Galileo Galilei
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano

Serenissimo Gran Duca,

La differenza che tra gli uomini e gli altri animali, per grandissima che ella sia, chi dicesse poter darsi poco dissimile tra gli stessi uomini, forse non parlerebbe fuor di ragione. Qual proporzione ha da uno a mille? e pure proverbio vulgato, che un solo uomo vaglia per mille, dove mille non vagliano per un solo. Tal differenza depende dalle abilit diverse degl'intelletti, il che io riduco all'essere o non esser filosofo: poich la filosofia, come alimento proprio di quelli, chi pu nutrirsene, il separa in effetto dal comune esser del volgo, in pi e men degno grado, come che sia vario tal nutrimento. Chi mira pi alto, si differenzia pi altamente; e 'l volgersi al gran libro della natura, che 'l proprio oggetto della filosofia, il modo per alzar gli occhi: nel qual libro, bench tutto quel che si legge, come fattura d'Artefice onnipotente, sia per ci proporzionatissimo, quello nientedimeno pi spedito e pi degno, ove maggiore, al nostro vedere, apparisce l'opera e l'artifizio. La costituzione dell'universo, tra i naturali apprensibili, per mio credere, pu mettersi nel primo luogo: che se quella, come universal contenente, in grandezza tutt'altri avanza, come regola e mantenimento di tutto debbe anche avanzarli di nobilt. Per, se a niuno tocc mai in eccesso differenziarsi nell'intelletto sopra gli altri uomini, Tolomeo e 'l Copernico furon quelli che s altamente lessero s'affisarono e filosofarono nella mondana costituzione. Intorno all'opere de i quali rigirandosi principalmente questi miei Dialoghi, non pareva doversi quei dedicare ad altri che a Vostra Altezza; perch posandosi la lor dottrina su questi due, ch'io stimo i maggiori ingegni che in simili speculazioni ci abbian lasciate loro opere, per non far discapito di maggioranza, conveniva appoggiarli al favore di Quello appo di me il maggiore, onde possan ricevere e gloria e patrocinio. E se quei due hanno dato tanto lume al mio intendere, che questa mia opera pu dirsi loro in gran parte, ben potr anche dirsi di Vostr'Altezza, per la cui liberal magnificenza non solo mi s' dato ozio e quiete da potere scrivere, ma per mezo di suo efficace aiuto, non mai stancatosi in onorarmi, s' in ultimo data in luce. Accettila dunque l'Altezza Vostra con la sua solita benignit; e se ci troverr cosa alcuna onde gli amatori del vero possan trar frutto di maggior cognizione e di giovamento, riconoscala come propria di s medesima, avvezza tanto a giovare, che per nel suo felice dominio non ha niuno che dell'universali angustie, che son nel mondo, ne senta alcuna che lo disturbi. Con che pregandole prosperit, per crescer sempre in questa sua pia e magnanima usanza, le fo umilissima reverenza.

Dell'Altezza Vostra Serenissima

Umilissimo e devotissimo servo e vassallo

Galileo Galilei

 

 

Al discreto lettore

 

Si promulg a gli anni passati in Roma un salutifero editto, che, per ovviare a' pericolosi scandoli dell'et presente, imponeva opportuno silenzio all'opinione Pittagorica della mobilit della Terra. Non manc chi temerariamente asser, quel decreto essere stato parto non di giudizioso esame, ma di passione troppo poco informata, e si udirono querele che consultori totalmente inesperti delle osservazioni astronomiche non dovevano con proibizione repentina tarpar l'ale a gl'intelletti speculativi. Non pot tacer il mio zelo in udir la temerit di s fatti lamenti. Giudicai, come pienamente instrutto di quella prudentissima determinazione, comparir publicamente nel teatro del mondo, come testimonio di sincera verit. Mi trovai allora presente in Roma, ebbi non solo udienze, ma ancora applausi de i pi eminenti prelati di quella Corte; n senza qualche mia antecedente informazione segu poi la publicazione di quel decreto. Per tanto mio consiglio nella presente fatica mostrare alle nazioni forestiere, che di questa materia se ne sa tanto in Italia, e particolarmente in Roma, quanto possa mai averne imaginato la diligenza oltramontana; e raccogliendo insieme tutte le speculazioni proprie intorno al sistema Copernicano, far sapere che precedette la notizia di tutte alla censura romana, e che escono da questo clima non solo i dogmi per la salute dell'anima, ma ancora gl'ingegnosi trovati per delizie degl'ingegni.

A questo fine ho presa nel discorso la parte Copernicana, procedendo in pura ipotesi matematica, cercando per ogni strada artifiziosa di rappresentarla superiore, non a quella della fermezza della Terra assolutamente, ma secondo che si difende da alcuni che, di professione Peripatetici, ne ritengono solo il nome, contenti, senza passeggio, di adorar l'ombre, non filosofando con l'avvertenza propria, ma con solo la memoria di quattro principii mal intesi.

Tre capi principali si tratteranno. Prima cercher di mostrare, tutte l'esperienze fattibili nella Terra essere mezi insufficienti a concluder la sua mobilit, ma indifferentemente potersi adattare cos alla Terra mobile, come anco quiescente, e spero che in questo caso si paleseranno molte osservazioni ignote all'antichit. Secondariamente si esamineranno li fenomeni celesti, rinforzando l'ipotesi copernicana come se assolutamente dovesse rimaner vittoriosa, aggiungendo nuove speculazioni, le quali per servano per facilit d'astronomia, non per necessit di natura. Nel terzo luogo proporr una fantasia ingegnosa. Mi trovavo aver detto, molti anni sono, che l'ignoto problema del flusso del mare potrebbe ricever qualche luce, ammesso il moto terrestre. Questo mio detto, volando per le bocche degli uomini, aveva trovato padri caritativi che se l'adottavano per prole di proprio ingegno. Ora, perch non possa mai comparire alcuno straniero che, fortificandosi con l'armi nostre, ci rinfacci la poca avvertenza in uno accidente cos principale, ho giudicato palesare quelle probabilit che lo renderebbero persuasibile, dato che la Terra si movesse. Spero che da queste considerazioni il mondo conoscer, che se altre nazioni hanno navigato pi, noi non abbiamo speculato meno, e che il rimettersi ad asserir la fermezza della Terra, e prender il contrario solamente per capriccio matematico, non nasce da non aver contezza di quant'altri ci abbia pensato, ma, quando altro non fusse, da quelle ragioni che la piet, la religione, il conoscimento della divina onnipotenza, e la coscienza della debolezza dell'ingegno umano, ci somministrano.

Ho poi pensato tornare molto a proposito lo spiegare questi concetti in forma di dialogo, che, per non esser ristretto alla rigorosa osservanza delle leggi matematiche, porge campo ancora a digressioni, tal ora non meno curiose del principale argomento.

Mi trovai, molt'anni sono, pi volte nella maravigliosa citt di Venezia in conversazione col signor Giovan Francesco Sagredo, illustrissimo di nascita, acutissimo d'ingegno.Venne l di Firenze il signor Filippo Salviati, nel quale il minore splendore era la chiarezza del sangue e la magnificenza delle ricchezze; sublime intelletto, che di niuna delizia pi avidamente si nutriva, che di specolazioni esquisite. Con questi due mi trovai spesso a discorrer di queste materie, con l'intervento di un filosofo peripatetico, al quale pareva che niuna cosa ostasse maggiormente per l'intelligenza del vero, che la fama acquistata nell'interpretazioni Aristoteliche.

Ora, poich morte acerbissima ha, nel pi bel sereno degli anni loro, privato di quei due gran lumi Venezia e Firenze, ho risoluto prolungar, per quanto vagliono le mie debili forze, la vita alla fama loro sopra queste mie carte, introducendoli per interlocutori della presente controversia. N mancher il suo luogo al buon Peripatetico, al quale, pel soverchio affetto verso i comenti di Simplicio, parso decente, senza esprimerne il nome, lasciarli quello del reverito scrittore. Gradiscano quelle due grand'anime, al cuor mio sempre venerabili, questo publico monumento del mio non mai morto amore, e con la memoria della loro eloquenza mi aiutino a spiegare alla posterit le promesse speculazioni.

Erano casualmente occorsi (come interviene) varii discorsi alla spezzata tra questi signori, i quali avevano pi tosto ne i loro ingegni accesa, che consolata, la sete dell'imparare: per fecero saggia risoluzione di trovarsi alcune giornate insieme, nelle quali, bandito ogni altro negozio, si attendesse a vagheggiare con pi ordinate speculazioni le maraviglie di Dio nel cielo e nella terra. Fatta la radunanza nel palazzo dell'illustrissimo Sagredo, dopo i debiti, ma per brevi, complimenti, il signor Salviati in questa maniera incominci.

Giornata Prima

 

Interlocutori:

Salviati, Sagredo e Simplicio

 

 

   SALV. Fu la conclusione e l'appuntamento di ieri, che noi dovessimo in questo giorno discorrere, quanto pi distintamente e particolarmente per noi si potesse, intorno alle ragioni naturali e loro efficacia, che per l'una parte e per l'altra sin qui sono state prodotte da i fautori della posizione Aristotelica e Tolemaica e da i seguaci del sistema Copernicano. E perch collocando il Copernico la Terra tra i corpi mobili del cielo, viene a farla essa ancora un globo simile a un pianeta, sar bene che il principio delle nostre considerazioni sia l'andare esaminando quale e quanta sia la forza e l'energia de i progressi peripatetici nel dimostrare come tale assunto sia del tutto impossibile; attesoch sia necessario introdurre in natura sustanze diverse tra di loro, cio la celeste e la elementare, quella impassibile ed immortale, questa alterabile e caduca. Il quale argomento tratta egli ne i libri del Cielo, insinuandolo prima con discorsi dependenti da alcuni assunti generali, e confermandolo poi con esperienze e con dimostrazioni particolari. Io, seguendo l'istesso ordine, proporr, e poi liberamente dir il mio parere, esponendomi alla censura di voi, ed in particolare del signor Simplicio, tanto strenuo campione e mantenitore della dottrina Aristotelica.

   il primo passo del progresso peripatetico quello dove Aristotile prova la integrit e perfezione del mondo coll'additarci com'ei non una semplice linea n una superficie pura, ma un corpo adornato di lunghezza, di larghezza e di profondit; e perch le dimensioni non son pi che queste tre, avendole egli, le ha tutte, ed avendo il tutto, perfetto. Che poi, venendo dalla semplice lunghezza costituita quella magnitudine che si chiama linea, aggiunta la larghezza si costituisca la superficie, e sopragiunta l'altezza o profondit ne risulti il corpo, e che doppo queste tre dimensioni non si dia passaggio ad altra, s che in queste tre sole si termini l'integrit e per cos dire la totalit, averei ben desiderato che da Aristotile mi fusse stato dimostrato con necessit, e massime potendosi ci esequire assai chiaro e speditamente.

   SIMP. Mancano le dimostrazioni bellissime nel 2, 3 e 4 testo, doppo la definizione del continuo? Non avete, primieramente, che oltre alle tre dimensioni non ve n' altra, perch il tre ogni cosa, e 'l tre per tutte le bande? e ci non vien egli confermato con l'autorit e dottrina de i Pittagorici, che dicono che tutte le cose son determinate da tre, principio, mezo e fine, che il numero del tutto? E dove lasciate voi l'altra ragione, cio che, quasi per legge naturale, cotal numero si usa ne' sacrifizii degli Dei? e che, dettante pur cos la natura, alle cose che son tre, e non a meno, attribuiscono il titolo di tutte? perch di due si dice amendue, e non si dice tutte; ma di tre, s bene. E tutta questa dottrina l'avete nel testo 2. Nel 3 poi, ad pleniorem scientiam, si legge che l'ogni cosa, il tutto, e 'l perfetto, formalmente son l'istesso; e che per solo il corpo tra le grandezze perfetto, perch esso solo determinato da 3, che il tutto, ed essendo divisibile in tre modi, divisibile per tutti i versi: ma dell'altre, chi divisibile in un modo, e chi in dua, perch secondo il numero che gli toccato, cos hanno la divisione e la continuit; e cos quella continua per un verso, questa per due, ma quello, cio il corpo, per tutti. Di pi nel testo 4, doppo alcune altre dottrine, non prov'egli l'istesso con un'altra dimostrazione, cio che non si facendo trapasso se non secondo qualche mancamento (e cos dalla linea si passa alla superficie, perch la linea manchevole di larghezza), ed essendo impossibile che il perfetto manchi, essendo egli per tutte le bande, per non si pu passare dal corpo ad altra magnitudine? Or da tutti questi luoghi non vi par egli a sufficienza provato, com'oltre alle tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondit, non si d transito ad altra, e che per il corpo, che le ha tutte, perfetto?

   SALV. Io, per dire il vero, in tutti questi discorsi non mi son sentito strignere a concedere altro se non che quello che ha principio, mezo e fine, possa e deva dirsi perfetto: ma che poi, perch principio, mezo e fine son 3, il numero 3 sia numero perfetto, ed abbia ad aver facult di conferir perfezione a chi l'aver, non sento io cosa che mi muova a concederlo; e non intendo e non credo che, verbigrazia, per le gambe il numero 3 sia pi perfetto che 'l 4 o il 2; n so che 'l numero 4 sia d'imperfezione a gli elementi, e che pi perfetto fusse ch' e' fusser 3. Meglio dunque era lasciar queste vaghezze a i retori e provar il suo intento con dimostrazione necessaria, ch cos convien fare nelle scienze dimostrative.

   SIMP. Par che voi pigliate per ischerzo queste ragioni: e pure tutta dottrina de i Pittagorici, i quali tanto attribuivano a i numeri; e voi, che sete matematico, e, credo anco, in molte opinioni filosofo Pittagorico, pare che ora disprezziate i lor misteri.

   SALV. Che i Pittagorici avessero in somma stima la scienza de i numeri, e che Platone stesso ammirasse l'intelletto umano e lo stimasse partecipe di divinit solo per l'intender egli la natura de' numeri, io benissimo lo so, n sarei lontano dal farne l'istesso giudizio; ma che i misteri per i quali Pittagora e la sua setta avevano in tanta venerazione la scienza de' numeri sieno le sciocchezze che vanno per le bocche e per le carte del volgo, non credo io in veruna maniera; anzi perch so che essi, acci le cose mirabili non fussero esposte alle contumelie e al dispregio della plebe, dannavano come sacrilegio il publicar le pi recondite propriet de' numeri e delle quantit incommensurabili ed irrazionali da loro investigate, e predicavano che quello che le avesse manifestate era tormentato nell'altro mondo, penso che tal uno di loro per dar pasto alla plebe e liberarsi dalle sue domande, gli dicesse, i misterii loro numerali esser quelle leggerezze che poi si sparsero tra il vulgo, e questo con astuzia ed accorgimento simile a quello del sagace giovane che, per torsi dattorno l'importunit non so se della madre o della curiosa moglie che l'assediava acci le conferisse i segreti del senato, compose quella favola onde essa con molte altre donne rimasero dipoi, con gran risa del medesimo senato, schernite.

   SIMP. Io non voglio esser nel numero de' troppo curiosi de' misterii de' Pittagorici; ma stando nel proposito nostro, replico che le ragioni prodotte da Aristotile per provare, le dimensioni non esser, n poter esser, pi di tre, mi paiono concludenti; e credo che quando ci fusse stata dimostrazione pi necessaria, Aristotile non l'avrebbe lasciata in dietro.

   SAGR. Aggiugnetevi almanco, se l'avesse saputa, o se la gli fusse sovvenuta. Ma voi, signor Salviati, mi farete ben gran piacere di arrecarmene qualche evidente ragione, se alcuna ne avete cos chiara, che possa esser compresa da me.

   SALV. Anzi, e da voi e dal signor Simplicio ancora; e non pur compresa, ma di gi anche saputa, se ben forse non avvertita. E per pi facile intelligenza piglieremo carta e penna, che gi veggio qui per simili occorrenze apparecchiate, e ne faremo un poco di figura. E prima noteremo questi due punti A, B, e tirate dall'uno all'altro le linee curve A C B, A D B e la retta A B, vi domando qual di

 

esse nella mente vostra quella che determina la distanza tra i termini A, B, e perch.

   SAGR. Io direi la retta, e non le curve; s perch la retta la pi breve; s perch l' una, sola e determinata, dove le altre sono infinite, ineguali e pi lunghe, e la determinazione mi pare che si deva prendere da quel che uno e certo.

   SALV. Noi dunque aviamo la linea retta per determinatrice della lunghezza tra due termini: aggiunghiamo adesso un'altra linea retta e parallela alla A B, la quale sia C D, s che tra esse resti frapposta una superficie, della quale io vorrei che voi mi assegnaste la larghezza. Per partendovi dal termine A, ditemi dove e come voi volete andare a terminare nella linea C D per assegnarmi la larghezza tra esse linee compresa; dico se voi la determinerete secondo la quantit della curva A E, o pur della retta A F, o pure

   SIMP. Secondo la retta A F, e non secondo la curva, essendosi gi escluse le curve da simil uso.

 

SAGR Ma io non mi servirei n dell'una n dell'altra, vedendo la retta A F andare obliquamente; ma vorrei tirare una linea che fusse a squadra sopra la C D, perch questa mi par che sarebbe la brevissima, ed unica delle infinite maggiori, e tra di loro ineguali, che dal termine A si possono produrre ad altri ed altri punti della linea opposta C D.

   SALV. Parmi la vostra elezione, e la ragione che n'adducete, perfettissima: talch sin qui noi abbiamo, che la prima dimensione si determina con una linea retta; la seconda, cio la larghezza, con un'altra linea pur retta, e non solamente retta, ma, di pi, ad angoli retti sopra l'altra che determin la lunghezza; e cos abbiamo definite le due dimensioni della superficie, cio la lunghezza e la larghezza. Ma quando voi aveste a determinare un'altezza, come, per esempio, quanto sia alto questo palco dal pavimento che noi abbiamo sotto i piedi; essendo che da qualsivoglia punto del palco si possono tirare infinite linee, e curve e rette, e tutte di diverse lunghezze, ad infiniti punti del sottoposto pavimento, di quale di cotali linee vi servireste voi?

   SAGR. Io attaccherei un filo al palco, e con un piombino, che pendesse da quello, lo lascerei liberamente distendere sino che arrivasse prossimo al pavimento; e la lunghezza di tal filo, essendo la retta e brevissima di quante linee si potessero dal medesimo punto tirare al pavimento, direi che fusse la vera altezza di questa stanza.

   SALV. Benissimo. E quando dal punto notato nel pavimento da questo filo pendente (posto il pavimento a livello, e non inclinato) voi faceste partire due altre linee rette, una per la lunghezza e l'altra per la larghezza della superficie di esso pavimento, che angoli conterrebber elleno con esso filo?

   SAGR. Conterrebbero sicuramente angoli retti, cadendo esso filo a piombo ed essendo il pavimento ben piano e ben livellato.

   SALV. Adunque se voi stabilirete alcun punto per capo e termine delle misure, e da esso farete partire una retta linea come determinatrice della prima misura, cio della lunghezza, bisogner per necessit che quella che dee definir la larghezza si parta ad angolo retto sopra la prima, e che quella che ha da notar l'altezza, che la terza dimensione, partendo dal medesimo punto formi, pur con le altre due, angoli non obliqui, ma retti: e cos dalle tre perpendicolari avrete, come da tre linee une e certe e brevissime, determinate le tre dimensioni, A B lunghezza, A C larghezza, A D altezza.

 

E perch chiara cosa , che al medesimo punto non pu concorrere altra linea che con quelle faccia angoli retti, e le dimensioni dalle sole linee rette che tra di loro fanno angoli retti deono esser determinate, adunque le dimensioni non sono pi che 3, e chi ha le 3 le ha tutte, e chi le ha tutte divisibile per tutti i versi, e chi tale perfetto, etc.

   SIMP. E chi lo dice che non si possan tirare altre linee? e perch non poss'io far venir di sotto un'altra linea sino al punto A, che sia a squadra con l'altre?

   SALV. Voi non potete sicuramente ad un istesso punto far concorrere altro che tre linee rette sole, che fra di loro costituiscano angoli retti.

   SAGR. S, perch quella che vuol dire il signor Simplicio par a me che sarebbe l'istessa D A prolungata in gi: ed in questo modo si potrebbe tirarne altre due, ma sarebbero le medesime prime tre, non differenti in altro, che dove ora si toccano solamente, all'ora si segherebbero, ma non apporterebbero nuove dimensioni.

   SIMP. Io non dir che questa vostra ragione non possa esser concludente, ma dir bene con Aristotile che nelle cose naturali non si deve sempre ricercare una necessit di dimostrazion matematica.

   SAGR. S, forse, dove la non si pu avere, ma se qui ella ci , perch non la volete voi usare? Ma sar bene non ispender pi parole in questo particolare, perch io credo che il signor Salviati ad Aristotile ed a voi senza altre dimostrazioni avrebbe conceduto, il mondo esser corpo, ed esser perfetto e perfettissimo, come opera massima di Dio.

   SALV. Cos veramente. Per lasciata la general contemplazione del tutto, venghiamo alla considerazione delle parti, le quali Aristotile nella prima divisione fa due, e tra di loro diversissime ed in certo modo contrarie; dico, la celeste e la elementare: quella, ingenerabile, incorruttibile, inalterabile, impassibile, etc.; e questa, esposta ad una continua alterazione, mutazione, etc. La qual differenza cava egli come da suo principio originario, dalla diversit de i moti locali: e camina con tal progresso.

   Uscendo, per cos dire, del mondo sensibile e ritirandosi al mondo ideale, comincia architettonicamente a considerare, che essendo la natura principio di moto, conviene che i corpi naturali siano mobili di moto locale. Dichiara poi, i movimenti locali esser di tre generi, cio circolare, retto, e misto del retto e del circolare; e li duoi primi chiama semplici, perch di tutte le linee la circolare e la retta sole son semplici. E di qui, ristringendosi alquanto, di nuovo definisce, de i movimenti semplici uno esser il circolare, cio quello che si fa intorno al mezo, ed il retto all'ins ed all'ingi, cio all'ins quello che si parte dal mezo, all'ingi quello che va verso il mezo: e di qui inferisce come necessariamente conviene che tutti i movimenti semplici si ristringano a queste tre spezie, cio al mezo, dal mezo, ed intorno al mezo; il che risponde, dice egli, con certa bella proporzione a quel che si detto di sopra del corpo, che esso ancora perfezionato in tre cose, e cos il suo moto. Stabiliti questi movimenti, segue dicendo che, essendo, de i corpi naturali, altri semplici ed altri composti di quelli (e chiama corpi semplici quelli che hanno da natura principio di moto, come il fuoco e la terra), conviene che i movimenti semplici sieno de i corpi semplici, ed i misti de' composti, in modo per che i composti seguano il moto della parte predominante nella composizione.

   SAGR. Di grazia, signor Salviati, fermatevi alquanto, perch io mi sento in questo progresso pullular da tante bande tanti dubbi, che mi sar forza o dirgli, s'io vorr sentir con attenzione le cose che voi soggiugnerete, o rimuover l'attenzione dalle cose da dirsi, se vorr conservare la memoria de' dubbi.

   SALV. Io molto volentieri mi fermer, perch corro ancor io simil fortuna, e sto di punto in punto per perdermi, mentre mi conviene veleggiar tra scogli ed onde cos rotte, che mi fanno, come si dice, perder la bussola: per, prima che far maggior cumulo, proponete le vostre difficult.

   SAGR. Voi, insieme con Aristotile, da principio mi separaste alquanto dal mondo sensibile per additarmi l'architettura con la quale egli doveva esser fabbricato, e con mio gusto mi cominciaste a dire che il corpo naturale per natura mobile, essendo che si diffinito altrove, la natura esser principio di moto. Qui mi nacque un poco di dubbio; e fu, per qual cagione Aristotile non disse che de' corpi naturali alcuni sono mobili per natura ed altri immobili, avvengach nella definizione vien detto, la natura esser principio di moto e di quiete; che se i corpi naturali hanno tutti principio di movimento, o non occorreva metter la quiete nella definizione della natura, o non occorreva indur tal definizione in questo luogo. Quanto poi al dichiararmi, quali egli intenda esser i movimenti semplici e come ei gli determina da gli spazi, chiamando semplici quelli che si fanno per linee semplici, che tali sono la circolare e la retta solamente, lo ricevo quietamente, n mi curo di sottilizargli l'instanza della elica intorno al cilindro, che, per esser in ogni sua parte simile a se stessa, par che si potesse annoverar tra le linee semplici. Ma mi risento bene alquanto nel sentirlo ristrignere (mentre par che con altre parole voglia replicar le medesime definizioni) a chiamare quello, movimento intorno al mezo, e questo, sursum et deorsum, cio in su e in gi; li quali termini non si usano fuori del mondo fabbricato, ma lo suppongono non pur fabbricato, ma di gi abitato da noi. Che se il moto retto semplice per la semplicit della linea retta, e se il moto semplice naturale, sia pur egli fatto per qualsivoglia verso, dico in su, in gi, innanzi, in dietro, a destra ed a sinistra, e se altra differenza si pu immaginare, purch sia retto, dovr convenire a qualche corpo naturale semplice, o se no, la supposizione d'Aristotile manchevole. Vedesi in oltre che Aristotile accenna, un solo esser al mondo il moto circolare, ed in conseguenza un solo centro, al quale solo si riferiscano i movimenti retti in su e in gi; tutti indizi che egli ha mira di cambiarci le carte in mano, e di volere accomodar l'architettura alla fabbrica, e non costruire la fabbrica conforme a i precetti dell'architettura: ch se io dir che nell'universit della natura ci posson essere mille movimenti circolari, ed in conseguenza mille centri, vi saranno ancora mille moti in su e in gi. In oltre ei pone, come detto, moti semplici e moto misto, chiamando semplici il circolare ed il retto, e misto il composto di questi; de i corpi naturali chiama altri semplici (cio quelli che hanno principio naturale al moto semplice), ed altri composti; ed i moti semplici gli attribuisce a' corpi semplici, ed a' composti il composto: ma per moto composto e' non intende pi il misto di retto e circolare, che pu essere al mondo, ma introduce un moto misto tanto impossibile, quanto impossibile a mescolare movimenti opposti fatti nella medesima linea retta, s che da essi ne nasca un moto che sia parte in su e parte in gi; e per moderare una tanta sconvenevolezza e impossibilit, si riduce a dire che tali corpi misti si muovono secondo la parte semplice predominante; che finalmente necessita altrui a dire che anco il moto fatto per la medesima linea retta alle volte semplice e tal ora anche composto, s che la semplicit del moto non si attende pi dalla semplicit della linea solamente.

   SIMP. Oh non vi par ella differenza bastevole se il movimento semplice ed assoluto sar pi veloce assai di quello che vien dal predominio? e quanto vien pi velocemente all'ingi un pezzo di terra pura, che un pezzuol di legno?

   SAGR. Bene, signor Simplicio; ma se la semplicit si ha da mutar per questo, oltre che ci saranno centomila moti misti, voi non mi saprete determinare il semplice; anzi, di pi, se la maggiore e minor velocit possono alterar la semplicit del moto, nessun corpo semplice si mover mai di moto semplice, avvengach in tutti i moti retti naturali la velocit si va sempre agumentando, ed in conseguenza sempre mutando la semplicit, la quale, per esser semplicit, conviene che sia immutabile; e, quel che pi importa, voi graverete Aristotile d'una nuova nota, come quello che nella definizione del moto composto non ha fatto menzione di tardit n di velocit, la quale ora voi ponete per articolo necessario ed essenziale. Aggiugnesi che n anco potrete da cotal regola trar frutto veruno imperocch ci saranno de' misti, e non pochi, de' quali altri si moveranno pi lentamente, ed altri pi velocemente, del semplice, come, per esempio, il piombo e 'l legno in comparazione della terra: e per tra questi movimenti quale chiamerete voi il semplice, e quale il composto?

   SIMP. Chiamerassi semplice quello che vien fatto dal corpo semplice, e misto quel del corpo composto.

   SAGR. Benissimo veramente. E che dite voi, signor Simplicio? poco fa volevi che il moto semplice e il composto m'insegnassero quali siano i corpi semplici e quali i misti; ed ora volete che da i corpi semplici e da i misti io venga in cognizione di qual sia il moto semplice e quale il composto: regola eccellente per non saper mai conoscer n i moti n i corpi. Oltre che gi venite a dichiararvi come non vi basta pi la maggior velocit, ma ricercate una terza condizione per definire il movimento semplice, per il quale Aristotile si content d'una sola, cio della semplicit dello spazio; ma ora, secondo voi, il moto semplice sar quello che vien fatto sopra una linea semplice, con certa determinata velocit, da un corpo mobile semplice. Or sia come a voi piace, e torniamo ad Aristotile, il qual mi defin, il moto misto esser quello che si compone del retto e del circolare; ma non mi trov poi corpo alcuno che fusse naturalmente mobile di tal moto.

   SALV. Torno dunque ad Aristotile, il quale, avendo molto bene e metodicamente cominciato il suo discorso, ma avendo pi la mira di andare a terminare e colpire in uno scopo, prima nella mente sua stabilitosi, che dove dirittamente il progresso lo conduceva, interrompendo il filo ci esce traversalmente a portar come cosa nota e manifesta, che quanto a i moti retti in su e in gi, questi naturalmente convengono al fuoco ed alla terra, e che per necessario che oltre a questi corpi, che sono appresso di noi, ne sia un altro in natura al quale convenga il movimento circolare, il quale sia ancora tanto pi eccellente, quanto il moto circolare pi perfetto del moto retto: quanto poi quello sia pi perfetto di questo, lo determina dalla perfezion della linea circolare sopra la retta, chiamando quella perfetta, ed imperfetta questa; imperfetta, perch se infinita, manca di fine e di termine; se finita, fuori di lei ci alcuna cosa dove ella si pu prolungare. Questa la prima pietra, base e fondamento di tutta la fabbrica del mondo Aristotelico, sopra la quale si appoggiano tutte l'altre propriet di non grave n leggiero, d'ingenerabile, incorruttibile ed esente da ogni mutazione, fuori della locale, etc.: e tutte queste passioni afferma egli esser proprie del corpo semplice e mobile di moto circolare; e le condizioni contrarie, di gravit, leggerezza, corruttibilit, etc., le assegna a' corpi mobili naturalmente di movimenti retti. L onde qualunque volta nello stabilito sin qui si scuopra mancamento, si potr ragionevolmente dubitar di tutto il resto, che sopra gli vien costrutto. Io non nego che questo, che sin qui Aristotile ha introdotto con discorso generale, dependente da principii universali e primi, non venga poi nel progresso riconfermato con ragioni particolari e con esperienze, le quali tutte necessario che vengano distintamente considerate e ponderate; ma gi che nel detto sin qui si rappresentano molte, e non picciole, difficult (e pur converrebbe che i primi principii e fondamenti fussero sicuri fermi e stabili, acciocch pi risolutamente si potesse sopra di quelli fabbricare), non sar forse se non ben fatto prima che si accresca il cumulo de i dubbi, vedere se per avventura (s come io stimo) incamminandoci per altra strada ci indrizzassimo a pi diritto e sicuro cammino, e con precetti d'architettura meglio considerati potessimo stabilire i primi fondamenti. Per, sospendendo per ora il progresso d'Aristotile, il quale a suo tempo ripiglieremo e partitamente esamineremo, dico che, delle cose da esso dette sin qui, convengo seco ed ammetto che il mondo sia corpo dotato di tutte le dimensioni, e per perfettissimo; ed aggiungo, che come tale ei sia necessariamente ordinatissimo, cio di parti con sommo e perfettissimo ordine tra di loro disposte: il quale assunto non credo che sia per esser negato n da voi n da altri.

   SIMP. E chi volete voi che lo neghi? La prima cosa, egli d'Aristotile stesso; e poi, la sua denominazione non par che sia presa d'altronde, che dall'ordine che egli perfettamente contiene.

   SALV. Stabilito dunque cotal principio, si pu immediatamente concludere che, se i corpi integrali del mondo devono esser di lor natura mobili, impossibile che i movimenti loro siano retti, o altri che circolari: e la ragione assai facile e manifesta. Imperocch quello che si muove di moto retto, muta luogo; e continuando di muoversi, si va pi e pi sempre allontanando dal termine ond'ei si part e da tutti i luoghi per i quali successivamente ei va passando; e se tal moto naturalmente se gli conviene, adunque egli da principio non era nel luogo suo naturale, e per non erano le parti del mondo con ordine perfetto disposte: ma noi supponghiamo, quelle esser perfettamente ordinate: adunque, come tali, impossibile che abbiano da natura di mutar luogo, ed in conseguenza di muoversi di moto retto. In oltre, essendo il moto retto di sua natura infinito, perch infinita e indeterminata la linea retta, impossibile che mobile alcuno abbia da natura principio di muoversi per linea retta, cio verso dove impossibile di arrivare, non vi essendo termine prefinito; e la natura, come ben dice Aristotile medesmo, non intraprende a fare quello che non pu esser fatto, n intraprende a muovere dove impossibile a pervenire. E se pur alcuno dicesse, che se bene la linea retta, ed in conseguenza il moto per essa, produttibile in infinito, cio interminato, tuttavia per la natura, per cos dire, arbitrariamente gli ha assegnati alcuni termini, e dato naturali instinti a' suoi corpi naturali di muoversi a quelli, io risponder che ci per avventura si potrebbe favoleggiare che fusse avvenuto del primo caos, dove confusamente ed inordinatamente andavano indistinte materie vagando, per le quali ordinare la natura molto acconciamente si fusse servita de i movimenti retti, i quali, s come movendo i corpi ben costituiti gli disordinano, cos sono acconci a ben ordinare i pravamente disposti; ma dopo l'ottima distribuzione e collocazione impossibile che in loro resti naturale inclinazione di pi muoversi di moto retto, dal quale ora solo ne seguirebbe il rimuoversi dal proprio e natural luogo, cio il disordinarsi. Possiamo dunque dire, il moto retto servire a condur le materie per fabbricar l'opera, ma fabbricata ch'ell', o restare immobile, o, se mobile, muoversi solo circolarmente; se per noi non volessimo dir con Platone, che anco i corpi mondani, dopo l'essere stati fabbricati e del tutto stabiliti, furon per alcun tempo dal suo Fattore mossi di moto retto, ma che dopo l'esser pervenuti in certi e determinati luoghi, furon rivolti a uno a uno in giro, passando dal moto retto al circolare, dove poi si son mantenuti e tuttavia si conservano: pensiero altissimo e degno ben di Platone, intorno al quale mi sovviene aver sentito discorrere il nostro comune amico Accademico Linceo, e se ben mi ricorda, il discorso fu tale. Ogni corpo costituito per qualsivoglia causa in istato di quiete, ma che per sua natura sia mobile, posto in libert si mover, tutta volta per ch'egli abbia da natura inclinazione a qualche luogo particolare; ch quando e' fusse indifferente a tutti, resterebbe nella sua quiete, non avendo maggior ragione di muoversi a questo che a quello. Dall'aver questa inclinazione ne nasce necessariamente che egli nel suo moto si ander continuamente accelerando; e cominciando con moto tardissimo, non acquister grado alcuno di velocit, che prima e' non sia passato per tutti i gradi di velocit minori, o vogliamo dire di tardit maggiori: perch, partendosi dallo stato della quiete (che il grado di infinita tardit di moto), non ci ragione nissuna per la quale e' debba entrare in un tal determinato grado di velocit, prima che entrare in un minore, ed in un altro ancor minore prima che in quello; anzi par molto ben ragionevole passar prima per i gradi pi vicini a quello donde ei si parte, e da quelli a i pi remoti; ma il grado di dove il mobile piglia a muoversi quello della somma tardit, cio della quiete. Ora, questa accelerazion di moto non si far se non quando il mobile nel muoversi acquista; n altro l'acquisto suo se non l'avvicinarsi al luogo desiderato, cio dove l'inclinazion naturale lo tira; e l si condurr egli per la pi breve, cio per linea retta. Possiamo dunque ragionevolmente dire che la natura, per conferire in un mobile, prima costituito in quiete, una determinata velocit, si serva del farlo muover, per alcun tempo e per qualche spazio, di moto retto. Stante questo discorso, figuriamoci aver Iddio creato il corpo, verbigrazia, di Giove, al quale abbia determinato di voler conferire una tal velocit, la quale egli poi debba conservar perpetuamente uniforme: potremo con Platone dire che gli desse di muoversi da principio di moto retto ed accelerato, e che poi, giunto a quel tal grado di velocit, convertisse il suo moto retto in circolare, del quale poi la velocit naturalmente convien esser uniforme.

   SAGR. Io sento con gran gusto questo discorso, e maggiore credo che sar doppo che mi abbiate rimossa una difficult: la quale , che io non resto ben capace come di necessit convenga che un mobile, partendosi dalla quiete ed entrando in un moto al quale egli abbia inclinazion naturale, passi per tutti i gradi di tardit precedenti, che sono tra qualsivoglia segnato grado di velocit e lo stato di quiete, li quali gradi sono infiniti; s che non abbia potuto la natura contribuire al corpo di Giove, subito creato, il suo moto circolare, con tale e tanta velocit.

   SALV. Io non ho detto, n ardirei di dire, che alla natura e a Dio fusse impossibile il conferir quella velocit, che voi dite, immediatamente; ma dir bene che de facto la natura non lo fa; talch il farlo verrebbe ad esser operazione fuora del corso naturale e per miracolosa.

Muovasi con qual si voglia velocit qual si sia poderosissimo mobile, ed incontri qualsivoglia corpo costituito in quiete, ben che debolissimo e di minima resistenza; quel mobile, incontrandolo, gi mai non gli conferir immediatamente la sua velocit: segno evidente di che ne il sentirsi il suono della percossa, il quale non si sentirebbe, o per dir meglio non sarebbe, se il corpo che stava in quiete ricevesse, nell'arrivo del mobile, la medesima velocit di quello.

   SAGR. Adunque voi credete che un sasso, partendosi dalla quiete, ed entrando nel suo moto naturale verso il centro della Terra, passi per tutti i gradi di tardit inferiori a qualsivoglia grado di velocit?

   SALV. Credolo, anzi ne son sicuro, e sicuro con tanta certezza, che posso renderne sicuro voi ancora.

   SAGR. Quando in tutto il ragionamento d'oggi io non guadagnassi altro che una tal cognizione, me lo reputerei per un gran capitale.

   SALV. Per quanto mi par di comprendere dal vostro ragionare, gran parte della vostra difficult consiste in quel dover passare in un tempo, ed anco brevissimo, per quelli infiniti gradi di tardit precedenti a qual si sia velocit acquistata dal mobile in quel tal tempo: e per, prima che venire ad altro, cercher di rimovervi questo scrupolo, che dover esser agevol cosa, mentre io vi replico che il mobile passa per i detti gradi, ma il passaggio fatto senza dimorare in veruno, talch, non ricercando il passaggio pi di un solo instante di tempo, e contenendo qualsivoglia piccol tempo infiniti instanti, non ce ne mancheranno per assegnare il suo a ciascheduno de gl'infiniti gradi di tardit, e sia il tempo quanto si voglia breve.

   SAGR. Sin qui resto capace: tuttavia mi par gran cosa che quella palla d'artiglieria (che tal mi figuro esser il mobile cadente), che pur si vede scendere con tanto precipizio che in manco di dieci battute di polso passer pi di dugento braccia di altezza, si sia nel suo moto trovata congiunta con s picciol grado di velocit, che, se avesse continuato di muoversi con quello senza pi accelerarsi, non l'averebbe passata in tutto un giorno.

   SALV. Dite pure in tutto un anno, n in dieci, n in mille, s come io m'ingegner di persuadervi, ed anco forse senza vostra contradizione ad alcune assai semplici interrogazioni ch'io vi far. Per ditemi se voi avete difficult nessuna in concedere che quella palla, nello scendere, vadia sempre aquistando maggior impeto e velocit.

   SAGR. Sono di questo sicurissimo.

   SALV. E se io dir che l'impeto aquistato in qualsivoglia luogo del suo moto sia tanto che basterebbe a ricondurla a quell'altezza donde si part, me lo concedereste?

