ocioso L ocioso 11. b non ara C et il luogo assediato 12. C R b dimenticare C dimenticare l'amore del prin- cipe: 13. b potente animoso 13-14. b sempre quelle 14. C L P R a' sudditi speranza 15. M non sarà P delle 17. b oltre questo B b debba ragio- nevolmente 18. B b in sulla gionta sua 19. L volontorosi 24. b che esso abbia 24-25. C sendo loro state b essendo state loro 25. B suto 7. partirà è lezione difficile, originale, credo, del Mach, per il maggior vigore con che egli affermerebbe ; partirebbe mi sembra troppo agevole cor- rezione di B b e M per il rapporto con assaltassi. Anche al Gap. Vili (p. 41, r. 3); i mss. unanimi leggono: Chi considerassi ... non vedrà. 52 IL PRINCIPE natura delli uomini è cosi obbligarsi per li benefizii che si fanno come per quelli che si ricevano. Onde, se si considerrà bene tutto, non fia difficile a uno principe prudente tenere prima e poi fermi li animi de' sua cittadini nella ossidione, 5 quando non li manchi da vivere né da difendersi. [XI] De pkincipatibus ecclesiasticis Restaci solamente al presente a ragionare de' principati § i ecclesiastici: circa quali tutte le difficultà sono avanti che si possegghino, perché si acquistano o per virtù o per fortuna, 10 e sanza 1' una e l'altra si mantengano; perché sono susten- tati dalli ordini antiquati nella relligione, quali sono suti tanto potenti e di qualità, che tengano e' loro principi in stato, in qualunque modo si procedino e vivino. Costoro soli hanno stati, e non li defendano; sudditi, e non li governano: e li 15 stati, per essere indifesi, non sono loro tolti; e li sudditi, per non esser governati, non se ne curano, né pensano né pos- sono alienarsi da loro. Solo adunque questi principati sono sicuri e felici. Ma, sendo quelli retti da cagione superiore, § 2 alla quale mente umana non aggiugne, lascierò el parlarne ; 20 perché, sendo esaltati e mantenuti da Dio, sarebbe offizio di uomo prosuntuoso e temerario discorrerne. Non di manco, se alcuno mi ricercassi donde viene che la Chiesa nel temporale ^ sia venuta a tanta grandezza, con ciò sia che da Alessandro 1. b che essi 2. b che essi M ì) considera 3. B difficile uno 5. P né da vivere H difendersi et le altre cose necepsarie. 6. C P b De Principati ecclesiastici 11. C stati b sono tutti tanto M tanti 12. M principati 12-13, B principi in qualunque 13. B solo 14. B b stato b lo difendono hanno sudditi L H P et sudditi 16. B né pensano se possano 18. M sendo recti b cagioni B b superiori 19. B b alle quali b el discorrerne. 23. M con ciò sia cosa che da papa Alessandro 1-2. che si . . . che si. Il costrutto impera, è più naturalmente portato da óbhìigarsi : che essi di b sarà derivato da falsa interpret. di un chesi. 11. sono suti. falsa interpret. di ms. (suti e tuti), o il successivo pre- sente tengano, ha fatto mutare a b suti in tutti; ma il pass, prossimo rende assai meglio l'azione continuata degli ordini antiquati nella relligione. IL PEINCIPE 53 indrieto e' potentati italiani, et non soluni quelli che si cliia- niavono e' potentati, ma ogni barone e signore, benché minimo, quanto al temporale la existimava poco, et ora uno re di Francia ne trema, e lo ha possuto cavare di Italia e minare Viniziani : la qual cosa, ancora che sia nota, non mi pare super- 5 fluo ridurla in buona parte alla memoria. Avanti che Carlo re di Francia passassi in Italia, era questa provincia sotto l'imperio del Papa, Viniziani, re di Napoli, duca di Milano e Fiorentini. Questi potentati avevano ad avere dua cure principali : 1' una che uno forestiero non intrassi in io Italia con le arme; l'altra che veruno di loro occupassi più stato. Quelli a chi si aveva più cura erano Papa e Viniziani. Et a tenere indrieto Viniziani, bisognava la unione di tutti li altri, come fu nella difesa di Ferrara ; et a tenere basso el Papa, si servivano de' baroni di Roma : li quali, sendo divisi is in due fazioni, Orsini e Colonnesi, sempre vi era cagione di scandolo fra loro; e, stando con le arme in mano in su li -occhi al pontefice, tenevano el pontificato debole et infermo. E, benché surgessi qualche volta uno papa animoso, come fu Sisto, tamen la fortuna il sapere non lo posse mai disobbli- 20 gare da queste incomodità. E la brevità della vita loro n' era cagione; perché in dieci anni che, ragguagliato, viveva uno papa, a fatica che potessi sbassare una delle fazioni: e, se, verbigrazia, l'uno aveva quasi spenti Colonnesi, surgeva un altro inimico alli Orsini, che li faceva resurgere, e li Orsini 25 non era a tempo a spegnere. Questo faceva che le forze tem- 1. e P et non solo b et non solamente 1-2. b si chiamano potentati 2-3. M ma e signori e baroni benché minimi quanto al temporale existimavono pocho 3. C b stimava 4. M cacciare 5-6. b Viniziani, ancora che ciò noto sia, non mi pare superfluo ridurlo in qualche parte alla memoria. 11. b nessuno 12. b il papa et i 16-17. b cagion di scandoli 18. b del pontefice, 20. b pure 23. b r una 23-24. b e, se, per modo di parlare, 24. B quasi che spenti M spento quasi R spenti e 25. M amico alli Orsini 25-26. b , et non era a tem- po a spegnerli. 5-G. la qual cosa ecc. Soppressa runione relativa e aggiunto ciò dopo an- cora che, con altri lievi ritocchi, b credette aver rimediato al forte anaco- luto, per cui manca l'apodosi a se alcuno mi ricercassi. Ma di anacoluti è -ricco lo stile del Machiavelli, e basta guardare a' primi Capp. de'Discorsi. 25-26. li Orsini... spegnere. Ambiguo è spegnerli di b, che non volle ripetere li Orsini, e li fece cosi resurgere e spegnere dallo stesso papa loro amico. 