   SAGR. Concedere'lo senza contradizione, tuttavolta che la potesse applicar, senz'esser impedita, tutto il suo impeto in quella sola operazione, di ricondur se medesima, o altro eguale a s, a quella medesima altezza: come sarebbe se la Terra fusse perforata per il centro, e che, lontano da esso cento o mille braccia, si lasciasse cader la palla; credo sicuramente che ella passerebbe oltre al centro, salendo altrettanto quanto scese: e cos mi mostra l'esperienza accadere d'un peso pendente da una corda, che rimosso dal perpendicolo, che il suo stato di quiete, e lasciato poi in libert, cala verso detto perpendicolo e lo trapassa per altrettanto spazio, o solamente tanto meno quanto il contrasto dell'aria e della corda o di altri accidenti l'impediscono. Mostrami l'istesso l'acqua, che scendendo per un sifone, rimonta altrettanto quanto fu la sua scesa.

   SALV. Voi perfettamente discorrete. E perch'io so che non avete dubbio in conceder che l'acquisto dell'impeto sia mediante l'allontanamento dal termine donde il mobile si parte, e l'avvicinamento al centro dove tende il suo moto, arete voi difficult nel concedere che due mobili eguali, ancorch scendenti per diverse linee, senza veruno impedimento, facciano acquisto d'impeti eguali, tuttavolta che l'avvicinamento al centro sia eguale?

   SAGR. Non intendo bene il quesito.

   SALV. Mi dichiarer meglio col segnarne un poco di figura. Per noter questa linea A B parallela all'orizonte, e sopra il punto B drizzer la perpendicolare B C, e poi congiugner questa inclinata C A. Intendendo ora la linea C A esser un piano inclinato, esquisitamente pulito e duro, sopra il quale scenda una palla perfettamente rotonda e di materia durissima, ed una simile scenderne liberamente per la perpendicolare C B, domando se voi concedereste che l'impeto della scendente per il piano C A, giunta che la fusse al termine A, potesse essere eguale all'impeto acquistato dall'altra nel punto B, doppo la scesa per la perpendicolare C B.

   SAGR. Io credo risolutamente di s, perch in effetto amendue si sono avvicinate al centro egualmente, e, per quello che pur ora ho conceduto, gl'impeti loro sarebbero egualmente bastanti a ricondur loro stesse alla medesima altezza.

   SALV. Ditemi ora quello che voi credete che facesse quella medesima palla posata sul piano orizontale A B.

   SAGR. Starebbe ferma, non avendo esso piano veruna inclinazione.

   SALV. Ma sul piano inclinato C A scenderebbe, ma con moto pi lento che per la perpendicolare C B.

   SAGR. Sono stato per risponder risolutamente di s, parendomi pur necessario che il moto per la perpendicolare C B debba esser pi veloce che per l'inclinata C A: tuttavia, se questo , come potr il cadente per l'inclinata, giunto al punto A, aver tanto impeto, cio tal grado di velocit, quale e quanto il cadente per la perpendicolare avr nel punto B? Queste due proposizioni par che si contradicano.

   SALV. Adunque molto pi vi parr falso se io dir che assolutamente le velocit de' cadenti per la perpendicolare e per l'inclinata siano eguali. E pur questa proposizione verissima; s come vera questa ancora che dice che il cadente si muove pi velocemente per la perpendicolare che per la inclinata.

   SAGR. Queste al mio orecchio suonano proposizioni contradittorie; ed al vostro, signor Simplicio?

   SIMP. Ed a me par l'istesso.

   SALV. Credo che voi mi burliate, fingendo di non capire quel che voi intendete meglio di me. Per ditemi, signor Simplicio: quando voi v'immaginate un mobile esser pi veloce d'un altro, che concetto vi figurate voi nella mente?

   SIMP. Figuromi, l'uno passar nell'istesso tempo maggiore spazio dell'altro, o vero passare spazio eguale, ma in minor tempo.

   SALV. Benissimo: e per mobili egualmente veloci, che concetto vi figurate?

   SIMP. Figuromi che passino spazi eguali in tempi eguali.

   SALV. E non altro concetto che questo?

   SIMP. Questo mi par che sia la propria definizione de' moti eguali.

   SAGR. Aggiunghiamoci pure quest'altra di pi: cio chiamarsi ancora le velocit esser eguali, quando gli spazi passati hanno la medesima proporzione che i tempi ne' quali son passati, e sar definizione pi universale.

   SALV. Cos , perch comprende gli spazi eguali passati in tempi eguali, e gl'ineguali ancora, passati in tempi ineguali, ma proporzionali a essi spazi. Ripigliate ora la medesima figura, ed applicandovi il concetto che vi figurate del moto pi veloce, ditemi perch vi pare che la velocit del cadente per C B sia maggiore della velocit dello scendente per la C A.

   SIMP. Parmi, perch nel tempo che 'l cadente passer tutta la C B, lo scendente passer nella C A una parte minor della C B.

   SALV. Cos sta; e cos si verifica, il mobile muoversi pi velocemente per la perpendicolare che per l'inclinata. Considerate ora se in questa medesima figura si potesse in qualche modo verificare l'altro concetto, e trovare che i mobili fussero egualmente veloci in amendue le linee C A, C B.

   SIMP. Io non ci so veder cosa tale, anzi pur mi par contradizione al gi detto.

   SALV. E voi che dite, signor Sagredo? Io non vorrei gi insegnarvi quel che voi medesimi sapete, e quello di che pur ora mi avete arrecato la definizione.

   SAGR. La definizione che io ho addotta stata, che i mobili si possan chiamare egualmente veloci quando gli spazi passati da loro hanno la medesima proporzione che i tempi ne' quali gli passano: per a voler che la definizione avesse luogo nel presente caso, bisognerebbe che il tempo della scesa per C A al tempo della caduta per C B avesse la medesima proporzione che la stessa linea C A alla C B; ma ci non so io intender che possa essere, tuttavolta che il moto per la C B sia pi veloce che per la C A.

   SALV. E pur forza che voi l'intendiate. Ditemi un poco: questi moti non si vann'eglino continuamente accelerando?

   SAGR. Vannosi accelerando, ma pi nella perpendicolare che nell'inclinata.

   SALV. Ma questa accelerazione nella perpendicolare ella per tale, in comparazione di quella dell'inclinata, che prese due parti eguali in qualsivoglia luogo di esse linee, perpendicolare e inclinata, il moto nella parte della perpendicolare sia sempre pi veloce che nella parte dell'inclinata?

   SAGR. Signor no, anzi potr io pigliare uno spazio nell'inclinata, nel quale la velocit sia maggiore assai che in altrettanto spazio preso nella perpendicolare, e questo sar, se lo spazio nella perpendicolare sar preso vicino al termine C, e nell'inclinata molto lontano.

   SALV. Vedete dunque che la proposizione che dice "Il moto per la perpendicolare pi veloce che per l'inclinata" non si verifica universalmente se non de i moti che cominciano dal primo termine, cio dalla quiete; senza la qual condizione la proposizione sarebbe tanto difettosa, che anco la sua contradittoria potrebbe esser vera, cio che il moto nell'inclinata pi veloce che nella perpendicolare, perch vero che nell'inclinata possiamo pigliare uno spazio passato dal mobile in manco tempo che altrettanto spazio passato nella perpendicolare. Ora, perch il moto nell'inclinata in alcuni luoghi pi veloce ed in altri meno che nella perpendicolare, adunque in alcuni luoghi dell'inclinata il tempo del moto del mobile al tempo del moto del mobile per alcuni luoghi della perpendicolare avr maggior proporzione che lo spazio passato allo spazio passato, ed in altri luoghi la proporzione del tempo al tempo sar minore di quella dello spazio allo spazio. Come, per esempio, partendosi due mobili dalla quiete, cio dal punto C, uno per la perpendicolare C B e l'altro per l'inclinata C A, nel tempo che nella perpendicolare il mobile avr passata tutta la C B, l'altro avr passata la C T, minore; e per il tempo per C T al tempo per C B (che gli eguale) ar maggior proporzione che la linea T C alla C B, essendo che la medesima alla minore ha maggior proporzione che alla maggiore: e per l'opposito, quando nella C A, prolungata quanto bisognasse, si prendesse una parte eguale alla C B, ma passata in tempo pi breve, il tempo nell'inclinata al tempo nella perpendicolare arebbe proporzione minore che lo spazio allo spazio. Se dunque nell'inclinata e nella perpendicolare possiamo intendere spazi e velocit tali che le proporzioni tra essi spazi siano e minori e maggiori delle proporzioni de' tempi, possiamo ben ragionevolmente concedere che vi sieno anco spazi per i quali i tempi de i movimenti ritengano la medesima proporzione che gli spazi.

   SAGR. Gi mi sent'io levato lo scrupolo maggiore, e comprendo esser non solo possibile, ma dir necessario, quello che mi pareva un contradittorio: ma non per intendo per ancora che uno di questi casi possibili o necessari sia questo del quale abbiamo bisogno di presente, s che vero sia che il tempo della scesa per C A al tempo della caduta per C B abbia la medesima proporzione che la linea C A alla C B, onde e' si possa senza contradizione dire che le velocit per la inclinata C A e per la perpendicolare C B sieno eguali.

   SALV. Contentatevi per ora ch'io v'abbia rimossa l'incredulit, ma la scienza aspettatela un'altra volta, cio quando vedrete le cose dimostrate dal nostro Accademico intorno a i moti locali: dove troverete dimostrato, che nel tempo che 'l mobile cade per tutta la C B, l'altro scende per la C A sino al punto T, nel quale cade la perpendicolare tiratavi dal punto B; e per trovare dove il medesimo cadente per la perpendicolare si troverebbe quando l'altro arriva al punto A, tirate da esso A la perpendicolare sopra la C A, prolungando essa e la C B sino al concorso, e quello sar il punto cercato. Intanto vedete come vero che il moto per la C B pi veloce che per l'inclinata C A (ponendo il termine C per principio de' moti de' quali facciamo comparazione); perch la linea C B maggiore della C T, e l'altra da C sino al concorso della perpendicolare tirata da A sopra la C A maggiore della C A, e per il moto per essa pi veloce che per la C A. Ma quando noi paragoniamo il moto fatto per tutta la C A, non con tutto 'l moto fatto nel medesimo tempo per la perpendicolare prolungata, ma col fatto in parte del tempo per la sola parte C B, non repugna che il mobile per C A, continuando di scendere oltre al T, possa in tal tempo arrivare in A, che qual proporzione si trova tra le linee C A, C B, tale sia tra essi tempi. Ora, ripigliando il nostro primo proposito, che era di mostrare come il mobile grave, partendosi dalla quiete, passa, scendendo, per tutti i gradi di tardit precedenti a qualsivoglia grado di velocit che egli acquisti, ripigliando la medesima figura, ricordiamoci che eramo convenuti che il cadente per la perpendicolare C B ed il descendente per l'inclinata C A, ne i termini B, A si trovassero avere acquistati eguali gradi di velocit. Ora, seguitando pi avanti, non credo che voi abbiate difficult veruna in concedere che sopra un altro piano meno elevato di A C, qual sarebbe, verbigrazia, D A, il moto del descendente sarebbe ancora pi tardo che nel piano CA:

 

 

talch non da dubitar punto che si possano notar piani tanto poco elevati sopra l'orizonte A B, che 'l mobile, cio la medesima palla, in qualsivoglia lunghissimo tempo si condurrebbe al termine A, gi che per condurvisi per il piano B A non basta tempo infinito, ed il moto si fa sempre pi lento quanto la declivit minore. Bisogna dunque necessariamente confessare, potersi sopra il termine B pigliare un punto tanto ad esso B vicino, che tirando da esso al punto A un piano, la palla non lo passasse n anco in un anno. Bisogna ora che voi sappiate, che l'impeto, cio il grado di velocit, che la palla si trova avere acquistato quando arriva al punto A tale, che quando ella continuasse di muoversi con questo medesimo grado uniformemente, cio senza accelerarsi o ritardarsi, in altrettanto tempo in quanto venuta per il piano inclinato passerebbe uno spazio lungo il doppio del piano inclinato; cio (per esempio) se la palla avesse passato il piano D A in un'ora, continuando di muoversi uniformemente con quel grado di velocit che ella si trova avere nel giugnere al termine A, passerebbe in un'ora uno spazio doppio della lunghezza D A: e perch (come dicevamo) i gradi di velocit acquistati ne i punti B, A da i mobili che si partono da qualsivoglia punto preso nella perpendicolare C B, e che scendono l'uno per il piano inclinato e l'altro per essa perpendicolare, son sempre eguali, adunque il cadente per la perpendicolare pu partirsi da un termine tanto vicino al B, che 'l grado di velocit acquistato in B non fusse bastante (conservandosi sempre l'istesso) a condurre il mobile per uno spazio doppio della lunghezza del piano inclinato in un anno n in dieci n in cento. Possiamo dunque concludere che se vero che, secondo il corso ordinario di natura, un mobile, rimossi tutti gl'impedimenti esterni ed accidentarii, si muova sopra piani inclinati con maggiore e maggior tardit secondo che l'inclinazione sar minore, s che finalmente la tardit si conduca a essere infinita, che quando si finisce l'inclinazione e s'arriva al piano orizontale, e se vero parimente che al grado di velocit acquistato in qualche punto del piano inclinato sia eguale quel grado di velocit che si trova avere il cadente per la perpendicolare nel punto segato da una parallela all'orizonte che passa per quel punto del piano inclinato; bisogna di necessit confessare che il cadente, partendosi dalla quiete, passa per tutti gl'infiniti gradi di tardit, e che, in conseguenza, per acquistar un determinato grado di velocit bisogna ch'e' si muova prima per linea retta, descendendo per breve o lungo spazio, secondo che la velocit da acquistarsi dovr essere minore o maggiore, e secondo che 'l piano sul quale si scende sar poco o molto inclinato: talch pu darsi un piano con s poca inclinazione, che, per acquistarvi quel tal grado di velocit, bisognasse prima muoversi per lunghissimo spazio ed in lunghissimo tempo; s che nel piano orizontale qual si sia velocit non s'acquister naturalmente mai, avvenga che il mobile gi mai non vi si muover. Ma il moto per la linea orizontale, che non declive n elevata, moto circolare intorno al centro: adunque il moto circolare non s'acquister mai naturalmente senza il moto retto precedente, ma bene, acquistato che e' si sia, si continuer egli perpetuamente con velocit uniforme. Io potrei dichiararvi, ed anco dimostrarvi, con altri discorsi queste medesime verit; ma non voglio interromper con s gran digressioni il principal nostro ragionamento, e pi tosto ci ritorner con altra occasione, e massime che ora si venuto in questo proposito non per servirsene per una dimostrazion necessaria ma per adornare un concetto platonico: al quale voglio aggiugnere un'altra particolare osservazione, pur del nostro Accademico, che ha del mirabile. Figuriamoci, tra i decreti del divino Architetto essere stato pensiero di crear nel mondo questi globi, che noi veggiamo continuamente muoversi in giro, ed avere stabilito il centro delle lor conversioni ed in esso collocato il Sole immobile, ed aver poi fabbricati tutti i detti globi nel medesimo luogo, e di l datali inclinazione di muoversi, discendendo verso il centro, sin che acquistassero quei gradi di velocit che pareva alla medesima Mente divina, li quali acquistati, fussero volti in giro, ciascheduno nel suo cerchio, mantenendo la gi concepita velocit: si cerca in quale altezza e lontananza dal Sole era il luogo dove primamente furono essi globi creati, e se pu esser che la creazion di tutti fusse stata nell'istesso luogo. Per far questa investigazione bisogna pigliare da i pi periti astronomi le grandezze de i cerchi ne i quali i pianeti si rivolgono, e parimente i tempi delle loro revoluzioni: dalle quali due cognizioni si raccoglie quanto, verbigrazia, il moto di Giove pi veloce del moto di Saturno; e trovato (come in effetto ) che Giove si muove pi velocemente, conviene che, sendosi partiti dalla medesima altezza, Giove sia sceso pi che Saturno, s come pure sappiamo essere veramente, essendo l'orbe suo inferiore a quel di Saturno. Ma venendo pi avanti, dalla proporzione che hanno le due velocit di Giove e di Saturno, e dalla distanza che tra gli orbi loro e dalla proporzione dell'accelerazion del moto naturale, si pu ritrovare in quanta altezza e lontananza dal centro delle lor revoluzioni fusse il luogo donde e' si partirono. Ritrovato e stabilito questo, si cerca se Marte scendendo di l sino al suo orbe [] si trova che la grandezza dell'orbe e la velocit del moto convengono con quello che dal calcolo ci vien dato; ed il simile si fa della Terra, di Venere e di Mercurio, de i quali le grandezze de i cerchi e le velocit de i moti s'accostano tanto prossimamente a quel che ne danno i computi, che cosa maravigliosa.

SAGR. Ho con estremo gusto sentito questo pensiero, e se non ch'io credo che il far quei calcoli precisamente sarebbe impresa lunga e laboriosa, e forse troppo difficile da esser compresa da me, io ve ne vorrei fare instanza.

   SALV. L'operazione veramente lunga e difficile, ed anco non m'assicurerei di ritrovarla cos prontamente; per la riserberemo ad un'altra volta

   SIMP. Di grazia, sia conceduto alla mia poca pratica nelle scienze matematiche dir liberamente come i vostri discorsi, fondati sopra proporzioni maggiori o minori e sopra altri termini da me non intesi quanto bisognerebbe, non mi hanno rimosso il dubbio, o, per meglio dire, l'incredulit, dell'esser necessario che quella gravissima palla di piombo di 100 libre di peso, lasciata cadere da alto, partendosi dalla quiete passi per ogni altissimo grado di tardit, mentre si vede in quattro battute di polso aver passato pi di 100 braccia di spazio: effetto che mi rende totalmente incredibile, quella in alcuno momento essersi trovata in stato tale di tardit, che continuandosi di muover con quella, non avesse n anco in mille anni passato lo spazio di mezo dito. E pure se questo , vorrei esserne fatto capace.

   SAGR. Il signor Salviati, come di profonda dottrina, stima bene spesso che quei termini che a se medesimo sono notissimi e familiari, debbano parimente esser tali per gli altri ancora, e per tal volta gli esce di mente che parlando con noi altri convien aiutar la nostra incapacit con discorsi manco reconditi: e per io, che non mi elevo tanto, con sua licenza tenter di rimuover almeno in parte il signor Simplicio dalla sua incredulit con mezo sensato. E stando pure sul caso della palla d'artiglieria, ditemi in grazia, signor Simplicio: non concederete voi che nel far passaggio da uno stato a un altro sia naturalmente pi facile e pronto il passare ad uno pi propinquo che ad altro pi remoto?

   SIMP. Questo lo intendo e lo concedo: e non ho dubbio che, verbigrazia, un ferro infocato, nel raffreddarsi, prima passer da i 10 gradi di caldo a i 9, che da i 10 a i 6.

   SAGR. Benissimo. Ditemi appresso: quella palla d'artiglieria, cacciata in su a perpendicolo dalla violenza del fuoco, non si va ella continuamente ritardando nel suo moto sin che finalmente si conduce al termine altissimo, che quello della quiete? e nel diminuirsi la velocit, o volete dire nel crescersi la tardit, non egli ragionevole che si faccia pi presto trapasso da i 10 gradi a gli 11, che da i 10 a i 12? e da i 1000 a i 1001 che a' 1002? ed in somma da qualsivoglia grado ad un suo pi vicino, che ad un pi lontano?

   SIMP. Cos ragionevole.

   SAGR. Ma qual grado di tardit cos lontano da qualsisia moto, che pi lontano non ne sia lo stato della quiete, ch' di tardit infinita? per lo che non da metter dubio che la detta palla, prima che si conduca al termine della quiete, trapassi per tutti i gradi di tardit maggiori e maggiori, e per conseguenza per quello ancora che in 1000 anni non trapasserebbe lo spazio di un dito. Ed essendo questo, s come , verissimo, non dovr, signor Simplicio, parervi improbabile che, nel ritornare in gi, la medesima palla partendosi dalla quiete recuperi la velocit del moto col ripassare per quei medesimi gradi di tardit per i quali ella pass nell'andare in su, ma debba, lasciando gli altri gradi di tardit maggiori e pi vicini allo stato di quiete, passar di salto ad uno pi remoto.

   SIMP. Io resto per questo discorso pi capace assai che per quelle sottigliezze matematiche; e per potr il signor Salviati ripigliare e continuare il suo ragionamento.

   SALV. Ritorneremo dunque al nostro primo proposito, ripigliando l di dove digredimmo, che, se ben mi ricorda, eramo sul determinare come il moto per linea retta non pu esser di uso alcuno nelle parti del mondo bene ordinate; e seguitavamo di dire che non cos avviene de i movimenti circolari, de i quali quello che fatto dal mobile in se stesso, gi lo ritien sempre nel medesimo luogo, e quello che conduce il mobile per la circonferenza d'un cerchio intorno al suo centro stabile e fisso, non mette in disordine n s n i circonvicini. Imperocch tal moto, primieramente, finito e terminato, anzi non pur finito e terminato, ma non punto alcuno nella circonferenza, che non sia primo ed ultimo termine della circolazione; e continuandosi nella circonferenza assegnatagli, lascia tutto il resto, dentro e fuori di quella, libero per i bisogni d'altri, senz'impedirgli o disordinargli gi mai. Questo, essendo un movimento che fa che il mobile sempre si parte e sempre arriva al termine, pu, primieramente, esso solo essere uniforme: imperocch l'accelerazione del moto si fa nel mobile quando e' va verso il termine dove egli ha inclinazione, ed il ritardamento accade per la repugnanza ch'egli ha di partirsi ed allontanarsi dal medesimo termine; e perch nel moto circolare il mobile sempre si parte da termine naturale, e sempre si muove verso il medesimo, adunque in lui la repugnanza e l'inclinazione son sempre di eguali forze; dalla quale egualit ne risulta una non ritardata n accelerata velocit, cio l'uniformit del moto. Da questa uniformit e dall'esser terminato ne pu seguire la continuazion perpetua, col reiterar sempre le circolazioni, la quale in una linea interminata ed in un moto continuamente ritardato o accelerato non si pu naturalmente ritrovare: e dico naturalmente, perch il moto retto che si ritarda, il violento, che non pu esser perpetuo, e l'accelerato arriva necessariamente al termine, se vi ; e se non vi , non vi pu n anco esser moto, perch la natura non muove dove impossibile ad arrivare. Concludo per tanto, il solo movimento circolare poter naturalmente convenire a i corpi naturali integranti l'universo e costituiti nell'ottima disposizione; ed il retto, al pi che si possa dire, essere assegnato dalla natura a i suoi corpi e parti di essi, qualunque volta si ritrovassero fuori de' luoghi loro, costituite in prava disposizione, e per bisognose di ridursi per la pi breve allo stato naturale. Di qui mi par che assai ragionevolmente si possa concludere, che per mantenimento dell'ordine perfetto tra le parti del mondo bisogni dire che le mobili sieno mobili solo circolarmente, e se alcune ve ne sono che circolarmente non si muovano, queste di necessit sieno immobili, non essendo altro, salvo che la quiete e 'l moto circolare, atto alla conservazione dell'ordine. Ed io non poco mi maraviglio che Aristotile, il quale pure stim che 'l globo terrestre fusse collocato nel centro del mondo e che quivi immobilmente si rimanesse, non dicesse che de' corpi naturali altri erano mobili per natura ed altri immobili, e massime avendo gi definito, la natura esser principio di moto e di quiete.

   SIMP. Aristotile, come quello che non si prometteva del suo ingegno, ancorch perspicacissimo, pi di quello che si conviene, stim, nel suo filosofare, che le sensate esperienze si dovessero anteporre a qualsivoglia discorso fabbricato da ingegno umano, e disse che quelli che avessero negato il senso, meritavano di esser gastigati col levargli quel tal senso: ora, chi quello cos cieco che non vegga, le parti della terra e dell'acqua muoversi, come gravi, naturalmente all'ingi, cio verso il centro dell'universo, assegnato dall'istessa natura per fine e termine del moto retto deorsum; e non vegga parimente, muoversi il fuoco e l'aria all'ins rettamente verso il concavo dell'orbe lunare, come a termine naturale del moto sursum? e vedendosi tanto manifestamente questo, ed essendo noi sicuri che eadem est ratio totius et partium, come non si deve egli dire, esser proposizion vera e manifesta che il movimento naturale della terra il retto ad medium, e del fuoco il retto a medio?

   SALV. In virt di questo vostro discorso, al pi al pi che voi poteste pretendere che vi fusse conceduto che, s come le parti della terra rimosse dal suo tutto, cio dal luogo dove esse naturalmente dimorano, cio, finalmente, ridotte in prava e disordinata disposizione, tornano al luogo loro spontaneamente, e per naturalmente, con movimento retto, cos (conceduto che eadem sit ratio totius et partium) si potrebbe inferire che rimosso per violenza il globo terrestre dal luogo assegnatogli dalla natura, egli vi ritornerebbe per linea retta. Questo, come ho detto, quanto al pi vi si potesse concedere, fattavi ancora ogni sorte d'agevolezza: ma chi volesse riveder con rigore queste partite, prima vi negherebbe che le parti della terra nel ritornare al suo tutto si movessero per linea retta, e non per circolare o altra mista; e voi sicuramente avereste che fare assai a dimostrare il contrario, come apertamente intenderete nelle risposte alle ragioni ed esperienze particolari addotte da Tolomeo e da Aristotile. Secondariamente, se altri vi dicesse che le parti della terra si muovono non per andar al centro del mondo, ma per andare a riunirsi col suo tutto, e che per ci hanno naturale inclinazione verso il centro del globo terrestre, per la quale inclinazione conspirano a formarlo e conservarlo, qual altro tutto e qual altro centro trovereste voi al mondo, al quale l'intero globo terreno, essendone rimosso, cercasse di ritornare, onde la ragion del tutto fusse simile a quella delle parti? Aggiugnete che n Aristotile n voi proverete gi mai che la Terra de facto sia nel centro dell'universo; ma, se si pu assegnare centro alcuno all'universo, troveremo in quello esser pi presto collocato il Sole, come nel progresso intenderete.

   Ora, s come dal cospirare concordemente tutte le parti della terra a formare il suo tutto ne segue che esse da tutte le parti con eguale inclinazione vi concorrano, e, per unirsi al pi che sia possibile insieme, sfericamente vi si adattano; perch non doviamo noi credere che la Luna, il Sole e gli altri corpi mondani siano essi ancora di figura rotonda non per altro che per un concorde instinto e concorso naturale di tutte le loro parti componenti? delle quali se tal ora alcuna per qualche violenza fusse dal suo tutto separata, non egli ragionevole il credere che spontaneamente e per naturale instinto ella vi ritornerebbe? ed in questo modo concludere che 'l moto retto competa egualmente a tutti i corpi mondani?

   SIMP. E' non dubbio alcuno che come voi volete negare non solamente i principii nelle scienze, ma esperienze manifeste ed i sensi stessi, voi non potrete gi mai esser convinto o rimosso da veruna oppinione concetta; e io pi tosto mi quieter perch contra negantes principia non est disputandum, che persuaso in virt delle vostre ragioni. E stando su le cose da voi pur ora pronunziate (gi che mettete in dubbio insino nel moto de i gravi se sia retto o no), come potete voi mai ragionevolmente negare che le parti della terra, cio che le materie gravissime, descendano verso il centro con moto retto, se, lasciate da una altissima torre, le cui parete sono dirittissime e fabbricate a piombo, esse gli vengono, per cos dire, lambendo, e percotendo in terra in quel medesimo punto a capello dove verrebbe a terminare il piombo che pendesse da uno spago legato in alto ivi per l'appunto onde si lasci cadere il sasso? non questo argomento pi che evidente, cotal moto esser retto e verso il centro? Nel secondo luogo, voi revocate in dubbio se le parti della terra si muovano per andar, come afferma Aristotile, al centro del mondo, quasi che egli non l'abbia concludentemente dimostrato per i movimenti contrari, mentre in cotal guisa argomenta: il movimento de i gravi contrario a quello de i leggieri; ma il moto de i leggieri si vede esser dirittamente all'ins, cio verso la circonferenza del mondo; adunque il moto de i gravi rettamente verso il centro del mondo, ed accade per accidens che e' sia verso il centro della Terra, poich questo si abbatte ad essere unito con quello. Il cercar poi quello che facesse una parte del globo lunare o del Sole, quando fusse separata dal suo tutto, vanit, perch si cerca quello che seguirebbe in conseguenza d'un impossibile, atteso che, come pur dimostra Aristotile, i corpi celesti sono impassibili, impenetrabili, infrangibili, s che non si pu dare il caso; e quando pure e' si desse, e che la parte separata ritornasse al suo tutto, ella non vi tornerebbe come grave o leggiera, ch pur il medesimo Aristotile prova che i corpi celesti non sono n gravi n leggieri.

   SALV. Quanto ragionevolmente io dubiti, se i gravi si muovano per linea retta e perpendicolare, lo sentirete, come pur ora ho detto, quando esaminer questo argomento particolare. Circa il secondo punto, io mi meraviglio che voi abbiate bisogno che 'l paralogismo d'Aristotile vi sia scoperto, essendo per se stesso tanto manifesto, e che voi non vi accorgiate che Aristotile suppone quello che in quistione. Per notate

   SIMP. Di grazia, signor Salviati parlate con pi rispetto d'Aristotile. Ed a chi potrete voi persuader gi mai che quello che stato il primo, unico ed ammirabile esplicator della forma silogistica, della dimostrazione, de gli elenchi, de i modi di conoscere i sofismi, i paralogismi, ed in somma di tutta la logica, equivocasse poi s gravemente in suppor per noto quello che in quistione? Signori, bisogna prima intenderlo perfettamente, e poi provarsi a volerlo impugnare.

   SALV. Signor Simplicio, noi siamo qui tra noi discorrendo familiarmente per investigar qualche verit; io non ar mai per male che voi mi palesiate i miei errori, e quando io non avr conseguita la mente d'Aristotile, riprendetemi pur liberamente, che io ve ne ar buon grado. Concedetemi in tanto che io esponga le mie difficult, e ch'io risponda ancora alcuna cosa a le vostre ultime parole, dicendovi che la logica, come benissimo sapete, l'organo col quale si filosofa; ma, s come pu esser che un artefice sia eccellente in fabbricare organi, ma indotto nel sapergli sonare, cos pu esser un gran logico, ma poco esperto nel sapersi servir della logica; s come ci son molti che sanno per lo senno a mente tutta la poetica, e son poi infelici nel compor quattro versi solamente; altri posseggono tutti i precetti del Vinci, e non saprebber poi dipignere uno sgabello. Il sonar l'organo non s'impara da quelli che sanno far organi, ma da chi gli sa sonare; la poesia s'impara dalla continua lettura de' poeti; il dipignere s'apprende col continuo disegnare e dipignere; il dimostrare, dalla lettura dei libri pieni di dimostrazioni, che sono i matematici soli, e non i logici. Ora, tornando al proposito, dico che quello che vede Aristotile del moto de i corpi leggieri, il partirsi il fuoco da qualunque luogo della superficie del globo terrestre e dirittamente discostarsene, salendo in alto; e questo veramente muoversi verso una circonferenza maggiore di quella della Terra, anzi il medesimo Aristotile lo fa muovere al concavo della Luna: ma che tal circonferenza sia poi quella del mondo, o concentrica a quella, s che il muoversi verso questa sia un muoversi anco verso quella del mondo, ci non si pu affermare se prima non si suppone che 'l centro della Terra, dal quale noi vediamo discostarsi i leggieri ascendenti, sia il medesimo che 'l centro del mondo, che quanto dire che 'l globo terrestre sia costituito nel centro del mondo; che poi quello di che noi dubitiamo e che Aristotile intende di provare. E questo direte che non sia un manifesto paralogismo?

   SAGR. Questo argomento d'Aristotile mi era parso, anco per un altro rispetto, manchevole e non concludente, quando bene se gli concedesse che quella circonferenza alla quale si muove rettamente il fuoco, fusse quella che racchiude il mondo. Imperocch, preso dentro a un cerchio non solamente il centro, ma qualsivoglia altro punto, ogni mobile che partendosi da quello camminer per linea retta, e verso qualsivoglia parte, senz'alcun dubbio andr verso la circonferenza, e continuando il moto vi arriver ancora, s che verissimo sar il dire che egli verso la circonferenza si muova; ma non sar gi vero che quello che per le medesime linee si movesse con movimento contrario, vadia verso il centro, se non quando il punto preso fusse l'istesso centro, o che 'l moto fusse fatto per quella sola linea che, prodotta dal punto assegnato, passa per lo centro. Talch il dire: "Il fuoco, movendosi rettamente, va verso la circonferenza del mondo; adunque le parti della terra, le quali per le medesime linee si muovono di moto contrario, vanno verso 'l centro del mondo", non conclude altrimenti, se non supposto prima che le linee del fuoco, prolungate, passino per il centro del mondo: e perch di esse noi sappiamo certo che le passano per il centro del globo terrestre (essendo a perpendicolo sopra la sua superficie, e non inclinate), adunque, per concludere, bisogna supporre che il centro della Terra sia l'istesso che il centro del mondo, o almeno che le parti del fuoco e della terra non ascendano e descendano se non per una linea sola che passi per il centro del mondo, il che poi falso e repugna all'esperienza, la qual ci mostra che le parti del fuoco non per una linea sola, ma per le infinite prodotte dal centro della Terra verso tutte le parti del mondo, ascendono sempre per linee perpendicolari alla superficie del globo terrestre.

   SALV. Voi, signor Sagredo, molto ingegnosamente conducete Aristotile al medesimo inconveniente, mostrando l'equivoco manifesto; ma aggiugnete un'altra sconvenevolezza. Noi veggiamo la Terra essere sferica, e per siamo sicuri che ella ha il suo centro; a quello veggiamo che si muovono tutte le sue parti, ch cos necessario dire mentre i movimenti loro son tutti perpendicolari alla superficie terrestre intendiamo come, movendosi al centro della Terra, si muovono al suo tutto ed alla sua madre universale; e siamo poi tanto buoni, che ci vogliam lasciar persuadere che l'instinto loro naturale non di andar verso il centro della Terra, ma verso quel dell'universo, il quale non sappiamo dove sia, n se sia, e che quando pur sia, non altro ch'un punto imaginario ed un niente senza veruna facult. All'ultimo detto poi del signor Simplicio, che il contendere se le parti del Sole o della Luna o di altro corpo celeste, separate dal suo tutto, ritornassero naturalmente a quello, sia una vanit, per essere il caso impossibile, essendo manifesto, per dimostrazioni di Aristotile, che i corpi celesti sono impassibili, impenetrabili, impartibili, etc., rispondo, niuna delle condizioni per le quali Aristotile fa differire i corpi celesti da gli elementari avere altra sussistenza che quella ch'ei deduce dalla diversit de i moti naturali di quelli e di questi; in modo che, negato che il moto circolare sia solo de i corpi celesti, ed affermato ch'ei convenga a tutti i corpi naturali mobili, bisogna per necessaria conseguenza dire che gli attributi di generabile o ingenerabile, alterabile o inalterabile, partibile o impartibile, etc., egualmente e comunemente convengano a tutti i corpi mondani, cio tanto a i celesti quanto a gli elementari, o che malamente e con errore abbia Aristotile dedotti dal moto circolare quelli che ha assegnati a i corpi celesti.

   SIMP. Questo modo di filosofare tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, ed al disordinare e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l'universo. Ma io credo che i fondamenti de i Peripatetici sien tali, che non ci sia da temere che con la rovina loro si possano construire nuove scienze.

   SALV. Non vi pigliate gi pensiero del cielo n della Terra, n temiate la lor sovversione, come n anco della filosofia, perch, quanto al cielo, in vano che voi temiate di quello che voi medesimo reputate inalterabile e impassibile; quanto alla Terra, noi cerchiamo di nobilitarla e perfezionarla, mentre proccuriamo di farla simile a i corpi celesti e in certo modo metterla quasi in cielo, di dove i vostri filosofi l'hanno bandita. La filosofia medesima non pu se non ricever benefizio dalle nostre dispute, perch se i nostri pensieri saranno veri, nuovi acquisti si saranno fatti, se falsi, col ributtargli, maggiormente verranno confermate le prime dottrine. Pigliatevi pi tosto pensiero di alcuni filosofi e vedete di aiutargli e sostenergli, ch quanto alla scienza stessa, ella non pu se non avanzarsi. E ritornando al nostro proposito, producete liberamente quello che vi sovviene per mantenimento della somma differenza che Aristotile pone tra i corpi celesti e la parte elementare, nel far quelli ingenerabili, incorruttibili, inalterabili, etc., e questa corruttibile, alterabile, etc.

Per quelli che si perturbano per aver a mutar tutta la Filosofia si mostri come non cos, e che resta la medesima dottrina dell'anima, delle generazioni, delle meteore, degli animali.

   SIMP. Io non veggo per ancora che Aristotile sia bisognoso di soccorso, restando egli in piede, saldo e forte, anzi non essendo per ancora pure stato assalito, non che abbattuto, da voi. E qual sar il vostro schermo in questo primo assalto? Scrive Aristotile: Quello che si genera, si fa da un contrario in qualche subietto, e parimente si corrompe in qualche subietto da un contrario in un contrario, s che (notate bene) la corruzzione e generazione non se non ne i contrari; ma de i contrari i movimenti son contrari; se dunque al corpo celeste non si pu assegnar contrario, imperocch al moto circolare niun altro movimento contrario, adunque benissimo ha fatto la natura a fare esente da i contrari quello che doveva essere ingenerabile ed incorruttibile. Stabilito questo primo fondamento, speditamente si cava in conseguenza ch'ei sia inaugumentabile, inalterabile impassibile, e finalmente eterno ed abitazione proporzionata a gli Dei immortali, conforme alla opinione ancora di tutti gli uomini che de gli Dei hanno concetto. Conferma poi l'istesso ancor per il senso; avvenga che in tutto il tempo passato, secondo le tradizioni e memorie, nissuna cosa si vede essersi trasmutata, n secondo tutto l'ultimo cielo n secondo alcuna sua propria parte. Che poi al moto circolare niuno altro sia contrario, lo prova Aristotile in molte maniere; ma senza replicarle tutte, assai apertamente resta dimostrato, mentre che i moti semplici non sono altri che tre, al mezo, dal mezo e intorno al mezo, de i quali i dua retti sursum et deorsum sono manifestamente contrari, e perch un solo ha un solo per contrario, adunque non resta altro movimento che possa esser contrario al circolare. Eccovi il discorso di Aristotile argutissimo e concludentissimo, per il quale si prova l'incorruttibilit del cielo.

   SALV. Questo non niente di pi che il puro progresso d'Aristotile, gi da me accennato, nel quale, tuttavolta che io vi neghi che il moto, che voi attribuite a i corpi celesti, non convenga ancora alla Terra, la sua illazione resta nulla. Dicovi per tanto che quel moto circolare, che voi assegnate a i corpi celesti, conviene ancora alla Terra: dal che, posto che il resto del vostro discorso sia concludente, seguir una di queste tre cose, come poco fa si detto ed or vi replico, cio, o che la Terra sia essa ancora ingenerabile e incorruttibile, come i corpi celesti, o che i corpi celesti sieno, come gli elementari, generabili, alterabili, etc., o che questa differenza di moti non abbia che far con la generazione e corruzione. Il discorso di Aristotile e vostro contiene molte proposizioni da non esser di leggiero ammesse, e per poterlo meglio esaminare, sar bene ridurlo pi al netto ed al distinto, che sia possibile: e scusimi il signor Sagredo se forse con qualche tedio sente replicar pi volte le medesime cose, e faccia conto di sentir ripigliar gli argomenti ne i publici circoli de i disputanti. Voi dite: "La generazione e corruzione non si fa se non dove sono i contrari; i contrari non sono se non tra i corpi semplici naturali, mobili di movimenti contrari; movimenti contrari sono solamente quelli che si fanno per linee rette tra termini contrari, e questi sono solamente dua cio dal mezo ed al mezo, e tali movimenti non sono di altri corpi naturali che della terra, del fuoco e degli altri due elementi; adunque la generazione e corruzione non se non tra gli elementi. E perch il terzo movimento semplice, cio il circolare intorno al mezo, non ha contrario (perch contrari sono gli altri dua, e un solo ha un solo per contrario), per quel corpo naturale al quale tal moto compete, manca di contrario; e non avendo contrario, resta ingenerabile e incorruttibile etc., perch dove non contrariet, non generazione n corruzione etc.: ma tal moto compete solamente a i corpi celesti: adunque soli questi sono ingenerabili, incorruttibili, etc.". E prima, a me si rappresenta assai pi agevol cosa il potersi assicurare se la Terra, corpo vastissimo e per vicinit a noi trattabilissimo si muova di un movimento massimo, qual sarebbe per ora il rivolgersi in se stessa in ventiquattro ore, che non l'intendere ed assicurarsi se la generazione e corruzione si facciano da i contrari, anzi pure se la corruzione e la generazione ed i contrari sieno in natura: e se voi, signor Simplicio, mi sapeste assegnare qual sia il modo di operare della natura nel generare in brevissimo tempo centomila moscioni da un poco di fumo di mosto, mostrandomi quali sieno quivi i contrari, qual cosa si corrompa e come, io vi reputerei ancora pi di quello ch'io fo, perch io nessuna di queste cose comprendo. In oltre arei molto caro d'intendere come e perch questi contrari corruttivi sieno cos benigni verso le cornacchie e cos fieri verso i colombi, cos tolleranti verso i cervi ed impazienti contro a i cavalli, che a quelli concedano pi anni di vita cio d'incorruttibilit, che settimane a questi. I peschi, gli ulivi, hanno pur radice ne i medesimi terreni, sono esposti a i medesimi freddi, a i medesimi caldi, alle medesime pioggie e venti, ed in somma alle medesime contrariet; e pur quelli vengono destrutti in breve tempo, e questi vivono molte centinaia d'anni. Di pi, io non son mai restato ben capace di questa trasmutazione sustanziale (restando sempre dentro a i puri termini naturali), per la quale una materia venga talmente trasformata, che si deva per necessit dire, quella essersi del tutto destrutta, s che nulla del suo primo essere vi rimanga e ch'un altro corpo, diversissimo da quella, se ne sia prodotto; ed il rappresentarmisi un corpo sotto un aspetto e di l a poco sotto un altro differente assai, non ho per impossibile che possa seguire per una semplice trasposizione di parti, senza corrompere o generar nulla di nuovo, perch di simili metamorfosi ne vediamo noi tutto il giorno. S che torno a replicarvi che come voi mi vorrete persuader che la Terra non si possa muover circolarmente per via di corruttibilit e generabilit, averete che fare assai pi di me, che con argomenti ben pi difficili, ma non men concludenti, vi prover il contrario.