64 IL PRINCIPE porali del papa erano poco stimate in Italia. Surse di poi § 4 Alessandro VI, il quale di tutt' i pontefici che sono stati mai, monstrò quanto uno papa, e con il danaio e con le forze, si poteva prevalere, e fece, con lo instrumento del duca Va- 5 lentino e con la occasione della passata de' Franzesi, tutte quelle cose che io discorro di sopra nelle azioni del duca. E, benché' l'intento suo non fussi fare grande la Chiesa, ma il duca, non di meno ciò che fece tornò a grandezza della Chiesa ; la quale dopo la sua morte, spento el duca, fu erede delle sua 10 fatiche. Venne di poi papa lulio, e trovò la Chiesa grande, avendo tutta la Romagna e sendo spenti e' baroni di Roma e per le battiture di Alessandro annullate quelle fazioni; e trovò ancora la via aperta al modo dello accumulare danari, non mai più usitato da Alessandro indrieto. Le quali cose lulio § ^ 15 non solum seguitò, ma accrebbe; e pensò a guadagnarsi Bo- logna e spegnere Viniziani et a cacciare Franzesi di Italia; e tutte queste imprese li riuscirono, e con tanta più sua laude, quanto fece ogni cosa per accrescere la Chiesa, e non alcuno privato. Mantenne ancora le parti Orsine e Colonnese in quelli 20 termini che le trovò; e, benché tra loro fussi qualche capo da fare alterazione, tamen dua cose li ha tenuti fermi: l'una la grandezza della Chiesa che gli sbigottisce; l'altra el non avere loro cardinali, li quali sono origine de' tumulti infra loro. Né mai staranno quiete queste parti, qualunque volta 25 abbino cardinali ; perché questi nutriscono, in Roma e fuora^ le parti, e quelli baroni sono forzati a defenderle: e cosi dalla ambizione de' prelati nascono le discordie e li tumulti infra baroni. Ha trovato adunque la Santità di papa Leone questo pontificato potentissimo: il quale si spera, se quelli 6. e L P R io discorsi b io ho discorso 7. M la intenzione sua C R fussi non fare P b fussi di fare 9-10. B b fatiche sua 11. b tutti i baroni 13. b del raccumular 14. C R usato B usificato 15. b non solamente P b pensò guadagnarsi 16. C R P b et cacciare 17. b riuscirne 18, C R e fece 19-20. B in quel termino 21. b nientedimeno due 22. R Chiesa; l'altra 23-25. B loro cardinali perché questi 28. P di Leone 29. b : del qual si spera che, se 6. discorro. Questo presente sarà sembrato strano tanto a b, che cor- resse in ho discorse, quanto al protot. di C L P R, che mutò in discorsi, 29. il quale si spera ecc. La stampa ha voluto rendere più regolare e pesante il costrutto, e non ripetere questo che ben si contrappone a quelli. - § 1 IL PRINCIPE 55 lo ledono grande con le arme, questo con la bontà et infinite altre sua virtù lo farà grandissimo e venerando. [XII] QUOT SINT GENEEA MILITIAE ET DE MERCENARIIS MILITIBUS Avendo discorso particularmente tutte le qualità di quelli principati de' quali nel principio proposi di ragionare, e con- ^ siderato in qualche parte le cagioni del bene e del male essere loro, e monstro e' modi con li quali molti hanno cerco di acquistarli e tenerli, mi resta ora a discorrere general- mente le offese e difese che in ciascuno de' prenominati pos- sono accadere. Noi abbiamo detto di sopra, come a uno prin- i» cipe è necessario avere e' sua fondamenti buoni; altrimenti conviene che rovini. E' principali fondamenti che abbino tutti li stati, cosi nuovi, come vecchi o misti, sono le buone legge e le buone arme. E, perché non può essere buone legge dove non sono buone arme, e dove sono buone arme conviene sieno i& buone legge, io lascerò indrieto el ragionare delle legge e parlerò delle arme. Dico adunque, che l'arme con le quali uno principe defende el suo stato, o le sono proprie o le sono mercennarie, o ausiliarie o miste. Le mercennarie et ausiliarie sono inutile e pericolose: e, se uno tiene lo stato suo fondato 20 quelli lo fecero grande con 1' armi, esso con la bontà 1. R le bontà 1-2. C L R et altre sua infinite P et altre sue virtù 3. L M sunt C Quante sieno le sorti de la militia P Di quante ragione sia la militia b Quante siano le spezie della milizia C P b et de soldati mer- cennarii 4-5. M de principati 5. L P preposi 7. h monstri 8. b acqui- starli mi resta C solo ora 10. b abbian 12. B [CJ b di necessità conviene 13. H stati sono 14. B e R non possono b non possono buone 15. B b che siano 19. C L P R , ausiliarie B auxiliarii M ausiliari Mutando il quale in del quale b l'ha riferito senz'altro a Leone; ma po- trebbe anche intendersi: il quale pontificato. 3. sint. B ed R portano sint: nell' indice de' capitoli preposti a L v'è sint : al Gap. I, unanimemente, si legge Quot sint. Preferisco dunque il sog- giuntivo grammaticalmente più esatto. 12. conviene. In C di necessità è giunta marginale, e tale può essere stata anche nel protot. di B b. 56 IL PRINCIPE in sulle arme mercennarie, non starà mai fermo né sicuro; per- ché le sono disunite, ambiziose, sanza disciplina, infidele ; ga- gliarde fra li amici, fra' nimici vile ; non timore di Dio, non fede con li uomini; e tanto si differisce la ruina, quanto si 5 differisce l'assalto; e nella pace se' spogliato da loro, nella guerra da' nimici. La cagione di questo è, che le non hanno altro amore né altra cagione che le tenga in campo, che un poco di stipendio, il quale non è sufficiente a fare che voglino morire per te. Vogliono bene esser tua soldati mentre che tu 10 non fai guerra, ma, come la guerra viene, o fuggirsi o andar- sene. La qual cosa doverrei durare poca fatica a persuadere, perché ora la ruina di Italia non è causata da altro, che per essere in spazio di molti anni riposatasi in sulle arme mercen- narie. Le quali feciono già per qualcuno qualche progresso, e 15 parevano gagliarde infra loro ; ma, come venne el forestiero, le monstrorono quello che elle erano. Onde che a Carlo re di Francia fu licito pigliare la Italia col gesso: e chi diceva come e' n' erano cagione e' peccati nostri, diceva el vero ; ma non erano già quelli che credeva, ma questi che io ho nar- 20 rati: e, perché elli erano peccati di principi, ne hanno patito la pena ancora loro. Io voglio dimostrare meglio la infelicità di queste arme. § ^ E' capitani mercennarii, o sono uomini eccellenti, o no: se sono, non te ne puoi fidare, perché sempre aspireranno alla 25 grandezza propria, o con lo opprimere te che li se' patrone, con opprimere altri fuora della tua intenzione : ma, se non 3. e R fra li inimici ì) fra gli inimici vili, non hanno timor 6. b che non hanno 7. M lo tenga 8. P stipendio che non è B che le b che li M vogliono P fare voglino 10. C Ria viene 11. B doveva 12. b non è ora causata da altra cosa, 13. M essere spazio P essersi riposata 14. e L P R per alcuno 16. R , monstrorono b elle B P che erano. M b che r erano. 17. M fu lescito B P b pigliare Italia 18. C R come di questo erano B come erano b che n' eran 19. b credevan, b narrato: 20. R ellino b gli eron 24. R aspirano 26. B b con lo C ma, se non è [il capi- tano] virtuoso 3. vile, non timore di Dio ecc. Non è possibile che hanno di b sia stato tralasciato da tutti i trascrittori; e si deve pensare ad un «è tra loro» taciuto: la quale ellissi, frequente negli scrittori latini, è portata qui, per effetto stilistico, dalla rapida, quasi passionata, enumerazione. 26. se non è virtuoso. La giunta marginale di capitano in C è facile correzione, portata anche dalla Giuntina, della constructio ad synesin, -per IL PRINCIPE 57 è virtuoso, ti rovina per lo ordinario. E, se si responde che qualunque ara le arme in mano, farà questo, o mercennario no, replicherei come l'arme hanno ad essere operate o da uno principe o da una repubblica. El principe debbe andare in persona, e fare lui l'offizio del capitano; la repubblica ha a 5 mandare sua cittadini; e, quando ne manda uno che non riesca valente uomo, debbe cambiarlo ; e, quando sia, tenerlo con le leggi che non passi el segno. E per esperienzia si vede a' principi soli e republiche armate fare progressi grandissimi, et alle arme mercennarie non fare mai se non danno. E con io più difficultà viene alla obedienzia di uno suo cittadino una repubblica armata di arme proprie, che una armata di arme esterne. Stettono Roma e Sparta molti secoli armate e libere. Svizzeri sono armatissimi e liberissimi. Delle arme mercennarie antiche in exemplis sono Cartaginesi; li quali furono per essere i5 oppressi da' loro soldati mercennarii^ finita la prima guerra con li Romani, ancora che Cartaginesi avessino per capi loro pro- prii cittadini. Filippo Macedone fu fatto da' Tebani, dopo la morte di Epaminunda, capitano delle loro gente; e tolse loro, dopo la vittoria, la libertà. Milanesi, morto el duca Filippo, 20 1. e respondessi 2. C L P R 1) questo medesimo, 3. M b adoperate 5. b a far lui b ha da 7. b valente debbe 9, b i principi soli et Republicha ar- mate 10. M b et le arme 12-13. b armi forestiere, 13. b Sterono 14. b libéralissimi. 15. b per essempio vi sono li B sono e 16-17. P a con Ro- mani 17. b capitani 19. b de la lor 20. b I Milanesi cui dal soggetto plur. (E' capitani, p. 56, r. 23) il Machiavelli è passato a un singolare agevole a sottintendere. 2. questo. Non pare una chiosa, punto necessaria, la giunta di medesimo in C L P R b? 3. operate fu, per maggior chiarezza corretto in adoperate da M e b. NellMr^e della Guerra (Autografo, e. 7, retto) leggo: dehhe operare per capi in luogo di « adoperare ». 8-10. si vede a' principi... fare... et alle arme... non fare. Per questo co- strutto, che è vezzo elegante di nostra lingua, mal corretto da b prima e da M e b poi, vedi quanto ne dicono il Gherardini in Voci e ^laniere, A, § 9, e il Diez in Grammatik der Bomanischen Sprache, v. Ili, p. 128 e il Blanc in Grammatik der Italianischen Sprache, p. 486 e 553: e basti ricordare il classico esempio di Dante, Inf. viii, 58: « Dopo ciò poco, vidi quello stra- zio Far di costui alle fangose genti ecc. ». Anche al e. XVI del Principe si legge: noi non abbiamo veduto fare grandi cose se non a quelli che sono stati tenuti miseri. 58 • IL PRINCIPE soldorono Francesco Sforza contro a' Viniziani; il quale, supe- rati li inimici a Caravaggio, si congiunse con loro per oppri- mere e' Milanesi sua patroni. Sforzo suo padre, sendo soldato della regina Giovanna di Napoli, la lasciò in un tratto disar- 5 mata; onde lei, per non perdere el regno, fu constretta git- tarsi in grembo al re di Aragonia. E, se Viniziani e Fiorentini hanno per lo adrieto cresciuto l'imperio loro con queste arme, e li loro capitani non se ne sono però fatti principi, ma li hanno difesi, respondo che Fiorentini in questo caso sono suti IO favoriti dalla sorte; perché de' capitani virtuosi, de' quali po- tevano temere, alcuni non hanno vinto, alcuni hanno avuto opposizione, altri hanno volto la ambizione loro altrove. Quello che non vinse fu Giovanni Aucut, del quale, non vincendo, non si poteva conoscere la fede; ma ognuno confesserà che, 15 vincendo, stavano Fiorentini a sua discrezione. Sforza ebbe sempre e' Bracceschi contrarii, che guardorono l'uno l'altro: Francesco volse l' ambizione sua in Lombardia ; Braccio contro alla Chiesa et il regno di Napoli. Ma vegniamo a quello che è seguito poco tempo fa. Feciono Fiorentini Paulo Vitelli 20 loro capitano, uomo prudentissimo, e che di privata fortuna aveva presa grandissima reputazione. Se costui espugnava Pisa, veruno fia che nieghi come conveniva a' Fiorentini stare seco; perché, se fussi diventato soldato di loro nimici, non avevano remedio; e, se lo tenevano, aveano ad obedirlo. Vi- 25 niziani, se si considerrà e' progressi loro, si vedrà quelli avere securamente e gloriosamente operato, mentre ferono la guerra 2. M e nimici 4. P dalla regina P a un tratto 6. b se i 7, B b adcre- sciuto per V adrieto P accresciuto 9. b che li C b stati 9-10. R suti di- fesi dalla 10. b li quali 12. b opposizioni M hanno voluto b l'ambizioni 13. b Acuto 14. B C R b confessa 15. P Fiorentini stavano 16. b che guada- gnarono r un l'altro 17. b la 19. b Pavol 21. B b preso reputazione gran- dissima. 22. b nessuno B b sarà C P R a' Fiorentini conveniva 23. b de' lor 24. C R b ; e tenendolo avevano P tenevano ad obedirlo. B E b I 25. C M P R si considerranno b si considera 26. b sicuramente e gloriosa- mente avere operato mentre che fecion guerra i lor proprii C R feciono 24. e, se lo tenevano. Io penso che la vicinanza de' tre imperfetti susse- guentisi abbia fatto si, che tanto il protot. di C R quanto b ne hanno cor- retto uno nel gerundio tenendolo. 25. si considerrà. Cfr. la nota al C. Ili (p. 9, r. 16). IL PRINCIPE 59 loro propri! : che fu avanti che si volgessino con le imprese in terra: dove co' gentili uomini e con la plebe armata ope- rorono virtuosissimamente ; ma, come cominciorono a com- battere in terra, lasciorono questa virtù, e seguitorono e' co- stumi di Italia. E nel principio dello augumento loro in terra, s- per non vi avere molto stato e per essere in grande repu- tazione, non aveano da temere molto de' loro capitani; ma, come ellino ampliorono, che fu sotto el Carmignola, ebbono uno saggio di questo errore. Perché, vedutolo virtuosissimo, battuto che ebbono sotto el suo governo el duca di Milano, io e conoscendo da altra parte come elli era raffreddo nella guerra, iudicorono con lui non potere più vincere, perché non voleva, né potere licenziarlo per non riperdere ciò che aveano acquistato: onde che furono necessitati, per assicu- rarsene, ammazzarlo. Hanno di poi avuto per loro capitani i^ Bartolomeo da Bergamo, Ruberto da S. Severino, Conte di Pitigliano, e simili; con li quali aveano a temere della per- dita, non del guadagno loro : come intervenne di poi a Vaila, dove, in una giornata, perderono quello che, in ottocento anni, con tanta fatica, avevano acquistato. Perché da queste arme 20 nascono solo e' lenti, tardi e deboli acquisti, e le subite e miraculose perdite. E, perché io sono venuto con questi esempli 1-2. M colle imprese loro in terra: 2. B con M con li b dove comuni gentil homini 2-3. M con la plebe operorono 3. M b virtuosamente 4-6. B combattere in terra per non vi avere 4. M seguirono 6. R molto e 7. b i lor 8. B elli b essi P come ampliorono 10. L che loro ebbono 11. b dall' altra B elli raffredo M rafredato b freddo 12. B b iudicorono non poter più vincere con lui C R iudicorono non potere con lui vincere più L iu- dicorono non potere con lui più vincere 12-14. b perché non voleva; né potean licentiarlo per non perder ciò che avevon acquistato. 