   SAGR. Signor Salviati, perdonatemi se io interrompo il vostro ragionamento, il quale, s come mi diletta assai, perch io ancora mi trovo involto nelle medesime difficult cos dubito che sia impossibile il poterne venire a capo senza deporre in tutto e per tutto la nostra principal materia; per, quando si potesse tirare avanti il primo discorso, giudicherei che fusse bene rimettere ad un altro separato ed intero ragionamento questa quistione della generazione e corruzione, s come anco, quando ci piaccia a voi ed al signor Simplicio, si potr fare di altre quistioni particolari che il corso de' ragionamenti ci porgesse avanti, delle quali io terr memoria a parte, per proporle un altro giorno e minutamente esaminarle. Or, quanto alla presente, gi che voi dite che, negato ad Aristotile che il moto circolare non sia della Terra, come degli altri corpi celesti, ne seguir che quello che accade della Terra, circa l'esser generabile, alterabile, etc., sia ancora del cielo, lasciamo star se la generazione e corruzione sieno o non sieno in natura, e torniamo a veder d'investigare quel che faccia il globo terrestre.

   SIMP. Io non posso accomodar l'orecchie a sentir mettere in dubbio se la generazione e corruzione sieno in natura, essendo una cosa che noi continuamente aviamo innanzi a gli occhi, e della quale Aristotile ha scritto due libri interi. Ma quando si abbiano a negare i principii nelle scienze e mettere in dubbio le cose manifestissime, chi non sa che si potr provare quel che altri vuole e sostener qualsivoglia paradosso? E se voi non vedete tutto il giorno generarsi e corrompersi erbe, piante, animali, che altra cosa vedete voi? come non vedete perpetuamente giostrarsi in contro le contrariet, e la terra mutarsi in acqua, l'acqua convertirsi in aria, l'aria in fuoco, e di nuovo l'aria condensarsi in nuvole, in pioggie, grandini e tempeste?

   SAGR. Anzi veggiamo pur tutte queste cose, e per vogliamo concedervi il discorso d'Aristotile, quanto a questa parte della generazione e corruzione fatta da i contrari; ma se io vi concluder, in virt delle medesime proposizioni concedute ad Aristotile, che i corpi celesti sieno essi ancora, non meno che gli elementari, generabili e corruttibili, che cosa direte voi?

   SIMP. Dir che voi abbiate fatto quello che impossibile a farsi.

   SAGR. Ditemi un poco, signor Simplicio: non sono queste affezioni contrarie tra di loro?

   SIMP. Quali?

   SAGR. Eccovele: alterabile, inalterabile, passibile, impassibile, generabile, ingenerabile, corruttibile, incorruttibile?

   SIMP. Sono contrarissime

   SAGR. Come questo sia, e sia vero ancora che i corpi celesti sieno ingenerabili e incorruttibili, io vi provo che di necessit bisogna che i corpi celesti sien generabili e corruttibili.

   SIMP. Questo non potr esser altro che un soffisma.

   SAGR. Sentite l'argomento, e poi nominatelo e solvetelo. I corpi celesti, perch sono ingenerabili ed incorruttibili, hanno in natura de i contrari, che sono i corpi generabili e corruttibili; ma dove contrariet, quivi generazione e corruzione; adunque i corpi celesti son generabili e corruttibili.

   SIMP. Non vi diss'io che non poteva esser altro ch'un soffisma? Questo un di quelli argomenti cornuti, che si chiamano soriti: come quello del Candiotto, che diceva che tutti i Candiotti erano bugiardi, per, essendo egli Candiotto, veniva a dir la bugia, mentre diceva che i Candiotti erano bugiardi; bisogna adunque che i Candiotti fussero veridici, ed in conseguenza esso, come Candiotto, veniva ad esser veridico, e per, nel dir che i Candiotti erano bugiardi diceva il vero, e comprendendo s, come Candiotto, bisognava che e' fusse bugiardo. E cos in questa sorte di soffismi si durerebbe in eterno a rigirarsi, senza concluder mai niente.

   SAGR. Voi sin qui l'avete nominato: resta ora che lo sciogliate, mostrando la fallacia.

   SIMP. Quanto al solverlo e mostrar la sua fallacia, non vedete voi, prima, la contradizion manifesta? i corpi celesti sono ingenerabili e incorruttibili; adunque i corpi celesti son generabili e corruttibili? E poi, la contrariet non tra i corpi celesti, ma tra gli elementi, li quali hanno la contrariet de i moti sursum et deorsum e della leggerezza e gravit; ma i cieli, che si muovono circolarmente, al qual moto niun altro contrario, mancano di contrariet, e per sono incorruttibili etc.

   SAGR. Piano, signor Simplicio. Questa contrariet, per la quale voi dite alcuni corpi semplici esser corruttibili, risied'ella nell'istesso corpo che si corrompe, o pure ha relazione ad un altro? dico se l'umidit, per esempio, per la quale si corrompe una parte di terra, risiede nell'istessa terra o pure in un altro corpo, qual sarebbe l'aria o l'acqua. Io credo pur che voi direte che, s come i movimenti in su e in gi, e la gravit e la leggerezza, che voi fate i primi contrari, non posson essere nel medesimo suggetto, cos n anco l'umido e 'l secco, il caldo e 'l freddo: bisogna dunque che voi diciate, che quando il corpo si corrompe, ci avvenga per la qualit che si trova in un altro, contraria alla sua propria. Per, per far che 'l corpo celeste sia corruttibile, basta che in natura ci sieno corpi che abbiano contrariet al corpo celeste; e tali sono gli elementi, se vero che la corruttibilit sia contraria all'incorruttibilit.

   SIMP. Non basta questo, Signor mio. Gli elementi si alterano e si corrompono perch si toccano e si mescolano tra di loro, e cos possono esercitare le lor contrariet; ma i corpi celesti sono separati da gli elementi, da i quali non son n anco tocchi, se ben essi toccano gli elementi. Bisogna, se voi volete provar la generazione e corruzione ne i corpi celesti, che voi mostriate che tra loro riseggano le contrariet.

   SAGR. Ecco ch'io ve le trovo tra di loro. Il primo fonte dal quale voi cavate le contrariet de gli elementi, la contrariet de' moti loro in su e in gi; adunque forza che contrari sieno parimente tra di loro quei principii da i quali dependono tali movimenti; e perch quello mobile in su per la leggerezza, e questo in gi per la gravit, necessario che leggerezza e gravit sieno tra di loro contrarie; n meno si deve credere che sien contrari quegli altri principii che son cagioni che questo sia grave, e leggiero quello. Ma, per voi medesimi, la leggerezza e la gravit vengono in conseguenza della rarit e densit, adunque contrarie saranno la densit e la rarit: le quali condizioni tanto amplamente si ritrovano ne i corpi celesti, che voi stimate le stelle non esser altro che parti pi dense del lor cielo, e quando ci sia, bisogna che la densit delle stelle superi quasi d'infinito intervallo quella del resto del cielo; il che manifesto dall'essere il cielo sommamente trasparente, e le stelle sommamente opache, e dal non si trovare lass altre qualit che 'l pi e 'l meno denso o raro, che della maggiore e minor trasparenza possano esser principii. Essendo dunque tali contrariet tra i corpi celesti, necessario che essi ancora sien generabili e corruttibili, in quel medesimo modo che son tali i corpi elementari, o vero che non la contrariet sia causa della corruttibilit, etc.

   SIMP. Non necessario n l'un n l'altro: perch la densit e rarit ne i corpi celesti non son contrarie tra loro, come ne i corpi elementari; imperocch non dependono dalle prime qualit, caldo e freddo, che sono contrarie, ma dalla molta o poca materia in proporzione alla quantit, ora il molto e 'l poco dicono solamente una opposizione relativa, che la minor che sia, e non ha che fare con la generazione e corruzione.

   SAGR. Talch a voler che il denso e 'l raro, che tra gli elementi deve esser cagione di gravit e leggerezza, le quali possan esser cause di moti contrari sursum et deorsum, da i quali dependano poi le contrariet per la generazione e corruzione, [], non basta che sieno di quei densi e rari che sotto la medesima quantit, o vogliam dir mole, contengono molta o poca materia, ma necessario che e' siano densi e rari merc delle prime qualit, freddo e caldo; altramente, non si farebbe niente. Ma, se questo , Aristotile ci ha ingannati, perch doveva dircelo da principio, e lasciare scritto che son generabili e corruttibili quei corpi semplici che son mobili di movimenti semplici in su e in gi, dependenti da leggerezza e gravit, causate da rarit e densit, fatta da molta e poca materia, merc del caldo e del freddo, e non si fermare sul semplice moto sursum et deorsum; perch io vi assicuro che quanto al fare i corpi gravi e leggieri, onde e' sien poi mobili di movimenti contrari, qualsivoglia densit e rarit basta, venga ella per caldo e freddo o per quel che pi vi piace, perch il caldo e 'l freddo non hanno che far niente in questa operazione, e voi vedrete che un ferro infocato, che pur si pu chiamar caldo, pesa il medesimo e si muove nel medesimo modo che freddo. Ma lasciato ancor questo, che sapete voi che il denso e 'l raro celeste non dependano dal freddo e dal caldo?

   SIMP. Sollo, perch tali qualit non sono tra i corpi celesti, li quali non son caldi n freddi.

   SALV. Io veggo che noi torniamo di nuovo a ingolfarci in un pelago infinito da non ne uscir mai, perch questo un navigar senza bussola, senza stelle, senza remi, senza timone, onde convien per necessit o passare di scoglio in scoglio o dare in secco o navigar sempre per perduti. Per, se conforme al vostro consiglio noi vogliamo tendere avanti nella nostra principal materia, bisogna che, lasciata per ora questa general considerazione, se il moto retto sia necessario in natura e convenga ad alcuni corpi, venghiamo alle dimostrazioni, osservazioni ed esperienze particolari, proponendo prima tutte quelle che da Aristotile da Tolomeo e da altri sono state sin qui addotte per prova della stabilit della Terra, cercando secondariamente di solverle, e portando in ultimo quelle per le quali altri possa restar persuaso che la Terra sia, non men che la Luna o altro pianeta, da connumerarsi tra i corpi naturali mobili circolarmente.

   SAGR. Io tanto pi volentieri mi atterr a questo, quanto io resto assai pi sodisfatto del vostro discorso architettonico e generale che di quello d'Aristotile, perch il vostro senza intoppo veruno mi quieta, e l'altro ad ogni passo mi attraversa qualche inciampo; e non so come il signor Simplicio non sia restato subito persuaso dalla ragione arrecata da voi per prova che il moto per linea retta non pu aver luogo in natura, tuttavoltach si supponga che le parti dell'universo sieno disposte in ottima costituzione e perfettamente ordinate.

   SALV. Fermate, di grazia, signor Sagredo, ch pur ora mi sovviene il modo di poter dar sodisfazione anco al signor Simplicio, tuttavolta per che e' non voglia restar talmente legato ad ogni detto d'Aristotile, che egli abbia per sacrilegio il discostarsene da alcuno. E' non dubbio che per mantener l'ottima disposizione e l'ordine perfetto delle parti dell'universo, quanto alla local situazione, non ci altro che il movimento circolare e la quiete; ma quanto al moto per linea retta, non veggo, che possa servire ad altro che al ridurre nella sua natural costituzione qualche particella di alcuno de' corpi integrali che per qualche accidente fusse stata rimossa e separata dal suo tutto, come di sopra dicemmo. Consideriamo ora tutto il globo terrestre e veggiamo quel che pu esser di lui, tuttavoltach ed esso e gli altri corpi mondani si devano conservare nell'ottima e natural disposizione. Egli necessario dire, o che egli resti e si conservi perpetuamente immobile nel luogo suo, o che, restando pur sempre nell'istesso luogo, si rivolga in se stesso, o che vadia intorno ad un centro, movendosi per la circonferenza di un cerchio: de i quali accidenti, ed Aristotile e Tolomeo e tutti i lor seguaci dicon pure che egli ha osservato sempre, ed per mantenere in eterno, il primo, cio una perpetua quiete nel medesimo luogo. Or, perch dunque in buon'ora non si dev'egli dire che sua naturale affezione il restare immobile, pi tosto che far suo naturale il moto all'ingi, del qual moto egli gi mai non si mosso ned per muoversi? E quanto al movimento per linea retta, lascisi che la natura se ne serva per ridur al suo tutto le particelle della terra, dell'acqua, dell'aria, e del fuoco, e di ogni altro corpo integrale mondano, quando alcuna di loro, per qualche caso, se ne trovasse separata, e per in luogo disordinato trasposta; se pure anco per far questa restituzione non si trovasse che qualche moto circolare fusse pi accomodato. Parmi che questa primaria posizione risponda molto meglio, dico anco in via d'Aristotile medesimo, a tutte le altre conseguenze, che l'attribuire come intrinseco e natural principio de gli elementi i movimenti retti. Il che manifesto: perch s'io domander al Peripatetico, se, tenendo egli che i corpi celesti sieno incorruttibili ed eterni, ei crede che 'l globo terrestre non sia tale, ma corruttibile e mortale, s che egli abbia a venir tempo che, continuando suo essere e sue operazioni il Sole e la Luna e le altre stelle, la Terra non si ritrovi pi al mondo, ma sia con tutto il resto de gli elementi destrutta e andata in niente, son sicuro che egli risponder di no, adunque la corruzione e generazione nelle parti, e non nel tutto, e nelle parti ben minime e superficiali, le quali son come insensibili in comparazion di tutta la mole: e perch Aristotile argumenta la generazione e corruzione dalla contrariet de' movimenti retti, lascinsi tali movimenti alle parti, che sole si alterano e corrompono, ed all'intero globo e sfera de gli elementi attribuiscasi o il moto circolare o una perpetua consistenza nel proprio luogo, affezioni che sole sono atte alla perpetuazione ed al mantenimento dell'ordine perfetto. Questo che si dice della terra, pu dirsi con simil ragion del fuoco e della maggior parte dell'aria; a i quali elementi si son ridotti i Peripatetici ad assegnare per loro intrinseco e natural moto uno del quale mai non si sono mossi n sono per muoversi, e chiamar fuor della natura loro quel movimento del quale si muovono, si son mossi, e son per muoversi perpetuamente. Questo dico, perch assegnano all'aria ed al fuoco il moto all'ins, del quale gi mai si mosso alcuno de i detti elementi, ma solo qualche lor particella, e questa non per altro che per ridursi alla perfetta costituzione, mentre si trovava fuori del luogo suo naturale; ed all'incontro chiamano a lor preternaturale il moto circolare, del quale incessabilmente si muovono, scordatisi in certo modo di quello che pi volte ha detto Aristotile, che nessun violento pu durar lungo tempo.

   SIMP. A tutte queste cose abbiamo noi le risposte accomodatissime, le quali per ora lascer da parte per venire alle ragioni pi particolari ed esperienze sensate, le quali finalmente devono anteporsi, come ben dice Aristotile, a quanto possa esserci somministrato dall'umano discorso.

   SAGR. Servanci dunque le cose dette sin qui per averci messo in considerazione qual de' due generali discorsi abbia pi del probabile: dico quello di Aristotile, per persuaderci, la natura de i corpi sullunari esser generabile e corruttibile, etc., e per diversissima dall'essenza de i corpi celesti, per esser loro impassibili, ingenerabili, incorruttibili, etc., tirato dalla diversit de i movimenti semplici; o pur questo del signor Salviati, che, supponendo le parti integrali del mondo essere disposte in ottima costituzione, esclude per necessaria conseguenza da i corpi semplici naturali i movimenti retti, come di niuno uso in natura, e stima la Terra esser essa ancora uno de i corpi celesti, adornato di tutte le prerogative che a quelli convengono: il qual discorso sin qui a me consuona assai pi che quell'altro. Sia dunque contento il signor Simplicio produr tutte le particolari ragioni, esperienze ed osservazioni, tanto naturali quanto astronomiche, per le quali altri possa restar persuaso, la Terra esser diversa da i corpi celesti, immobile, collocata nel centro del mondo, e se altro vi che l'escluda dall'esser essa ancora mobile come un pianeta, come Giove o la Luna, etc.: ed il signor Salviati per sua cortesia si contenter di rispondere a parte a parte.

   SIMP. Eccovi, per la prima, due potentissime dimostrazioni per prova che la Terra differentissima da i corpi celesti. Prima, i corpi che sono generabili, corruttibili, alterabili, etc., son diversissimi da quelli che sono ingenerabili incorruttibili, inalterabili, etc.: la Terra generabile, corruttibile, alterabile, etc., e i corpi celesti ingenerabili, incorruttibili, inalterabili, etc.: adunque la Terra diversissima da i corpi celesti.

   SAGR Per il primo argomento, voi riconducete in tavola quello che ci stato tutt'oggi ed a pena si levato pur ora.

   SIMP. Piano, Signore; sentite il resto, e vedrete quanto e' sia differente da quello. Nell'altro si prov la minore a priori, ed ora ve la voglio provare a posteriori; guardate se questo essere il medesimo. Provo dunque la minore, essendo la maggiore manifestissima. La sensata esperienza ci mostra come in Terra si fanno continue generazioni, corruzioni, alterazioni, etc., delle quali n per senso nostro, n per tradizioni o memorie de' nostri antichi, se n' veduta veruna in cielo; adunque il cielo inalterabile etc., e la Terra alterabile etc., e per diversa dal cielo. Il secondo argomento cavo io da un principale ed essenziale accidente; ed questo. Quel corpo che per sua natura oscuro e privo di luce, diverso da i corpi luminosi e risplendenti: la Terra tenebrosa e senza luce; ed i corpi celesti splendidi e pieni di luce: adunque etc. Rispondasi a questi, per non far troppo cumulo, e poi ne addurr altri.

   SALV. Quanto al primo, la forza del quale voi cavate dall'esperienza, desidero che voi pi distintamente mi produciate le alterazioni che voi vedete farsi nella Terra e non in cielo, per le quali voi chiamate la Terra alterabile ed il cielo no.

   SIMP. Veggo in Terra continuamente generarsi e corrompersi erbe, piante, animali, suscitarsi venti, pioggie, tempeste, procelle, ed in somma esser questo aspetto della Terra in una perpetua metamorfosi; niuna delle quali mutazioni si scorge ne' corpi celesti, la costituzione e figurazione de' quali puntualissimamente conforme a quelle di tutte le memorie, senza esservisi generato cosa alcuna di nuovo, n corrotto delle antiche.

   SALV. Ma, come voi vi abbiate a quietare su queste visibili, o, per dir meglio, vedute, esperienze, forza che voi reputiate la China e l'America esser corpi celesti, perch sicuramente in essi non avete vedute mai queste alterazioni che voi vedete qui in Italia, e che per, quanto alla vostra apprensione, e' sieno inalterabili.

   SIMP. Ancorch io non abbia vedute queste alterazioni sensatamente in quei luoghi, ce ne son per le relazioni sicure: oltre che, cum eadem sit ratio totius et partium, essendo quei paesi parti della Terra come i nostri, forza che e' sieno alterabili come questi.

   SALV. E perch non l'avete voi, senza ridurvi a dover credere all'altrui relazioni, osservate e viste da per voi con i vostri occhi propri?

   SIMP. Perch quei paesi, oltre al non esser esposti a gli occhi nostri, son tanto remoti che la vista nostra non potrebbe arrivare a comprenderci simili mutazioni.

   SALV. Or vedete come da per voi medesimo avete casualmente scoperta la fallacia del vostro argomento. Imperocch se voi dite che le alterazioni, che si veggono in Terra appresso di noi, non le potreste, per la troppa distanza, scorger fatte in America, molto meno le potreste vedere nella Luna, tante centinaia di volte pi lontana: e se voi credete le alterazioni messicane a gli avvisi venuti di l, quai rapporti vi son venuti dalla Luna a significarvi che in lei non vi alterazione? Adunque dal non veder voi le alterazioni in cielo, dove, quando vi fussero, non potreste vederle per la troppa distanza, e dal non ne aver relazione, mentre che aver non si possa, non potete arguir che elle non vi sieno, come dal vederle e intenderle in Terra bene arguite che le ci sono.

   SIMP. Io vi trover delle mutazioni seguite in Terra cos grandi, che se di tali se ne facessero nella Luna, benissimo potrebbero esser osservate di qua gi. Noi aviamo, per antichissime memorie, che gi, allo stretto di Gibilterra, Abile e Calpe erano continuati insieme con altre minori montagne le quali tenevano l'Oceano rispinto; ma essendosi, qual se ne fusse la causa, separati i detti monti, ed aperto l'adito all'acque marine, queste scorsero talmente in dentro, che ne formarono tutto il mare Mediterraneo: del quale se noi considereremo la grandezza, e la diversit dell'aspetto che devon fare tra di loro la superficie dell'acqua e quella della terra, vedute di lontano, non ha dubbio che una tale mutazione poteva benissimo esser compresa da chi fusse stato nella Luna, s come da noi abitatori della Terra simili alterazioni dovrebbero scorgersi nella Luna: ma non ci memoria che mai si sia veduta cosa tale: adunque non ci resta attacco da poter dire che alcuno de i corpi celesti sia alterabile etc.

   SALV. Che mutazioni cos vaste sieno seguite nella Luna, io non ardirei di dirlo; ma non sono anco sicuro che non ve ne possano esser seguite: e perch una simil mutazione non potrebbe rappresentarci altro che qualche variazione tra le parti pi chiare e le pi oscure di essa Luna, io non so che ci sieno stati in Terra selinografi curiosi, che per lunghissima serie di anni ci abbiano tenuti provvisti di selinografie cos esatte, che ci possano render sicuri, nissuna tal mutazione esser gi mai seguita nella faccia della Luna; della figurazione della quale non trovo pi minuta descrizione, che il dire alcuno che la rappresenta un volto umano, altri che l' simile a un ceffo di leone, ed altri che l' Caino con un fascio di pruni in spalla. Adunque il dire "Il cielo inalterabile, perch nella Luna o in altro corpo celeste non si veggono le alterazioni che si scorgono in Terra" non ha forza di concluder cosa alcuna.

   SAGR. Ed a me resta non so che altro scrupolo in questo primo argomento del signor Simplicio, il quale desidero che mi sia levato. Per io gli domando se la Terra avanti l'innondazione mediterranea era generabile e corruttibile, o pur cominci allora ad esser tale.

   SIMP. Era senza dubbio generabile e corruttibile ancora avanti; ma quella fu una mutazione tanto vasta, che anche nella Luna si sarebbe potuta osservare.

   SAGR. Oh, se la Terra fu, pure avanti tale alluvione, generabile e corruttibile, perch non pu esser tale la Luna parimente senza una simile mutazione? perch necessario nella Luna quello che non importava nulla nella Terra?

   SALV. Argutissima instanza. Ma io vo dubitando che il signor Simplicio alteri un poco l'intelligenza de i testi d'Aristotile e de gli altri Peripatetici, li quali dicano di tenere il cielo inalterabile, perch in esso non si veduto generare n corromper mai alcuna stella, che forse del cielo parte minore che una citt della Terra, e pur innumerabili di queste si son destrutte in modo che n anco i vestigii ci son rimasti.

   SAGR. Io certo stimava altramente, e credeva che il signor Simplicio dissimulasse questa esposizione di testo per non gravare il Maestro ed i suoi condiscepoli di una nota assai pi deforme dell'altra. E qual vanit il dire: "La parte celeste inalterabile, perch in essa non si generano e corrompono stelle"? ci forse alcuno che abbia veduto corrompersi un globo terrestre e rigenerarsene un altro? e non egli ricevuto da tutti i filosofi, che pochissime stelle sieno in cielo minori della Terra, ma bene assaissime molto e molto maggiori? Il corrompersi dunque una stella in cielo non minor cosa che destruggersi tutto il globo terrestre: per, quando per poter con verit introdur nell'universo la generazione e corruzione sia necessario che si corrompano e rigenerino corpi cos vasti come una stella, toglietelo pur via del tutto, perch vi assicuro che mai non si vedr corrompere il globo terrestre o altro corpo integrale del mondo, s che, essendocisi veduto per molti secoli decorsi, ei si dissolva in maniera, che di s non lasci vestigio alcuno.

   SALV. Ma per dar soprabbondante soddisfazione al signor Simplicio e torlo, se possibile, di errore, dico che noi aviamo nel nostro secolo accidenti ed osservazioni nuove e tali, ch'io non dubito punto che se Aristotile fusse all'et nostra, muterebbe oppinione. Il che manifestamente si raccoglie dal suo stesso modo di filosofare: imperocch mentre egli scrive di stimare i cieli inalterabili etc., perch nissuna cosa nuova si veduta generarvisi o dissolversi delle vecchie, viene implicitamente a lasciarsi intendere che quando egli avesse veduto uno di tali accidenti, averebbe stimato il contrario ed anteposto, come conviene, la sensata esperienza al natural discorso, perch quando e' non avesse voluto fare stima de' sensi, non avrebbe, almeno dal non si vedere sensatamente mutazione alcuna, argumentata l'immutabilit.

   SIMP. Aristotile fece il principal suo fondamento sul discorso a priori, mostrando la necessit dell'inalterabilit del cielo per i suoi principii naturali, manifesti e chiari; e la medesima stabil doppo a posteriori, per il senso e per le tradizioni de gli antichi.

   SALV. Cotesto, che voi dite, il metodo col quale egli ha scritta la sua dottrina, ma non credo gi che e' sia quello col quale egli la investig, perch io tengo per fermo ch' e' proccurasse prima, per via de' sensi, dell'esperienze e delle osservazioni, di assicurarsi quanto fusse possibile della conclusione, e che doppo andasse ricercando i mezi da poterla dimostrare, perch cos si fa per lo pi nelle scienze dimostrative: e questo avviene perch, quando la conclusione vera, servendosi del metodo resolutivo, agevolmente si incontra qualche proposizione gi dimostrata, o si arriva a qualche principio per s noto; ma se la conclusione sia falsa, si pu procedere in infinito senza incontrar mai verit alcuna conosciuta, se gi altri non incontrasse alcun impossibile o assurdo manifesto. E non abbiate dubbio che Pitagora gran tempo avanti che e' ritrovasse la dimostrazione per la quale fece l'ecatumbe, si era assicurato che 'l quadrato del lato opposto all'angolo retto nel triangolo rettangolo era eguale a i quadrati de gli altri due lati; e la certezza della conclusione aiuta non poco al ritrovamento della dimostrazione, intendendo sempre nelle scienze demostrative. Ma fusse il progresso di Aristotile in qualsivoglia modo, s che il discorso a priori precedesse il senso a posteriori, o per l'opposito, assai che il medesimo Aristotile antepone (come pi volte s' detto) l'esperienze sensate a tutti i discorsi oltre che, quanto a i discorsi a priori, gi si esaminato quanta sia la forza loro. Or, tornando alla materia, dico che le cose scoperte ne i cieli a i tempi nostri sono e sono state tali, che posson dare intera soddisfazione a tutti i filosofi: imperocch e ne i corpi particolari e nell'universale espansione del cielo si son visti e si veggono tuttavia accidenti simili a quelli che tra di noi chiamiamo generazioni e corruzioni, essendo che da astronomi eccellenti sono state osservate molte comete generate e disfatte in parti pi alte dell'orbe lunare, oltre alle due stelle nuove dell'anno 1572 e del 1604, senza veruna contradizione altissime sopra tutti i pianeti; ed in faccia dell'istesso Sole si veggono, merc del telescopio, produrre e dissolvere materie dense ed oscure in sembianza molto simili alle nugole intorno alla Terra, e molte di queste sono cos vaste, che superano di gran lunga non solo il sino Mediterraneo, ma tutta l'Affrica e l'Asia ancora. Ora, quando Aristotile vedesse queste cose che credete voi, signor Simplicio, ch' e' dicesse e facessei.

   SIMP. Io non so quello che si facesse n dicesse Aristotile, che era padrone delle scienze, ma so bene in parte quello che fanno e dicono, e che conviene che facciano e dicano i suoi seguaci, per non rimaner senza guida senza scorta e' senza capo nella filosofia. Quanto alle comete, non son eglino restati convinti quei moderni astronomi, che le volevano far celesti, dall'Antiticone, e convinti con le loro medesime armi, dico per via di paralassi e di calcoli rigirati in cento modi, concludendo finalmente a favor d'Aristotile che tutte sono elementari? e spiantato questo, che era quanto fondamento avevano i seguaci delle novit, che altro pi resta loro per sostenersi in piedi?

   SALV. Con flemma, signor Simplicio. Cotesto moderno autore che cosa dice egli delle stelle nuove del 72 e del 604 e delle macchie solari? perch quanto alle comete, io, quant'a me, poca difficult farei nel porle generate sotto o sopra la Luna, n ho mai fatto gran fondamento sopra la loquacit di Ticone, n sento repugnanza alcuna nel poter credere che la materia loro sia elementare, e che le possano sublimarsi quanto piace loro, senza trovare ostacoli nell'impenetrabilit del cielo peripatetico, il quale io stimo pi tenue pi cedente e pi sottile assai della nostra aria; e quanto a i calcoli delle paralassi, prima il dubbio se le comete sian soggette a tale accidente, e poi l'incostanza delle osservazioni sopra le quali son fatti i computi, mi rendono egualmente sospette queste opinioni e quelle, e massime che mi pare che l'Antiticone talvolta accomodi a suo modo, o metta per fallaci, quelle osservazioni che repugnano al suo disegno.

   SIMP. Quanto alle stelle nuove, l'Antiticone se ne sbriga benissimo in quattro parole, dicendo che tali moderne stelle nuove non son parti certe de i corpi celesti, e che bisogna che gli avversari, se voglion provare lass esser alterazione e generazione, dimostrino mutazioni fatte nelle stelle descritte gi tanto tempo, delle quali nissuno dubita che sieno cose celesti, il che non possono far mai in veruna maniera, circa poi alle materie che alcuni dicono generarsi e dissolversi in faccia del Sole, ei non ne fa menzione alcuna; ond'io argomento ch' e' l'abbia per una favola, o per illusioni del cannocchiale, o al pi per affezioncelle fatte per aria, ed in somma per ogni altra cosa che per materie celesti.

   SALV. Ma voi, signor Simplicio, che cosa vi sete immaginato di rispondere all'opposizione di queste macchie importune, venute a intorbidare il cielo, e pi la peripatetica filosofia? egli forza che, come intrepido difensor di quella, vi abbiate trovato ripiego e soluzione, della quale non dovete defraudarci.

   SIMP. Io ho intese diverse opinioni, intorno a questo particolare. "Chi dice che le sono stelle, che ne' loro proprii orbi, a guisa di Venere e di Mercurio, si volgono intorno al Sole, e nel passargli sotto si mostrano a noi oscure, e per esser moltissime, spesso accade che parte di loro si aggreghino insieme e che poi si separino, altri le credono esser impressioni per aria; altri, illusioni de' cristalli; ed altri, altre cose. Ma io inclino assai a credere, anzi tengo per fermo, che le sieno un aggregato di molti e vari corpi opachi, quasi casualmente concorrenti tra di loro: e per veggiamo spesso che in una macchia si posson numerare dieci e pi di tali corpicelli minuti, che sono di figure irregolari e ci si rappresentano come fiocchi di neve o di lana o di mosche volanti, variano sito tra di loro, ed or si disgregano ed ora si congregano, e massimamente sotto il Sole, intorno al quale, come intorno a suo centro, si vanno movendo. Ma non per di necessit dire che le si generino e si corrompano, ma che alcune volte si occultano doppo il corpo del Sole, ed altre volte, bench allontanate da quello, non si veggono per la vicinanza della smisurata luce del Sole: imperocch nell'orbe eccentrico del Sole vi costituita una quasi cipolla composta di molte grossezze, una dentro all'altra, ciascheduna delle quali, essendo tempestata di alcune piccole macchie, si muove; e bench il movimento loro da principio sia parso inconstante ed irregolare, nulla dimeno si dice essersi ultimamente osservato che dentro a tempi determinati ritornano le medesime macchie per l'appunto". Questo pare a me il pi accomodato ripiego che sin qui si sia ritrovato per render ragione di cotale apparenza, ed insieme mantenere la incorruttibilit ed ingenerabilit del cielo; e quando questo non bastasse, non mancheranno ingegni pi elevati che ne troveranno de gli altri migliori.

   SALV. Se questo di che si disputa fusse qualche punto di legge o di altri studi umani, ne i quali non n verit n falsit, si potrebbe confidare assai nella sottigliezza dell'ingegno e nella prontezza del dire e nella maggior pratica ne gli scrittori, e sperare che quello che eccedesse in queste cose fusse per far apparire e giudicar la ragion sua superiore; ma nelle scienze naturali, le conclusioni delle quali son vere e necessarie n vi ha che far nulla l'arbitrio umano, bisogna guardarsi di non si porre alla difesa del falso, perch mille Demosteni e mille Aristoteli resterebbero a piede contro ad ogni mediocre ingegno che abbia auto ventura di apprendersi al vero. Per, signor Simplicio, toglietevi pur gi dal pensiero e dalla speranza che voi avete, che possano esser uomini tanto pi dotti, eruditi e versati ne i libri, che non siamo noi altri, che al dispetto della natura sieno per far divenir vero quello che falso. E gi che tra tutte le opinioni che sono state prodotte sin qui intorno all'essenza di queste macchie solari, questa esplicata pur ora da voi vi par la vera, resta (se questo ) che l'altre tutte sien false; ed io, per liberarvi ancora da questa, che pure falsissima chimera, lasciando mill'altre improbabilit che vi sono, due sole esperienze vi arreco in contrario. L'una , che molte di tali macchie si veggono nascere nel mezo del disco solare, e molte parimente dissolversi e svanire pur lontane dalla circonferenza del Sole; argumento necessario che le si generano e si dissolvono: ch se senza generarsi e corrompersi comparissero quivi per solo movimento locale, tutte si vedrebbero entrare e uscire per la estrema circonferenza. L'altra osservazione a quelli che non son costituiti nell'infimo grado d'ignoranza di prospettiva, dalla mutazione dell'apparenti figure, e dall'apparente mutazion di velocit di moto, si conclude necessariamente che le macchie son contigue al corpo solare, e che, toccando la sua superficie, con essa o sopra di essa si muovono, e che in cerchi da quello remoti in verun modo non si raggirano. Concludelo il moto, che verso la circonferenza del disco solare apparisce tardissimo, e verso il mezo pi veloce; concludonlo le figure delle macchie, le quali verso la circonferenza appariscono strettissime in comparazione di quello che si mostrano nelle parti di mezo, e questo perch nelle parti di mezo si veggono in maest e quali elle veramente sono, e verso la circonferenza, mediante lo sfuggimento della superficie globosa, si mostrano in iscorcio: e l'una e l'altra diminuzione, di figura e di moto, a chi diligentemente l'ha sapute osservare e calculare, risponde precisamente a quello che apparir deve quando le macchie sien contigue al Sole, e discorda inescusabilmente dal muoversi in cerchi remoti, bench per piccoli intervalli, dal corpo solare; come diffusamente stato dimostrato dall'amico nostro nelle Lettere delle Macchie Solari al signor Marco Velseri. Raccogliesi dalla medesima mutazion di figura che nissuna di esse stella o altro corpo di figura sferica; imperocch tra tutte le figure sola la sfera non si vede mai in iscorcio, n pu rappresentarsi mai se non perfettamente rotonda, e cos quando alcuna delle macchie particolari fusse un corpo rotondo, quali si stimano esser tutte le stelle, della medesima rotondit si mostrerebbe tanto nel mezo del disco solare quanto verso l'estremit; dove che lo scorciare tanto e mostrarsi cos sottili verso tale estremit, ed all'incontro spaziose e larghe verso il mezo, ci rende sicuri quelle esser falde di poca profondit o grossezza rispetto alla lunghezza e larghezza loro. Che poi si sia osservato ultimamente che le macchie doppo suoi determinati periodi ritornino le medesime per l'appunto, non lo crediate, signor Simplicio, e chi ve l'ha detto vi vuole ingannare; e che ci sia, guardate che ei vi ha taciuto quelle che si generano e quelle che si dissolvono nella faccia del Sole, lontano dalla circonferenza, n vi ha anco detto parola di quello scorciare, che argomento necessario dell'esser contigue al Sole. Quello che ci del ritorno delle medesime macchie, non altro che quel che pur si legge nelle sopraddette Lettere, cio che alcune di esse pu esser talvolta che siano di cos lunga durata, che non si disfacciano per una sola conversione intorno al Sole, la quale si spedisce in meno di un mese.

   SIMP. Io, per dire il vero, non ho fatto n s lunghe n s diligenti osservazioni, che mi possano bastare a esser ben padrone del quod est di questa materia; ma voglio in ogni modo farle, e poi provarmi io ancora se mi sucedesse concordare quel che ci porge l'esperienza con quel che ci dimostra Aristotile, perch chiara cosa che due veri non si posson contrariare.

   SALV. Tuttavolta che voi vogliate accordar quel che vi mostrer il senso con le pi salde dottrine d'Aristotile, non ci averete una fatica al mondo. E che ci sia vero, Aristotile non dic'egli che delle cose del cielo, mediante la gran lontananza, non se ne pu molto resolutamente trattare?

   SIMP. Dicelo apertamente.

   SALV. Il medesimo non afferm'egli che quello che l'esperienza e il senso ci dimostra, si deve anteporre ad ogni discorso, ancorch ne paresse assai ben fondato? e questo non lo dic'egli resolutamente e senza punto titubare?

   SIMP. Dicelo.

   SALV. Adunque di queste due proposizioni, che sono ambedue dottrina d'Aristotile, questa seconda, che dice che bisogna anteporre il senso al discorso, dottrina molto pi ferma e risoluta che l'altra, che stima il cielo inalterabile, e per pi aristotelicamente filosoferete dicendo: "Il cielo alterabile, perch cos mi mostra il senso", che se direte: "Il cielo inalterabile, perch cos persuade il discorso ad Aristotile". Aggiugnete che noi possiamo molto meglio di Aristotile discorrer delle cose del cielo, perch, confessando egli cotal cognizione esser a lui difficile per la lontananza da i sensi, viene a concedere che quello a chi i sensi meglio lo potessero rappresentare, con sicureza maggiore potrebbe intorno ad esso filosofare: ora noi, merc del telescopio, ce lo siam fatto vicino trenta e quaranta volte pi che vicino non era ad Aristotile, s che possiamo scorgere in esso cento cose che egli non potette vedere, e tra le altre queste macchie nel Sole, che assolutamente ad esso furono invisibili: adunque del cielo e del Sole pi sicuramente possiamo noi trattare che Aristotile.