14-15. C R amazarlo per assicurarsene. b assicurarsi 15. b lor capitano 17. B b da temere 18. L P poi 20. b tante fatiche, 21. C R e deboli lenti et tardi 12. iudicorono con lui non potere più vincere. Cosi leggono M e P, mss. di famiglie diverse; ed io credo che, sembrando poco naturale la colloca- zione di con lui subito dopo iudicorono, tanto L quanto il protot. di Bb e quello di CR l'abbiano accostato più al suo verbo vincere^ ma tutti in ordine differente. 13. voleva... potere... riperdere. Non intendo perché la Testina, seguita poi da tutti, abbia mutato in voìevan, che sarebbe contro il buon senso; né che cosa abbia indotto b a mutare in potean Tinf. potere dipendente, senza ambiguità, da iudicorono, e riperdere in perdere (cfr. C. Y, p. 22, r. 16). 00 IL PRINCIPE in Italia, la quale è stata governata molti anni dalle arme mercennarie, le voglio discorrere, e più da alto, acciò che, veduto r origine e progressi di esse, si possa meglio cor- reggerle. 6 Avete dunque ad intendere come, tosto che in questi ul- timi tempi lo imperio cominciò ad essere ributtato di Italia, e che il papa nel temporale vi prese più reputazione, si di- vise la Italia in più stati; perché molte delle città grosse presono 1' arme contro a' loro nobili, li quali prima favoriti 10 dallo imperatore, le tennono oppresse; e la Chiesa le favo- riva per darsi reputazione nel temporale; di molte altre e' loro cittadini ne diventorono principi. Onde che, essendo ve- nuta l'Italia quasi che nelle mani della Chiesa e di qualche Repubblica, et essendo quelli preti e quelli altri cittadini usi 15 a non conoscere arme, cominciorono a soldare forestieri. El primo che dette reputazione a questa milizia, fu Alberigo da Conio, romagnolo. Dalla disciplina di costui discese, intra li altri, Braccio e Sforzo, che ne' loro tempi furono arbitri di Italia. Dopo questi, vennono tutti li altri, che fino a' nostri 20 tempi hanno governato queste arme. Et il fine della loro virtù è stato, che Italia è suta corsa da Carlo, predata da Luigi, sforzata da Ferrando e vituperata da' Svizzeri. L'or- § 9 dine che ellino hanno tenuto è stato, prima, per dare repu- tazione a loro proprii, avere tolto reputazione alle fanterie. 25 Feciono questo, perché, sendo sanza stato et in sulla indu- stria, e' pochi fanti non davono loro reputazione, e li assai 1. B molti anni governata b già molti 2. B C R b discorrere più 3. C R veduto lo origine di epse et li progressi loro, 3-4. b vedute le origini . . . si possin meglio correggere. 5. b Avete da M adunque 5-6. L R tempi ul- timi 9. b contro i 10. B C R b le tenevano 11. C più reputazione 13. C quasi ne le b quasi in mano della 15. b incominciorno 16. R a queste arme, 17. B b Como, 19. b venero 19-20. C fino ne tempi nostri 20. B b Tarme di Italia. M^larme in Italia. 20-21. B b delle loro virtù 21. B b che quella è M chella è C L P R b stata 22. R forzata 23. P che hanno C b che loro hanno B M che gli hanno 24. P averla tolta 25. b essendo 20-21. queste arme... Italia. Tra la lezione di C L P R e quella di B b ed M (pure ammettendo che ambedue potettero uscire in due trascrizioni di- verse dalla penna del Mach, stesso) preferisco la prima, solo perché B b ¦ed M, differendo lievemente, sembrano mostrare un' opera di correzione de' copisti medesimi. IL PRINCIPE 61 non potevono nutrire ; e però si ridussono a' cavalli, dove con numero sopportabile erono nutriti et onorati. Et erono ridotte le cose in termine, che in uno esercito di ventimila soldati non si trovava dumila fanti. Avevano, oltre a questo, usato ogni industria per levare a sé et a' soldati la fatica e la paura, 5 non si ammazzando nelle zuffe, ma pigliandosi prigioni e sanza taglia. Non traevano la notte alle terre; quelli delle terre non traevano alle tende; non facevano intorno al campo né steccato né fossa; non campeggiavano el verno. E tutte queste cose erano permesse ne' loro ordini militari, e trovati io da loro per fuggire, come è detto, e la fatica e li pericoli: tanto che li hanno condotta Italia stiava e vituperata. [xiii] De militibus auxiliaeiis, mixtis et peopriis L'arme ausiliarie, che sono l'altre arme inutili, sono quando si chiama uno potente, che con le arme sua ti venga ad 15 aiutare e defendere : come fece ne' prossimi tempi papa lulio, il quale, avendo visto nella impresa di Ferrara la trista pruova delle sua arme mercennarie, si volse alle ausiliarie ; e convenne con Ferrando re di Spagna che con le sua gente et eserciti dovesse aiutarlo. Queste arme possono essere utile e buone 20 per loro medesime, ma sono per chi le chiama quasi sempre dannose; perché, perdendo, rimani disfatto, vincendo, resti loro prigione. Et ancora che di questi esempli ne siano piene l'antiche istorie, non di manco io non mi voglio partire da 3. B termini, L P che uno 4. b si trovavan duo milia 5. h levar via P b la paura et la fatica, 7. b di notte B quelle 7-8. C L P R della terra 8. b di notte alle tende; ll.CReli pericoli e la fatica: b et pericoli: 12. C R ellino b essi M l'Italia 13. P De' soldati auxiliarii: delli auxiliarii et proprii insieme et de' proprii soli C b De' soldati auxiliarii misti e proprii 15-16. M con le sua arme ti venga ad difendere: 20. H buone et utili 21. R ma per B P b le chiama sempre 22. B M rimane b e vincendo M resta 23. M ne sia pieno 24. M io non voglio 22. rimani... resti. Il disaccordo di B e M su resti toglie ogni valore al precedente accordo su rimane, e conferma la bontà della lezione accettata. 