   SAGR. Io sono nel cuore al signor Simplicio, e veggo che e' si sente muovere assai dalla forza di queste pur troppo concludenti ragioni; ma, dall'altra banda, il vedere la grande autorit che si acquistata Aristotile appresso l'universale, il considerare il numero de gli interpreti famosi che si sono affaticati per esplicare i suoi sensi, il vedere altre scienze, tanto utili e necessarie al publico, fondar gran parte della stima e reputazion loro sopra il credito d'Aristotile, lo confonde e spaventa assai; e me lo par sentir dire: "E a chi si ha da ricorrere per definire le nostre controversie, levato che fusse di seggio Aristotile? qual altro autore si ha da seguitare nelle scuole, nelle accademie, nelli studi? qual filosofo ha scritto tutte le parti della natural filosofia, e tanto ordinatamente, senza lasciar indietro pur una particolar conclusione? adunque si deve desolar quella fabbrica, sotto la quale si ricuoprono tanti viatori? si deve destrugger quell'asilo, quel Pritaneo, dove tanto agiatamente si ricoverano tanti studiosi, dove, senza esporsi all'ingiurie dell'aria, col solo rivoltar poche carte, si acquistano tutte le cognizioni della natura? si ha da spiantar quel propugnacolo, dove contro ad ogni nimico assalto in sicurezza si dimora?" Io gli compatisco, non meno che a quel signore che, con gran tempo, con spesa immensa, con l'opera di cento e cento artefici, fabbric nobilissimo palazzo, e poi lo vegga, per esser stato mal fondato, minacciar rovina, e che, per non vedere con tanto cordoglio disfatte le mura di tante vaghe pitture adornate, cadute le colonne sostegni delle superbe logge, caduti i palchi dorati, rovinati gli stipiti, i frontespizi e le cornici marmoree con tanta spesa condotte, cerchi con catene puntelli, contrafforti, barbacani e sorgozzoni di riparare alla rovina.

   SALV. Eh non tema gi il signor Simplicio di simil cadute; io con sua assai minore spesa torrei ad assicurarlo del danno. Non ci pericolo che una moltitudine s grande di filosofi accorti e sagaci si lasci sopraffare da uno o dua, che faccino un poco di strepito; anzi non pure col voltargli contro le punte delle lor penne, ma col solo silenzio, gli metteranno in disprezzo e derisione appresso l'universale. Vanissimo il pensiero di chi credesse introdur nuova filosofia col reprovar questo o quello autore: bisogna prima imparare a rifar i cervelli degli uomini, e rendergli atti a distinguere il vero dal falso, cosa che solo Dio la pu fare. Ma d'un ragionamento in un altro dove siamo noi trascorsi? io non saprei ritornare in su la traccia, senza la scorta della vostra memoria.

   SIMP. Me ne ricordo io benissimo. Eramo intorno alle risposte dell'Antiticone all'obbiezioni contro all'immutabilit del cielo, tra le quali voi inseriste questa delle macchie solari, non toccata da lui; e credo che voi voleste considerar la sua risposta all'instanza delle stelle nuove.

   SALV. Or mi sovviene il restante; e seguitando la materia, parmi che nella risposta dell'Antiticone sieno alcune cose degne di riprensione. E prima, se le due stelle nuove, le quali e' non pu far di manco di non por nelle parti altissime del cielo, e che furono di lunga durata e finalmente svanirono, non gli danno fastidio nel mantener l'inalterabilit del cielo, per non esser loro parti certe di quello n mutazioni fatte nelle stelle antiche, a che proposito mettersi con tanta ansiet ed affanno contro le comete, per bandirle in ogni maniera dalle regioni celesti? non bastav'egli il poter dir di loro quel medesimo che delle stelle nuove? cio che per non esser parti certe del cielo n mutazioni fatte in alcuna delle sue stelle, nessun progiudizio portano n al cielo n alla dottrina d'Aristotile? Secondariamente, io non resto ben capace dell'interno dell'animo suo, mentre che e' confessa che le alterazioni che si facessero nelle stelle sarebber destruttrici delle prerogative del cielo, cio dell'incorruttibilit etc., e questo, perch le stelle son cose celesti, come per il concorde consenso di tutti manifesto; ed all'incontro, niente lo perturba, quando le medesime alterazioni si facessero fuori delle stelle, nel resto della celeste espansione. Stim'egli forse che il cielo non sia cosa celeste? io per me credeva che le stelle si chiamassero cose celesti mediante l'esser nel cielo o l'esser fatte della materia del cielo, e che per il cielo fusse pi celeste di loro, in quella guisa che non si pu dire alcuna cosa esser pi terrestre o pi ignea della terra o del fuoco stesso. Il non aver poi fatto menzione delle macchie solari, delle quali stato dimostrato concludentemente prodursi e dissolversi ed esser prossime al corpo solare e con esso o intorno ad esso raggirarsi, mi d grand'indizio che possa esser che questo autore scriva pi tosto a compiacenza di altri che a soddisfazion propria; e questo dico, perch, dimostrandosi egli intelligente delle matematiche, impossibile ch'ei non resti persuaso dalle dimostrazioni, che tali materie sono necessariamente contigue al corpo solare, e sono generazioni e corruzioni tanto grandi, che nissuna cos grande se ne fa mai in Terra: e se tali e tante e s frequenti se ne fanno nell'istesso globo del Sole, che ragionevolmente pu stimarsi delle pi nobili parti del cielo, qual ragione rester potente a dissuaderci che altre ne possano accadere ne gli altri globi?

   SAGR. Io non posso senza grande ammirazione, e dir gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobilt e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell'universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile etc., ed all'incontro stimar grande imperfezione l'esser alterabile, generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e s diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessabilmente si fanno; e quando, senza esser suggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d'arena o una massa di diaspro, o che al tempo del diluvio diacciandosi l'acque che la coprivano fusse restata un globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse n si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo e come se non fusse in natura, e quella stessa differenza ci farei che tra l'animal vivo e il morto; ed il medesimo dico della Luna, di Giove e di tutti gli altri globi mondani. Ma quanto pi m'interno in considerar la vanit de i discorsi popolari, tanto pi gli trovo leggieri e stolti. E qual maggior sciocchezza si pu immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l'argento e l'oro, e vilissime la terra e il fango? e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta scarsit della terra quanta delle gioie o de i metalli pi pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere e produrre s belle frondi, fiori cos odorosi e s gentil frutti? , dunque, la penuria e l'abbondanza quella che mette in prezzo ed avvilisce le cose appresso il volgo, il quale dir poi quello essere un bellissimo diamante, perch assimiglia l'acqua pura, e poi non lo cambierebbe con dieci botti d'acqua. Questi che esaltano tanto l'incorruttibilit, l'inalterabilit, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d'incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante, per diventar pi perfetti che non sono.

   SALV. E forse anco una tal metamorfosi non sarebbe se non con qualche lor vantaggio, ch meglio credo io che sia il non discorrere, che discorrere a rovescio.

   SIMP. E' non dubbio alcuno che la Terra molto pi perfetta essendo, come ella , alterabile, mutabile, etc., che se la fusse una massa di pietra, quando ben anco fusse un intero diamante, durissimo ed impassibile. Ma quanto queste condizioni arrecano di nobilt alla Terra, altrettanto renderebbero i corpi celesti pi imperfetti, ne i quali esse sarebbero superflue, essendo che i corpi celesti, cio il Sole, la Luna e l'altre stelle, che non sono ordinati ad altro uso che al servizio della Terra, non hanno bisogno d'altro per conseguire il lor fine, che del moto e del lume.

   SAGR. Adunque la natura ha prodotti ed indrizzati tanti vastissimi, perfettissimi e nobilissimi corpi celesti, impassibili, immortali, divini, non ad altro uso che al servizio della Terra, passibile, caduca e mortale? al servizio di quello che voi chiamate la feccia del mondo, la sentina di tutte le immondizie? e a che proposito far i corpi celesti immortali etc., per servire a uno caduco etc.? Tolto via questo uso di servire alla Terra, l'innumerabile schiera di tutti i corpi celesti resta del tutto inutile e superflua, gi che non hanno, n possono avere, alcuna scambievole operazione fra di loro, poich tutti sono inalterabili, immutabili, impassibili: ch se, verbigrazia, la Luna impassibile, che volete che il Sole o altra stella operi in lei? sar senz'alcun dubbio operazione minore assai che quella di chi con la vista o col pensiero volesse liquefare una gran massa d'oro. In oltre, a me pare che mentre che i corpi celesti concorrano alle generazioni ed alterazioni della Terra, sia forza che essi ancora sieno alterabili, altramente non so intendere che l'applicazione della Luna o del Sole alla Terra per far le generazioni fusse altro che mettere a canto alla sposa una statua di marmo, e da tal congiugnimento stare attendendo prole.

   SIMP. La corruttibilit, l'alterazione, la mutazione etc. non son nell'intero globo terrestre, il quale quanto alla sua integrit non meno eterno che il Sole o la Luna, ma generabile e corruttibile quanto alle sue parti esterne; ma ben vero che in esse la generazione e corruzione son perpetue, e come tali ricercano l'operazioni celesti eterne; e per necessario che i corpi celesti sieno eterni.

   SAGR. Tutto cammina bene; ma se all'eternit dell'intero globo terrestre non punto progiudiziale la corruttibilit delle parti superficiali, anzi questo esser generabile, corruttibile, alterabile etc. gli arreca grand'ornamento e perfezione, perch non potete e dovete voi ammetter alterazioni generazioni etc. parimente nelle parti esterne de i globi celesti, aggiugnendo loro ornamento, senza diminuirgli perfezione o levargli l'azioni, anzi accrescendogliele, col far che non solo sopra la Terra, ma che scambievolmente fra di loro tutti operino, e la Terra ancora verso di loro?

   SIMP. Questo non pu essere, perch le generazioni, mutazioni etc. che si facesser, verbigrazia, nella Luna, sarebber inutili e vane, et natura nihil frustra facit.

   SAGR. E perch sarebbero elleno inutili e vane?

   SIMP. Perch noi chiaramente veggiamo e tocchiamo con mano, che tutte le generazioni, mutazioni, etc., che si fanno in Terra, tutte, o mediatamente o immediatamente sono indrizzate all'uso, al comodo ed al benefizio dell'uomo; per comodo de gli uomini nascono i cavalli, per nutrimento de' cavalli produce la Terra il fieno, e le nugole l'adacquano; per comodo e nutrimento de gli uomini nascono le erbe, le biade, i frutti, le fiere, gli uccelli, i pesci, ed in somma, se noi anderemo diligentemente esaminando e risolvendo tutte queste cose, troveremo, il fine al quale tutte sono indrizzate esser il bisogno, l'utile, il comodo e il diletto de gli uomini. Or di quale uso potrebber esser mai al genere umano le generazioni che si facessero nella Luna o in altro pianeta? se gi voi non voleste dire che nella Luna ancora fussero uomini, che godesser de' suoi frutti; pensiero, o favoloso, o empio.

   SAGR. Che nella Luna o in altro pianeta si generino o erbe o piante o animali simili a i nostri, o vi si facciano pioggie, venti, tuoni, come intorno alla Terra, io non lo so e non lo credo, e molto meno che ella sia abitata da uomini: ma non intendo gi come tuttavolta che non vi si generino cose simili alle nostre, si deva di necessit concludere che niuna alterazione vi si faccia, n vi possano essere altre cose che si mutino, si generino e si dissolvano, non solamente diverse dalle nostre, ma lontanissime dalla nostra immaginazione, ed in somma del tutto a noi inescogitabili. E s come io son sicuro che a uno nato e nutrito in una selva immensa, tra fiere ed uccelli, e che non avesse cognizione alcuna dell'elemento dell'acqua, mai non gli potrebbe cadere nell'immaginazione essere in natura un altro mondo diverso dalla Terra, pieno di animali li quali senza gambe e senza ale velocemente camminano, e non sopra la superficie solamente, come le fiere sopra la terra, ma per entro tutta la profondit, e non solamente camminano, ma dovunque piace loro immobilmente si fermano, cosa che non posson fare gli uccelli per aria, e che quivi di pi abitano ancora uomini, e vi fabbricano palazzi e citt, ed hanno tanta comodit nel viaggiare, che senza niuna fatica vanno con tutta la famiglia e con la casa e con le citt intere in lontanissimi paesi; s come, dico, io son sicuro che un tale, ancorch di perspicacissima immaginazione, non si potrebbe gi mai figurare i pesci, l'oceano, le navi, le flotte e le armate di mare; cos e molto pi, pu accadere che nella Luna, per tanto intervallo remota da noi e di materia per avventura molto diversa dalla Terra, sieno sustanze e si facciano operazioni non solamente lontane, ma del tutto fuori, d'ogni nostra immaginazione, come quelle che non abbiano similitudine alcuna con le nostre, e perci del tutto inescogitabili, avvengach quello che noi ci immaginiamo bisogna che sia o una delle cose gi vedute, o un composto di cose o di parti delle cose altra volta vedute; ch tali sono le sfingi, le sirene, le chimere, i centauri, etc.

   SALV. Io son molte volte andato fantasticando sopra queste cose, e finalmente mi pare di poter ritrovar bene alcune delle cose che non sieno n possan esser nella Luna, ma non gi veruna di quelle che io creda che vi sieno e possano essere, se non con una larghissima generalit, cio cose che l'adornino operando e movendo e vivendo e, forse con modo diversissimo dal nostro, veggendo ed ammirando la grandezza e bellezza del mondo e del suo Facitore e Rettore, e con encomii continui cantando la Sua gloria, ed in somma (che quello che io intendo) facendo quello tanto frequentemente da gli scrittor sacri affermato, cio una perpetua occupazione di tutte le creature in laudare Iddio.

   SAGR. Queste sono delle cose che, generalissimamente parlando, vi possono essere; ma io sentirei volentieri ricordar di quelle che ella crede che non vi sieno n possano essere, le quali forza che pi particolarmente si possano nominare.

   SALV. Avvertite, signor Sagredo, che questa sar la terza volta che noi cos di passo in passo, non ce n'accorgendo, ci saremo deviati dal nostro principale instituto, e che tardi verremo a capo de' nostri ragionamenti, facendo digressioni; per se vogliamo differir questo discorso tra gli altri che siam convenuti rimettere ad una particolar sessione, sar forse ben fatto.

   SAGR. Di grazia, gi che siamo nella Luna, spediamoci dalle cose che appartengono a lei, per non avere a fare un'altra volta un s lungo cammino.

   SALV. Sia come vi piace. E per cominciar dalle cose pi generali, io credo che il globo lunare sia differente assai dal terrestre, ancorch in alcune cose si veggano delle conformit: dir le conformit, e poi le diversit. Conforme sicuramente la Luna alla Terra nella figura, la quale indubitabilmente sferica, come di necessit si conclude dal vedersi il suo disco perfettamente circolare, e dalla maniera del ricevere il lume del Sole, dal quale, se la superficie sua fusse piana, verrebbe tutta nell'istesso tempo vestita, e parimente poi tutta, pur in un istesso momento, spogliata di luce, e non prima le parti che riguardano verso il Sole e successivamente le seguenti, s che giunta all'opposizione, e non prima, resta tutto l'apparente disco illustrato; di che, all'incontro, accaderebbe tutto l'opposito, quando la sua visibil superficie fusse concava, cio la illuminazione comincierebbe dalle parti avverse al Sole. Secondariamente, ella , come la Terra, per se stessa oscura ed opaca, per la quale opacit atta a ricevere ed a ripercuotere il lume del Sole, il che, quando ella non fusse tale, far non potrebbe. Terzo, io tengo la sua materia densissima e solidissima non meno della Terra; di che mi argomento assai chiaro l'esser la sua superficie per la maggior parte ineguale, per le molte eminenze e cavit che vi si scorgono merc del telescopio: delle quali eminenze ve ne son molte in tutto e per tutto simili alle nostre pi aspre e scoscese montagne, e vi se ne scorgono alcune tirate e continuazioni lunghe di centinaia di miglia; altre sono in gruppi pi raccolti, e sonvi ancora molti scogli staccati e solitari, ripidi assai e dirupati; ma quello di che vi maggior frequenza, sono alcuni argini (user questo nome, per non me ne sovvenir altro che pi gli rappresenti) assai rilevati, li quali racchiudono e circondano pianure di diverse grandezze, e formano varie figure, ma la maggior parte circolari, molte delle quali hanno nel mezo un monte rilevato assai, ed alcune poche son ripiene di materia alquanto oscura, cio simile a quella delle gran macchie che si veggon con l'occhio libero, e queste sono delle maggiori piazze; il numero poi delle minori e minori grandissimo, e pur quasi tutte circolari. Quarto, s come la superficie del nostro globo distinta in due massime parti, cio nella terrestre e nell'acquatica, cos nel disco lunare veggiamo una distinzion magna di alcuni gran campi pi risplendenti e di altri meno; all'aspetto de i quali credo che sarebbe quello della Terra assai simigliante, a chi dalla Luna o da altra simile lontananza la potesse vedere illustrata dal Sole, ed apparirebbe la superficie del mare pi oscura, e pi chiara quella della terra. Quinto, s come noi dalla Terra veggiamo la Luna or tutta luminosa, or meza, or pi, or meno, talor falcata, e talvolta ci resta del tutto invisibile, cio quando sotto i raggi solari, s che la parte che riguarda la Terra resta tenebrosa; cos appunto si vedrebbe dalla Luna, coll'istesso periodo a capello e sotto le medesime mutazioni di figure, l'illuminazione fatta dal Sole sopra la faccia della Terra. Sesto

   SAGR. Piano un poco, signor Salviati. Che l'illuminazione della Terra, quanto alle diverse figure, si rappresentasse, a chi fusse nella Luna, simile in tutto a quello che noi scorgiamo nella Luna, l'intendo io benissimo; ma non resto gi capace, come ella si mostrasse fatta coll'istesso periodo, avvenga che quello che fa l'illuminazion del Sole nella superficie lunare in un mese, lo fa nella terrestre in ventiquattr'ore.

   SALV. vero che l'effetto del Sole, circa l'illuminar questi due corpi e ricercar col suo splendore tutta la lor superficie, si spedisce nella Terra in un giorno naturale, e nella Luna in un mese, ma non da questo solo depende la variazione delle figure, sotto le quali dalla Luna si vedrebbero le parti illuminate della terrestre superficie, ma da i diversi aspetti che la Luna va mutando col Sole: s che quando, verbigrazia, la Luna seguitasse puntualmente il moto del Sole e stesse per caso sempre linearmente tra esso e la Terra in quell'aspetto che noi diciamo di congiunzione, vedendo ella sempre il medesimo emisferio della Terra che vedrebbe il Sole, lo vedrebbe perpetuamente tutto lucido; come, per l'opposito, quando ella restasse sempre all'opposizione del Sole, non vedrebbe mai la Terra, della quale sarebbe continuamente volta verso la Luna la parte tenebrosa, e perci invisibile; ma quando la Luna alla quadratura del Sole. dell'emisfero terrestre esposto alla vista della Luna quella met che verso il Sole luminosa, e l'altra verso l'opposto del Sole oscura, e per la parte della Terra illuminata si rappresenterebbe alla Luna sotto figura di mezo cerchio.

   SAGR. Resto capacissimo del tutto; ed intendo gi benissimo che partendosi la Luna dall'opposizione del Sole di dove ella non vedeva niente dell'illuminato della terrestre superficie, e venendo di giorno in giorno verso il Sole incomincia a poco a poco a scoprir qualche particella della faccia della Terra illuminata, e questa vede ella in figura di sottil falce, per esser la Terra rotonda; ed acquistando pur la Luna col suo movimento di d in d maggior vicinit al Sole, viene scoprendo pi e pi sempre dell'emisfero terrestre illuminato, s che alla quadratura ne scuopre la met giusto, s come noi di lei veggiamo altrettanto; continuando poi di venir verso la congiunzione, scuopre successivamente parte maggiore della superficie illuminata, e finalmente nella congiunzione vede l'intero emisferio tutto luminoso. Ed in somma comprendo benissimo che quello che accade a gli abitatori della Terra, nel veder le variet della Luna, accaderebbe a chi fusse nella Luna nel veder la Terra ma con ordine contrario: cio che quando la Luna a noi piena ed all'opposizion del Sole, a loro la Terra sarebbe alla congiunzion col Sole e del tutto oscura ed invisibile; all'incontro, quello stato che a noi congiunzion della Luna col Sole, e per Luna silente e non veduta, l sarebbe opposizion della Terra al Sole, e per cos dire Terra piena, cio tutta luminosa; e finalmente quanta parte a noi, di tempo in tempo, si mostra della superficie lunare illuminata, tanto dalla Luna si vedrebbe esser nell'istesso tempo la parte della Terra oscura, e quanto a noi resta della Luna privo di lume tanto alla Luna l'illuminato della Terra; s che solo nelle quadrature questi veggono mezo cerchio della Luna luminoso, e quelli altrettanto della Terra. In una cosa mi par che differiscano queste scambievoli operazioni: ed che, dato e non concesso che nella Luna fusse chi di l potesse rimirar la Terra, vedrebbe ogni giorno tutta la superficie terrestre, mediante il moto di essa Luna intorno alla Terra in ventiquattro o venticinque ore; ma noi non veggiamo mai altro che la met della Luna, poich ella non si rivolge in se stessa, come bisognerebbe per potercisi tutta mostrare.

   SALV. Purch questo non accaggia per il contrario, cio che il rigirarsi ella in se stessa sia cagione che noi non veggiamo mai l'altra met, ch cos sarebbe necessario che fusse, quando ella avesse l'epiciclo. Ma dove lasciate voi un'altra differenza, in contraccambio di questa avvertita da voi?

   SAGR. E qual ? ch altra per ora non mi vien in mente.

   SALV. che, se la Terra (come bene avete notato) non vede altro che la met della Luna, dove che dalla Luna vien vista tutta la Terra, all'incontro tutta la Terra vede la Luna, ma della Luna solo la met vede la Terra; perch gli abitatori, per cos dire, dell'emisfero superiore della Luna, che a noi invisibile, son privi della vista della Terra, e questi son forse gli antictoni. Ma qui mi sovvien ora d'un particolare accidente, nuovamente osservato dal nostro Accademico nella Luna, per il quale si raccolgono due conseguenze necessarie: l'una , che noi veggiamo qualche cosa di pi della met della Luna, e l'altra , che il moto della Luna ha giustamente relazione al centro della Terra: e l'accidente e l'osservazione tale. Quando la Luna abbia una corrispondenza e natural simpatia con la Terra, verso la quale con una tal sua determinata parte ella riguardi, necessario che la linea retta che congiugne i lor centri passi sempre per l'istesso punto della superficie della Luna, tal che quello che dal centro della Terra la rimirasse, vedrebbe sempre l'istesso disco della Luna, puntualmente terminato da una medesima circonferenza: ma di uno costituito sopra la superficie terrestre, il raggio che dall'occhio suo andasse sino al centro del globo lunare non passerebbe per l'istesso punto della superficie di quella per il quale passa la linea tirata dal centro della Terra a quel della Luna, se non quando ella gli fusse verticale; ma posta la Luna in oriente o in occidente, il punto dell'incidenza del raggio visuale resta superiore a quel della linea che congiugne i centri, e per si scuopre qualche parte dell'emisferio lunare verso la circonferenza di sopra, e si nasconde altrettanto dalla parte di sotto; si scuopre, dico, e si nasconde rispetto all'emisfero che si vedrebbe dal vero centro della Terra: e perch la parte della circonferenza della Luna che superiore nel nascere, inferiore nel tramontare, per assai notabile dovr farsi la differenza dell'aspetto di esse parti superiore e inferiore, scoprendosi ora, ed ora ascondendosi, delle macchie o altre cose notabili di esse parti. Una simil variazione dovrebbe scorgersi ancora verso l'estremit boreale ed australe del medesimo disco, secondo che la Luna si trova in questo o in quel ventre del suo dragone; perch, quando ella settentrionale, alcuna delle sue parti verso settentrione ci si nasconde, e si scuopre delle australi, e per l'opposito. Ora, che queste conseguenze si verifichino in fatto, il telescopio ce ne rende certi. Imperocch sono nella Luna due macchie particolari, una delle quali, quando la Luna nel meridiano, guarda verso maestro, e l'altra gli quasi diametralmente opposta, e la prima visibile anco senza il telescopio, ma non gi l'altra: la maestrale una macchietta ovata, divisa dall'altre grandissime; l'opposta minore, e parimente separata dalle grandissime, e situata in campo assai chiaro: in amendue queste si osservano molto manifestamente le variazioni gi dette, e veggonsi contrariamente l'una dall'altra ora vicine al limbo del disco lunare ed ora allontanate, con differenza tale, che l'intervallo tra la maestrale e la circonferenza del disco pi che il doppio maggiore una volta che l'altra; e quanto all'altra macchia (perch l' pi vicina alla circonferenza), tal mutazione importa pi che il triplo da una volta all'altra. Di qui manifesto, la Luna, come allettata da virt magnetica, constantemente riguardare con una sua faccia il globo terrestre, n da quello divertir mai.

   SAGR. E quando si ha a por termine alle nuove osservazioni e scoprimenti di questo ammirabile strumento?

   SALV. Se i progressi di questa son per andar secondo quelli di altre invenzioni grandi, da sperare che col progresso del tempo si sia per arrivar a veder cose a noi per ora inimmaginabili. Ma tornando al nostro primo discorso, dico, per la sesta congruenza tra la Luna e la Terra, che, s come la Luna gran parte del tempo supplisce al mancamento del lume del Sole e ci rende, con la reflessione del suo, le notti assai chiare, cos la Terra ad essa in ricompensa rende, quando ella n' pi bisognosa, col refletterle i raggi solari, una molto gagliarda illuminazione, e tanto, per mio parere, maggior di quella che a noi vien da lei, quanto la superficie della Terra pi grande di quella della Luna.

   SAGR. Non pi, non pi, signor Salviati; lasciatemi il gusto di mostrarvi come a questo primo cenno ho penetrato la causa di un accidente al quale mille volte ho pensato, n mai l'ho potuto penetrare. Voi volete dire che certa luce abbagliata che si vede nella Luna, massimamente quando l' falcata, viene dal reflesso del lume del Sole nella superficie della terra e del mare: e pi si vede tal lume chiaro, quanto la falce pi sottile, perch allora maggiore la parte luminosa della Terra che dalla Luna veduta, conforme a quello che poco fa si concluse, cio che sempre tanta la parte luminosa della Terra che si mostra alla Luna, quanta l'oscura della Luna che guarda verso la Terra, onde quando la Luna sottilmente falcata, ed in conseguenza grande la sua parte tenebrosa, grande la parte illuminata della Terra veduta dalla Luna, e tanto pi potente la reflession del lume.

   SALV. Questo puntualmente quello ch'io voleva dire. In somma, gran dolcezza il parlar con persone giudiziose e di buona apprensiva, e massime quando altri va passeggiando e discorrendo tra i veri. Io mi son pi volte incontrato in cervelli tanto duri, che, per mille volte che io abbia loro replicato questo che voi avete subito per voi medesimo penetrato, mai non stato possibile che e' l'apprendano.

   SIMP. Se voi volete dire di non averlo potuto persuadere loro s che e' l'intendino, io molto me ne maraviglio, e son sicuro che non l'intendendo dalla vostra esplicazione, non l'intenderanno forse per quella di altri, parendomi la vostra espressiva molto chiara; ma se voi intendete di non gli aver persuasi s che e' lo credano, di questo non mi maraviglio punto, perch io stesso confesso di esser un di quelli che intendono i vostri discorsi, ma non vi si quietano, anzi mi restano, in questa e in parte dell'altre sei congruenze, molte difficult, le quali promover quando avrete finito di raccontarle tutte.

   SALV. Il desiderio che ho di ritrovar qualche verit, nel quale acquisto assai mi possono aiutare le obbiezioni di uomini intelligenti, qual sete voi, mi far esser brevissimo nello spedirmi da quel che ci resta. Sia dunque la settima congruenza il rispondersi reciprocamente non meno alle offese che a i favori: onde la Luna, che bene spesso nel colmo della sua illuminazione, per l'interposizion della Terra tra s e il Sole, vien privata di luce ed ecclissata, cos essa ancora, per suo riscatto, si interpone tra la Terra e il Sole, e con l'ombra sua oscura la Terra; e se ben la vendetta non pari all'offesa, perch bene spesso la Luna rimane, ed anco per assai lungo tempo, immersa totalmente nell'ombra della Terra, ma non gi mai tutta la Terra, n per lungo spazio di tempo, resta oscurata dalla Luna, tuttavia, avendosi riguardo alla picciolezza del corpo di questa in comparazion della grandezza di quello, non si pu dir se non che il valore, in un certo modo, dell'animo sia grandissimo. Questo quanto alle congruenze. Seguirebbe ora il discorrer circa le disparit; ma perch il signor Simplicio ci vuol favorire de i dubbi contro di quelle, sar bene sentirgli e ponderargli prima che passare avanti.

   SAGR. S, perch credibile che il signor Simplicio non sia per aver repugnanze intorno alle disparit e differenze tra la Terra e la Luna, gi che egli stima le lor sustanze diversissime.

   SIMP. Delle congruenze recitate da voi nel far parallelo tra la Terra e la Luna, non sento di poter ammetter senza repugnanza se non la prima e due altre. Ammetto la prima cio la figura sferica, se bene anco in questa vi non so che stimando io quella della Luna esser pulitissima e tersa come uno specchio, dove che questa della Terra tocchiamo con mano esser scabrosissima ed aspra, ma questa, attenente all'inegualit della superficie, va considerata in un'altra delle congruenze arrecate da voi; per mi riserbo a dirne quanto mi occorre nella considerazione di quella. Che la Luna sia poi, come voi dite nella seconda congruenza, opaca ed oscura per se stessa, come la Terra, io non ammetto se non il primo attributo della opacit, del che mi assicurano gli eclissi solari; ch quando la Luna fusse trasparente l'aria nella totale oscurazione del Sole non resterebbe cos tenebrosa come ella resta, ma per la trasparenza del corpo lunare trapasserebbe una luce refratta, come veggiamo farsi per le pi dense nugole. Ma quanto all'oscurit, io non credo che la Luna sia del tutto priva di luce, come la Terra, anzi quella chiarezza che si scorge nel resto del suo disco oltre alle sottili corna illustrate dal Sole, reputo che sia suo proprio e natural lume, e non un reflesso della Terra, la quale io stimo impotente, per la sua somma asprezza ed oscurit, a reflettere i raggi del Sole. Nel terzo parallelo convengo con voi in una parte, e nell'altra dissento, convengo nel giudicar il corpo della Luna solidissimo e duro, come la Terra, anzi pi assai, perch se da Aristotile noi caviamo che il cielo sia di durezza impenetrabile, e le stelle parti pi dense del cielo, ben necessario che le siano saldissime ed impenetrabilissime.

   SAGR. Che bella materia sarebbe quella del cielo per fabbricar palazzi, chi ne potesse avere, cos dura e tanto trasparente!

   SALV. Anzi pessima, perch sendo, per la somma trasparenza, del tutto invisibile, non si potrebbe, senza gran pericolo di urtar negli stipiti e spezzarsi il capo, camminar per le stanze.

   SAGR. Cotesto pericolo non si correrebbe egli, se vero, come dicono alcuni Peripatetici, che la sia intangibile; e se la non si pu toccare, molto meno si potrebbe urtare.

   SALV. Di niuno sollevamento sarebbe cotesto; conciosiach, se ben la materia celeste non pu esser toccata, perch manca delle tangibili qualit, pu ben ella toccare i corpi elementari; e per offenderci, tanto che ella urti in noi, ed ancor peggio, che se noi urtassimo in lei. Ma lasciamo star questi palazzi o per dir meglio castelli in aria, e non impediamo il signor Simplicio.

   SIMP. La quistione che voi avete cos incidentemente promossa, delle difficili che si trattino in filosofia, ed io ci ho intorno di bellissimi pensieri di un gran cattedrante di Padova; ma non tempo di entrarvi adesso. Per, tornando al nostro proposito, replico che stimo la Luna solidissima pi della Terra, ma non l'argomento gi, come fate voi, dalla asprezza e scabrosit della sua superficie, anzi dal contrario cio dall'essere atta a ricevere (come veggiamo tra noi nelle gemme pi dure) un pulimento e lustro superiore a qual si sia specchio pi terso; ch tale necessario che sia la sua superficie, per poterci fare s viva reflessione de' raggi del Sole. Quelle apparenze poi che voi dite, di monti, di scogli, di argini, di valli, etc., son tutte illusioni; ed io mi sono ritrovato a sentire in publiche dispute sostener gagliardamente, contro a questi introduttori di novit, che tali apparenze non da altro provengono che da parti inegualmente opache e perspicue, delle quali interiormente ed esteriormente composta la Luna, come spesso veggiamo accadere nel cristallo, nell'ambra ed in molte pietre preziose perfettamente lustrate, dove, per la opacit di alcune parti e per la trasparenza di altre, appariscono in quelle varie concavit e prominenze. Nella quarta congruenza concedo che la superficie del globo terrestre, veduto di lontano, farebbe due diverse apparenze, cio una pi chiara e l'altra pi oscura, ma stimo che tali diversit accaderebbono al contrario di quel che dite voi, cio credo che la superficie dell'acqua apparirebbe lucida, perch liscia e trasparente, e quella della terra resterebbe oscura per la sua opacit e scabrosit, male accomodata a riverberare il lume del Sole. Circa il quinto riscontro, lo ammetto tutto, e resto capace che quando la Terra risplendesse come la Luna si mostrerebbe a chi di lass la rimirasse, sotto figure conformi a quelle che noi veggiamo nella Luna; comprendo anco come il periodo della sua illuminazione e variazione di figure sarebbe di un mese, bench il Sole la ricerchi tutta in ventiquattr'ore, e finalmente non ho difficult nell'ammettere che la met sola della Luna vede tutta la Terra, e che tutta la Terra vede solo la met della Luna. Nel sesto, reputo falsissimo che la Luna possa ricever lume dalla Terra, che oscurissima, opaca ed inettissima a reflettere il lume del Sole, come ben lo reflette la Luna a noi; e, come ho detto, stimo che quel lume che si vede nel resto della faccia della Luna, oltre alle corna splendidissime per l'illuminazion del Sole, sia proprio e naturale della Luna, e gran cosa ci vorrebbe a farmi credere altrimenti. Il settimo, de gli eclissi scambievoli, si pu anco ammettere, se ben propriamente si costuma chiamare eclisse del Sole questo che voi volete chiamare eclisse della Terra. E questo quanto per ora mi occorre dirvi in contradizione alle sette congruenze, alle quali instanze se vi piacer di replicare alcuna cosa, l'ascolter volentieri.

   SALV. Se io ho bene appreso quanto avete risposto, parmi che tra voi e noi restino ancora controverse alcune condizioni, le quali io faceva comuni alla Luna ed alla Terra; e son queste. Voi stimate la Luna tersa e liscia com'uno specchio, e, come tale, atta a refletterci il lume del Sole, ed all'incontro la Terra, per la sua asprezza, non potente a far simile reflessione. Concedete la Luna solida e dura, e ci argumentate dall'esser ella pulita e tersa, e non dall'esser montuosa; e dell'apparir montuosa ne assegnate per causa l'essere di parti pi o meno opache e perspicue. E finalmente stimate, quella luce secondaria esser propria della Luna e non per reflession della Terra, se ben par che al mare, per esser di superficie pulita, voi non neghiate qualche riflessione. Quanto al torvi di errore, che la reflession della Luna non si faccia come da uno specchio, ci ho poca speranza, mentre veggo che quello che in tal proposito si legge nel Saggiatore e nelle Lettere Solari del nostro amico comune non ha profittato nulla nel vostro concetto, se per voi avete attentamente letto quanto vi scritto in tal materia.

   SIMP. Io l'ho trascorso cos, superficialmente, conforme al poco tempo che mi vien lasciato ozioso da studi pi sodi: per, se col replicare alcune di quelle ragioni o coll'addurne altre voi pensate risolvermi le difficult, le ascolter pi attentamente.

   SALV. Io dir quello che mi viene in mente al presente e potrebb'essere che fusse una mistione di concetti miei propri e di quelli che gi lessi ne i detti libri, da i quali mi sovvien bene ch'io restai interamente persuaso, ancorch le conclusioni nel primo aspetto mi paresser gran paradossi. Noi cerchiamo, signor Simplicio, se per fare una reflession di lume simile a quello che ci vien dalla Luna, sia necessario che la superficie da cui vien la reflessione sia cos tersa e liscia come di uno specchio, o pur sia pi accomodata una superficie non tersa e non liscia, ma aspra e mal pulita. Ora, quando a noi venisser due reflessioni, una pi lucida e l'altra meno, da due superficie opposteci, io vi domando, qual delle due superficie voi credete che si rappresentasse a gli occhi nostri pi chiara e qual pi oscura.

   SIMP. Credo senza dubbio che quella che pi vivamente mi reflettesse il lume, mi si mostrerebbe in aspetto pi chiara, e l'altra pi oscura.

   SALV. Pigliate ora in cortesia quello specchio che attaccato a quel muro, ed usciamo qua nella corte. Venite, signor Sagredo. Attaccate lo specchio l a quel muro, dove batte il sole; discostiamoci e ritiriamoci qua all'ombra. Ecco l due superficie percosse dal sole, cio il muro e lo specchio. Ditemi ora qual vi si rappresenta pi chiara: quella del muro o quella dello specchio? voi non rispondete?

   SAGR. Io lascio rispondere al signor Simplicio, che ha la difficult; ch io, quanto a me, da questo poco principio di esperienza son persuaso che bisogni per necessit che la Luna sia di superficie molto mal pulita.

   SALV. Dite, signor Simplicio: se voi aveste a ritrar quel muro, con quello specchio attaccatovi, dove adoprereste voi colori pi oscuri, nel dipignere il muro o pur nel dipigner lo specchio?

   SIMP. Assai pi scuri nel dipigner lo specchio.

   SALV. Or se dalla superficie che si rappresenta pi chiara vien la reflession del lume pi potente, pi vivamente ci refletter i raggi del Sole il muro che lo specchio.

   SIMP. Benissimo, signor mio; avete voi migliori esperienze di queste? Voi ci avete posti in luogo dove non batte il reverbero dello specchio; ma venite meco un poco pi in qua: no, venite pure.

   SAGR. Cercate voi forse il luogo della reflessione che fa lo specchio?

   SIMP. Signor s.

   SAGR. Oh vedetela l nel muro opposto, grande giusto quanto lo specchio, e chiara poco meno che se vi battesse il Sole direttamente.

   SIMP. Venite dunque qua, e guardate di l la superficie dello specchio, e sappiatemi dire se l' pi scura di quella del muro.

   SAGR. Guardatela pur voi, ch io per ancora non voglio acceccare; e so benissimo, senza guardarla, che la si mostra vivace e chiara quanto il Sole istesso, o poco meno

   SIMP. Che dite voi dunque che la reflession di uno specchio sia men potente di quella di un muro? io veggo che in questo muro opposto, dove arriva il reflesso dell'altra parete illuminata insieme con quel dello specchio, questo dello specchio assai pi chiaro; e veggio parimente che di qui lo specchio medesimo mi apparisce pi chiaro assai che il muro.

   SALV. Voi con la vostra accortezza mi avete prevenuto, perch di questa medesima osservazione avevo bisogno per dichiarar quel che resta. Voi vedete dunque la differenza che cade tra le due reflessioni, fatte dalle due superficie del muro e dello specchio, percosse nell'istesso modo per l'appunto da i raggi solari; e vedete come la reflession che vien dal muro si diffonde verso tutte le parti opposteli, ma quella dello specchio va verso una parte sola, non punto maggiore dello specchio medesimo; vedete parimente come la superficie del muro, riguardata da qualsivoglia luogo, si mostra chiara sempre egualmente a se stessa, e per tutto assai pi chiara che quella dello specchio, eccettuatone quel piccolo luogo solamente dove batte il reflesso dello specchio ch di l apparisce lo specchio molto pi chiaro del muro. Da queste cos sensate e palpabili esperienze mi par che molto speditamente si possa venire in cognizione, se la reflessione che ci vien dalla Luna venga come da uno specchio, o pur come da un muro, cio se da una superficie liscia o pure aspra.

   SAGR. Se io fussi nella Luna stessa, non credo che io potessi con mano toccar pi chiaramente l'asprezza della sua superficie di quel ch'io me la scorga ora con l'apprensione del discorso. La Luna, veduta in qualsivoglia positura, rispetto al Sole e a noi, ci mostra la sua superficie tocca dal Sole sempre egualmente chiara; effetto che risponde a capello a quel del muro, che, riguardato da qualsivoglia luogo, apparisce egualmente chiaro, e discorda dallo specchio, che da un luogo solo si mostra luminoso e da tutti gli altri oscuro. In oltre, la luce che mi vien dalla reflession del muro tollerabile e debile, in comparazion di quella dello specchio gagliardissima ed offensiva alla vista poco meno della primaria e diretta del Sole: e cos con suavit riguardiamo la faccia della Luna; che quando ella fusse come uno specchio, mostrandocisi anco, per la vicinit, grande quanto l'istesso Sole, sarebbe il suo fulgore assolutamente intollerabile, e ci parrebbe di riguardare quasi un altro Sole.

   SALV. Non attribuite di grazia, signor Sagredo, alla mia dimostrazione pi di quello che le si perviene. Io voglio muovervi contro un'instanza, che non so quanto sia di agevole scioglimento. Voi portate per gran diversit tra la Luna e lo specchio, che ella rimandi la reflessione verso tutte le parti egualmente, come fa il muro, dove che lo specchio la manda in un luogo solo determinato, e di qui concludete, la Luna esser simile al muro, e non allo specchio. Ma io vi dico che quello specchio manda la reflessione in un luogo solo, perch la sua superficie piana, e dovendo i raggi reflessi partirsi ad angoli eguali a quelli de' raggi incidenti, forza che da una superficie piana si partano unitamente verso il medesimo luogo; ma essendo che la superficie della Luna non piana, ma sferica, ed i raggi incidenti sopra una tal superficie trovano da reflettersi ad angoli eguali a quelli dell'incidenza verso tutte le parti, mediante la infinit delle inclinazioni che compongono la superficie sferica, adunque la Luna pu mandar la reflessione per tutto, e non necessitata a mandarla in un luogo solo, come quello specchio che piano.

   SIMP. Questa appunto una delle obbiezioni che io volevo fargli contro.

   SAGR. Se questa una, forza che voi ne abbiate delle altre; per ditele, ch quanto a questa prima mi par che ella sia per riuscire pi contro di voi che in favore.

   SIMP. Voi avete pronunziato come cosa manifesta, che la reflession fatta da quel muro sia cos chiara ed illuminante come quella che ci vien dalla Luna, ed io la stimo come nulla in comparazion di quella: imperocch "in questo negozio dell'illuminazione bisogna aver riguardo e distinguere la sfera di attivit; e chi dubita che i corpi celesti abbiano maggiore sfera di attivit che questi nostri elementari, caduchi e mortali? e quel muro, finalmente, che egli altro che un poco di terra, oscura ed inetta all'illuminare?"

   SAGR. E qui ancora credo che voi vi inganniate di assai. Ma vengo alla prima instanza mossa dal signor Salviati: e considero che per far che un oggetto ci apparisca luminoso, non basta che sopra esso caschino i raggi del corpo illuminante, ma ci bisogna che i raggi reflessi vengano all'occhio nostro; come apertamente si vede nell'esempio di quello specchio, sopra il quale non ha dubbio che vengono i raggi luminosi del Sole, con tutto ci ei non ci si mostra chiaro ed illustrato se non quando noi mettiamo l'occhio in quel luogo particulare dove va la reflessione. Consideriamo adesso quel che accaderebbe quando lo specchio fusse di superficie sferica: ch senz'altro noi troveremo che della reflessione che si fa da tutta la superficie illuminata, piccolissima parte quella che perviene all'occhio di un particolar riguardante, per esser una minimissima particella di tutta la superficie sferica quella l'inclinazion della quale ripercuote il raggio al luogo particolare dell'occhio; onde minima convien che sia la parte della superficie sferica che all'occhio si mostra splendente, rappresentandosi tutto il rimanente oscuro. Quando dunque la Luna fusse tersa come uno specchio, piccolissima parte si mostrerebbe a gli occhi di un particulare illustrata dal Sole, ancorch tutto un emisferio fusse esposto a' raggi solari, ed il resto rimarrebbe all'occhio del riguardante come non illuminato e perci invisibile, e finalmente invisibile ancora del tutto la Luna, avvenga che quella particella onde venisse la riflessione, per la sua piccolezza e gran lontananza si perderebbe; e s come all'occhio ella resterebbe invisibile, cos la sua illuminazione resterebbe nulla, ch bene impossibile che un corpo luminoso togliesse via le nostre tenebre col suo splendore e che noi non lo vedessimo.

   SALV. Fermate in grazia, signor Sagredo, perch io veggo alcuni movimenti nel viso e nella persona del signor Simplicio, che mi sono indizi ch'ei non resti o ben capace o soddisfatto di questo che voi con somma evidenza ed assoluta verit avete detto; e pur ora mi sovvenuto di potergli con altra esperienza rimuovere ogni scrupolo. Io ho veduto in una camera di sopra un grande specchio sferico: facciamolo portar qua, e mentre che si conduce, torni il signor Simplicio a considerare quanta grande la chiarezza che vien nella parete qui sotto la loggia dal reflesso dello specchio piano.

   SIMP. Io veggo che l' chiara poco meno che se vi percotesse direttamente l Sole.

   SALV. Cos veramente. Or ditemi: se, levando via quel piccolo specchio piano, metteremo nell'istesso luogo quel grande sferico, qual effetto credete voi che sia per far la sua reflessione nella medesima parete?

   SIMP Credo che gli arrecher lume molto maggiore e molto pi ampio.

   SALV. Ma se l'illuminazione sar nulla, o cos piccola che appena ve ne accorgiate, che direte allora?

   SIMP. Quando avr visto l'effetto, penser alla risposta.

   SALV. Ecco lo specchio, il quale voglio che sia posto accanto all'altro. Ma prima andiamo l vicino al reflesso di quel piano, e rimirate attentamente la sua chiarezza: vedete come chiaro qui dove e' batte, e come distintamente si veggono tutte queste minuzie del muro.

   SIMP. Ho visto e osservato benissimo: fate metter l'altro specchio a canto al primo.

   SALV. Eccolo l. Vi fu messo subito che cominciaste a guardare le minuzie, e non ve ne sete accorto, s grande stato l'accrescimento del lume nel resto della parete. Or tolgasi via lo specchio piano. Eccovi levata via ogni reflessione, ancorch vi sia rimasto il grande specchio convesso. Rimuovasi questo ancora, e poi vi si riponga quanto vi piace: voi non vedrete mutazione alcuna di luce in tutto il muro. Eccovi dunque mostrato al senso come la reflessione del Sole fatta in ispecchio sferico convesso non illumina sensibilmente i luoghi circonvicini. Ora che risponderete voi a questa esperienza?

   SIMP. Io ho paura che qui non entri qualche giuoco di mano. Io veggo pure, nel riguardar quello specchio, uscire un grande splendore, che quasi mi toglie la vista, e, quel che pi importa, ve lo veggo sempre da qualsivoglia luogo ch'io lo rimiri, e veggolo andar mutando sito sopra la superficie dello specchio, secondo ch'io mi pongo a rimirarlo in questo o in quel luogo: argomento necessario, che il lume si reflette vivo assai verso tutte le bande, ed in conseguenza cos potente sopra tutta quella parete come sopra il mio occhio.

   SALV. Or vedete quanto bisogni andar cauto e riservato nel prestare assenso a quello che il solo discorso ci rappresenta. Non ha dubbio che questo che voi dite ha assai dell'apparente; tuttavia potete vedere come la sensata esperienza mostra in contrario.

   SIMP. Come dunque cammina questo negozio?

   SALV. Io vi dir quel che ne sento, che non so quanto vi sia per appagare. E prima, quello splendore cos vivo che voi vedete sopra lo specchio, e che vi par che ne occupi assai buona parte, non cos grande a gran pezzo, anzi piccolo assai assai; ma la sua vivezza cagiona nell'occhio vostro, mediante la reflessione fatta nell'umido de gli orli delle palpebre, la quale si distende sopra la pupilla, una irradiazione avventizia, simile a quel capillizio che ci par di vedere intorno alla fiammella di una candela posta alquanto lontana, o vogliate assimigliarla allo splendore avventizio di una stella; che se voi paragonerete il piccolo corpicello verbigrazia, della Canicola, veduto di giorno col telescopio, quando si vede senza irradiazione, col medesimo veduto di notte coll'occhio libero, voi fuor di ogni dubbio comprenderete che l'irraggiato si mostra pi di mille volte maggiore del nudo e real corpicello: ed un simile o maggior ricrescimento fa l'immagine del Sole che voi vedete in quello specchio; dico maggiore, per esser ella pi viva della stella, come manifesto dal potersi rimirar la stella con assai minor offesa alla vista, che questa reflession dello specchio. Il reverbero dunque, che si ha da participare sopra tutta questa parete, viene da piccola parte di quello specchio, e quello che pur ora veniva da tutto lo specchio piano, si participava e ristrigneva a piccolissima parte della medesima parete: qual meraviglia dunque che la reflessione prima illumini molto vivamente, e che quest'altra resti quasi impercettibile?

   SIMP. Io mi trovo pi inviluppato che mai, e mi sopraggiugne l'altra difficult, come possa essere che quel muro, essendo di materia cos oscura e di superficie cos mal pulita, abbia a ripercuoter lume pi potente e vivace  che uno specchio ben terso e pulito.

   SALV. Pi vivace no, ma ben pi universale, ch, quanto alla vivezza, voi vedete che la reflessione di quello specchietto piano, dove ella ferisce l sotto la loggia, illumina gagliardamente, ed il restante della parete, che riceve la reflession del muro, dove attaccato lo specchio, non a gran segno illuminato come la piccola parte dove arriva il reflesso dello specchio. E se voi desiderate intender l'intero di questo negozio, considerate come l'esser la superficie di quel muro aspra, l'istesso che l'esser composta di innumerabili superficie piccolissime, disposte secondo innumerabili diversit di inclinazioni, tra le quali di necessit accade che ne sieno molte disposte a mandare i raggi, reflessi da loro, in un tal luogo, molte altre in altro, ed in somma non luogo alcuno al quale non arrivino moltissimi raggi reflessi da moltissime superficiette sparse per tutta l'intera superficie del corpo scabroso, sopra il quale cascano i raggi luminosi: dal che segue di necessit che sopra qualsivoglia parte di qualunque superficie opposta a quella che riceve i raggi primarii incidenti, pervengano raggi reflessi, ed in conseguenza l'illuminazione. Seguene ancora, che il medesimo corpo sul quale vengono i raggi illuminanti, rimirato da qualsivoglia luogo, si mostri tutto illuminato e chiaro: e per la Luna, per esser di superficie aspra e non tersa, rimanda la luce del Sole verso tutte le bande, ed a tutti i riguardanti si mostra egualmente lucida. Che se la superficie sua, essendo sferica, fusse ancora liscia come uno specchio, resterebbe del tutto invisibile, atteso che quella piccolissima parte dalla quale potesse venir reflessa l'immagine del Sole, all'occhio di un particolare, per la gran lontananza, resterebbe invisibile, come gi abbiam detto.

   SIMP. Resto assai ben capace del vostro discorso, tuttavia mi par di poter risolverlo con pochissima fatica, e mantener benissimo che la Luna sia rotonda e pulitissima e che refletta il lume del Sole a noi al modo di uno specchio: n perci l'immagine del Sole si deve veder nel suo mezo, avvengach "non per le spezie dell'istesso Sole possa vedersi in s gran distanza la piccola figura del Sole, ma sia compresa da noi per il lume prodotto dal Sole l'illuminazione di tutto il corpo lunare. Una tal cosa possiamo noi vedere in una piastra dorata e ben brunita, che, percossa da un corpo luminoso, si mostra, a chi la guarda da lontano, tutta risplendente; e solo da vicino si scorge nel mezo di essa la piccola immagine del corpo luminoso".

   SALV. Confessando ingenuamente la mia incapacit, dico che non intendo di questo vostro discorso altro che di quella piastra dorata; e se voi mi concedete il parlar liberamente, ho grande opinione che voi ancora non l'intendiate ma abbiate imparate a mente quelle parole scritte da qualcuno per desiderio di contraddire e mostrarsi pi intelligente dell'avversario, mostrarsi, per, a quelli che, per apparir eglino ancora intelligenti, applaudono a quello che e' non intendono, e maggior concetto si formano delle persone secondo che da loro son manco intese, e pur che lo scrittore stesso non sia (come molti ce ne sono) di quelli che scrivono quel che non intendono, e che per non s'intende quel che essi scrivono. Per, lasciando il resto, vi rispondo quanto alla piastra dorata, che quando ella sia piana e non molto grande, potr apparir da lontano tutta risplendente mentre sia ferita da un lume gagliardo, ma per si vedr tale quando l'occhio sia in una linea determinata, cio in quella de i raggi reflessi; e vedrassi pi fiammeggiante che se fusse, verbigrazia, d'argento, mediante l'esser colorata ed atta, per la somma densit del metallo, a ricevere brunimento perfettissimo: e quando la sua superficie, essendo benissimo lustrata, non fusse poi esattamente piana, ma avesse varie inclinazioni, allora anco da pi luoghi si vedrebbe il suo splendore, cio da tanti a quanti pervenissero le varie reflessioni fatte dalle diverse superficie; che per si lavorano i diamanti a molte facce, acci il lor dilettevol fulgore si scorga da molti luoghi: ma quando la piastra fusse molto grande, non per da lontano, ancorch ella fusse tutta piana, si vedrebbe tutta risplendente. E per meglio dichiararmi, intendasi una piastra dorata piana e grandissima esposta al Sole: mostrerassi a un occhio lontano l'immagine del Sole occupare una parte di tal piastra solamente, cio quella donde viene la reflessione de i raggi solari incidenti; ma vero che per la vivacit del lume tal immagine apparir inghirlandata di molti raggi, e per sembrer occupare maggior parte assai della piastra che veramente ella non occuper. E che ci sia vero, notato il luogo particolare della piastra donde viene la reflessione, e figurato parimente quanto grande mi si rappresenta lo spazio risplendente, cuoprasi di esso spazio la maggior parte, lasciando solamente scoperto intorno al mezo: non per si diminuir punto la grandezza dell'apparente splendore a quello che di lontano lo rimira, anzi si vedr egli largamente sparso sopra il panno o altro con che si ricoperse. Se dunque alcuno col vedere una piccola piastra dorata da lontano tutta risplendente, si sar immaginato che l'istesso dovesse accadere anco di piastre grandi quanto la Luna, si ingannato non meno che se credesse, la Luna non esser maggiore di un fondo di tino. Quando poi la piastra fusse di superficie sferica, vedrebbesi in una sola sua particella il reflesso gagliardo, ma ben, mediante la vivezza, si mostrerebbe inghirlandato di molti raggi assai vibranti: il resto della palla si vedrebbe come colorato, e questo anco solamente quando e' non fusse in sommo grado pulito; ch quando e' fusse brunito perfettamente, apparirebbe oscuro. Esempio di questo aviamo giornalmente avanti gli occhi ne i vasi d'argento, li quali, mentre sono solamente bolliti nel bianchimento, son tutti candidi come la neve, n punto rendono l'immagini; ma se in alcuna parte si bruniscono, in quella subito diventano oscuri, e di l rendono l'immagini come specchi: e quel divenire oscuro non procede da altro che dall'essersi spianata una finissima grana che faceva la superficie dell'argento scabrosa, e per tale che rifletteva il lume verso tutte le parti, per lo che da tutti i luoghi si mostrava egualmente illuminata; quando poi, col brunirla, si spianano esquisitamente quelle minime inegualit, s che la reflessione de i raggi incidenti si drizza tutta in luogo determinato, allora da quel tal luogo si mostra la parte brunita assai pi chiara e lucida del restante, che solamente bianchito, ma da tutti gli altri luoghi si vede molto oscura. E noto che la diversit delle vedute, nel rimirar superficie brunite, cagiona differenze tali di apparenze, che per imitare e rappresentare in pittura, verbigrazia, una corazza brunita, bisogna accoppiare neri schietti e bianchi, l'uno a canto all'altro, in parti di essa arme dove il lume cade egualmente.

   SAGR. Adunque, quando questi Signori filosofi si contentassero di conceder che la Luna, Venere e gli altri pianeti fussero di superficie non cos lustra e tersa come uno specchio, ma un capello manco, cio quale una piastra di argento bianchita solamente, ma non brunita, questo basterebbe a poterla far visibile ed accomodata a ripercuoterci il lume del Sole?

   SALV. Basterebbe in parte; ma non renderebbe un lume cos potente, come fa essendo montuosa ed in somma piena di eminenze e cavit grandi Ma questi Signori filosofi non la concederanno mai pulita meno di uno specchio, ma bene assai pi, se pi si pu immaginare, perch stimando eglino che a' corpi perfettissimi si convengano figure perfettissime, bisogna che la sfericit di quei globi celesti sia assolutissima; oltre che, quando e' mi concedessero qualche inegualit, ancorch minima, io me ne prenderei senza scrupolo alcuno altra assai maggiore, perch consistendo tal perfezione in indivisibili, tanto la guasta un capello quanto una montagna.

   SAGR. Qui mi nascono due dubbi: l'uno l'intendere, perch la maggior inegualit di superficie abbia a far pi potente reflession di lume; l'altro , perch questi Signori Peripatetici voglian questa esatta figura.

   SALV. Al primo risponder io, ed al signor Simplicio lascer la cura di rispondere al secondo. Devesi dunque avvertire che le medesime superficie vengono dal medesimo lume pi e meno illuminate, secondoch i raggi illuminanti vi cascano sopra pi o meno obliquamente, s che la massima illuminazione dove i raggi son perpendicolari. Ed ecco ch'io ve lo mostro al senso. Io piego questo foglio tanto che una parte faccia angolo sopra l'altra; ed esponendole alla reflession del lume di quel muro opposto, vedete come questa faccia, che riceve i raggi obliquamente, manco chiara di quest'altra, dove la reflessione viene ad angoli retti; e notate come secondo che io gli vo ricevendo pi e pi obliquamente, l'illuminazione si fa pi debole.

   SAGR. Veggo l'effetto, ma non comprendo la causa.

   SALV. Se voi ci pensaste un centesimo d'ora, la trovereste; ma per non consumare il tempo, eccovene un poco di dimostrazione in questa figura.

   SAGR. La sola vista della figura mi ha chiarito il tutto, per seguite.

   SIMP. Dite in grazia il resto a me, che non sono di s veloce apprensiva.

   SALV. Fate conto che tutte le linee parallele che voi vedete partirsi da i termini A, B, sieno i raggi che sopra la linea C D vengono ad angoli retti: inclinate ora la medesima C D, s che penda come D O; non vedete voi che buona parte di quei raggi che ferivano la C D, passano senza toccar la D O?

 

 

Adunque se la D O illuminata da manco raggi, ben ragionevole che il lume ricevuto da lei sia pi debole. Torniamo ora alla Luna, la quale, essendo di figura sferica, quando la sua superficie fusse pulita quanto questa carta, le parti del suo emisferio illuminato dal Sole che sono verso l'estremit, riceverebbero minor lume assaissimo che le parti di mezo, cadendo sopra quelle i raggi obliquissimi, e sopra queste ad angoli retti; per lo che nel plenilunio, quando noi veggiamo quasi tutto l'emisferio illuminato, le parti verso il mezo ci si dovrebbero mostrare pi risplendenti, che l'altre verso la circonferenza: il che non si vede. Figuratevi ora la faccia della Luna piena di montagne ben alte: non vedete voi come le piagge e i dorsi loro, elevandosi sopra la convessit della perfetta superficie sferica, vengono esposti alla vista del Sole, ed accomodati a ricevere i raggi, assai meno obliquamente, e perci a mostrarsi illuminati quanto il resto?

   SAGR. Tutto bene: ma se vi sono tali montagne, vero che il Sole le ferir assai pi direttamente che non farebbe l'inclinazione di una superficie pulita, ma anco vero che tra esse montagne resterebbero tutte le valli oscure, mediante l'ombre grandissime che in quel tempo verrebber da i monti; dove che le parti di mezo, bench piene di valli e monti, mediante l'avere il Sole elevato, rimarrebbero senz'ombre, e per pi lucide assai che le parti estreme, sparse non men di ombre che di lume: e pur tuttavia non si vede tal differenza.

   SIMP. Una simil difficult mi si andava avvolgendo per la fantasia.

   SALV. Quanto pi pronto il signor Simplicio a penetrar le difficult che favoriscono le opinioni d'Aristotile, che le soluzioni! Ma io ho qualche sospetto che a bello studio e' voglia anco talvolta tacerle; e nel presente particulare avendo da per s potuto veder l'obbiezione, che pure assai ingegnosa, non posso credere che e' non abbia ancora avvertita la risposta, ond'io voglio tentar di cavargliela (come si dice) di bocca. Per ditemi, signor Simplicio: credete voi che possa essere ombra dove feriscono i raggi del Sole?

   SIMP. Credo, anzi son sicuro, che no, perch essendo egli il massimo luminare, che scaccia con i suoi raggi le tenebre, impossibile che dove egli arriva resti tenebroso; e poi aviamo la definizione che tenebr sunt privatio luminis.

   SALV. Adunque il Sole, rimirando la Terra o la Luna o altro corpo opaco, non vede mai alcuna delle sue parti ombrose, non avendo altri occhi da vedere che i suoi raggi apportatori del lume; ed in conseguenza uno che fusse nel Sole, non vedrebbe mai niente di adombrato, imperocch i raggi suoi visivi andrebbero sempre in compagnia de i solari illuminanti.

   SIMP. Questo verissimo, senza contradizione alcuna.

   SALV. Ma quando la Luna all'opposizion del Sole, qual differenza tra il viaggio che fanno i raggi della vostra vista, e quello che fanno i raggi del Sole?

   SIMP. Ora ho inteso; voi volete dire che caminando i raggi della vista e quelli del Sole per le medesime linee, noi non possiamo scoprir alcuna delle valli ombrose della Luna. Di grazia, toglietevi gi di questa opinione, ch'io sia simulatore o dissimulatore; e vi giuro da gentiluomo che non avevo penetrata cotal risposta, n forse l'avrei ritrovata senza l'aiuto vostro o senza lungo pensarvi.

   SAGR. La soluzione che fra tutti due avete addotta circa quest'ultima difficult, ha veramente soddisfatto a me ancora; ma nel medesimo tempo questa considerazione del camminare i raggi della vista con quelli del Sole, mi ha destato un altro scrupolo circa l'altra parte: ma non so se io lo sapr spiegare, perch, essendomi nato di presente, non l'ho per ancora ordinato a modo mio; ma vedremo fra tutti di ridurlo a chiarezza. E' non dubbio alcuno che le parti verso la circonferenza dell'emisferio pulito, ma non brunito, che sia illuminato dal Sole, ricevendo i raggi obliquamente, ne ricevono assai meno che le parti di mezo, le quali direttamente gli ricevono; e pu essere che una striscia larga, verbigrazia, venti gradi, che sia verso l'estremit dell'emisferio, non riceva pi raggi che un'altra verso le parti di mezo, larga non pi di quattro gradi; onde quella veramente sar assai pi oscura di questa, e tale apparir a chiunque le rimirasse amendue in faccia o vogliam dire in maest. Ma quando l'occhio del riguardante fusse costituito in luogo tale che la larghezza de i venti gradi della striscia oscura se gli rappresentasse non pi lunga d'una di quattro gradi posta sul mezo dell'emisferio, io non ho per impossibile che se gli potesse mostrare egualmente chiara e luminosa come l'altra, perch finalmente dentro a due angoli eguali, cio di quattro gradi l'uno, vengono all'occhio le reflessioni di due eguali moltitudini di raggi, di quelli, cio, che si reffettono dalla striscia di mezo, larga gradi quattro, e de i reflessi dall'altra di venti gradi, ma veduta in iscorcio sotto la quantit di gradi quattro: ed un sito tale otterr l'occhio, quando e' sia collocato tra 'l detto emisfero e 'l corpo che l'illumina, perch allora la vista e i raggi vanno per le medesime linee. Par dunque che non sia impossibile che la Luna possa esser di superficie assai bene eguale, e che non dimeno nel plenilunio si mostri non men luminosa nell'estremit che nelle parti di mezo.

   SALV. La dubitazione ingegnosa e degna d'esser considerata: e comech ella vi nata pur ora improvisamente, io parimente risponder quello che improvisamente mi cade in mente, e forse potrebb'essere che col pensarvi pi mi sovvenisse miglior risposta. Ma prima che io produca altro in mezo, sar bene che noi ci assicuriamo con l'esperienza se la vostra opposizione risponde cos in fatto, come par che concluda in apparenza. E per, ripigliando la medesima carta, inclinandone, col piegarla, una piccola parte sopra il rimanente, proviamo se esponendola al lume, s che sopra la minor parte caschino i raggi del lume direttamente, e sopra l'altra obliquamente, questa che riceve i raggi diretti si mostri pi chiara; ed ecco gi l'esperienza manifesta, che l' notabilmente pi luminosa. Ora, quando la vostra opposizione sia concludente, bisogner che, abbassando noi l'occhio tanto che, rimirando l'altra maggior parte, meno illuminata, in iscorcio, ella ci apparisca non pi larga dell'altra pi illuminata, e che in conseguenza non sia veduta sotto maggior angolo che quella, bisogner, dico, che il suo lume si accresca s, che ci sembri cos lucida come l'altra. Ecco che io la guardo, e la veggo s obliquamente che la mi apparisce pi stretta dell'altra; ma con tutto ci la sua oscurit non mi si rischiara punto. Guardate ora se l'istesso accade a voi.

   SAGR. Ho visto, n, perch io abbassi l'occhio, veggo punto illuminarsi o rischiararsi davvantaggio la detta superficie; anzi mi par pi tosto che ella si imbrunisca.

   SALV. Siamo dunque sin ora sicuri dell'inefficacia dell'opposizione. Quanto poi alla soluzione, credo che, per esser la superficie di questa carta poco meno che tersa, pochi sieno i raggi che si reflettano verso gl'incidenti, in comparazione della moltitudine che si reflette verso le parti opposte e che di quei pochi se ne perdano sempre pi quanto pi si accostano i raggi visivi a essi raggi luminosi incidenti; e perch non i raggi incidenti, ma quelli che si reffettono all'occhio, fanno apparir l'oggetto luminoso, per nell'abbassar l'occhio, pi quello che si perde che quello che si acquista, come anco voi stesso dite apparirvi nel vedere il foglio pi oscuro.

   SAGR. Io dell'esperienza e della ragione mi appago. Resta ora che 'l signor Simplicio risponda all'altro mio quesito, dichiarandomi quali cose muovano i Peripatetici a voler questa rotondit ne i corpi celesti tanto esatta.

   SIMP. L'essere i corpi celesti ingenerabili, incorruttibili, inalterabili, impassibili, immortali, etc., fa che e' sieno assolutamente perfetti; e l'essere assolutamente perfetti si tira in conseguenza che in loro sia ogni genere di perfezione, e per che la figura ancora sia perfetta, cio sferica, e assolutamente e perfettamente sferica, e non aspera ed irregolare.

   SALV. E questa incorruttibilit da che la cavate voi?

   SIMP. Dal mancar di contrari immediatamente, e mediatamente dal moto semplice circolare.

   SALV. Talch, per quanto io raccolgo dal vostro discorso, nel costituir l'essenza de i corpi celesti incorruttibile inalterabile etc., non v'entra come causa o requisito necessario, la rotondit; che quando questa cagionasse l'inalterabilit, noi potremo ad arbitrio nostro far incorruttibile il legno, la cera, ed altre materie elementari, col ridurle in figura sferica.

   SIMP. E non egli manifesto che una palla di legno meglio e pi lungo tempo si conserver che una guglia o altra forma angolare, fatta di altrettanto del medesimo legno?

   SALV. Cotesto verissimo, ma non per di corruttibile diverr ella incorruttibile; anzi rester pur corruttibile, ma ben di pi lunga durata. Per da notarsi che il corruttibile capace di pi e di meno tale, potendo noi dire: "Questo men corruttibile di quello", come, per esempio, il diaspro men corruttibile della pietra serena; ma l'incorruttibile non riceve il pi e 'l meno, s che si possa dire: "Questo pi incorruttibile di quell'altro", se amendue sono incorruttibili ed eterni. La diversit dunque di figura non pu operare se non nelle materie che son capaci del pi o del meno durare; ma nelle eterne, che non posson essere se non egualmente eterne, cessa l'operazione della figura. E per tanto, gi che la materia celeste non per la figura incorruttibile, ma per altro, non occorre esser cos ansioso di questa perfetta sfericit, perch, quando la materia sar incorruttibile, abbia pur che figura si voglia, ella sar sempre tale.

   SAGR. Ma io vo considerando qualche cosa di pi, e dico che, conceduto che la figura sferica avesse facult di conferire l'incorruttibilit, tutti i corpi, di qualsivoglia figura, sarebbero eterni e incorruttibili. Imperocch essendo il corpo rotondo incorruttibile, la corruttibilit verrebbe a consistere in quelle parti che alterano la perfetta rotondit: come, per esempio, in un dado vi dentro una palla perfettamente rotonda, e come tale incorruttibile; resta dunque che corruttibili sieno quelli angoli che ricuoprono ed ascondono la rotondit; al pi dunque che potesse accadere, sarebbe che tali angoli e (per cos dire) escrescenze si corrompessero. Ma se pi internamente andremo considerando, in quelle parti ancora verso gli angoli vi son dentro altre minori palle della medesima materia, e per esse ancora, per esser rotonde, incorruttibili; e cos ne' residui che circondano queste otto minori sferette, vi se ne possono intendere altre; talch finalmente, risolvendo tutto il dado in palle innumerabili, bisogner confessarlo incorruttibile. E questo medesimo discorso ed una simile resoluzione si pu far di tutte le altre figure.

   SALV. Il progresso cammina benissimo: s che quando, verbigrazia, un cristallo sferico avesse dalla figura l'esser incorruttibile, cio la facult di resistere a tutte le alterazioni interne ed esterne, non si vede che l'aggiugnerli altro cristallo e ridurlo, verbigrazia, in cubo l'avesse ad alterar dentro, n anco di fuori, s che ne divenisse meno atto a resistere al nuovo ambiente, fatto dell'istessa materia, che non era all'altro di materia diversa, e massime se vero che la corruzione si faccia da i contrari, come dice Aristotile; e di qual cosa si pu circondare quella palla di cristallo, che gli sia manco contraria del cristallo medesimo? Ma noi non ci accorgiamo del fuggir dell'ore, e tardi verremo a capo de' nostri ragionamenti, se sopra ogni particulare si hanno da fare s lunghi discorsi; oltre che la memoria si confonde talmente nella multiplicit delle cose, che difficilmente posso ricordarmi delle proposizioni che ordinatamente aveva proposte il signor Simplicio da considerarsi.

   SIMP. Io me ne ricordo benissimo; e circa questo particulare della montuosit della Luna, resta ancora in piede la causa che io addussi di tale apparenza, potendosi benissimo salvare con dir ch'ella sia un'illusione procedente dall'esser le parti della Luna inegualmente opache e perspicue.

   SAGR. Poco fa, quando il signor Simplicio attribuiva le apparenti inegualit della Luna, conforme all'opinione di certo Peripatetico amico suo, alle parti di essa Luna diversamente opache e perspicue, conforme a che simili illusioni si veggono in cristalli e gemme di pi sorti, mi sovvenne una materia molto pi accomodata per rappresentar cotali effetti, e tale che credo certo che quel filosofo la pagherebbe qualsivoglia prezo; e queste sono le madreperle, le quali si lavorano in varie figure, e bench ridotte ad una estrema liscezza, sembrano all'occhio tanto variamente in diverse parti cave e colme, che appena al tatto stesso si pu dar fede della loro egualit.

   SALV. Bellissimo veramente questo pensiero; e quel che non stato fatto sin ora, potrebbe esser fatto un'altra volta, e se sono state prodotte altre gemme e cristalli, che non han che fare con l'illusioni delle madreperle, saran ben prodotte queste ancora. Intanto, per non tagliar l'occasione ad alcuno, tacer la risposta che ci andrebbe, e solo procurer per ora di sodisfare alle obbiezioni portate dal signor Simplicio. Dico per tanto che questa vostra una ragion troppo generale, e come voi non l'applicate a tutte le apparenze ad una ad una che si veggono nella Luna, e per le quali io ed altri si son mossi a tenerla montuosa, non credo che voi siate per trovare chi si soddisfaccia di tal dottrina; n credo che voi stesso n l'autor medesimo trovi in essa maggior quiete, che in qualsivoglia altra cosa remota dal proposito. Delle molte e molte apparenze varie che si scorgono di sera in sera in un corso lunare, voi pur una sola non ne potrete imitare col fabbricare una palla a vostro arbitrio di parti pi e meno opache e perspicue e che sia di superficie pulita; dov'e che, all'incontro, di qualsivoglia materia solida e non trasparente si fabbricheranno palle le quali, solo con eminenze e cavit e col ricevere variamente l'illuminazione, rappresenteranno l'istesse viste e mutazioni a capello, che d'ora in ora si scorgono nella Luna. In esse vedrete i dorsi dell'eminenze esposte al lume del Sole chiari assai, e doppo di loro le proiezioni dell'ombre oscurissime; vedrete le maggiori e minori, secondo che esse eminenze si troveranno pi o meno distanti dal confine che distingue la parte della Luna illuminata dalla tenebrosa; vedrete l'istesso termine e confine, non egualmente disteso, qual sarebbe se la palla fusse pulita, ma anfrattuoso e merlato; vedrete, oltre al detto termine, nella parte tenebrosa, molte sommit illuminate e staccate dal resto gi luminoso, vedrete l'ombre sopradette, secondoch l'illuminazione si va alzando, andarsi elleno diminuendo, sinch del tutto svaniscono, n pi vedersene alcuna quando tutto l'emisferio sia illuminato; all'incontro poi, nel passare il lume verso l'altro emisfero lunare, riconoscerete l'istesse eminenze osservate prima, e vedrete le proiezioni dell'ombre loro farsi al contrario ed andar crescendo: delle quali cose torno a replicarvi che voi pur una non potrete rappresentarmi col vostro opaco e perspicuo.

   SAGR. Anzi pur se ne imiter una, cio quella del plenilunio, quando, per esser il tutto illuminato, non si scorge pi n ombre n altro che dalle eminenze e cavit riceva alcuna variazione. Ma di grazia, signor Salviati, non perdete pi tempo in questo particolare, perch uno che avesse avuto pazienza di far l'osservazioni di una o due lunazioni e non restasse capace di questa sensatissima verit, si potrebbe ben sentenziare per privo del tutto di giudizio; e con simili, a che consumar tempo e parole indarno?

   SIMP. Io veramente non ho fatte tali osservazioni, perch non ho avuta questa curiosit, n meno strumento atto a poterle fare; ma voglio per ogni modo farle: e intanto possiamo lasciar questa questione in pendente e passare a quel punto che segue, producendo i motivi per i quali voi stimate che la Terra possa reflettere il lume del Sole non men gagliardamente che la Luna, perch a me par ella tanto oscura ed opaca, che un tale effetto mi si rappresenta del tutto impossibile.

SALV. La causa per la quale voi reputate la Terra inetta all'illuminazione non altramente cotesta, signor Simplicio. E non sarebbe bella cosa che io penetrassi i vostri discorsi meglio che voi medesimo?

SIMP. Se io mi discorra bene o male, potrebb'esser che voi meglio di me lo conosceste; ma, o bene o mal ch'io mi discorra, che voi possiate meglio di me penetrar il mio discorso, questo non creder io mai.

   SALV. Anzi vel far io creder pur ora. Ditemi un poco: quando la Luna presso che piena, s che ella si pu veder di giorno ed anco a meza notte, quando vi par ella pi splendente, il giorno o la notte?

   SIMP. La notte, senza comparazione, e parmi che la Luna imiti quella colonna di nugole e di fuoco che fu scorta a i figliuoli di Isdraele, che alla presenza del Sole si mostrava come una nugoletta, ma la notte poi era splendidissima. Cos ho io osservato alcune volte di giorno tra certe nugolette la Luna non altramente che una di esse biancheggiante; ma la notte poi si mostra splendentissima.

   SALV. Talch quando voi non vi foste mai abbattuto a veder la Luna se non di giorno, voi non l'avreste giudicata pi splendida di una di quelle nugolette.

   SIMP. Cos credo fermamente.

   SALV. Ditemi ora: credete voi che la Luna sia realmente pi lucente la notte che 'l giorno, o pur che per qualche accidente ella si mostri tale?

   SIMP. Credo che realmente ella risplenda in se stessa tanto di giorno quanto di notte, ma che 'l suo lume si mostri maggiore di notte perch noi la vediamo nel campo oscuro del cielo; ed il giorno, per esser tutto l'ambiente assai chiaro, s che ella di poco lo avanza di luce, ci si rappresenta assai men lucida.

   SALV Or ditemi; avete voi veduto mai in su la meza notte il globo terrestre illuminato dal Sole?

   SIMP. Questa mi pare una domanda da non farsi se non per burla, o vero a qualche persona conosciuta per insensata affatto.

   SALV. No, no, io v'ho per uomo sensatissimo, e fo la domanda sul saldo: e per rispondete pure, e poi se vi parr che io parli a sproposito, mi contento d'esser io l'insensato; ch bene pi sciocco quello che interroga scioccamente, che quello a chi si fa interrogazione.

   SIMP. Se dunque voi non mi avete per semplice affatto, fate conto ch'io v'abbia risposto, e detto che impossibile che uno che sia in Terra, come siamo noi, vegga di notte quella parte della Terra dove giorno, cio che percossa dal Sole.

   SALV. Adunque non vi toccato mai a veder la Terra illuminata se non di giorno; ma la Luna la vedete anco nella pi profonda notte risplendere in cielo: e questa, signor Simplicio, la cagione che vi fa credere che la Terra non risplenda come la Luna, che se voi poteste veder la Terra illuminata mentrech voi fuste in luogo tenebroso come la nostra notte, la vedreste splendida pi che la Luna. Ora, se voi volete che la comparazione proceda bene, bisogna far parallelo del lume della Terra con quel della Luna veduta di giorno, e non con la Luna notturna, poich non ci tocca a veder la Terra illuminata se non di giorno. Non sta cos?

   SIMP. Cos dovere.

   SALV. E perch voi medesimo avete gi confessato d'aver veduta la Luna di giorno tra nugolette biancheggianti e similissima, quanto all'aspetto, ad una di esse, gi primamente venite a confessare che quelle nugolette, che pur son materie elementari, son atte a ricever l'illuminazione quanto la Luna, ed ancor pi, se voi vi ridurrete in fantasia d'aver vedute talvolta alcune nugole grandissime, e candidissime come la neve; e non si pu dubitare che se una tale si potesse conservar cos luminosa nella pi profonda notte, ella illuminerebbe i luoghi circonvicini pi che cento Lune. Quando dunque noi fussimo sicuri che la Terra si illuminasse dal Sole al pari di una di quelle nugolette, non resterebbe dubbio che ella fusse non meno risplendente della Luna. Ma di questo cessa ogni dubbio, mentre noi veggiamo le medesime nugole, nell'assenza del Sole, restar la notte cos oscure come la Terra; e, quel che pi, non alcuno di noi al quale non sia accaduto di veder pi volte alcune tali nugole basse e lontane, e stare in dubbio se le fussero nugole o montagne: segno evidente, le montagne non esser men luminose di quelle nugole.

   SAGR. Ma che pi altri discorsi? Eccovi l su la Luna, che pi di meza; eccovi l quel muro alto, dove batte il Sole; ritiratevi in qua, s che la Luna si vegga accanto al muro; guardate ora: che vi par pi chiaro? non vedete voi che se vantaggio vi , l'ha il muro? Il Sole percuote in quella parete; di l si reverbera nelle pareti della sala; da quelle si reflette in quella camera, s che in essa arriva con la terza riflessione: e ad ogni modo son sicuro che vi pi lume, che se direttamente vi arrivasse il lume della Luna.

   SIMP. Oh questo non credo io, perch quel della Luna, e massime quando ell' piena, un grande illuminare.