62 IL PRINCIPE questo esemplo fresco di papa lulio II ; el partito del quale non posse essere manco considerato, per volere Ferrara, cacciarsi tutto nelle mani d'uno forestiere. Ma la sua buona fortuna fece nascere una terza cosa, acciò non cogliessi el frutto della 5 sua mala elezione: perché, sendo li ausiliari sua rotti a Ra- venna, e surgendo e'^Svizzeri, che cacciorono e' vincitori fuora d'ogni opinione e sua e d'altri, venne a non rimanere pri- gione delli inimici, sendo fugati, né delli ausiliarii sua, avendo vinto con altre arme che con le loro. Fiorentini, sendo al 10 tutto disarmati condussono diecimila Franzesi a Pisa per espugnarla: per il quale partito portorono più pericolo, che in qualunque tempo de' travagli loro. Lo imperatore di Con- stantinopoli, per opporsi alli sua vicini, misse in Grecia die- cimila Turchi; li quali, finita la guerra, non se ne volsono 15 partire: il che fu principio della servitù di Grecia con li in- fideli. Colui, adunque, che vuole non potere vincere, si vaglia di queste arme, perché sono molto più pericolose che le mer- cennarie : perché in queste è la ruina fatta ; sono tutte unite, tutte volte alla obedienzia di altri : ma nelle mercennarie, ad ^0 offenderti, vinto che le hanno, bisogna più tempo e maggiore occasione, non sendo tutto uno corpo, et essendo trovate e pagate da te; nelle quali uno terzo che tu facci capo, non può pigliare subito tanta autorità che ti offenda. In somma, nelle mercennarie è più pericolosa la ignavia, nelle ausiliarie 25 la virtù. 1. B e R di lulio 1-3. b essempio di papa lulio II quale è ancor fresco, il partito del quale non potè esser manco considerato, per volere Ferrara, metten- dosi tutto 4. b causa, 10. C R condussono a Pisa dieci mila Franzesi 11. b portonno 11-12. B , di qualunque 13. B mise 15. b de la Grecia 16. M che non volle potere vincere 17. R le sono 18. b fatta non tutte 20. M bi- sogna vinto che le hanno b e migliore 21. R , sendo tutte 22-23. M capo, può 23. P subito pigliare 24. b la ignavia et pigrizia al combattere, nelle au- xiliarie C, et nelle 2-3. cacciarsi tutto. Il gerundio mettendosi tutto, correzione evidente di b, è falso grammaticalmente, e toglie tutto il vigore e il rilievo che, dalla lunga interposizione e dalla collocazione in fondo al periodo, risultano a questo cacciarsi, infinito appositivo di jmrtito. 24. la ignavia. La giunta di b e pigrizia al combattere ha tutta l'aria di una chiosa, e toglie di rapidità e vigore alla sentenza; la quale anche dal Nifo è resa cosi speditamente: Hinc evenit ut mercenarii oh ignaviam, done dice: Res dura, et regni novitas me talia cogunt Moliri, et late fìnes custode tueri. Non di manco, debbe esser grave al credere et al muo- versi, né si fare paura da sé stesso, e procedere in modo 20 temperato con prudenzia et umanità, che la troppa confidenzia non lo facci incauto e la troppa diffidenzia non lo renda in- tollerabile. Nasce da questo una disputa: s' elli è meglio essere amato che temuto, e converso. Respondesi, che si vorrebbe essere 25. 1. P nondimeno 3. M racconcia Romagna 8. C R li b i 9. P li quali 10. 1) disordini, onde naschino 11. B e b università 11-12. C universalità in terra, 12-13. M principe uno 13. P tutti principi 15-16. b ; onde Virgilio per la bocca di Bidone escusa le inumanità del suo regno per esser quel nuovo dicendo: 18. B molire 19. b Non di meno deve R credersi 19-20. M mo- versi et procedere 24. M di questo M b se glie 25. b che temuto, o te- muto che amato. Respondesi M Respondoti 15. e Virgilio ecc. La lunga giunta di b è inutilissima chiosa, che ripete il concetto precedente e quanto si dice ne' versi di Virgilio. 25. e converso è formola scolastica frequente nell'uso del linguaggio dia- lettico, che si riscontra anche nel Villani, 342 e nel Guicciardini Opere inedite, 1, 12 e III, 196, e nel Giannotti Op. 2, 396: classico è l'esempio di Dante, Mime, 198 «.... Siccome è il cielo, dovunque la stella; Ma ciò non 76 IL PRINCIPE l'uno e r altro; ma, perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell' uno de' dua. Perché delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori, 5 fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, offeronti el sangue, la roba, la vita, e' figliuoli, come di sopra dissi, quando el bisogno è discosto ; ma, quando ti si appressa, e' si rivoltano. E quel principe, che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo 10 di altre preparazioni, rovina; perché le amicizie che si ac- quistono col prezzo e non con grandezza e nobilita di animo, si meritano, ma elle non si hanno, et a' tempi non si pos- sano spendere. E li uomini hanno meno . respetto ad offendere uno che si facci amare che uno che si facci temere ; perché 15 l' amore è tenuto da uno vinculo di obligo, il quale, per es- sere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai. Debbe, non di mancQ, el principe farsi temere § 3 - in modo, che, se non acquista lo amore, che fugga 1' odio ; 20 perché può molto bene stare insieme esser temuto e non odiato ; il che farà sempre, quando si astenga dalla roba de' sua cittadini e de' sua sudditi, e dalle donne loro : e quando 1. l) gli è dififìcile che gli stiano insieme 2. b l'esser 3. b doi 4. [C] M simulatori et dissimulatori 5. B de guadagni; 6. b ti offeriscono 6-7. b et i figli 8. B P b appressa, si rivoltano M ti si rivoltano 10. b d' altri preparamenti, 12. B ma non le si C R P b ma le non P b possono 13. b d'offendere 17. B che non ti 18. b Deve P b non di meno 19. b amor e' fugga 21. B b il che sarà B b sempre che si 22. B L H P R e delle donne e converso ». Inutile quindi ed arbitraria è la lezione dì b o temuto che amato. 4. simulatori. In C dissimulatori è in margine ; ed io la credo giunta ar- bitraria anche in M e nata per generazione spontanea da simulatori, sem- brandomi poco probabile che tanto L P R quanto B b l'abbiano inavver- tentemente saltata. 