   SAGR. Par grande per l'oscurit de i luoghi circonvicini ombrosi, ma assolutamente non molto, ed minore che quel del crepuscolo di mez'ora doppo il tramontar del Sole; il che manifesto, perch non prima che allora vedrete cominciare a distinguersi in Terra le ombre de i corpi illuminati dalla Luna. Se poi quella terza reflessione in quella camera illumini pi che la prima della Luna, si potr conoscere andando l, col legger quivi un libro, e provar poi stasera al lume della Luna se si legge pi agevolmente o meno, che credo senz'altro che si legger meno.

   SALV. Ora, signor Simplicio (se per voi sete stato appagato), potete comprender come voi medesimo sapevi veramente che la Terra risplendeva non meno che la Luna, e che il ricordarvi solamente alcune cose sapute da per voi, e non insegnate da me, ve n'ha reso certo: perch io non vi ho insegnato che la Luna si mostra pi risplendente la notte che 'l giorno, ma gi lo sapevi da per voi, come anco sapevi che tanto si mostra chiara una nugoletta quanto la Luna; sapevi parimente che l'illuminazion della Terra non si vede di notte, ed in somma sapevi il tutto, senza saper di saperlo. Di qui non dover di ragione esservi difficile il conceder che la reflessione della Terra possa illuminar la parte tenebrosa della Luna, con luce non minor di quella con la quale la Luna illustra le tenebre della notte, anzi tanto pi, quanto che la Terra quaranta volte maggior della Luna.

   SIMP. Veramente io credeva che quel lume secondario fosse proprio della Luna.

   SALV. E questo ancora sapete da per voi, e non v'accorgete di saperlo. Ditemi: non avete voi per voi stesso saputo che la Luna si mostra pi luminosa assai la notte che il giorno, rispetto all'oscurit del campo ambiente? ed in conseguenza non venite voi a sapere in genere, che ogni corpo lucido si mostra pi chiaro quanto l'ambiente pi oscuro?

   SIMP. Questo so io benissimo.

   SALV. Quando la Luna falcata e vi mostra assai chiaro quel lume secondario, non ella sempre vicina al Sole, ed in conseguenza nel lume del crepusculo?

   SIMP. vvi; e molte volte ho desiderato che l'aria si facesse pi fosca per poter veder quel tal lume pi chiaro, ma l' tramontata avanti notte oscura.

   SALV. Voi dunque sapete benissimo che nella profonda notte quel lume apparirebbe pi?

   SIMP. Signor s, ed ancor pi se si potesse tor via il gran lume delle corna tocche dal Sole, la presenza del quale offusca assai l'altro minore.

   SALV. Oh non accad'egli talvolta di poter vedere dentro ad oscurissima notte tutto il disco della Luna, senza punto essere illuminato dal Sole?

   SIMP. Io non so che questo avvenga mai, se non ne gli eclissi totali della Luna.

   SALV. Adunque allora dovrebbe questa sua luce mostrarsi vivissima, essendo in un campo oscurissimo e non offuscata dalla chiarezza delle corna luminose: ma voi in quello stato come l'avete veduta lucida?

   SIMP. Holla veduta talvolta del color del rame ed un poco albicante; ma altre volte rimasta tanto oscura, che l'ho del tutto persa di vista.

   SALV. Come dunque pu esser sua propria quella luce, che voi cos chiara vedete nell'albor del crepuscolo, non ostante l'impedimento dello splendor grande e contiguo delle corna, e che poi nella pi oscura notte, rimossa ogni altra luce, non apparisce punto?

   SIMP. Intendo esserci stato chi ha creduto cotal lume venirle participato dall'altre stelle, ed in particolare da Venere, sua vicina.

   SALV. E cotesta parimente una vanit, perch nel tempo della sua totale oscurazione dovrebbe pur mostrarsi pi lucida che mai, ch non si pu dire che l'ombra della Terra gli asconda la vista di Venere n dell'altre stelle; ma ben ne riman ella del tutto priva allora, perch l'emisferio terrestre che in quel tempo riguarda verso la Luna, quello dove notte, cio un'intera privazion del lume del Sole. E se voi diligentemente andrete osservando, vedrete sensatamente che, s come la Luna, quando sottilmente falcata, pochissimo illumina la Terra, e secondoch in lei vien crescendo la parte illuminata dal Sole, cresce parimente lo splendore a noi, che da quella vienci reflesso; cos la Luna, mentre sottilmente falcata e che, per esser tra 'l Sole e la Terra, scuopre grandissima parte dell'emisferio terreno illuminato, si mostra assai chiara e discostandosi dal Sole e venendo verso la quadratura, si vede tal lume andar languendo, ed oltre la quadratura si vede assai debile, perch sempre va perdendo della vista della parte luminosa della Terra: e pur dovrebbe accadere il contrario quando tal lume fusse suo o comunicatole dalle stelle, perch allora la possiamo vedere nella profonda notte e nell'ambiente molto tenebroso.

   SIMP. Fermate, di grazia, che pur ora mi sovviene aver letto in un libretto moderno di conclusioni, pieno di molte novit, "che questo lume secondario non cagionato dalle stelle n proprio della Luna e men di tutti comunicatogli dalla Terra, ma che deriva dalla medesima illuminazion del Sole, la quale, per esser la sustanza del globo lunare alquanto trasparente, penetra per tutto il suo corpo, ma pi vivamente illumina la superficie dell'emisfero esposto a i raggi del Sole, e la profondit, imbevendo e, per cos dire, inzuppandosi di tal luce a guisa di una nugola o di un cristallo, la trasmette e si rende visibilmente lucida. E questo (se ben mi ricorda) prova egli con l'autorit, con l'esperienza e con la ragione, adducendo Cleomede, Vitellione, Macrobio e qualch'altro autor moderno, e soggiugnendo, vedersi per esperienza ch'ella si mostra molto lucida ne i giorni prossimi alla congiunzione, cio quando falcata, e massimamente risplende intorno al suo limbo; e di pi scrive che negli eclissi solari, quando ella sotto il disco del Sole, si vede tralucere, e massime intorno all'estremo cerchio. Quanto poi alle ragioni, parmi ch'e' dica che non potendo ci derivare n dalla Terra n dalle stelle n da se stessa, resta necessariamente ch'e' venga dal Sole; oltrech, fatta questa supposizione, benissimo si rendono accomodate ragioni di tutti i particulari che accascano. Imperocch del mostrarsi tal luce secondaria pi vivace intorno all'estremo limbo, ne cagione la brevit dello spazio da esser penetrato da i raggi del Sole, essendoch delle linee che traversano un cerchio, la massima quella che passa per il centro, e delle altre le pi lontane da questa son sempre minori delle pi vicine. Dal medesimo principio dice egli derivare che tal lume poco diminuisce. E finalmente, per questa via si assegna la causa onde avvenga che quel cerchio pi lucido intorno all'estremo margine della Luna si scorga nell'eclisse solare in quella parte che sta sotto il disco del Sole, ma non in quella che fuor del disco; provenendo ci, perch i raggi del Sole trapassano a dirittura al nostro occhio per le parti della Luna sottoposte, ma per le parti che son fuori, cascano fuori dell'occhio".

   SALV. Se questo filosofo fusse stato il primo autore di tale opinione, io non mi maraviglierei che e' vi fusse talmente affezionato, che e' l'avesse ricevuta per vera; ma ricevendola da altri, non saprei addur ragione bastante per iscusarlo dal non aver comprese le sue fallacie, e massime doppo l'aver egli sentita la vera causa di tale effetto, ed aver potuto con mille esperienze e manifesti riscontri assicurarsi, ci dal reflesso della Terra, e non da altro, procedere; e quanto questa cognizione fa desiderar qualche cosa nell'accorgimento di questo autore e di tutti gli altri che non le prestano l'assenso, tanto il non l'avere intesa e non esser loro sovvenuta mi rende scusabili quei pi antichi, i quali son ben sicuro che se adesso l'intendessero, senza una minima repugnanza l'ammetterebbero. E se io vi devo schiettamente dire il mio concetto, non posso creder che quest'autor moderno internamente non la creda, ma dubito che il non potersen'egli fare il primo autore, lo stimoli un poco a tentare di supprimerla o smaccarla almanco appresso a i semplici, il numero de i quali sappiamo esser grandissimo; e molti sono che godono assai pi dell'applauso numeroso del popolo, che dell'assenso de i pochi non vulgari.

   SAGR. Fermate un poco, signor Salviati, ch mi par di vedere che voi non andiate drittamente al vero punto nel vostro parlare; perch questi, che tendono le pareti al comune, si sanno anco fare autori dell'invenzioni di altri, purch non sieno tanto antiche e fatte pubbliche per le cattedre e per le piazze, che sieno pi che notorie a tutti.

   SALV. Oh io son pi cattivo di voi. Che dite voi di pubbliche o di notorie? non egli l'istesso l'esser l'opinioni e l'invenzioni nuove a gli uomini, che l'esser gli uomini nuovi a loro? se voi vi contentaste della stima de' principianti nelle scienze, che vengon su di tempo in tempo, potreste farvi anco inventore sin dell'alfabeto, e cos rendervi ad essi ammirando; e se ben poi col progresso del tempo si scoprisse la vostra sagacit, ci poco pregiudica al vostro fine, perch altri sottentrano a mantenere il numero de i fautori. Ma torniamo a mostrare al signor Simplicio la inefficacia de i discorsi del suo moderno autore, ne i quali ci sono falsit e cose non concludenti ed inopinabili. E prima, falso che questa luce secondaria sia pi chiara intorno all'estremo margine che nelle parti di mezo, s che si formi quasi un anello o cerchio pi risplendente del resto del campo. Ben vero che guardando la Luna posta nel crepuscolo, si mostra, nel primo apparire, un tal cerchio, ma con inganno che nasce dalla diversit de i confini con i quali termina il disco lunare, sparso di questa luce secondaria: imperocch dalla parte verso il Sole confina con le corna lucidissime della Luna, e dall'altra ha per termine confinante il campo oscuro del crepuscolo, la relazion del quale ci fa parere pi chiaro l'albore del disco lunare, il quale nella parte opposta viene offuscato dallo splendor maggiore delle corna. Che se l'autor moderno avesse provato a farsi ostacolo tra l'occhio e lo splendor primario col tetto di qualche casa o con altro tramezzo, s che visibile restasse solamente la piazza della Luna fuori delle corna, l'avrebbe veduta tutta egualmente luminosa.

   SIMP. Mi par pur ricordare che egli scriva d'essersi servito di un simile artifizio per nascondersi la falce lucida.

   SALV. Oh come questo , la sua, che io stimava inavvertenza, diventa bugia; la quale pizzica anco di temerit, poich ciascheduno ne pu far frequentemente la riprova. Che poi nell'eclisse del Sole si vegga il disco della Luna in altro modo che per privazione, io ne dubito assai, e massime quando l'eclisse non sia totale, come necessariamente bisogna che siano state le osservate dall'autore; ma quando anco e' si scorgesse come lucido, questo non contraria, anzi favorisce l'opinion nostra, avvengach allora si oppone alla Luna tutto l'emisferio terrestre illuminato dal Sole, ch se bene l'ombra della Luna ne oscura una parte, questa pochissima in comparazione di quella che rimane illuminata. Quello che aggiugne di pi, che in questo caso la parte del margine che soggiace al Sole si mostri assai lucida, ma non cos quella che resta fuori, e ci derivare dal venirci direttamente per quella parte i raggi solari all'occhio, ma non per questa, bene una di quelle favole che manifestano le altre finzioni di colui che le racconta, perch, se per farci visibile di luce secondaria il disco lunare bisogna che i raggi del Sole vengano direttamente al nostro occhio, non vede il poverino che noi mai non vedremmo tal luce secondaria se non nell'eclisse del Sole? E se l'esser una parte della Luna remota dal disco solare solamente manco assai di mezo grado pu deviare i raggi del Sole, s che non arrivino al nostro occhio, che sar quando ella se ne trovi lontana venti e trenta quale ella ne nella sua prima apparizione? e come verranno i raggi del Sole, che hanno a trapassar per il corpo della Luna, a trovar l'occhio nostro? Quest'uomo si va di mano in mano figurando le cose quali bisognerebbe ch'elle fussero per servire al suo proposito, e non va accomodando i suoi propositi di mano in mano alle cose quali elle sono. Ecco: per far che lo splendor del Sole possa penetrar la sustanza della Luna, ei la fa in parte diafana, quale , verbigrazia, la trasparenza di una nugola o di un cristallo; ma non so poi quello ch'ei si giudicasse, circa una tal trasparenza, quando i raggi solari avessero a penetrare una profondit di nugola di pi di dua mila miglia. Ma ammettasi che egli arditamente rispondesse, ci potere esser benissimo ne i corpi celesti, che sono altre faccende che questi nostri elementari, impuri e fecciosi, e convinchiamo l'error suo con mezi che non ammettono risposta, o per dir meglio, sutterfugii. Quando ei voglia mantenere che la sustanza della Luna sia diafana, bisogna ch'ei dica che ella tale mentrech i raggi del Sole abbiano a penetrar tutta la sua profondit, cio ne abbiano a penetrar pi di dua mila miglia, ma che opponendosigliene solo un miglio ed anco meno, non la penetreranno pi che e' si penetrino una delle nostre montagne.

   SAGR. Voi mi fate sovvenire di uno che mi voleva vendere un segreto di poter parlare, per via di certa simpatia di aghi calamitati, a uno che fusse stato lontano due o tre mila miglia; e dicendogli io che volentieri l'avrei comprato, ma che volevo vederne l'esperienza, e che mi bastava farla stando io in una delle mie camere ed egli in un'altra, mi rispose che in s piccola distanza non si poteva veder ben l'operazione: onde io lo licenziai, con dire che non mi sentivo per allora di andare nel Cairo o in Moscovia per veder tale esperienza; ma se pure voleva andare esso, che io arei fatto l'altra parte, restando in Venezia. Ma sentiamo come va la conseguenza dell'autore, e come bisogni ch'egli ammetta, la materia della Luna esser permeabilissima da i raggi solari nella profondit di dua mila miglia, ma opacissima pi di una montagna delle nostre nella grossezza di un miglio solo.

   SALV. L'istesse montagne appunto della Luna ce ne fanno testimonianza, le quali, ferite da una parte dal Sole, gettano dall'opposta ombre negrissime, terminate e taglienti pi assai dell'ombre delle nostre; che quando elle fussero diafane, mai non avremmo potuto conoscere asprezza veruna nella superficie della Luna, n veder quelle cuspidi luminose staccate dal termine che distingue la parte illuminata dalla tenebrosa; anzi n meno vedremmo noi questo medesimo termine cos distinto, se fusse vero che 'l lume del Sole penetrasse la profondit della Luna; anzi, per il detto medesimo dell'autore, bisognerebbe vedere il passaggio e confine tra la parte vista e la non vista dal Sole assai confuso e misto di luce e tenebre, ch bene necessario che quella materia che d il transito a i raggi solari nella profondit di dua mila miglia, sia tanto trasparente che pochissimo gli contrasti nella centesima o minor parte di tal grossezza: tuttavia il termine che separa la parte illuminata dalla oscura tagliente e cos distinto quanto distinto il bianco dal nero, e massime dove il taglio passa sopra la parte della Luna naturalmente pi chiara e pi aspra; ma dove sega le macchie antiche, le quali sono pianure, per andare elle sfericamente inclinandosi, s che ricevono i raggi del Sole obliquissimi, quivi il termine non cos tagliente, mediante la illuminazione pi languida. Quello finalmente ch'ei dice del non si diminuire ed abbacinare la luce secondaria secondo che la Luna va crescendo, ma conservarsi continuamente della medesima efficacia, falsissimo; anzi, poco si vede nella quadratura, quando, per l'opposito, ella dovrebbe vedersi pi viva, potendosi vedere fuor del crepuscolo, nella notte pi profonda. Concludiamo per tanto, esser la reflession della Terra potentissima nella Luna; e, quello di che dovrete far maggiore stima, cavatene un'altra congruenza bellissima: cio, che se vero che i pianeti operino sopra la Terra col moto e col lume, forse la Terra non meno sar potente a operar reciprocamente in loro col medesimo lume e per avventura col moto ancora; e quando anco ella non si movesse, pur gli pu restare la medesima operazione, perch gi, come si veduto, l'azione del lume la medesima appunto cio del lume del Sole reflesso, e 'l moto non fa altro che la variazione de gli aspetti, la quale segue nel modo medesimo facendo muover la Terra e star fermo il Sole, che se si faccia per l'opposito.

   SIMP. Non si trover alcuno de i filosofi che abbia detto che questi corpi inferiori operino ne i celesti, ed Aristotile dice chiaro il contrario.

   SALV. Aristotile e gli altri che non han saputo che la Terra e la Luna si illuminino scambievolmente, son degni di scusa; ma sarebber ben degni di riprensione se, mentre vogliono che noi concediamo e crediamo a loro che la Luna operi in Terra col lume, e' volessin poi a noi, che gli aviamo insegnato che la Terra illumina la Luna, negare l'azione della Terra nella Luna.

   SIMP. In somma io sento in me un'estrema repugnanza nel potere ammettere questa societ che voi vorreste persuadermi tra la Terra e la Luna, ponendola, come si dice, in ischiera con le stelle; ch, quando altro non ci fusse, la gran separazione e lontananza tra essa e i corpi celesti mi par che necessariamente concluda una grandissima dissimilitudine tra di loro.

   SALV. Vedete, signor Simplicio, quanto pu un inveterato affetto ed una radicata opinione; poich tanto gagliarda, che vi fa parer favorevoli quelle cose medesime che voi stesso producete contro di voi. Che se la separazione e lontananza sono accidenti validi per persuadervi una gran diversit di nature, convien che per l'opposito la vicinanza e contiguit importino similitudine: ma quanto pi vicina la Luna alla Terra che a qualsivoglia altro de i globi celesti? Confessate dunque, per la vostra medesima concessione (ed averete anco altri filosofi per compagni), grandissima affinit esser tra la Terra e la Luna. Or seguitiamo avanti, e proponete se altro ci resta da considerare circa le difficult che voi moveste contro le congruenze tra questi due corpi.

   SIMP. Ci resterebbe non so che in proposito della solidit della Luna, la quale io argumentava dall'esser ella sommamente pulita e liscia, e voi dall'esser montuosa. Un'altra difficult mi nasceva per il credere io che la reflession del mare dovesse esser, per l'egualit della sua superficie pi gagliarda che quella della Terra, la cui superficie tanto scabrosa ed opaca.

   SALV. Quanto al primo dubbio, dico che, s come nelle parti della Terra, che tutte per la lor gravit conspirano ad approssimarsi quanto pi possono al centro, alcune tuttavia ne rimangono pi remote che l'altre, cio le montagne pi delle pianure, e questo per la lor solidit e durezza (ch se fusser di materia fluida si spianerebbero), cos il veder noi alcune parti della Luna restare elevate sopra la sfericit delle parti pi basse arguisce la loro durezza, perch credibile che la materia della Luna si figuri in forma sferica per la concorde conspirazione di tutte le sue parti al medesimo centro. Circa l'altro dubbio, parmi che per le cose che aviamo considerate accader negli specchi, possiamo intender benissimo che la reflession del lume che vien dal mare sia inferiore assai a quella che vien dalla terra, intendendo per della reflessione universale; perch quanto alla particolare che la superficie dell'acqua quieta manda in un luogo determinato, non ha dubbio che chi si constituir in tal luogo, vedr nell'acqua un reflesso potentissimo, ma da tutti gli altri luoghi si vedr la superficie dell'acqua pi oscura di quella della terra. E per mostrarlo al senso, andiamo qua in sala e versiamo un poco di acqua sul pavimento: ditemi ora, non si mostr'egli questo mattone bagnato pi oscuro assai degli altri asciutti? Certo s, e tale si mostrer egli rimirato da qualsivoglia luogo, eccettuatone un solo, e questo quello dove arriva il reflesso del lume che entra per quella finestra: tiratevi adunque indietro pian piano.

   SIMP. Di qui veggo io la parte bagnata pi lucida del resto del pavimento, e veggo che ci avviene perch il reflesso del lume, che entra per la finestra, viene verso di me.

   SALV. Quel bagnare non ha fatto altro che riempier quelle piccole cavit che sono nel mattone e ridur la sua superficie a un piano esquisito, onde poi i raggi reflessi vanno uniti verso un medesimo luogo: ma il resto del pavimento asciutto ha la sua asprezza, cio una innumerabil variet di inclinazioni nelle sue minime particelle, onde le reflessioni del lume vanno verso tutte le parti, ma pi debili che se andasser tutte unite insieme; e per poco o niente si varia il suo aspetto per riguardarlo da diverse bande, ma da tutti i luoghi si mostra l'istesso, ma ben men chiaro assai che quella reflession della parte bagnata. Concludo per tanto che la superficie del mare, veduta dalla Luna, s come apparirebbe egualissima (trattone le isole e gli scogli), cos apparirebbe men chiara che quella della terra, montuosa e ineguale. E se non fusse ch'io non vorrei parer, come si dice, di volerne troppo, vi direi d'aver osservato nella Luna quel lume secondario, ch'io dico venirle dalla reflession del globo terrestre, esser notabilmente pi chiaro due o tre giorni avanti la congiunzione che doppo, cio quando noi la veggiamo avanti l'alba in oriente che quando si vede la sera, doppo il tramontar del Sole, in occidente; della qual differenza ne causa che l'emisferio terrestre che si oppone alla Luna orientale ha poco mare ed assaissima terra, avendo tutta l'Asia, dovech, quando ella in occidente, riguarda grandissimi mari, cio tutto l'Oceano Atlantico sino alle Americhe: argomento assai probabile del mostrarsi meno splendida la superficie dell'acqua che quella della terra.

   SIMP.  Ma credete voi forse che quelle gran macchie che si veggono nella faccia della Luna siano mari, e il resto pi chiaro terra, o cosa tale?

 Adunque, per vostro credere, ella farebbe un aspetto simile a quello che noi veggiamo nella Luna, delle 2 parti massime.

   SALV. Questo che voi domandate il principio delle incongruenze ch'io stimo esser tra la Luna e la Terra, dalle quali sar tempo che noi ci sbrighiamo, ch pur troppo siamo dimorati in questa Luna. Dico dunque che quando in natura non fusse altro che un modo solo per far apparir due superficie, illustrate dal Sole, una pi chiara dell'altra, e che questo fosse per esser una di terra e l'altra di acqua, bisognerebbe necessariamente dire che la superficie della Luna fosse parte terrea e parte aquea; ma perch vi sono pi modi conosciuti da noi, che posson cagionare il medesimo effetto, ed altri per avventura ne posson essere incogniti a noi, per io non ardirei di affermare, questo pi che quello esser nella Luna. Gi si veduto di sopra come una piastra d'argento bianchito, col toccarlo col brunitoio, di candido si rappresenta oscuro; la parte umida della Terra si mostra pi oscura della arida; ne i dorsi delle montagne, le parti silvose appariscono assai pi fosche delle nude e sterili; ci accade, perch tra le piante casca gran quantit di ombra ed i luoghi aprici son tutti illuminati dal Sole; e questa mistione di ombre opera tanto, che voi vedete ne i velluti a opera il color della seta tagliata mostrarsi molto pi oscuro che quel della non tagliata, mediante le ombre disseminate tra pelo e pelo, ed il velluto piano parimente assai pi fosco che un ermisino fatto della medesima seta, s che quando nella Luna fossero cose che imitassero grandissime selve l'aspetto loro potrebbe rappresentarci le macchie che noi veggiamo; una tal differenza farebbero s'elle fusser mari e finalmente non repugna che potesse esser che quelle macchie fosser realmente di color pi oscuro del rimanente, ch in questa guisa la neve fa comparir le montagne pi chiare. Quello che si vede manifestamente nella Luna che le parti pi oscure son tutte pianure, con pochi scogli e argini dentrovi, ma pur ve ne son alcuni: il restante pi chiaro tutto pieno di scogli, montagne, arginetti rotondi e di altre figure; ed in particolare intorno alle macchie sono grandissime tirate di montagne. Dell'esser le macchie superficie piane, ce ne assicura il veder come il termine che distingue la parte illuminata dall'oscura, nel traversar le macchie fa il taglio eguale, ma nelle parti chiare si mostra per tutto anfrattuoso e merlato. Ma non so gi se questa egualit di superficie possa esser bastante per s sola a far apparir l'oscurit, e credo pi tosto di no. Reputo, oltre a questo, la Luna differentissima dalla Terra, perch, se bene io mi immagino che quelli non sien paesi oziosi e morti, non affermo per che vi sieno movimenti e vita, e molto meno che vi si generino piante, animali o altre cose simili alle nostre, ma, se pur ve n', fussero diversissime, e remote da ogni nostra immaginazione: e muovomi a cos credere, perch, primamente, stimo che la materia del globo lunare non sia di terra e di acqua, e questo solo basta a tr via le generazioni e alterazioni simili alle nostre; ma, posto anco che lass fosse acqua e terra, ad ogni modo non vi nascerebbero piante ed animali simili a i nostri, e questo per due ragioni principali. La prima , che per le nostre generazioni son tanto necessarii gli aspetti variabili del Sole, che senza essi il tutto mancherebbe: ora le abitudini del Sole verso la Terra son molto differenti da quelle verso la Luna Noi, quanto all'illuminazion diurna, abbiamo nella maggior parte della Terra ogni ventiquattr'ore parte di giorno e parte di notte, il quale effetto nella Luna si fa in un mese; e quello abbassamento ed alzamento annuo per il quale il Sole ci apporta le diverse stagioni e la disegualit de i giorni e delle notti, nella Luna si finisce pur in un mese; e dove il Sole a noi si alza ed abbassa tanto, che dalla massima alla minima altezza vi corre circa quarantasette gradi di differenza, cio quanta la distanza dall'uno all'altro tropico, nella Luna non importa altro che gradi dieci o poco pi, ch tanto importano le massime latitudini del dragone  di qua e di l dall'eclittica. Considerisi ora qual sarebbe l'azion del Sole dentro alla zona torrida quando e' durasse quindici giorni continui a ferirla con i suoi raggi, che senz'altro s'intender che tutte le piante e le erbe e gli animali si dispergerebbero; e se pur vi si facessero generazioni, sarebber di erbe, piante ed animali diversissimi da i presenti. Secondariamente, io tengo per fermo che nella Luna non siano piogge, perch quando in qualche parte vi si congregassero nugole, come intorno alla Terra, ci verrebbero ad ascondere alcuna di quelle cose che noi col telescopio veggiamo nella Luna, ed in somma in qualche particella ci varierebber la vista; effetto che io per lunghe e diligenti osservazioni non ho veduto mai, ma sempre vi ho scorto una uniforme serenit purissima.

   SAGR. A questo si potrebbe rispondere, o che vi fossero grandissime rugiade, o che vi piovesse ne i tempi della lor notte, cio quando il Sole non la illumina.

   SALV. Se per altri riscontri noi avessimo indizii che in essa si facesser generazioni simili alle nostre, e solo ci mancasse il concorso delle piogge, potremmo trovarci questo o altro temperamento che supplisse in vece di quelle, come accade nell'Egitto dell'inondazione del Nilo, ma non incontrando accidente alcuno che concordi co i nostri, de' molti che si ricercherebbero per produrvi gli effetti simili, non occorre affaticarsi per introdurne un solo, e quello anco non perch se n'abbia sicura osservazione, ma per una semplice non repugnanza. Oltre che, quando mi fosse domandato quello che la prima apprensione ed il puro naturale discorso mi detta circa il prodursi l cose simili o pur differenti dalle nostre, io direi sempre, differentissime ed a noi del tutto inimmaginabili, che cos mi pare che ricerchi la ricchezza della natura e l'onnipotenza del Creatore e Governatore.

   SAGR. Estrema temerit mi parsa sempre quella di coloro che voglion far la capacit umana misura di quanto possa e sappia operar la natura, dove che, all'incontro, e' non effetto alcuno in natura, per minimo che e' sia, all'intera cognizion del quale possano arrivare i pi specolativi ingegni. Questa cos vana prosunzione d'intendere il tutto non pu aver principio da altro che dal non avere inteso mai nulla, perch, quando altri avesse esperimentato una volta sola a intender perfettamente una sola cosa ed avesse gustato veramente come fatto il sapere, conoscerebbe come dell'infinit dell'altre conclusioni niuna ne intende.

   SALV. Concludentissimo il vostro discorso; in confermazion del quale abbiamo l'esperienza di quelli che intendono o hanno inteso qualche cosa, i quali quanto pi sono sapienti, tanto pi conoscono e liberamente confessano di saper poco; ed il sapientissimo della Grecia, e per tale sentenziato da gli oracoli, diceva apertamente conoscer di non saper nulla.

   SIMP. Convien dunque dire, o che l'oracolo, o l'istesso Socrate, fusse bugiardo, predicandolo quello per sapientissimo, e dicendo questo di conoscersi ignorantissimo.

   SALV. Non ne seguita n l'uno n l'altro, essendo che amendue i pronunziati posson esser veri. Giudica l'oracolo sapientissimo Socrate sopra gli altri uomini, la sapienza de i quali limitata; si conosce Socrate non saper nulla in relazione alla sapienza assoluta, che infinita; e perch dell'infinito tal parte n' il molto che 'l poco e che il niente (perch per arrivar, per esempio, al numero infinito tanto l'accumular migliaia, quanto decine e quanto zeri), per ben conosceva Socrate, la terminata sua sapienza esser nulla all'infinita, che gli mancava. Ma perch pur tra gli uomini si trova qualche sapere, e questo non egualmente compartito a tutti, potette Socrate averne maggior parte de gli altri, e perci verificarsi il responso dell'oracolo.

   SAGR. Parmi di intender benissimo questo punto. Tra gli uomini, signor Simplicio, la potest di operare, ma non egualmente participata da tutti: e non dubbio che la potenza d'un imperadore maggiore assai che quella d'una persona privata; ma e questa e quella nulla in comparazione dell'onnipotenza divina. Tra gli uomini vi sono alcuni che intendon meglio l'agricoltura che molti altri; ma il saper piantar un sermento di vite in una fossa, che ha da far col saperlo far barbicare, attrarre il nutrimento, da quello scierre questa parte buona per farne le foglie, quest'altra per formarne i viticci, quella per i grappoli, quell'altra per l'uva, ed un'altra per i fiocini, che son poi l'opere della sapientissima natura? Questa una sola opera particolare delle innumerabili che fa la natura, ed in essa sola si conosce un'infinita sapienza, talch si pu concludere, il saper divino esser infinite volte infinito.

   SALV. Eccone un altro esempio. Non direm noi che 'l sapere scoprire in un marmo una bellissima statua ha sublimato l'ingegno del Buonarruoti assai assai sopra gli ingegni comuni degli altri uomini? E questa opera non altro che imitare una sola attitudine e disposizion di membra esteriore e superficiale d'un uomo immobile; e per che cosa in comparazione d'un uomo fatto dalla natura, composto di tante membra esterne ed interne, de i tanti muscoli, tendini, nervi, ossa, che servono a i tanti e s diversi movimenti? Ma che diremo de i sensi, delle potenze dell'anima, e finalmente dell'intendere? non possiamo noi dire, e con ragione, la fabbrica d'una statua cedere d'infinito intervallo alla formazion d'un uomo vivo, anzi anco alla formazion d'un vilissimo verme?

   SAGR. E qual differenza crediamo che fusse tra la colomba d'Archita ed una della natura?

   SIMP. O io non sono un di quegli uomini che intendano, o 'n questo vostro discorso una manifesta contradizione. Voi tra i maggiori encomii, anzi pur per il massimo di tutti, attribuite all'uomo, fatto dalla natura, questo dell'intendere; e poco fa dicevi con Socrate che 'l suo intendere non era nulla; adunque bisogner dire che n anco la natura abbia inteso il modo di fare un intelletto che intenda.

   SALV. Molto acutamente opponete; e per rispondere all'obbiezione, convien ricorrere a una distinzione filosofica, dicendo che l'intendere si pu pigliare in due modi, cio intensive, o vero extensive: e che extensive, cio quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, l'intender umano come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perch mille rispetto all'infinit come un zero; ma pigliando l'intendere intensive, in quanto cotal termine importa intensivamente, cio perfettamente, alcuna proposizione, dico che l'intelletto umano ne intende alcune cos perfettamente, e ne ha cos assoluta certezza, quanto se n'abbia l'intessa natura; e tali sono le scienze matematiche pure, cio la geometria e l'aritmetica, delle quali l'intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di pi, perch le sa tutte, ma di quelle poche intese dall'intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poich arriva a comprenderne la necessit, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore.

   SIMP. Questo mi pare un parlar molto resoluto ed ardito.

   SALV. Queste son proposizioni comuni e lontane da ogni ombra di temerit o d'ardire e che punto non detraggono di maest alla divina sapienza, s come niente diminuisce la Sua onnipotenza il dire che Iddio non pu fare che il fatto non sia fatto. Ma dubito, signor Simplicio, che voi pigliate ombra per esser state ricevute da voi le mie parole con qualche equivocazione. Per, per meglio dichiararmi, dico che quanto alla verit di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella l'istessa che conosce la sapienza divina; ma vi conceder bene che il modo col quale Iddio conosce le infinite proposizioni, delle quali noi conosciamo alcune poche, sommamente pi eccellente del nostro, il quale procede con discorsi e con passaggi di conclusione in conclusione, dove il Suo di un semplice intuito: e dove noi, per esempio, per guadagnar la scienza d'alcune passioni del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle pi semplici e quella pigliando per sua definizione, passiamo con discorso ad un'altra, e da questa alla terza, e poi alla quarta, etc., l'intelletto divino con la semplice apprensione della sua essenza comprende, senza temporaneo discorso, tutta la infinit di quelle passioni; le quali anco poi in effetto virtualmente si comprendono nelle definizioni di tutte le cose, e che poi finalmente, per esser infinite, forse sono una sola nell'essenza loro e nella mente divina. Il che n anco all'intelletto umano del tutto incognito, ma ben da profonda e densa caligine adombrato, la qual viene in parte assottigliata e chiarificata quando ci siamo fatti padroni di alcune conclusioni fermamente dimostrate e tanto speditamente possedute da noi, che tra esse possiamo velocemente trascorrere: perch in somma, che altro l'esser nel triangolo il quadrato opposto all'angolo retto eguale a gli altri due che gli sono intorno, se non l'esser i parallelogrammi sopra base comune e tra le parallele, tra loro eguali? e questo non egli finalmente il medesimo che essere eguali quelle due superficie che adattate insieme non si avanzano, ma si racchiuggono dentro al medesimo termine? Or questi passaggi, che l'intelletto nostro fa con tempo e con moto di passo in passo, l'intelletto divino, a guisa di luce, trascorre in un instante, che l'istesso che dire, gli ha sempre tutti presenti. Concludo per tanto, l'intender nostro, e quanto al modo e quanto alla moltitudine delle cose intese, esser d'infinito intervallo superato dal divino; ma non per l'avvilisco tanto, ch'io lo reputi assolutamente nullo; anzi, quando io vo considerando quante e quanto maravigliose cose hanno intese investigate ed operate gli uomini, pur troppo chiaramente conosco io ed intendo, esser la mente umana opera di Dio, e delle pi eccellenti.

   SAGR. Io son molte volte andato meco medesimo considerando, in proposito di questo che di presente dite, quanto grande sia l'acutezza dell'ingegno umano; e mentre io discorro per tante e tanto maravigliose invenzioni trovate da gli uomini, s nelle arti come nelle lettere, e poi fo reflessione sopra il saper mio, tanto lontano dal potersi promettere non solo di ritrovarne alcuna di nuovo, ma anco di apprendere delle gi ritrovate, confuso dallo stupore ed afflitto dalla disperazione, mi reputo poco meno che infelice. S'io guardo alcuna statua delle eccellenti, dico a me medesimo: "E quando sapresti levare il soverchio da un pezzo di marmo, e scoprire s bella figura che vi era nascosa? quando mescolare e distendere sopra una tela o parete colori diversi, e con essi rappresentare tutti gli oggetti visibili, come un Michelagnolo, un Raffaello, un Tiziano?" S'io guardo quel che hanno ritrovato gli uomini nel compartir gl'intervalli musici, nello stabilir precetti e regole per potergli maneggiar con diletto mirabile dell'udito, quando potr io finir di stupire? Che dir de i tanti e s diversi strumenti? La lettura de i poeti eccellenti di qual meraviglia riempie chi attentamente considera l'invenzion de' concetti e la spiegatura loro? Che diremo dell'architettura? che dell'arte navigatoria? Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s'immagin di trovar modo di comunicare i suoi pi reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, bench distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell'Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati n saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? e con qual facilit? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta. Sia questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane, e la chiusa de' nostri ragionamenti di questo giorno: ed essendo passate le ore pi calde, il signor Salviati penso io che avr gusto di andare a godere de i nostri freschi in barca; e domani vi star attendendo amendue per continuare i discorsi cominciati, etc.

Giornata Seconda

 

   SALV. Le diversioni di ieri, che ci torsero dal dritto filo de' nostri principali discorsi, furon tante e tali, ch'io non so se potr senza l'aiuto vostro rimettermi su la traccia, per poter procedere avanti.

   SAGR. Io non mi meraviglio che voi, che avete ripiena e ingombrata la fantasia tanto delle cose dette quanto di quelle che restan da dirsi, vi troviate in qualche confusione; ma io, che per esser semplice ascoltatore, altro non ritengo che le cose udite, potr per avventura, col ricordarle sommariamente, rimettere il ragionamento su 'l suo filo. Per quello dunque che mi restato in mente, fu la somma de i discorsi di ieri l'andar esaminando da i fondamenti loro, qual delle due opinioni sia pi probabile e ragionevole: quella che tiene, la sustanza de i corpi celesti esser ingenerabile, incorruttibile, inalterabile, impassibile, ed in somma esente da ogni mutazione, fuor che dalla locale, e per essere una quinta essenza diversissima da questa de i nostri corpi elementari, generabili, corruttibili, alterabili, etc., o pur l'altra che, levando tal difformit di parti dal mondo, reputa la Terra goder delle medesime perfezioni che gli altri corpi integranti dell'universo, ed esser in somma un globo mobile e vagante non men che la Luna, Giove, Venere o altro pianeta. Fecersi in ultimo molti paralleli particolari tra essa Terra e la Luna e pi con la Luna che con altro pianeta forse per aver noi di quella maggiore e pi sensata notizia, mediante la sua minor lontananza. Ed avendo finalmente concluso, questa seconda opinione aver pi del verisimile dell'altra, parmi che 'l progresso ne tirasse a cominciare a esaminare se la Terra si deva stimare immobile, come da i pi stato sin qui creduto, o pur mobile, come alcuni antichi filosofi credettero ed altri da non molto tempo in qua stimano, e se mobile, qual possa essere il suo movimento.

   SALV. Gi comprendo e riconosco il segno del nostro cammino; ma innanzi che si cominci a procedere pi oltre, devo dirvi non so che sopra queste ultime parole che avete detto, dell'essersi concluso la opinione che tien la Terra dotata delle medesime condizioni de i corpi celesti esser pi verisimile della contraria: imperocch questo non ho io concluso, s come non son n anco per concludere verun'altra delle proposizioni controverse; ma solo ho auta intenzione di produrre, tanto per l'una quanto per l'altra parte, quelle ragioni e risposte, instanze e soluzioni, che ad altri sin qui sono sovvenute, con qualche altra ancora che a me, nel lungamente pensarvi, cascata in mente, lasciando poi la decisione all'altrui giudizio.

   SAGR. Io mi era lasciato trasportare dal mio proprio sentimento, e credendo che in altri dovesse esser quel che io sentiva in me, feci universale quella conclusione che doveva far particolare; e veramente ho errato, e massime non sapendo il concetto del signor Simplicio qui presente.

   SIMP. Io vi confesso che tutta questa notte sono andato ruminando le cose di ieri, e veramente trovo di molte belle nuove e gagliarde considerazioni; con tutto ci mi sento stringer assai pi dall'autorit di tanti grandi scrittori, ed in particolare Voi scotete la testa, signor Sagredo, e sogghignate, come se io dicessi qualche grande esorbitanza.

   SAGR. Io sogghigno solamente, ma crediatemi ch'io scoppio nel voler far forza di ritener le risa maggiori, perch mi avete fatto sovvenire di un bellissimo caso, al quale io mi trovai presente non sono molti anni, insieme con alcuni altri nobili amici miei, i quali vi potrei ancora nominare.

   SALV. Sar ben che voi ce lo raccontiate, acci forse il signor Simplicio non continuasse di creder d'avervi esso mosse le risa.