22. e dalle donne. Manoscritti delle tre famiglie diverse, B, L P R ed M portano delle donne: e si può affermare con quasi certezza che C b ab- bian corretto in dalle donne per ragion di senso. La qual ragione, troppo forte, induce anche me a credere che tutti i copisti, e forse il Machiavelli stesso contro T intenzione sua, abbiano scritto per isbaglio fieZZe, trascinati IL PRINCIPE 77 pure li bisognassi procedere contro al sangue di alcuno, farlo quando yì sia iustificazione conveniente e causa manifesta ; ma, sopra a tutto, astenersi dalla roba d'altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio. Di poi, le cagioni del tórre la roba non mancono 5 mai ; e sempre, colui che comincia a vivere con rapina, truova cagione di occupare quello d'altri; e per avverso, contro al sangue sono più rare, e mancono più presto. Ma, quando el principe è con li eserciti et ha in governo multitudine di soldati, allora al tutto è necessario non si curare 10 del nome di crudele; perché sanza questo nome non si tenne mai esercito unito né disposto ad alcuna fazione. Intra le mirabili azioni di Annibale si connumera questa, che, avendo uno esercito grossissimo, misto di infinite generazioni di uo- mini, condotto a militare in terre aliene, non vi surgessi mai 15 alcuna dissensione, né infra loro né contro al principe, cosi nella cattiva come nella sua buona fortuna. Il che non posse nascere da altro, che da quella sua inumana crudeltà, la quale insieme con infinite sua virtù lo fece sempre nel conspetto de' sua soldati venerando e terribile; e sanza quella, a fare 20 quello efi'etto, le altre sua virtù non li bastavano. E li scrit- tori poco considerati, dall' una parte ammirano questa sua azione, dall'altra dannono la principale cagione di essa. E che sia vero che l'altre sua virtù non sarebbano bastate, si 1. B abbisognasi b di qualcuno 3, P b sopra tutto 3-4. M perché più presto li homini si dimenticano la morte 4. b dimenticano B più tosto IO. B b è al tutto 11. B b non si tiene 11-12. b tiene un esercito 12. B Infra 15. b le terre d'altri, 15-16. b mai una ' 16. b contro el 17. b nella trista come C R b potè 20-21. b e senza quella l'altre sue virtù a far quello effetto non gli bastavano 21. C R tale effecto 22. C considerati [in questo] 22-23. b queste sue azioni e dall' altra 23. B dall' altro M dall' altra parte b di " esse 24. b il vero b non gli sarieno dai due de' precedenti; ovvero che i copisti abbiano male interpretato un'ab- breviazione di dalle. Lo scrittore qui vuol parlare di due cose ben distinte, che non bisogna togliere a' sudditi, roba e onore: difatti nel principio del Gap. XIX mss. e stampe leggono unanimi: Odioso lo fa, sopr' a tutto, come io dissi, lo esser rapace et usurpatore della roba e delle donne de' sud- diti: di che si debbe astenere; e qualunque volta alle universalità delU uo- mini non si toglie né roba né onore, vivono contenti ecc. 15. aliene è corretto da b in d' altri come altre volte : cfr. cap. XIII^ p. 63, r. 4 e 25. 78 IL PRINCIPE può considerare in Scipione, rarissimo non solamente ne' tempi sua, ma in tutta la memoria delle cose che si sanno, dal quale li eserciti sua in Ispagna si rebelloronoXH che non nacque da altro, che dalla troppa sua pietà, la quale aveva 5 data a' sua soldati più licenzia che alla disciplina militare non si conveniva. La qual cosa li fu da Fabio Massimo in Senato rimproverata, e chiamato da lui corruttore della ro- mana milizia. E' Locrensi, sendo stati da uno legato di Sci- pione destrutti, non furono da lui vendicati, né la insolenzia 10 di quello legato corretta, nascendo tutto da quella sua na- tura facile; talmente che, volendolo alcuno in Senato escu- sare, disse come elli erano di molti uomini, che sapevano meglio non errare, che correggere li errori. La qual natura arebbe col tempo violato la fama e la gloria di Scipione, se 15 elli avessi con essa perseverato nello imperio ; ma, vivendo sotto el governo del Senato, questa sua qualità dannosa non solum si nascose, ma li fu a gloria. Concludo adunque, tornando allo essere temuto et amato, § 6 che, amando li uomini a posta loro, e temendo a posta del 20 principe, debbe uno principe savio fondarsi in su quello che è suo, non in su quello che è d'altri: debbe solamente inge- gnarsi di fuggire lo odio, come è detto. 1. B considerare Scipione 2. B si fanno 4. b sua troppa 5. C R b dato C R nella disciplina 6-7. b nel senato rimproverata nominandolo cor- r.uttore 8. b I b essendo 9. P né la violentia 10. M tutto nascendo 11-12. M in senato disse 12. B P b erano molti 13. B b gli errori d' altri. 15. M comepsa 16-17. C R non solo b non solamente 17. C R di gloria 18. b Conchiudo 21. C et non M che d'altri 7. e chiamato. La stampa, correggendo in nominandolo, non solo tolse via il soggetto del gerundio e commise una sgrammaticatura, ma guastò anche la varietà e l'elegante speditezza che deriva all'espressione dall'ellissi dell' ausiliare e dal mutamento di soggetto, com' è spesso nel Mach. 19. a posta ... a posta, portati qui unanimemente dai mss. e dalle tìtampe, confermano quanto fu detto a p. 47, nella nota alla r. 5. IL PRINCIPE 79 [xviii] QUOMODO FIDES A PRINCIPIBUS SIT SERVANDA Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e ^/^ vivere con integrità e non con astuzigÉ^ ciascuno lo intende r'non' di manco, si vede per esperienzia ne' nostri tempi quelli prin- cipi avere fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco 5 conto, e che hanno saputo con l' astuzia aggirare e' cervelli delli uomini; et alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. ^Z^^:^ che non C qual tempo mai 2. b disse 3. b d' Israel fusse schiava 4. b e lo 'mimo 5. C R b oppressi b et ad illustrarte la eccellenzia 8. P b si conducessi P ad termine che Ve b ne' termini presenti, M che è 9. M più severa 11. P lacerata et avessi M lacerata 12. b insino 13. P da potere sperare che b indicare fussi 14. b niente di manco M di poi b- come di poi 16. B [C] b rimasa come sanza vita b aspetta 17. M fedite 17-18. b ponga fine alle direpzioni e sacchi di Lombardia, alle espilazioni e tagUe 19. b da quelle b il lungo 20. C P R che mandi pejor) mi fa pensare che il Machiavelli, scrivendo corvino tante cose, avesse più la mente a correvano tempi di sopra. 5. oppressati. Anche nelle Ist. Fior. ELI, 12 e Vn, 23 si riscontra il verbo oppressare : e oppressi di C R b mi pare arbitrario. Dal '300 al '500, massime dagli storici, questo verbo è adoperato assai spesso. 8. sì riducessi è certo assai più proprio a indicare abbassamento, che non sia si conducessi; nel quale si sono incontrati per caso P e b. 11. lacera. Mi par più facile che M e P abbiano corretto per maggior chiarezza lacera in lacerata, anzi che al contrario tutti gli altri mss. Cfr. libera e liberata al Cap. xni, p. 64, r. 9. 