   SAGR. Son contento. Mi trovai un giorno in casa un medico molto stimato in Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosit, convenivano tal volta a veder qualche taglio di notomia per mano di uno veramente non men dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava ricercando l'origine e nascimento de i nervi, sopra di che famosa controversia tra i medici galenisti ed i peripatetici; e mostrando il notomista come, partendosi dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo de i nervi si andava poi distendendo per la spinale e diramandosi per tutto il corpo, e che solo un filo sottilissimo come il refe arrivava al cuore, voltosi ad un gentil uomo ch'egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale egli aveva con estraordinaria diligenza scoperto e mostrato il tutto, gli domand s'ei restava ben pago e sicuro, l'origine de i nervi venir dal cervello e non dal cuore, al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra di s, rispose: "Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d'Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera".

   SIMP. Signori, io voglio che voi sappiate che questa disputa dell'origine de i nervi non miga cos smaltita e decisa come forse alcuno si persuade.

   SAGR. N sar mai al sicuro, come si abbiano di simili contradittori; ma questo che voi dite non diminuisce punto la stravaganza della risposta del Peripatetico, il quale contro a cos sensata esperienza non produsse altre esperienze o ragioni d'Aristotile, ma la sola autorit ed il puro ipse dixit.

   SIMP. Aristotile non si acquistata s grande autorit se non per la forza delle sue dimostrazioni e della profondit de i suoi discorsi: ma bisogna intenderlo, e non solamente intenderlo, ma aver tanta gran pratica ne' suoi libri, che se ne sia formata un'idea perfettissima, in modo che ogni suo detto vi sia sempre innanzi alla mente; perch e' non ha scritto per il volgo, n si obligato a infilzare i suoi silogismi col metodo triviale ordinato, anzi, servendosi del perturbato, ha messo talvolta la prova di una proposizione fra testi che par che trattino di ogni altra cosa: e per bisogna aver tutta quella grande idea, e saper combinar questo passo con quello, accozzar questo testo con un altro remotissimo; ch' e' non dubbio che chi aver questa pratica, sapr cavar da' suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perch in essi ogni cosa.

   SAGR. Ma, signor Simplicio mio, come l'esser le cose disseminate in qua e in l non vi d fastidio, e che voi crediate con l'accozzamento e con la combinazione di varie particelle trarne il sugo, questo che voi e gli altri filosofi bravi farete con i testi d'Aristotile, far io con i versi di Virgilio o di Ovidio, formandone centoni ed esplicando con quelli tutti gli affari de gli uomini e i segreti della natura. Ma che dico io di Virgilio o di altro poeta? io ho un libretto assai pi breve d'Aristotile e d'Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne pu formare una perfettissima idea: e questo l'alfabeto; e non dubbio che quello che sapr ben accoppiare e ordinare questa e quella vocale con quelle consonanti o con quell'altre, ne caver le risposte verissime a tutti i dubbi e ne trarr gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti, in quella maniera appunto che il pittore da i semplici colori diversi, separatamente posti sopra la tavolozza, va, con l'accozzare un poco di questo con un poco di quello e di quell'altro, figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, pesci, ed in somma imitando tutti gli oggetti visibili, senza che su la tavolozza sieno n occhi n penne n squamme n foglie n sassi: anzi pure necessario che nessuna delle cose da imitarsi o parte alcuna di quelle, sieno attualmente tra i colori, volendo che con essi si possano rappresentare tutte le cose; ch se vi fussero, verbigrazia, penne, queste non servirebbero per dipignere altro che uccelli o pennacchi.

   SALV. E' son vivi e sani alcuni gentil uomini che furon presenti quando un dottor leggente in uno Studio famoso, nel sentir circoscrivere il telescopio, da s non ancor veduto, disse che l'invenzione era presa da Aristotile, e fattosi portare un testo, trov certo luogo dove si rende la ragione onde avvenga che dal fondo d'un pozzo molto cupo si possano di giorno veder le stelle in cielo; e disse a i circostanti: "Eccovi il pozzo, che denota il cannone; eccovi i vapori grossi, da i quali tolta l'invenzione de i cristalli; ed eccovi finalmente fortificata la vista nel passare i raggi per il diafano pi denso e oscuro".

   SAGR. Questo un modo di contener tutti gli scibili assai simile a quello col quale un marmo contiene in s una bellissima, anzi mille bellissime statue, ma il punto sta a saperle scoprire: o vogliam dire che e' sia simile alle profezie di Giovacchino o a' responsi degli oracoli de' gentili, che non s'intendono se non doppo gli eventi delle cose profetizate.

   SALV. E dove lasciate voi le predizioni de' genetliaci, che tanto chiaramente doppo l'esito si veggono nel tema o vogliam dire nella figura celeste?

   SAGR. In questa guisa trovano gli alchimisti, guidati dall'umor melanconico, tutti i pi elevati ingegni del mondo non aver veramente scritto mai d'altro che del modo di far l'oro, ma, per dirlo senza palesarlo al volgo, esser andati ghiribizando chi questa e chi quell'altra maniera di adombrarlo sotto varie coperte: e piacevolissima cosa il sentire i comenti loro sopra i poeti antichi, ritrovando i misteri importantissimi che sotto le favole loro si nascondono, e quello che importino gli amori della Luna, e 'l suo scendere in Terra per Endimione, l'ira sua contro Atteone, e quando Giove si converte in pioggia d'oro, e quando in fiamme ardenti, e quanti gran segreti dell'arte sieno in quel Mercurio interprete, in quei ratti di Plutone, in quei rami d'oro.

   SIMP. Io credo, e in parte so, che non mancano al mondo de' cervelli molto stravaganti, le vanit de' quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d'Aristotile, del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto; e la sola antichit, e 'l gran nome che si acquistato nelle menti di tanti uomini segnalati, dovrebbe bastar a renderlo riguardevole appresso di tutti i letterati.

   SALV. Il fatto non cammina cos, signor Simplicio: sono alcuni suoi seguaci troppo pusillanimi, che danno occasione, o, per dir meglio, che darebbero occasione, di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere alle loro leggereze. E voi, ditemi in grazia, sete cos semplice che non intendiate che quando Aristotile fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor del telescopio, si sarebbe molto pi alterato contro di lui che contro quelli che del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che quando Aristotile vedesse le novit scoperte in cielo, e' non fusse per mutar opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle pi sensate dottrine, discacciando da s quei cos poveretti di cervello che troppo pusillanimamente s'inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile, una mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che, reputando tutti gli altri come pecore stolide, volesse che i suoi decreti fussero anteposti a i sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno data l'autorit ad Aristotile, e non esso che se la sia usurpata o presa; e perch pi facile il coprirsi sotto lo scudo d'un altro che 'l comparire a faccia aperta, temono n si ardiscono d'allontanarsi un sol passo, e pi tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente negar quelle che veggono nel cielo della natura.

   SAGR. Questi tali mi fanno sovvenire di quello scultore, che avendo ridotto un gran pezzo di marmo all'immagine non so se d'un Ercole o di un Giove fulminante, e datogli con mirabile artifizio tanta vivacit e fierezza che moveva spavento a chiunque lo rimirava, esso ancora cominci ad averne paura, se ben tutto lo spirito e la movenza era opera delle sue mani; e 'l terrore era tale, che pi non si sarebbe ardito di affrontarlo con le subbie e 'l mazzuolo.

   SALV. Io mi son pi volte maravigliato come possa esser che questi puntuali mantenitori d'ogni detto d'Aristotile non si accorgano di quanto gran progiudizio e' sieno alla reputazione ed al credito di quello, e quanto, nel volergli accrescere autorit, gliene detraggano; perch, mentre io gli veggo ostinati in voler sostener proposizioni le quali io tocchi con mano esser manifestamente false, ed in volermi persuadere che cos far convenga al vero filosofo e che cos farebbe Aristotile medesimo, molto si diminuisce in me l'opinione che egli abbia rettamente filosofato intorno ad altre conclusioni a me pi recondite: ch quando io gli vedessi cedere e mutare opinione per le verit manifeste, io crederei che in quelle dove e' persistessero, potessero avere salde dimostrazioni, da me non intese o sentite.

   SAGR. O vero, quando gli paresse di metter troppo della lor reputazione e di quella d'Aristotile nel confessar di non aver saputa questa o quella conclusione ritrovata da un altro, non sarebb'ei manco male il ritrovarla tra i suoi testi con l'accozzarne diversi, conforme alla prattica significataci dal signor Simplicio? perch se vi ogni scibile, ben anco forza che vi si possa ritrovare.

   SALV. Signor Sagredo, non vi fate beffe di questo avvedimento, che mi par che lo proponghiate burlando; perch non gran tempo che avendo un filosofo di gran nome composto un libro dell'anima, nel quale, in riferir l'opinione d'Aristotile circa l'esser o non essere immortale, adduceva molti testi, non gi de i citati da Alessandro, perch in quelli diceva che Aristotile non trattava n anco di tal materia, non che determinasse cosa veruna attenente a ci, ma altri da s ritrovati in altri luoghi reconditi, che piegavano al senso pernizioso, e venendo avvisato che egli avrebbe avute delle difficult nel farlo licenziare, riscrisse all'amico che non per restasse di procurarne la spedizione, perch quando non se gli intraversasse altro ostacolo, non aveva difficult niuna circa il mutare la dottrina d'Aristotile, e con altre esposizioni e con altri testi sostener l'opinion contraria, pur conforme alla mente d'Aristotile.

   SAGR. O questo dottor s, che mi pu comandare, che non si vuol lasciar infinocchiar da Aristotile, ma vuol esso menar lui per il naso e farlo dire a suo modo! Vedete quanto importa il saper pigliar il tempo opportuno! Ei non si deve ridurre a negoziar con Ercole mentre imbizarrito e su le furie, ma quando sta favoleggiando tra le meonie ancelle. Ah vilt inaudita d'ingegni servili! farsi spontaneamente mancipio, accettar per inviolabili decreti, obligarsi a chiamarsi persuaso e convinto da argomenti che sono tanto efficaci e chiaramente concludenti, che gli stessi non sanno risolversi s'e' sien pure scritti in quel proposito e se e' servano per provar quella tal conclusione! Ma dichiamo la pazzia maggiore: che tra lor medesimi sono ancor dubbi, se l'istesso autore abbia tenuto la parte affermativa o la negativa. egli questo un far loro oracolo una statua di legno, ed a quella correr per i responsi, quella temere, quella riverire, quella adorare?

   SIMP. Ma quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta nella filosofia? nominate voi qualche autore

   SALV. Ci bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi tale, ben che si resti in casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per iscorta. N perci dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo il vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto e, senza cercarne altra ragione, si debba avere per decreto inviolabile; il che un abuso che si tira dietro un altro disordine estremo, ed che altri non si applica pi a cercar d'intender la forza delle sue dimostrazioni. E qual cosa pi vergognosa che 'l sentir nelle publiche dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili uscir un di traverso con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar la bocca all'avversario? Ma quando pure voi vogliate continuare in questo modo di studiare, deponete il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di memoria; ch non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l'onorato titolo di filosofo. Ma ben ritornare a riva, per non entrare in un pelago infinito, del quale in tutt'oggi non si uscirebbe. Per, signor Simplicio, venite pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con testi e nude autorit, perch i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta. E perch nel discorso di ieri si cav dalle tenebre e si espose al cielo aperto la Terra, mostrando che 'l volerla connumerare tra quelli che noi chiamiamo corpi celesti non era proposizione talmente convinta e prostrata che non gli restasse qualche spirito vitale, sguita che noi andiamo esaminando quello che abbia di probabile il tenerla fissa e del tutto immobile intendendo quanto al suo intero globo, e quanto possa avere di verisimilitudine il farla mobile di alcun movimento, e di quale: e perch in tal quistione io sono ambiguo, ed il signor Simplicio risoluto, insieme con Aristotile, per la parte dell'immobilit, egli di passo in passo andr portando i motivi per la loro opinione, ed io le risposte e gli argomenti per la parte contraria, ed il signor Sagredo dir i moti dell'animo suo ed in qual parte e' si sentir tirare

   SAGR. Io son molto contento, con questo per che a me ancora resti libert di produrre quel che mi dettasse talora il discorso semplice naturale.

   SALV. Anzi di cotesto io in particolare ve ne supplico perch delle considerazioni pi facili e, per cos dire, materiali, credo che poche ne sieno state lasciate indietro da gli scrittori, talch solamente qualcuna delle pi sottili e recondite pu desiderarsi e mancare; e per investigar queste qual altra sottigliezza pu esser pi atta di quella dell'ingegno del signor Sagredo, acutissimo e perspicacissimo?

   SAGR. Io son tutto quel che piace al signor Salviati, ma di grazia non mettiam mano in un'altra sorte di diversioni di cerimonie, perch ora son filosofo, e sono in scuola e non al Broio.

   SALV. Sia dunque il principio della nostra contemplazione il considerare che qualunque moto venga attribuito alla Terra, necessario che a noi, come abitatori di quella ed in conseguenza partecipi del medesimo, ei resti del tutto impercettibile e come s'e' non fusse, mentre che noi riguardiamo solamente alle cose terrestri; ma bene, all'incontro, altrettanto necessario che il medesimo movimento ci si rappresenti comunissimo di tutti gli altri corpi ed oggetti visibili che, essendo separati dalla Terra, mancano di quello. A tal che il vero metodo per investigare se moto alcuno si pu attribuire alla Terra, e, potendosi, quale e' sia, il considerare ed osservare se ne i corpi separati dalla Terra si scorge apparenza alcuna di movimento, il quale egualmente competa a tutti; perch un moto che solamente si scorgesse, verbigrazia, nella Luna, e che non avesse che far niente con Venere o con Giove n con altre stelle, non potrebbe in veruna maniera esser della Terra, n di altri che della Luna. Ora, ci un moto generalissimo e massimo sopra tutti, ed quello per il quale il Sole, la Luna, gli altri pianeti e le stelle fisse, ed in somma l'universo tutto, trattane la sola Terra, ci appariscono unitamente muoversi da oriente verso occidente dentro allo spazio di venti quattr'ore, e questo, in quanto a questa prima apparenza, non ha repugnanza di potere esser tanto della Terra sola, quanto di tutto il resto del mondo, trattone la Terra, imperocch le medesime apparenze si vedrebbero tanto nell'una posizione quanto nell'altra. Quindi che Aristotile e Tolomeo, come quelli che avevano penetrata questa considerazione, nel voler provare la Terra esser immobile, non argumentano contro ad altro movimento che a questo diurno; salvo per che Aristotile tocca un non so che contro ad un altro moto attribuitogli da un antico, del quale parleremo a suo luogo.

   SAGR. Io resto molto ben capace della necessit con la quale conclude il vostro discorso, ma mi nasce un dubbio, del quale non so liberarmi: e questo , che attribuendo il Copernico alla Terra un altro movimento oltre al diurno, il quale, per la regola pur ora dichiarata, dovrebbe restare a noi, quanto all'apparenza, impercettibile nella Terra, ma visibile in tutto il resto del mondo, parmi di poter necessariamente concludere, o che egli abbia manifestamente errato nell'assegnare alla Terra un moto del quale non apparisca in cielo la sua general corrispondenza, o vero che, se la rispondenza vi , altrettanto sia stato manchevole Tolomeo a non reprovar questo, s come reprov l'altro.

   SALV. Molto ragionevolmente avete dubitato, e quando verremo a trattare dell'altro movimento, vedrete di quanto intervallo abbia il Copernico superato di accortezza e perspicacit d'ingegno Tolomeo, mentre egli ha veduto quello che esso non vedde, dico la mirabil corrispondenza con la quale tal movimento si reflette in tutto il resto de i corpi celesti. Ma per ora sospendiamo questa parte e torniamo alla prima considerazione; intorno alla quale andr proponendo, cominciandomi dalle cose pi generali, quelle ragioni che par che favoriscano la mobilit della Terra, per sentir poi dal signor Simplicio le repugnanti. E prima, se noi considereremo solamente la mole immensa della sfera stellata in comparazione della piccolezza del globo terrestre, contenuto da quella per tanti milioni di volte, e pi penseremo alla velocit del moto che deve in un giorno e in una notte fare una intera conversione, io non mi posso persuadere che trovar si potesse alcuno che avesse per cosa pi ragionevole e credibile che la sfera celeste fusse quella che desse la volta, ed il globo terrestre restasse fermo.

   SAGR. Se per tutta l'universit degli effetti che possono aver in natura dependenza da movimenti tali, seguissero indifferentemente tutte le medesime conseguenze a capello tanto dall'una posizione quanto dall'altra, io, quanto alla mia prima e generale apprensione, stimerei che colui che reputasse pi ragionevole il far muover tutto l'universo, per ritener ferma la Terra, fusse pi irragionevole di quello che, sendo salito in cima della vostra Cupola non per altro che per dare una vista alla citt ed al suo contado, domandasse che se gli facesse girare intorno tutto il paese, acci non avesse egli ad aver la fatica di volger la testa: e ben vorrebbero esser molte e grandi le comodit che si traesser da quella posizione e non da questa, che pareggiassero nel mio concetto e superasser questo assurdo, s che mi rendesser pi credibile quella che questa. Ma forse Aristotile, Tolomeo e il signor Simplicio ci devono trovare i lor vantaggi, li quali sar bene che sien proposti a noi ancora, se vi sono, o mi sia dichiarato come e' non vi sieno n possano essere.

   SALV. Io s come, per molto che ci abbia pensato, non ho potuto trovar diversit alcuna, cos mi par d'aver trovato che diversit alcuna non vi possa essere; onde io stimo il pi cercarla esser in vano. Per notate: il moto in tanto moto, e come moto opera, in quanto ha relazione a cose che di esso mancano; ma tra le cose che tutte ne participano egualmente, niente opera ed come s'e' non fusse: e cos le mercanzie delle quali carica la nave, in tanto si muovono, in quanto, lasciando Venezia, passano per Corf, per Candia, per Cipro, e vanno in Aleppo, li quali Venezia, Corf, Candia etc. restano, n si muovono con la nave, ma per le balle, casse ed altri colli, de' quali carica e stivata la nave, e rispetto alla nave medesima, il moto da Venezia in Sora come nullo, e niente altera la relazione che tra di loro, e questo, perch comune a tutti ed egualmente da tutti participato; e quando delle robe che sono in nave una balla si sia discostata da una cassa un sol dito, questo solo sar stato per lei movimento maggiore, in relazione alla cassa che 'l viaggio di dua mila miglia fatto da loro di conserva.

   SIMP. Questa dottrina buona, soda e tutta peripatetica.

   SALV. Io l'ho per pi antica; e dubito che Aristotile, nel pigliarla da qualche buona scuola, non la penetrasse interamente, e che per, avendola scritta alterata, sia stato causa di confusione, mediante quelli che voglion sostenere ogni suo detto: e quando egli scrisse che tutto quel che si muove, si muove sopra qualche cosa immobile, dubito che equivocasse dal dire che tutto quel che si muove, si muove rispetto a qualche cosa immobile, la qual proposizione non patisce difficult veruna, e l'altra ne ha molte.

   SAGR. Di grazia, non rompiamo il filo, e seguite avanti il discorso incominciato.

   SALV. Essendo dunque manifesto che il moto il quale sia comune a molti mobili, ozioso e come nullo in quanto alla relazione di essi mobili tra di loro, poich tra di essi niente si muta, e solamente operativo nella relazione che hanno essi mobili con altri che manchino di quel moto, tra i quali si muta abitudine; ed avendo noi diviso l'universo in due parti, una delle quali necessariamente mobile e l'altra immobile; per tutto quello che possa depender da cotal movimento, tanto far muover la Terra sola quanto tutto 'l resto del mondo, poich l'operazione di tal moto non in altro che nella relazione che cade tra i corpi celesti e la Terra, la qual sola relazione quella che si muta. Ora, se per conseguire il medesimo effetto ad unguem tanto fa se la sola Terra si muova, cessando tutto il resto dell'universo, che se, restando ferma la Terra sola, tutto l'universo si muova di un istesso moto, chi vorr credere che la natura (che pur, per comun consenso, non opera con l'intervento di molte cose quel che si pu fare col mezo di poche) abbia eletto di far muovere un numero immenso di corpi vastissimi, e con una velocit inestimabile, per conseguir quello che col movimento mediocre di un solo intorno al suo proprio centro poteva ottenersi?

   SIMP. Io non bene intendo come questo grandissimo moto sia come nullo per il Sole, per la Luna per gli altri pianeti e per l'innumerabile schiera delle stelle fisse. E come direte voi esser nulla il passare il Sole da un meridiano all'altro, alzarsi sopra questo orizonte, abbassarsi sotto quello, arrecare ora il giorno ora la notte, simili variazioni far la Luna e gli altri pianeti e le stelle fisse ancora?

   SALV. Tutte coteste variazioni raccontate da voi non son nulla, se non in relazion alla Terra. E che ci sia vero, rimovete con l'immaginazione la Terra: non resta pi al mondo n nascere n tramontar di Sole o di Luna, n orizonti n meridiani, n giorni n notti, n in somma per tal movimento nasce mai mutazione alcuna tra la Luna e 'l Sole o altre qualsivoglino stelle, sian fisse o erranti; ma tutte le mutazioni hanno relazione alla Terra; le quali tutte in somma non importano poi altro che 'l mostrare il Sole ora alla Cina, poi alla Persia, dopo all'Egitto, alla Grecia, alla Francia, alla Spagna, all'America etc., e far l'istesso della Luna e del resto de i corpi celesti, la qual fattura segue puntualmente nel modo medesimo se, senza imbrigar s gran parte dell'universo, si faccia rigirare in se stesso il globo terrestre. Ma raddoppiamo la difficolt con un'altra grandissima: la qua le , che quando si attribuisca questo gran moto al cielo, bisogna di necessit farlo contrario a i moti particolari di tutti gli orbi de i pianeti, de i quali ciascheduno senza controversia ha il movimento suo proprio da occidente verso oriente, e questo assai piacevole e moderato, e convien poi fargli rapire in contrario, cio da oriente in occidente, da questo rapidissimo moto diurno; dove che, facendosi muover la Terra in se stessa, si leva la contrariet de' moti, ed il solo movimento da occidente in oriente si accomoda a tutte le apparenze e sodisf a tutte compiutamente.

   SIMP. Quanto alla contrariet de i moti, importerebbe poco perch Aristotile dimostra che i moti circolari non son contrarii fra di loro, e che la loro non si pu chiamar vera contrariet.

   SALV. Lo dimostra Aristotile, o pur lo dice solamente perch cos compliva a certo suo disegno? Se contrarii son quelli, come egli stesso afferma, che scambievolmente si destruggono, io non so vedere come due mobili che s'incontrino sopra una linea circolare, si abbiano a offender meno che incontrandosi sopra una linea retta.

   SAGR. Di grazia, fermate un poco. Ditemi, signor Simplicio, quando due cavalieri si incontrano giostrando a campo aperto, o pure quando due squadre intere o due armate in mare si vanno ad investire e si rompono e si sommergono, chiameresti voi cotali incontri contrarii tra di loro?

   SIMP. Diciamoli contrarii.

   SAGR. Come dunque ne i moti circolari non contrariet? Questi, essendo fatti sopra la superficie della terra o dell'acqua, che sono, come voi sapete, sferiche, vengono ad esser circolari. Sapete voi, signor Simplicio, quali sono i moti circolari che non son tra loro contrarii? son quelli di due cerchi che si toccano per di fuora, che, girandone uno, fa naturalmente muover l'altro diversamente; ma se uno sar dentro all'altro, impossibil che i moti loro fatti in diverse parti non si contrastino l'un l'altro.

   SALV. Ma contrarii o non contrarii, queste sono altercazioni di parole; ed io so che in fatti molto pi semplice e natural cosa il poter salvare il tutto con un movimento solo, che l'introdurne due, se non volete chiamarli contrarii, ditegli opposti: n io vi porgo questa introduzione per impossibile, n pretendo di trar da essa una dimostrazione necessaria, ma solo una maggior probabilit. Si rinterza l'inverisimile col disordinare sproporzionatissimamente l'ordine che noi veggiamo sicuramente esser tra quei corpi celesti la circolazion de' quali non dubbia, ma certissima. E l'ordine , che secondo che un orbe maggiore, finisce il suo rivolgimento in tempo pi lungo, ed i minori in pi breve: e cos Saturno, descrivendo un cerchio maggior di tutti gli altri pianeti, lo complisce in trent'anni; Giove si rivolge nel suo minore in anni dodici, Marte in dua; la Luna passa il suo, tanto pi piccolo, in un sol mese; e non men sensibilmente vediamo, delle Stelle Medicee la pi vicina a Giove far il suo rivolgimento in brevissimo tempo, cio in ore quarantadua in circa, la seguente in tre giorni e mezo, la terza in giorni sette, e la pi remota in sedici: e questo tenore assai concorde non punto verr alterato mentre si faccia che il movimento delle ventiquattr'ore sia del globo terrestre in se stesso; che, quando si voglia ritener la Terra immobile, necessario, dopo l'esser passati dal periodo brevissimo della Luna a gli altri conseguentemente maggiori, fino a quel di Marte in due anni, e di l a quel della maggiore sfera di Giove in anni dodici, e da questa all'altra maggiore di Saturno, il cui periodo di trent'anni, necessario, dico, trapassare ad un'altra sfera incomparabilmente maggiore, e farla finire un'intera revoluzione in vintiquattr'ore. E questo poi il minimo disordinamento che si possa introdurre, perch se altri volesse dalla sfera di Saturno passare alla stellata, e farla tanto pi grande di quella di Saturno, quanto a proporzione converrebbe rispetto al suo movimento tardissimo di molte migliaia d'anni, bisognerebbe con molto pi sproporzionato salto trapassar da questa ad un'altra maggiore, e farla convertibile in ventiquattr'ore. Ma dandosi la mobilit alla Terra, l'ordine de' periodi vien benissimo osservato, e dalla sfera pigrissima di Saturno si trapassa alle stelle fisse, del tutto immobili, e viensi a sfuggire una quarta difficolt, la qual bisogna necessariamente ammettere quando la sfera stellata si faccia mobile; e questa la disparit immensa tra i moti di esse stelle, delle quali altre verranno a muoversi velocissimamente in cerchi vastissimi, altre lentissimamente in cerchi piccolissimi, secondo che queste e quelle si troveranno pi o meno vicine a i poli; che pure ha dell'inconveniente, s perch noi veggiamo quelle, del moto delle quali non si dubita, muoversi tutte in cerchi massimi, s ancora perch pare con non buona determinazione fatto il constituir corpi, che s'abbiano a muover circolarmente, in distanze immense dal centro, e fargli poi muovere in cerchi piccolissimi. E non pure le grandezze de i cerchi ed in conseguenza le velocit de i moti di queste stelle saranno diversissimi da i cerchi e moti di quell'altre, ma le medesime stelle andranno variando suoi cerchi e sue velocit (e sar il quinto inconveniente), avvengach quelle che due mil'anni fa erano nell'equinoziale, ed in conseguenza descrivevano col moto cerchi massimi, trovandosene a i tempi nostri lontane per molti gradi, bisogna che siano fatte pi tarde di moto e ridottesi a muoversi in minori cerchi; e non lontano dal poter accader che venga tempo nel quale alcuna di loro, che per l'addietro si sia mossa sempre, si riduca, congiugnendosi col polo, a star ferma, e poi ancora, dopo la quiete di qualche tempo, torni a muoversi: dove che l'altre stelle, che si muovono sicuramente, tutte descrivono, come si detto, il cerchio massimo dell'orbe loro, ed in quello immutabilmente si mantengono. Accresce l'inverisimile (e sia il sesto inconveniente), a chi pi saldamente discorre, l'essere inescogitabile qual deva esser la solidit di quella vastissima sfera, nella cui profondit sieno cos tenacemente saldate tante stelle, che senza punto variar sito tra loro, concordemente vengono con s gran disparit di moti portate in volta: o se pure il cielo fluido, come assai pi ragionevolmente convien credere, s che ogni stella per se stessa per quello vadia vagando, qual legge regoler i moti loro ed a che fine, per far che, rimirati dalla Terra, appariscano come fatti da una sola sfera? A me pare che per conseguir ci, sia tanto pi agevole ed accomodata maniera il costituirle immobili che 'l farle vaganti, quanto pi facilmente si tengono a segno molte pietre murate in una piazza, che le schiere de' fanciulli che sopra vi corrono. E finalmente, per la settima instanza, se noi attribuiamo la conversion diurna al cielo altissimo, bisogna farla di tanta forza e virt, che seco porti l'innumerabil moltitudine delle stelle fisse, corpi tutti vastissimi e maggiori assai della Terra, e di pi tutte le sfere de i pianeti, ancorch e questi e quelle per lor natura si muovano in contrario; ed oltre a questo forza concedere che anco l'elemento del fuoco e la maggior parte dell'aria siano parimente rapiti e che il solo piccol globo della Terra resti contumace e renitente a tanta virt: cosa che a me pare che abbia molto del difficile, n saprei intender come la Terra, corpo pensile e librato sopra 'l suo centro, indifferente al moto ed alla quiete, posto e circondato da un ambiente liquido, non dovesse cedere ella ancora ed esser portata in volta. Ma tali intoppi non troviamo noi nel far muover la Terra, corpo minimo ed insensibile in comparazione dell'universo, e perci inabile al fargli violenza alcuna.

   SAGR. Io mi sento raggirar per la fantasia alcuni concetti, cos in confuso destatimi da i discorsi fatti; che s'io voglio potermi con attenzione applicar alle cose da dirsi, forza ch'io vegga se mi succedesse meglio ordinargli e trarne quel costrutto che vi , se per ve ne sar alcuno: e per avventura il procedere per interrogazioni mi aiuter a pi agevolmente spiegarmi. Per domando al signor Simplicio, prima, se e' crede che al medesimo corpo semplice mobile possano naturalmente competere diversi movimenti, o pure che un solo convenga, che sia il suo proprio e naturale.

   SIMP. D'un mobile semplice un solo, e non pi, pu essere il moto che gli convenga naturalmente, e gli altri tutti per accidente e per participazione; in quel modo che a colui che passeggia per la nave, suo moto proprio quello del passeggio, e per participazione quello che lo conduce in porto, dove egli mai col passeggio non sarebbe arrivato, se la nave col moto suo non ve l'avesse condotto.

   SAGR. Ditemi, secondariamente: quel movimento che per participazione vien comunicato a qualche mobile, mentre egli per se stesso si muove di altro moto diverso dal participato, egli necessario che risegga in qualche suggetto per se stesso, o pur pu esser anco in natura senz'altro appoggio?

   SIMP. Aristotile vi risponde a tutte queste domande, e vi dice che s come d'un mobile uno il moto, cos di un moto uno il mobile, ed in conseguenza che senza l'inerenza del suo suggetto non pu n essere n anco immaginarsi alcun movimento.

   SAGR. Io vorrei che voi mi diceste, nel terzo luogo, se voi credete che la Luna e gli altri pianeti e corpi celesti abbiano lor movimenti proprii, e quali e' siano.

   SIMP. Hannogli, e son quelli secondo i quali e' vanno scorrendo il zodiaco: la Luna in un mese, il Sole in un anno Marte in dua, la sfera stellata in quelle tante migliaia; e questi sono i moti loro proprii e naturali.

   SAGR. Ma quel moto col quale io veggo le stelle fisse, e con esse tutti i pianeti, andare unitamente da levante a ponente e ritornare in oriente in ventiquattr'ore, in che modo gli compete?

   SIMP. Hannolo per participazione.

   SAGR. Questo dunque non risiede in loro; e non risedendo in loro, n potendo esser senza qualche suggetto nel qua le e' risegga, forza farlo proprio e naturale di qualche altra sfera.

   SIMP. Per questo rispetto hanno ritrovata gli astronomi ed i filosofi un'altra sfera altissima senza stelle, alla quale naturalmente compete la conversion diurna, e questa hanno chiamata il primo mobile, il quale poi rapisce seco tutte le sfere inferiori, contribuendo e participando loro il movimento suo.

   SAGR. Ma quando, senza introdurr'altre sfere incognite e vastissime, senza altri movimenti o rapimenti participati, col lasciare a ciascheduna sfera il suo solo e semplice movimento, senza mescolar movimenti contrarii, ma fargli tutti per il medesimo verso, come necessario ch'e' sieno dependendo tutti da un sol principio, tutte le cose caminano e rispondono con perfettissima armonia, perch rifiutar questo partito, e dar assenso a quelle cos strane e laboriose condizioni?

   SIMP. Il punto sta in trovar questo modo cos semplice e spedito.

   SAGR. Il modo mi par bell'e trovato. Fate che la Terra sia il primo mobile, cio fatela rivolgere in se stessa in ventiquattr'ore e per il medesimo verso che tutte le altre sfere, che senza participar tal moto a nessun altro pianeta o stelle, tutte avranno i lor orti, occasi ed in somma tutte l'altre apparenze.

   SIMP. L'importanza il poterla muovere senza mille inconvenienti.

   SALV. Tutti gli inconvenienti si torranno via secondo che voi gli andrete proponendo: e le cose dette sin qui sono solamente i primi e pi generali motivi per i quali par che si renda non del tutto improbabile che la diurna conversione sia pi tosto della Terra che di tutto 'l resto dell'universo; li quali io non vi porto come leggi infrangibili, ma come motivi che abbiano qualche apparenza. E perch benissimo intendo che una sola esperienza o concludente dimostrazione che si avesse in contrario, basta a battere in terra questi ed altri centomila argomenti probabili, per non bisogna fermarsi qui, ma procedere avanti e sentire quel che risponde il signor Simplicio, e quali migliori probabilit o pi ferme ragioni egli adduce in contrario.

   SIMP. Io dir prima alcuna cosa in generale sopra tutte queste considerazioni insieme, poi verr a qualche particolare. Parmi che universalmente voi vi fondiate su la maggior semplicit e facilit di produrre i medesimi effetti, mentre stimate che quanto al causargli tanto sia il muover la Terra sola quanto tutto 'l resto del mondo, trattone la Terra, ma quanto all'operazione voi reputate molto pi facile quella che questa. Al che io vi rispondo che a me ancora par l'istesso, mentre io riguardo alla forza mia, non pur finita, ma debolissima; ma rispetto alla virt del Motore, che infinita, non meno agevole il muover l'universo, che la Terra e che una paglia. E se la virt infinita, perch non se ne deve egli esercitare pi tosto una gran parte che una minima? Per tanto parmi che il discorso in generale non sia efficace.

   SALV. Se io avessi mai detto che l'universo non si muove por mancamento di virt del Motore, io avrei errato, e la vostra correzzione sarebbe oportuna; e vi concedo che a una potenza infinita tanto facile il muover centomila, quanto uno. Ma quello che ho detto io non ha riguardo al Motore, ma solamente a i mobili, ed in essi non solo alla loro resistenza, la quale non dubbio esser minore nella Terra che nell'universo, ma a i molti altri particolari pur ora considerati. Al dir poi che d'una virt infinita sia meglio esercitarne una gran parte che una minima, vi rispondo che dell'infinito una parte non maggior dell'altra, quando amendue sien finite; n si pu dire che del numero infinito il centomila sia parte maggiore che 'l due, se ben quello cinquantamila volte maggior di questo; e quando per muover l'universo ci voglia una virt finita, bench grandissima in comparazione di quella che basterebbe per muover la Terra sola, non per se n'impiegherebbe maggior parte dell'infinita, n minore sarebbe che infinita quella che resterebbe oziosa; talch l'applicar per un effetto particolare un poco pi o un poco meno virt non importa niente: oltre che l'operazione di tal virt non ha per termine e fine il solo movimento diurno, ma sono al mondo altri movimenti assai che noi sappiamo, e molti altri pi ve ne posson essere incogniti a noi. Avendo dunque riguardo a i mobili, e non si dubitando che operazione pi breve e spedita il muover la Terra che l'universo, e di pi avendo l'occhio alle tante altre abbreviazioni ed agevolezze che con questo solo si conseguiscono, un verissimo assioma d'Aristotile che c'insegna che frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora ci rende pi probabile, il moto diurno esser della Terra sola, che dell'universo trattone la Terra.

   SIMP. Voi nei referir l'assioma avete lasciato una clausola che importa il tutto, e massime nel presente proposito. La particola lasciata un que bene; bisogna dunque esaminare se si possa egualmente bene sodisfare al tutto con questo e con quello assunto.

   SALV. Il vedere se l'una e l'altra posizione sodisfaccia egualmente bene, si comprender da gli esami particolari dell'apparenze alle quali si ha da sodisfare, perch sin ora si discorso, e si discorrer, ex hypothesi, supponendo che quanto al sodisfare all'apparenze amendue le posizioni sieno egualmente accomodate. La particola poi, che voi dite essere stata lasciata da me, ho pi tosto sospetto che sia superfluamente aggiunta da voi: perch il dire "egualmente bene" una relazione, la quale necessariamente ricerca due termini almeno, non potendo una cosa aver relazione a se stessa, e dirsi, verbigrazia, la quiete esser egualmente buona come la quiete, e perch quando si dice "invano si fa con pi mezi quello che si pu fare con manco mezi", s'intende che quel che si ha da fare deva esser la medesima cosa, e non due cose differenti, e perch la medesima cosa non pu dirsi egualmente ben fatta come se medesima, adunque l'aggiunta della particola "egualmente bene" superflua ed una relazione che ha un termine solo.

   SAGR. Se noi non vogliamo che ci intervenga come ieri, ritornisi, di grazia, nella materia, ed il signor Simplicio cominci a produr quelle difficult che gli paiono contrarianti a questa nuova disposizione del mondo.

   SIMP. La disposizione non nuova, anzi antichissima, e che ci sia vero, Aristotile la confuta, e le sue confutazioni son queste. "Prima, se la Terra si movesse o in se stessa, stando nel centro, o in cerchio, essendo fuor del centro, necessario che violentemente ella si movesse di tal moto, imper che e' non suo naturale; ch s'e' fusse suo, l'avrebbe ancora ogni sua particella; ma ognuna di loro si muove per linea retta al centro: essendo dunque violento e preternaturale, non potrebbe essere sempiterno: ma l'ordine del mondo sempiterno: adunque etc. Secondariamente, tutti gli altri mobili di moto circolare par che restino indietro e si muovano di pi di un moto, trattone per il primo mobile: per lo che sarebbe necessario che la Terra ancora si movesse di due moti; e quando ci fosse, bisognerebbe di necessit che si facessero mutazioni nelle stelle fisse: il che non si vede, anzi senza variazione alcuna le medesime stelle nascono sempre da i medesimi luoghi, e ne i medesimi tramontano. Terzo, il moto delle parti e del tutto naturalmente al centro dell'universo, e per questo ancora in esso si sta. Muove poi la dubitazione se il moto delle parti per andare naturalmente al centro dell'universo, o pure al centro della Terra; e conclude, esser suo instinto proprio di andare al centro dell'universo, e per accidente al centro della Terra: del qual dubbio si discorse ieri a lungo. Conferma finalmente l'istesso col quarto argomento preso dall'esperienza de' gravi, li quali, cadendo da alto a baso, vengono a perpendicolo sopra la superficie della Terra; e medesimamente i proietti tirati a perpendicolo in alto, a perpendicolo per le medesime linee ritornano a basso, quanto bene fussero stati tirati in immensa altezza: argomenti necessariamente concludenti, il moto loro esser al centro della Terra, che senza punto muoversi gli aspetta e riceve. Accenna poi in ultimo, esser da gli astronomi prodotte altre ragioni in confermazione dell'istesse conclusioni, dico dell'esser la Terra nel centro dell'universo ed immobile; ed una sola ne produce, che il risponder tutte le apparenze, che si veggono ne' movimenti delle stelle, alla posizione di essa Terra nel centro, la qual rispondenza non avrebbe quando ella non vi fusse". Le altre, prodotte da Tolomeo e da altri astronomi, le potr arrecare ora, se cos vi piace, o dopo che arete detto quanto vi occorre in risposta di queste di Aristotile.

   SALV. Gli argumenti che si producono in questa materia, son di due generi: altri hanno riguardo a gli accidenti terrestri, senza relazione alcuna alle stelle, ed altri si cavano dalle apparenze ed osservazioni delle cose celesti. Gli argomenti d'Aristotile son per lo pi cavati dalle cose intorno a noi, e lascia gli altri alli astronomi; per sar bene, se cos vi pare, esaminar questi presi dalle esperienze di Terra, e poi verremo all'altro genere. E perch da Tolomeo, da Ticone e da altri astronomi e filosofi, oltre a gli argomenti d'Aristotile, presi, confermati e fortificati da loro, ne son prodotti de gli altri, si potranno unir tutti insieme, per non aver poi a replicar le medesime o simili risposte due volte. Per, signor Simplicio, o vogliate referirgli voi, o vogliate ch'io vi levi questa briga, son per compiacervi.