16. rimasa sanza vita. La giunta come di B C b attenua l'imagine: ma gli esperti dello stile e de' modi del Machiavelli sanno com' egli preferisca le frasi crude, esagerate anche, alle più precise e meno forti. IL PRINCIPE 117 redima da queste crudeltà et insolenzie barbare. Vedesi an- cora tutta pronta e disposta a seguire una bandiera, pur che ci sia uno che la pigli. Né ci si vede al presente in quale lei possa più sperare che nella illustre casa vostra, quale con la sua fortuna e virtù, favorita da Dio e dalla Chiesa, della 5 quale è ora principe, possa farsi capo di questa redenzione. Il che non fia molto difficile, se vi recherete innanzi le azioni e vita dei soprannominati. E, benché quelli uomini sieno rari e maravigliosi, non di manco furono uomini, et ebbe cia- scuno di loro minore occasione che la presente: perché Tim- io presa loro non fu più insta di questa né più facile, né fu a loro Dio più amico che a voi. Qui è iustizia grande : « iustum enim est bellum quibus necessarium, et pia arma ubi nulla nisi in arrais spes est ». Qui è disposizione grandissima; né può es- sere, dove è grande disposizione, grande difficultà, pur che i5 quella pigli delli ordini di coloro che io ho proposti per mira. Oltre a questo, qui si veggano estraordinarii, sanza esemplo, condotti da Dio : el mare s' è aperto ; una nube vi ha scòrto el 1. b crudeltadi 2. b tutta prona e C al seguire 3. M b alcuno che 3-7. b Né si vede al presente che ella possa sperare altra che la illustre casa vostra potersi fare capo di questa redenzione, sendo questa dalla sua virtù e fortuna tanto suta esaltata, e da Dio e dalla Chiesa della quale tiene ora il prin- cipato, favorita. E questo non vi sarà molto 4. C M R la quale 6. C P R la possa 8. C b vite 11-12. C fu Dio più loro amico 12. P a noi. 12-14. P grande, et la guerra è insta a chi è ella necessaria, et le arme iustissime a chi ha perso ogni altra speranza. b grande, perché quella guerra è insta che gli è necessaria, e quelle arme son pietose dove non si spera in altro che in elle. 15. B donde 16. b vi ho M preposti b preposto 2. pronta. Cosi leggono unanimi i mss. ed escludono senz' altro prona di b, che a prima vista parrebbe assai bella lezione. Ma, o prona è nel senso di Inchinevole, e allora pronta ci sta meglio ; o vuol dire Inchinata : e in questo caso, a pensarci bene, perché l'Italia dev'essere inchinata perse- guire un principe, una bandiera? 3. Né ci si vede ecc. La trasformazione che b fece subire a questo pe- rìodo, fu causata certo dai tre pron. relativi che vi si arruffano noiosa- mente : ma b fece peggio; ed ha ragione il Bonghi (Perché la Leti. ecc. XII, 140) a rimproverare il bruttissimo periodo, non al Machiavelli, ma alla stampa. Secondo questa, vien perduto il magnifico rilievo dato al concetto di redenzione posto in fine. 12. iustum enim ecc. La sentenza, riportata anche ne' Disc. Ili, 12, è di Livio, IX, 1; e fu male interpretata da b nella prima parte, e mal volgariz- zata da P nella seconda. Enim, che si trova anche ne' Discorsi, in C L M R è abbreviato in un semplice .n. 118 IL PRINCIPE cammino ; la pietra ha versato acqua ; qui è piovuto la manna ; ogni cosa è concorsa nella vostra grandezza. El rimanente dovete fare voi. Dio non vuole fare ogni cosa, per non ci torre el libero arbitrio e parte di quella gloria che tocca a 5 noi. E non è maraviglia se alcuno de' prenominati Italiani § * non ha possuto fare quello che si può sperare facci la illustre casa vostra, e se, in tante revoluzioni di Italia et in tanti maneggi di guerra, e' pare sempre che in quella la virtù militare sia spenta. Questo nasce, che li ordini antichi di essa 10 non erano buoni, e non ci è suto alcuno che abbia saputo trovare de' nuovi : e veruna cosa fa tanto onore a uno uomo che di nuovo si vegga, quanto fa le nuove legge e li nuovi ordini trovati da lui. Queste cose, quando sono bene fondate et abbino in loro grandezza, lo fanno reverendo e mirabile: 15 et in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma. Qui è virtù grande nelle membra, quando la non mancassi ne' capi. Specchiatevi ne' duelli e ne' congressi de' pochi, quanto li Italiani sieno superiori con le forze, con la destrezza, con lo ingegno. Ma, come si viene alli eserciti, non compariscono. 20 E tutto procede dalla debolezza de' capi; perché quelli che sanno non sono obediti, et a ciascuno pare di sapere, non ci sendo fino a qui alcuno, che si sia saputo rilevare e per virtù e per fortuna, che li altri cedino. Dì qui nasce che, in 1. b la pietà ha h l'acque C piovuta 2. M è concessa nella B alla 5. M pronomini 7-9. B vostra. E se in tante .... spenta, questo nasce 9. P manchi et sia spenta. b spenta: perchè questo 9-10. b di quella non 10. C stato 10-11. b che l'abbi saputo truovare de' nuoi. Nessuna 11. B nessuna 12. b di nuovo surga, quando b fanno P quanto le nuove b e nuovi 14. B admirabile: 16. B b ella non 17. b nelli duelli 18. P con la forza, 18-19. P et con lo 21. b par sapere 22, C L P R b essendo C fino a qui stato alcuno P b fino a qui suto alcuno 22-23. b che si sia revelato tanto e per virtù. 7-9. e se, . . . Questo nasce. L' interpunzione di B non mi sembra la mi- gliore, poiché le due prop. ipotetiche sono più naturalmente coordinate tra loro; e Questo va riferito ad ambedue i concetti. 22. non ci sendo fino a qui alcuno. Io credo che C P e b abbiano spon- taneamente aggiunto suto e stato per il successivo che si sia saputo. B, L R e M, mss. di tre famiglie diverse, lo tacciono: e il gerundio presente mi pare stia meglio in rapporto con procede, sanno, pare e cedino. IL PRINCIPE * 119 tanto tempo, in tante guerre fatte ne' passati venti anni, quando elli è stato uno esercito tutto italiano, sempre ha fatto mala pruova. Di che è testimone el Taro; di poi Ales- sandria, Capua, Genova, Vaila, Bologna, Mestri. § 5 Volendo dunque la illustre casa vostra seguitare quelli eccelienti uomini e redimere le provincie loro, è necessario, innanzi a tutte r altre cose, come vero fondamento d' ogni impresa, provvedersi d' arme proprie ; perché non si può avere né pili fidi né più veri né migliori soldati. E, benché ciascuno di essi sia buono, tutti insieme diventeranno migliori, quando io si vedranno comandare dal loro principe e da quello onorare et intrattenere. È necessario, per tanto, prepararsi a queste arme, per potere con la virtù italica defendersi dalli esterni. § 6 E, benché la fanteria svizzera e spagnola sia existimata ter- ribile, non di meno in ambo dna è difetto, per il quale uno i5 ordine terzo potrebbe non solamente opporsi loro, ma con- fidare di superarli. Perché li Spagnoli non possono sostenere e' cavalli, e li Svizzeri hanno ad avere paura de' fanti, quando li riscontrino nel combattere ostinati come loro. Donde si è ve- duto e vedrassi per esperienzia, li Spagnoli non potere soste- 20 nere una cavalleria franzese, e li Svizzeri essere minati da una fanteria spagnola. E, benché di questo ultimo non se ne sia 1. M guerre ne' passati 2. b gli è 3. b testimonio C H B b testimone prima el Taro 5. M adunque 6. C homini che redimirne le b huomini •che redimerono le 8. b e perché 11. b da loro 13. b potersi con virtù italiana defendersi M dalli exerciti. 14. C stimata B b estimata 15. C B b non di manco 16. B non solo B , et confidare 18. M e Svizzeri H davere R da avere 19. C R obstinati nel combattere 3. testimone el Taro. La giunta di prima in C M b è naturalmente por- tata dalla enumerazione e dal di poi che segue. 6. e redìmere le provincie loro. S'intenda loro «degli Italiani», come apparisce chiaro dal passo che vien dopo (p. 120, r. 16-17): con quale amore fussi ricevuto in tutte quelle pì'ovincie che hanno patito ecc. Non è quindi probabile la lez. di C b che redimerono, derivata, credo, dal non es- sersi inteso il concetto. 13. con la virtù italica, ossia « con un valoroso esercito tutto italiano », ai contrappone a dalli esterni poco appresso. La soppressione dall'articolo, secondo b, attribuisce alla frase un senso ben diverso. 120 IL PRINCIPE visto intera esperienzia, tamen se n' è veduto uno saggio nella- giornata, di Ravenna, quando le fanterie spagnole si affronto- rono con le battaglie todesche, le quali servono el medesimo or- dine che le svizzere: dove li Spagnoli, con la agilità del corpo 5 et aiuto de' loro brocchieri, erano intrati tra le picche loro sotto, e stavano securi ad offenderli, sanza che Todeschi vi avessino remedio; e, se non fussi la cavalleria che li urtò, li arebbano consumati tutti. Puossi, adunque, conosciuto el defetto dell'una e dell'altra di queste fanterie, ordinarne una di nuovo, la 10 quale resista a' cavalli e non abbia paura de' fanti : il che farà la generazione dell'arme e la variazione delli ordini. E queste sono di quelle cose che, di nuovo ordinate, danno reputazione e grandezza a uno principe nuovo. Non si debba, adunque, lasciare passare questa occasione, 15 acciò che l'Italia, dopo tanto tempo, vegga uno suo reden- tore. Né posso esprimere con quale amore e' fussi ricevuto in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne; con che sete di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se li serrerebbano ? 20 quali populi li negherebbano la obedienzia? quale invidia se li opporrebbe? quale Italiano li negherebbe l'ossequio? A ognuno puzza questo barbaro dominio. Pigli, adunque, la illustre casa vostra questo assunto con quello animo e con i quella speranza che si pigliano le imprese iuste; acciò che,. 1. b vista b , niente di meno M se n'è visto uno 3. b tedesche 4. M che Svizzeri: M donde gli 5. M b et aiuti M loro sotto tra le piche 7. B fussi che la cavalleria li 10-11. b il che lo farà 15. M b vegga dopo b apparire un suo 16. B amore fussi 18. b con qual sete 21. B quali italiani 24. b quelle speranze 11. la generazione dell'arme ecc. È questa la lez. dei mss. d'accordo con la prima stampa : ma la Giuntina e la Testina, seguite da tutte le edi- zioni, non esclusa quella del Tanzini e Tassi, adottarono un'altra versione: non la generazione delle armi, ina la variazione degli ordini. Ma, vera- mente, tanto la variazione delli ordini, quanto la generazione, la qualità delle armi, possono dar luogo ad una superiorità materiale ; come di certo- volle dire il Machiavelli, avendo già ricordato che gli Spagnuoli, con l'aiuto de' loro brocchieri e delle spade corte (non chiaramente espresse), erano- entrati tra le lunghe picche, inoffensive, sotto le battaglie todesche, e in que- sto modo li arebbano consumati tutti. IL PRINCIPE 121 / sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e sotto ; li sua auspizii si verifichi quel detto del Petrarca: Virtù contro a furore Prenderà l'arme; e fia el combatter corto: Che r antico valore Nelli italici cor non è ancor morto. 1. M sobto sua 2. B quello C Petrarca quando disse: 3. l> contro al B e L M F B cori M ancora INDICE Dedica Pag. ni Avvertenza v Introduzione critica . . , vii Nicolaus Maclavellus ad Magnificum Laurentium Medicera a DE PRINCIPATIBUS |I] Quot sint genera principatuum et quibus modis aequirantur. 5 [II] De principatibus hereditariis 6 [III] De principatibus mixtis 7 [IV] Cur Darii regnum quod Alexander occupaverat a successoribus suis post Alexandri mortem non defecit 17 [V] Quomodo administrandae sunt civitates vel principatus qui, antequam occuparentur, suis legibus vivebant 22 [VI] De principatibus novis qui armis propriis et virtute acquiruntur 24 [VII] De principatibus novis qui alienis armis et fortuna acquiruntur 28 [Vili] De bis qui per scolerà ad principatum pervenere 39 [IX] De principatu civili 45 [X] Quomodo omnium principatuum vires perpendi debeant . . 49 [XI] De principatibus ecclesiasticis 52 [XII] Quot sint genera militiae et de mercenariis militibus ... 55 [Xm] De militibus auxiliariis mixtis et propriis 61 [XIV] Quod principem deceat circa militiam 66 [XV] De bis rebus quibus homines et praesertim principes laudantur aut vituperantur 69 [XVI] De liberalitate et parsimonia 71 [XVn] De crudelitate et piotate, et an sit melius amari quam timeri, vel e contra 74 [XVIII] Quomodo fides a principibus sit servanda 79 [XIX] De contemptu et odio fugìendo 82 [XX] An arces et multa alia quae cotidie a principibus flunt utilia an inutilia sint 95 [XXI] Quod principem deceat ut egregius habeatur 100 [XXIIJ De bis quos a secretis principes habent 105 [XXIII] Quomodo adulatores sint fugiendi 107 [XXIV] Cur Italiae principes regnum amiserunt 109 [XXV] Quantum fortuna in rebus humanis possit et quomodo illi sit occurrendum. [XXVI] Exhortatio ad capessendam Italiam in libertateraque a barbaris vindicandam.