   SIMP. Sar meglio che voi gli portiate, che, per averci fatto maggiore studio, gli arete pi in pronto, ed anco in maggior numero.

   SALV. Per la pi gagliarda ragione si produce da tutti quella de i corpi gravi, che cadendo da alto a basso vengono per una linea retta e perpendicolare alla superficie della Terra; argomento stimato irrefragabile, che la Terra stia immobile: perch, quando ella avesse la conversion diurna, una torre dalla sommit della quale si lasciasse cadere un sasso, venendo portata dalla vertigine della Terra, nel tempo che 'l sasso consuma nel suo cadere, scorrerebbe molte centinaia di braccia verso oriente, e per tanto spazio dovrebbe il sasso percuotere in terra lontano dalla radice della torre. Il quale effetto confermano con un'altra esperienza, cio col lasciar cadere una palla di piombo dalla cima dell'albero di una nave che stia ferma, notando il segno dove ella batte che vicino al pi dell'albero; ma se dal medesimo luogo si lascer cadere la medesima palla quando la nave cammini, la sua percossa sar lontana dall'altra per tanto spazio quanto la nave sar scorsa innanzi nel tempo della caduta del piombo, e questo non per altro se non perch il movimento naturale della palla posta in sua libert per linea retta verso 'l centro della Terra. Fortificasi tal argomento con l'esperienza d'un proietto tirato in alto per grandissima distanza, qual sarebbe una palla cacciata da una artiglieria drizzata a perpendicolo sopra l'orizonte, la quale nella salita e nel ritorno consuma tanto tempo, che nel nostro parallelo l'artiglieria e noi insieme saremmo per molte miglia portati dalla Terra verso levante, talch la palla, cadendo, non potrebbe mai tornare appresso al pezzo, ma tanto lontana verso occidente quanto la Terra fosse scorsa avanti. Aggiungono di pi la terza e molto efficace esperienza, che : tirandosi con una colubrina una palla di volata verso levante, e poi un'altra con egual carica ed alla medesima elevazione verso ponente, il tiro verso ponente riuscirebbe estremamente maggiore dell'altro verso levante; imperocch mentre la palla va verso occidente, e l'artiglieria, portata dalla Terra, verso oriente, la palla verrebbe a percuotere in terra lontana dall'artiglieria tanto spazio quanto l'aggregato de' due viaggi, uno fatto da s verso occidente, e l'altro dal pezzo, portato dalla Terra, verso levante; e per l'opposito, del viaggio fatto dalla palla tirata verso levante bisognerebbe detrarne quello che avesse fatto l'artiglieria seguendola: posto dunque, per esempio, che 'l viaggio della palla per se stesso fosse cinque miglia, e che la Terra in quel tal parallelo nel tempo della volata della palla scorresse tre miglia, nel tiro di ponente la palla cadrebbe in terra otto miglia lontana dal pezzo, cio le sue cinque verso ponente e le tre del pezzo verso levante; ma il tiro d'oriente non riuscirebbe pi lungo di due miglia, ch tanto resta detratto dalle cinque del tiro le tre del moto del pezzo verso la medesima parte: ma l'esperienza mostra i tiri essere eguali; adunque l'artiglieria sta immobile, e per conseguenza la Terra ancora. Ma non meno di questi, i tiri altres verso mezo giorno o verso tramontana confermano la stabilit della Terra: imperocch mai non si correbbe nel segno che altri avesse tolto di mira, ma sempre sarebbero i tiri costieri verso ponente, per lo scorrere che farebbe il bersaglio, portato dalla Terra, verso levante, mentre la palla per aria. E non solo i tiri per le linee meridiane, ma n anco i fatti verso oriente o verso occidente riuscirebber giusti, ma gli orientali riuscirebbero alti, e gli occidentali bassi, tuttavolta che si tirasse di punto in bianco; perch sendo il viaggio della palla in amendue i tiri fatto per la tangente, cio per una linea parallela all'orizonte, ed essendo che al moto diurno, quando sia della Terra, l'orizonte si va sempre abbassando verso levante ed alzandosi da ponente (che per ci appariscono le stelle orientali alzarsi, e le occidentali abbassarsi), adunque il bersaglio orientale s'andrebbe abbassando sotto il tiro, onde il tiro riuscirebbe alto, e l'alzamento del bersaglio occidentale renderebbe basso il tiro verso occidente. Talch mai non si potrebbe verso nissuna parte tirar giusto: e perch l'esperienza in contrario, forza dire che la Terra sta immobile.

   SIMP. Oh queste son ben ragioni, alle quali impossibile trovar risposta che vaglia.

   SALV. Vi giungono forse nuove?

   SIMP. Veramente s. Ed ora veggo con quante belle esperienze la natura ci voluta esser cortese per aiutarci a venire in cognizione del vero. Oh come bene una verit si accorda con l'altra, e tutte conspirano al rendersi inespugnabili!

   SAGR. Che peccato che l'artiglierie non fussero al tempo di Aristotile! Avrebbe ben egli con esse espugnata l'ignoranza, e parlato senza punto titubare delle cose del mondo.

   SALV. Ho avuto molto caro che queste ragioni vi sien giunte nuove, acci che voi non restiate nell'opinione della maggior parte de i Peripatetici, che credono che se alcuno si parte dalla dottrina d'Aristotile, ci avvenga da non avere intese n penetrate ben le sue dimostrazioni. Ma voi sentirete sicuramente dell'altre novit, e sentirete da questi seguaci del nuovo sistema produr contro a se stessi osservazioni, esperienze e ragioni di forza assai maggiore che le prodotte da Aristotile e Tolomeo o da altri oppugnatori delle medesime conclusioni, e cos verrete a certificarvi che non per ignoranza o inesperienza si sono indotti a seguir tale opinione.

   SAGR. Egli forza che con questa occasione io vi racconti alcuni accidenti occorsimi da poi in qua ch'io cominciai a sentir parlare di questa opinione. Essendo assai giovanetto che appena avevo finito il corso della filosofia, tralasciato poi per essermi applicato ad altre occupazioni, occorse che certo oltramontano di Rostochio, e credo che 'l suo nome fosse Cristiano Vurstisio, seguace dell'opinione del Copernico, capit in queste bande, ed in una Accademia fece dua o ver tre lezzioni in questa materia, con concorso di uditori, e credo pi per la novit del suggetto che per altro: io per non v'intervenni, avendo fatta una fissa impressione che tale opinione non potesse essere altro che una solenne pazzia. Interrogati poi alcuni che vi erano stati, sentii tutti burlarsene, eccettuatone uno che mi disse che 'l negozio non era ridicolo del tutto; e perch questo era reputato da me per uomo intelligente assai e molto circospetto, pentitomi di non vi essere andato, cominciai da quel tempo in qua, secondo che m'incontravo in alcuno che tenesse l'opinione Copernicana, a domandarlo se egli era stato sempre dell'istesso parere; n per molti ch'io n'abbia interrogati, ho trovato pur un solo che non m'abbia detto d'essere stato lungo tempo dell'opinion contraria, ma esser passato in questa mosso dalla forza delle ragioni che la persuadono: esaminatigli poi ad uno ad uno, per veder quanto bene e' possedesser le ragioni dell'altra parte, gli ho trovati tutti averle prontissime, tal che non ho potuto veramente dire che per ignoranza o per vanit o per far, come si dice, il bello spirito si sieno gettati in questa opinione. All'incontro, di quanti io abbia interrogati de i Peripatetici e Tolemaici (che per curiosit ne ho interrogati molti), quale studio abbiano fatto nel libro del Copernico, ho trovato pochissimi che appena l'abbiano veduto, ma di quelli ch'io creda che l'abbiano inteso, nessuno: e de i seguaci pur della dottrina peripatetica ho cercato d'intendere se mai alcuno di loro ha tenuto l'altra opinione, e parimente non ne ho trovato alcuno. L onde, considerando io come nessun che segua l'opinion del Copernico, che non sia stato prima della contraria e che non sia benissimo informato delle ragioni di Aristotile e di Tolomeo, e che all'incontro nissuno de' seguaci di Tolomeo e d'Aristotile, che sia stato per addietro dell'opinione del Copernico e quella abbia lasciata per venire in quella d'Aristotile, considerando, dico, queste cose, cominciai a credere che uno che lascia un'opinione imbevuta col latte e seguita da infiniti, per venire in un'altra da pochissimi seguita, e negata da tutte le scuole e che veramente sembra un paradosso grandissimo, bisognasse per necessit che fusse mosso, per non dir forzato, da ragioni pi efficaci. Per questo son io divenuto curiosissimo di toccar, come si dice, il fondo di questo negozio, e reputo a mia gran ventura l'incontro di amendue voi, da i quali io possa senza veruna fatica sentir tutto quel ch' stato detto, e forse che si pu dire, in questa materia, sicuro di dover esser, in virt de' vostri ragionamenti, cavato di dubbio e posto in istato di certezza.

   SIMP. Ma purch l'opinione e la speranza non vi vadia fallita, e che in ultimo non vi troviate pi confuso che prima.

   SAGR. Mi par d'esser sicuro che cotesto non possa intervenire in veruna maniera.

   SIMP. E perch no? Io son buon testimonio a me medesimo, che quanto pi si va avanti, pi mi confondo.

   SAGR. Cotesto indizio che quelle ragioni che sin qui vi erano parse concludenti, e vi tenevano sicuro della verit della vostra opinione, cominciano a mutare aspetto nella vostra mente ed a lasciarvi pian piano, se non passare, almeno inclinare verso la contraria. Ma io, che sono, e sono stato sin ora, indifferente, confido grandemente d'avermi a ridurre in quiete e in sicurezza; e voi stesso non me lo negherete, se volete sentir qual cosa mi persuada a cos sperare.

   SIMP. La sentir volentieri, e non men grato mi sarebbe che in me operasse il medesimo effetto.

   SAGR. Favoritemi dunque di rispondere alle mie interrogazioni. E prima, ditemi, signor Simplicio: non la conclusione della quale noi cerchiamo la cognizione, se si deva tener, con Aristotile e Tolomeo, che stando ferma la Terra sola nel centro dell'universo, i corpi celesti si muovano tutti o pur se, stando ferma la sfera stellata ed il Sole nel centro, la terra ne sia fuori, e siano suoi quei movimenti che ci appariscono esser del Sole e delle stelle fisse?

   SIMP. Queste son le conclusioni delle quali si disputa.

   SAGR. Queste due conclusioni non son ellen tali, che per necessit bisogna che una sia vera e l'altra falsa?

   SIMP. Cos : noi siamo in un dilemma, una parte del quale bisogna per necessit che sia vera, e l'altra falsa; perch tra 'l moto e la quiete, che son contradittorii, non si d un terzo, s che si possa dire: "La Terra non si muove, e non sta ferma; il Sole e le stelle non si muovono, n stanno ferme".

   SAGR. La Terra, il Sole e le stelle che cosa sono in natura? son cose minime, o pur considerabili?

   SIMP. Son corpi principalissimi, nobilissimi, integranti dell'universo vastissimi, considerabilissimi.

   SAGR. E 'l moto e la quiete quali accidenti sono in natura?

   SIMP. Tanto grandi e principali, che la natura stessa per quelli si definisce.

   SAGR. Talch il muoversi eternamente e l'esser del tutto immobile sono due condizioni molto considerabili in natura ed indicanti grandissima diversit, e massime attribuite a corpi principalissimi dell'universo, in conseguenza delle quali non posson venire se non eventi dissimilissimi.

   SIMP. Cos sicuramente.

   SAGR. Or rispondetemi ad un altro punto. Credete voi che in dialettica, in rettorica, in fisica, in metafisica, in matematica, e finalmente nell'universit de' discorsi, sieno argomenti potenti a persuadere e dimostrare altrui non meno le conclusioni false che le vere?

   SIMP. Signor no; anzi tengo per fermo e son sicuro che per la prova di una conclusion vera e necessaria sieno in natura non solo una ma molte dimostrazioni potissime, e che intorno ad essa si possa discorrere e rigirarsi con mille e mille riscontri, senza intoppar mai in veruna repugnanza, e che quanto pi qualche sofista volesse intorbidarla, tanto pi chiara si farebbe sempre la sua certezza; e che, all'opposito, per far apparir vera una proposizion falsa e per persuaderla non si possa produrre altro che fallacie, sofismi, paralogismi, equivocazioni e discorsi vani, inconsistenti e pieni di repugnanze e contradizioni.

   SAGR. Ora, se il moto eterno e la quiete eterna sono accidenti tanto principali in natura, e tanto diversi che da essi non posson dependere se non diversissime conseguenze, e massime applicati al Sole ed alla Terra, corpi tanto vasti ed insigni nell'universo, ed essendo di pi impossibile che l'una delle due proposizioni contradittorie non sia vera e l'altra falsa, e non si potendo per prove della falsa produrr'altro che fallacie, ed essendo la vera persuasibile per ogni genere di ragioni concludenti e demostrative; come volete che quello di voi che si sar appreso a sostener la proposizion vera non mi abbia a persuadere? Bisognerebbe bene ch'io fussi d'ingegno stupido, di giudizio stravolto, e stolido di mente e d'intelletto e cieco di discorso, ch'io non avessi a discernere la luce dalle tenebre, le gemme da i carboni, il vero dal falso.

   SIMP. Io vi dico, e vi ho detto altre volte, che il maggior maestro per insegnare a conoscere i sofismi e paralogismi ed altre fallacie stato Aristotile, il quale in questa parte non si pu mai esser ingannato.

   SAGR. Voi l'avete pur con Aristotile, che non pu parlare, ed io vi dico che se Aristotile fosse qui, e' rimarrebbe da noi persuaso, o sciorrebbe le nostre ragioni e con altre migliori persuaderebbe noi. Ma che? voi medesimo nel sentir recitar l'esperienze dell'artiglierie, non l'avete voi conosciute ed ammirate e confessate pi concludenti di quelle d'Aristotile? con tutto ci non sento che 'l signor Salviati, il quale le ha prodotte e sicuramente esaminate e scandagliate puntualissimamente, confessi d'esser persuaso da quelle, n meno da altre di maggiore efficacia ancora, che egli accenna d'esser per farci sentire. E non so con che fondamento voi vogliate riprender la natura, come quella che per la molta et sia imbarbogita ed abbia dimenticato a produrre ingegni specolativi, n sappia farne pi se non di quelli che, facendosi mancipii d'Aristotile, abbiano a intender col suo cervello e sentir co i suoi sensi. Ma sentiamo il rimanente delle ragioni favorevoli alla sua opinione, per venir poi al lor cimento, coppellandole e ponderandole con la bilancia del saggiatore.

   SALV. Prima che proceder pi oltre, devo dire al signor Sagredo che in questi nostri discorsi fo da copernichista, e lo imito quasi sua maschera; ma quello che internamente abbiano in me operato le ragioni che par ch'io produca in suo favore, non voglio che voi lo giudichiate dal mio parlare mentre siamo nel fervor della rappresentazione della favola, ma dopo che avr deposto l'abito, che forse mi troverete diverso da quello che mi vedete in scena. Ora seguitiamo avanti. Produce Tolomeo ed i suoi seguaci un'altra esperienza, simile a quella de i proietti, ed delle cose che, separate dalla Terra, lungamente si trattengono per aria, quali sono le nugole e gli uccelli volanti; e come che di quelle non si pu dir che sieno portate dalla Terra, non essendo a lei aderenti, non par possibile ch'elle possin seguire la velocit di quella, anzi dovrebbe parere a noi che tutte velocissimamente si movessero verso occidente; e se noi, portati dalla Terra, passiamo il nostro parallelo in vintiquattr'ore, che pure almeno sedici mila miglia, come potranno gli uccelli tener dietro a un tanto corso? dove, all'incontro, senza veruna sensibil differenza gli vediamo volar tanto verso levante quanto verso occidente e verso qualsivoglia parte. Oltre a ci, se mentre corriamo a cavallo sentiamo assai gagliardamente ferirci il volto dall'aria, qual vento dovremmo noi perpetuamente sentir dall'oriente, portati con s rapido corso incontro all'aria? e pur nulla di tale effetto si sente. cci un'altra molto ingegnosa ragione, presa da certa esperienza, ed tale. Il moto circolare ha facolt di estrudere, dissipare e scacciar dal suo centro le parti del corpo che si muove, qualunque volta o 'l moto non sia assai tardo o esse parti non sian molto saldamente attaccate insieme; che per ci, quando, verbigrazia, noi facessimo velocissimamente girare una di quelle gran ruote dentro le quali caminando uno o dua uomini muovono grandissimi pesi, come la massa delle gran pietre del mangano, o barche cariche che d'un'acqua in un'altra si traghettano strascinandole per terra, quando le parti di essa ruota rapidamente girata non fossero pi che saldamente conteste, si dissiperebbero tutte, n, per molto che tenacemente fossero sopra la sua esterior superficie attaccati sassi o altre materie gravi, potrebbero resistere all'impeto, che con gran violenza le scaglierebbe in diverse parti lontane dalla ruota, ed in conseguenza dal suo centro. Quando dunque la Terra si movesse con tanto e tanto maggior velocit, qual gravit, qual tenacit di calcine o di smalti, riterrebbe i sassi, le fabbriche e le citt intere, che da s precipitosa vertigine non fusser lanciate verso 'l cielo? e gli uomini e le fiere, che niente sono attaccati alla Terra, come resisterebbero a un tanto impeto? dove che, all'opposito, e queste ed assai minori resistenze, di sassetti, di rena, di foglie, vediamo quietissimamente riposarsi in Terra, e sopra quella ridursi cadendo, ancorch con lentissimo moto. Eccovi, signor Simplicio, le ragioni potissime, prese, per cos dire, dalle cose terrestri: restano quelle dell'altro genere, cio quelle che hanno relazione all'apparenze celesti, le quali ragioni tendon veramente pi a dimostrar l'esser la Terra nel centro dell'universo, ed a spogliarla in conseguenza del movimento annuo intorno ad esso, attribuitogli dal Copernico; le quali, come di materia alquanto differente, si potranno produr dopo che averemo esaminata la forza di queste sin qui proposte.

   SAGR. Che dite, signor Simplicio? parv'egli che 'l signor Salviati possegga e sappia esplicare le ragioni tolemaiche e aristoteliche? credete voi che nissuno peripatetico sia altrettanto posseditore delle dimostrazioni copernicane?

   SIMP. Se non fusse il gran concetto che per i discorsi avuti sin qui mi son formato della saldezza di dottrina del signor Salviati e dell'acutezza d'ingegno del signor Sagredo, io, con lor buona grazia, mi vorrei partire senza pi sentir altro, parendomi impossibil cosa che contradir si possa a s palpabili esperienze, e vorrei senza sentir altro restar nella mia opinione antica, perch mi par che quando bene ella fusse falsa, l'essere appoggiata su tanto verisimili ragioni la renderebbe scusabile: e se queste son fallacie, quali vere dimostrazioni furon mai cos belle?

   SAGR. pur bene che noi sentiamo le risposte del signor Salviati: le quali se saranno vere, forza che sieno ancora pi belle e infinitarnente pi belle, e che quelle sien brutte anzi bruttissime, se vera la proposizion metafisicale che 'l vero e 'l bello sono una cosa medesima, come ancora il falso e 'l brutto. Per, signor Salviati, non perdiamo pi tempo.

   SALV. Fu, se ben mi ricorda, il primo argomento prodotto dal signor Simplicio questo: La Terra non si pu muover circolarmente, perch tal moto gli sarebbe violento, e per non perpetuo: dell'esser poi violento la ragione era, perch quando fosse naturale, le parti sue ancora si moverebbero naturalmente in giro, il che impossibile, perch naturale delle parti il muoversi di moto retto all'ingi. Qui rispondo che averei auto caro che Aristotile si fosse meglio dichiarato, quando disse: "Le parti ancora si moverebber circolarmente", imperocch questo muoversi circolarmente pu intendersi in due modi: uno , che ogni particella separata dal suo tutto si movesse circolarmente intorno al suo proprio centro, descrivendo i suoi piccoli cerchiettini; l'altro , che movendosi tutto 'l globo intorno al suo centro in ventiquattr'ore, le parti ancora girassero intorno al medesimo centro in ventiquattr'ore. Il primo sarebbe una impertinenza non minore che se altri dicesse che di una circonferenza di cerchio ogni parte bisogna che sia un cerchio, o vero perch la Terra sferica, ogni parte di Terra bisogna che sia una palla, perch cos richiede l'assioma eadem est ratio totius et partium. Ma s'egli intese nell'altro, cio che le parti, a imitazion del tutto, si moverebbero naturalmente intorno al centro di tutto il globo in ventiquattr'ore, io dico che lo fanno; ed a voi, in vece d'Aristotile, toccher a provar che no.

   SIMP. Questo provato da Aristotile nel medesimo luogo, mentre dice che naturale delle parti il moto retto al centro dell'universo, onde il circolare non gli pu naturalmente competere.

   SALV. Ma non vedete voi che nelle medesime parole vi anco la confutazione di questa risposta?

   SIMP. In che modo? e dove?

   SALV. Non dic'egli che 'l moto circolare alla Terra sarebbe violento? e per non eterno? e che questo assurdo, perch l'ordine del mondo eterno?

   SIMP. Dicelo.

   SALV. Ma se quello che violento non pu esser eterno, pel converso quello che non pu esser eterno non potr esser naturale: ma il moto della Terra all'ingi non pu essere altramente eterno: adunque meno pu esser naturale, n gli potr esser naturale moto alcuno che non gli sia anco eterno. Ma se noi faremo la Terra mobile di moto circolare, questo potr esser eterno ad essa ed alle parti, e per naturale.

   SIMP. Il moto retto naturalissimo delle parti della Terra e gli eterno, n mai accader che di moto retto non si muovano, intendendo per sempre, rimossi gli impedimenti.

   SALV. Voi equivocate, signor Simplicio, ed io voglio pur vedere di liberarvi dall'equivoco. Per ditemi: credete voi che una nave che dallo stretto di Gibilterra andasse verso Palestina, potesse eternamente navigare verso quella spiaggia, movendosi sempre con egual corso?

   SIMP. Non altramente.

   SALV. E perch no?

   SIMP. Perch quella navigazione ristretta e terminata tra le Colonne e 'l lito di Palestina, ed essendo la distanza terminata, si passa in tempo finito: se gi altri non volesse, col ritornare in dietro con movimento contrario, tornar poi a replicar il medesimo viaggio; ma questo sarebbe un moto interrotto, e non continuato.

   SALV. Verissima risposta. Ma la navigazione dallo stretto di Magaglianes per il mar Pacifico, per le Molucche, per il capo di Buona Speranza, e di l per il medesimo stretto e di nuovo per il mar Pacifico etc., credete voi ch'ella si potesse perpetuare?

   SIMP. Potrebbesi, perch essendo questa una circolazione, che ritorna in se stessa, col replicarla infinite volte si potrebbe perpetuare senza veruno interrompimento.

   SALV. Adunque una nave in questo viaggio potrebbe durare a navigare in eterno.

   SIMP. Potrebbe, quando la nave fusse incorruttibile ma dissolvendosi la nave, si terminerebbe di necessit la navigazione.

   SALV. Ma nel Mediterraneo, quando anco la nave fusse incorruttibile, non per potrebbe muoversi perpetuamente verso Palestina, per esser tal viaggio terminato. Due cose adunque si ricercano, acci che un mobile senza intermissione possa muoversi eternamente: l'una che il moto possa di sua natura essere interminato e infinito; e l'altra, che il mobile sia parimente incorruttibile ed eterno.

   SIMP. Tutto questo necessario.

   SALV. Adunque gi per voi stesso venite ad aver confessato, esser impossibile che mobile alcuno si muova eternamente di moto retto, essendo che il moto retto, o vogliatelo in su o vogliatelo in gi, voi stesso lo fate terminato dalla circonferenza e dal centro: s che quando bene il mobile, cio la Terra, sia eterna, tuttavia, per non essere il moto retto di sua natura eterno, ma terminatissimo, non pu naturalmente competere alla Terra, anzi, come pure ieri si disse, Aristotile medesimo costretto a far il globo della Terra eternamente stabile. Quando poi voi dite che le parti della Terra sempre si moveranno all'ingi rimossi gli impedimenti, equivocate gagliardamente, perch all'incontro bisogna impedirle, contrariarle e violentarle, se voi volete ch'elle si muovano; perch, cadute ch'elle sono una volta, bisogna con violenza rigettarle in alto, acci tornino a cader la seconda: e quanto a gli impedimenti, questi gli tolgono solamente l'arrivare al centro; ch quando ci fosse un pozzo che passasse oltre al centro, non per una zolla di terra si moverebbe oltre a quello, se non in quanto traportata dall'impeto lo trapassasse, per ritornarvi poi e finalmente fermarvisi. Quanto dunque al poter sostenere che il movimento per linea retta convenga o possa convenir naturalmente n alla Terra n ad altro mobile, mentre l'universo resti nel suo ordine perfetto, toglietevene pur gi del tutto, e fate pur forza (se voi non le volete concedere il moto circolare) di mantenerle e difenderle l'immobilit.

   SIMP. Quanto all'immobilit, gli argomenti di Aristotile, e pi gli altri prodotti da voi, mi par che la concludano necessariamente sin ora, e gran cose ci vorranno, per mio giudizio, a confutargli.

   SALV. Venghiamo dunque al secondo argomento: che era che quei corpi de i quali noi siam sicuri che circolarmente si muovono, hanno pi d'un moto, trattone il primo mobile; e per quando la Terra si movesse circolarmente, dovrebbe muoversi di due moti, dal che ne seguirebbe mutazione circa gli orti e gli occasi delle stelle fisse; il che non si vede seguire; adunque etc. La risposta semplicissima e propriissima a questa instanza nell'argomento stesso, ed Aristotile medesimo ce la mette in bocca, e non pu essere che voi, signor Simplicio, non l'abbiate veduta.

   SIMP. N l'ho veduta, n ancor la veggo.

   SALV. Non pu essere, perch ella vi troppo chiara.

   SIMP. Io voglio, con vostra licenza, dare un'occhiata al testo.

   SAGR. Faremo portare il testo adesso adesso.

   SIMP. Io lo porto sempre in tasca. Eccolo qui; e so per appunto il luogo, che nel secondo del Cielo, al cap. 14. Eccolo: testo 97: Prterea, omnia qu feruntur latione circulari, subdeficere videntur, ac moveri pluribus una latione prter primam sphram; quare et Terram necessarium est, sive circa medium sive in medio posita feratur, duabus moveri lationibus: si autem hoc acciderit, necessarium est fieri mutationes ac conversiones fixorum astrorum: hoc autem non videtur fieri; sed semper eadem apud eadem loca ipsius et oriuntur et occidunt. Or qui non veggo io fallacia nissuna, e parmi l'argomento concludentissimo.

   SALV. Ed a me questa nuova lettura ha confermata la fallacia nell'argumentare, e di pi scoperto un'altra falsit. Per notate. Due posizioni, o vogliam dire due conclusioni, son quelle che Aristotile vuole impugnare: l'una di quelli che, collocando la Terra nel mezo, la facesser muovere in se stessa circa 'l proprio centro: l'altra di quelli che, costituendola lontana dal mezo, la facessero andar con moto circolare intorno ad esso mezo: ed amendue queste posizioni impugna congiuntamente con l'istesso argomento. Ora io dico che egli erra nell'una e nell'altra impugnazione, e che l'errore contro la prima posizione di uno equivoco o paralogismo, e contro alla seconda una conseguenza falsa. Venghiamo alla prima posizione, che costituisce la Terra nel mezo e la fa mobile in se stessa circa il proprio centro, ed affrontiamola con l'istanza d'Aristotile, dicendo: Tutti i mobili che si muovono circolarmente, par che restino indietro, e si muovono di pi d'una lazione, eccettuata la prima sfera (cio il primo mobile); adunque la Terra, movendosi circa il proprio centro, essendo posta nel mezo, bisogna che si muova di due lazioni, e resti in dietro: ma quando questo fusse, bisognerebbe che si variassero gli orti e gli occasi delle stelle fisse; il che non si vede fare: adunque la Terra non si muove etc. Qui il paralogismo; per iscoprirlo, discorro con Aristotile in tal modo. Tu di', o Aristotile, che la Terra posta nel mezo non pu muoversi in se stessa, perch sarebbe necessario attribuirle due lazioni: adunque, quando non fusse necessario attribuirle altro che una lazion sola, tu non avresti per impossibile che di una tal sola ella si movesse, perch fuor di proposito ti saresti ristretto a ripor l'impossibilit nella pluralit delle lazioni, quando anco di una sola ella muover non si potesse. E perch di tutti i mobili del mondo tu fai che un solo si muova d'una lazion sola, e tutti gli altri di pi d'una; e questo tal mobile affermi che la prima sfera, cio quello per il quale tutte le stelle fisse ed erranti ci appariscono muoversi concordemente da levante a ponente, quando la Terra potesse esser quella prima sfera, che col muoversi d'una lazion sola facesse apparir le stelle muoversi da levante in ponente, tu non gliela negheresti: ma chi dice che la Terra posta nel mezo si volge in se stessa, non gli attribuisce altro moto che quello per il quale tutte le stelle appariscono muoversi da levante a ponente, e cos ella viene a esser quella prima sfera che tu stesso concedi muoversi d'una lazione sola: bisogna dunque, o Aristotile, se tu vuoi concluder qualcosa, che tu dimostri che la Terra posta nel mezo non possa muoversi n anco di una sola lazione, o vero che n meno la prima sfera possa aver un sol movimento; altrimenti tu nel tuo medesimo silogismo commetti la fallacia e ve la manifesti, negando ed insieme concedendo l'istessa cosa. Vengo ora alla seconda posizione, che di quelli che ponendo la Terra lontana dal mezo, la fanno mobile intorno ad esso, cio la fanno un pianeta ed una stella errante, contro alla qual posizione procede l'argomento, e quanto alla forma concludente, ma pecca in materia: imperocch, conceduto che la Terra si muova in cotal guisa, e che si muova di due lazioni, non per ne segue di necessit che, quando ci sia, s'abbiano a far mutazioni ne gli orti e ne gli occasi delle stelle fisse, come a suo luogo dichiarer. E qui voglio scusar bene l'error d'Aristotile, anzi lo voglio lodar d'aver egli arrecato il pi sottile argomento contro alla posizion del Copernico, che arrecar si possa; e se l'instanza acuta, ed in apparenza concludentissima, vedrete tanto pi esser sottile ed ingegnosa la soluzione, e da non esser ritrovata da ingegno men acuto di quello del Copernico; e dalla difficult nell'intenderla potrete argomentare la difficult, tanto maggiore, del ritrovarla. Lasciamo in tanto per ora la risposta in pendente, la quale a suo luogo e tempo intenderete, dopo l'aver replicata l'instanza medesima d'Aristotele, e di pi fortificata grandemente a favor suo. Or passiamo all'argomento terzo, pur d'Aristotile, intorno al quale non fa bisogno replicar altro, essendosegli a bastanza risposto tra ieri e oggi: imperocch e' replica che 'l moto de' gravi naturalmente per linea retta al centro, e cerca poi se al centro della Terra o pur dell'universo, e conclude che naturalmente al centro dell'universo, ma per accidente a quel della Terra. Per possiamo passare al quarto, nel quale converr che ci trattenghiamo assai, per esser fondato sopra quella esperienza dalla quale prende poi forza la maggior parte degli argomenti che restano. Dice dunque Aristotile, argomento certissimo dell'immobilit della Terra essere il veder noi i proietti in alto a perpendicolo ritornar per l'istessa linea nel medesimo luogo di dove furon tirati, e questo, quando bene il movimento fusse altissimo, il che non potrebbe accadere quando la Terra si movesse, perch nel tempo che 'l proietto si muove in su e 'n gi, separato dalla Terra, il luogo dove ebbe principio il moto del proietto scorrerebbe, merc del rivolgimento della Terra, per lungo tratto verso levante, e per tanto spazio, nel cadere, il proietto percuoterebbe in Terra lontano dal detto luogo: s che qui s'accomoda l'argomento della palla tirata in su coll'artiglieria, s ancora l'altro usato da Aristotile e da Tolomeo, del vedere i gravi cadenti da grandi altezze venir per linea retta e perpendicolare alla superficie terrestre. Ora, per cominciar a sviluppar questi nodi, domando al signor Simplicio, quando altri negasse a Tolomeo e ad Aristotile che i gravi nel cader liberamente da alto venissero per linea retta e perpendicolare, cio diretta al centro, con qual mezo lo proverebbero.

   SIMP. Col mezo del senso, il quale ci assicura che quella torre diritta e perpendicolare, e ci mostra quella pietra nel cadere venirla radendo, senza piegar pur un capello da questa o da quella parte, e percuotere al piede giusto sotto 'l luogo donde fu lasciata.

   SALV. Ma quando per fortuna il globo terrestre si movesse in giro, ed in conseguenza portasse seco la torre ancora, e che ad ogni modo si vedesse la pietra nel cadere venir radendo il filo della torre, qual bisognerebbe che fusse il suo movimento?

   SIMP. Bisognerebbe in questo caso dir pi tosto "i suoi movimenti", perch uno sarebbe quello col quale verrebbe da alto a basso, e un altro converrebbe ch'ella n'avesse per seguire il corso della torre.

   SALV. Sarebbe dunque il moto suo un composto di due, cio di quello col quale ella misura la torre, e dell'altro col quale ella la segue: dal qual composto ne risulterebbe che 'l sasso descriverebbe non pi quella semplice linea retta e perpendicolare, ma una trasversale, e forse non retta.

   SIMP. Del non retta non lo so; ma intendo bene che di necessit sarebbe trasversale, e differente dall'altra retta perpendicolare, che ella descrisse stando la Terra immobile.

   SALV. Adunque dal solamente vedere la pietra cadente rader la torre, voi non potete sicuramente affermare che ella descriva una linea retta e perpendicolare, se non supposto prima che la Terra stia ferma.

   SIMP. Cos ; perch quando la Terra si movesse, il moto della pietra sarebbe trasversale, e non a perpendicolo.

   SALV. Ecco dunque il paralogismo d'Aristotile e di Tolomeo evidente e chiaro, e scoperto da voi medesimo, nel quale si suppon per noto quello che s'intende di dimostrare.

   SIMP. In che modo? A me si dimostra silogismo in buona forma, e non una petizion di principio.

   SALV. Eccovi in che modo. Ditemi un poco: nella dimostrazione non si pon egli la conclusione ignota?

   SIMP. Ignota, perch altrimenti il dimostrarla sarebbe superfluo.

   SALV. Ma il mezo termine non conviene egli che sia noto?

   SIMP. necessario, perch altramente sarebbe un voler provare ignotum per que ignotum.

   SALV. La nostra conclusione da provarsi, e che ignota, non la stabilit della Terra?

   SIMP. Cotesta .

   SALV. Il mezo, che deve esser noto, non la caduta del sasso retta e perpendicolare?

   SIMP. Questo il mezo.

   SALV. Ma non s' egli poco fa concluso, che noi non possiamo aver notizia che tal caduta sia retta e perpendicolare, se prima non ci noto che la Terra stia ferma? adunque nel vostro silogismo la certezza del mezo si cava dall'incertezza della conclusione. Vedete dunque quale e quanto il paralogismo.

   SAGR. Io vorrei, in grazia del signor Simplicio, difender, se fusse possibile, Aristotile, o almeno restar io meglio capace della forza della vostra illazione. Voi dite: Il veder rader la torre non basta per assicurarsi che 'l moto del sasso sia perpendicolare, che il mezo termine del silogismo, se non si suppone che la Terra stia ferma, che la conclusione da provarsi; perch, quando la torre si movesse insieme con la Terra, ed il sasso la radesse, il moto del sasso sarebbe trasversale, e non perpendicolare. Ma io risponder, che quando la torre si movesse, sarebbe impossibile che 'l sasso cadesse radendola, e per dal cader radendo s'inferisce la stabilit della Terra.

   SIMP. Cos ; perch a voler che 'l sasso venisse radendo la torre, quando ella fusse portata dalla Terra, bisognerebbe che 'l sasso avesse due moti naturali, cio 'l retto verso 'l centro e 'l circolare intorno al centro, il che poi impossibile.

   SALV. La difesa dunque d'Aristotile consiste nell'esser impossibile, o almeno nell'aver egli stimato impossibile, che 'l sasso potesse muoversi di un moto misto di retto e di circolare; perch quando e' non avesse avuto per impossibile che la pietra potesse muoversi al centro e 'ntorno al centro unitamente, egli averebbe inteso che poteva accadere che 'l sasso cadente potesse venir radendo la torre tanto movendosi ella quanto stando ferma, e in conseguenza si sarebbe accorto che da questo radere non si poteva inferir niente attenente al moto o alla quiete della Terra. Ma questo non iscusa altramente Aristotile, non solamente perch doveva dirlo, quando egli avesse auto tal concetto, essendo un punto tanto principale nel suo argumento, ma di pi ancora perch non si pu dir n che tale effetto sia impossibile n che Aristotile l'abbia stimato impossibile. Non si pu dire il primo, perch di qui a poco mostrer ch'egli non pur possibile, ma necessario: n meno si pu dire il secondo, perch Aristotile medesimo concede al fuoco l'andare in su naturalmente per linea retta e 'l muoversi in giro col moto diurno, participato dal cielo a tutto l'elemento del fuoco ed alla maggior parte dell'aria; se dunque e' non ha per impossibile mescolare il retto in su col circolare, comunicato al fuoco ed all'aria dal concavo lunare, assai meno dovr reputare impossibile il retto in gi del sasso col circolare, che fusse naturale di tutto 'l globo terrestre, del quale il sasso parte.

   SIMP. A me non par cotesta cosa, perch quando l'elemento del fuoco vadia in giro insieme con l'aria, facilissima anzi necessaria cosa che una particella di fuoco, che da Terra sormonti in alto, nel passar per l'aria mobile riceva l'istesso movimento, essendo corpo cos tenue e leggiero e agevolissimo ad esser mosso; ma che un sasso gravissimo o una palla d'artiglieria, che da alto venga a basso e sia gi posta in sua bala, si lasci trasportar n da aria n da altro, ha del tutto dell'inopinabile. Oltre che ci l'esperienza tanto propria, della pietra lasciata dalla cima dell'albero della nave, la qual, mentre la nave sta ferma, casca al pi dell'albero, ma quando la nave camina, cade tanto lontana dal medesimo termine, quanto la nave nel tempo della caduta del sasso scorsa avanti; che non son poche braccia, quando 'l corso della nave veloce.

   SALV. Gran disparit tra 'l caso della nave e quel della Terra, quando 'l globo terrestre avesse il moto diurno. Imperocch manifestissima cosa che il moto della nave, s come non suo naturale, cos accidentario di tutte le cose che sono in essa; onde non meraviglia che quella pietra, che era ritenuta in cima dell'albero, lasciata in libert scenda a basso, senza obligo di seguire il moto della nave. Ma la conversion diurna si d per moto proprio e naturale al globo terrestre, ed in conseguenza a tutte le sue parti, e come impresso dalla natura in loro indelebile; e per quel sasso che in cima della torre, ha per suo primario instinto l'andare intorno al centro del suo tutto in ventiquattr'ore, e questo natural talento esercita egli eternamente, sia pur posto in qualsivoglia stato. E per restar persuaso di questo, non avete a far altro che mutar un'antiquata impressione fatta nella vostra mente, e dire: "S come, per avere stimato io sin ora che sia propriet del globo terrestre lo stare immobile intorno al suo centro, non ho mai auto difficult o repugnanza alcuna in apprendere che qualsivoglia sua particella resti essa ancora naturalmente nella medesima quiete; cos ben dovere che quando naturale instinto fusse del globo terreno l'andare intorno in ventiquattr'ore, sia d'ogni sua parte ancora intrinseca e naturale inclinazione non lo star ferma, ma seguire il medesimo corso": e cos senza urtare in veruno inconveniente si potr concludere, che per non esser naturale, ma straniero, il moto conferito alla nave dalla forza de' remi, e per essa a tutte le cose che in lei si ritrovano, sia ben dovere che quel sasso, separato che e' sia dalla nave, si riduca alla sua naturalezza e ritorni ad esercitare il puro e semplice suo natural talento. Aggiugnesi che necessario che almeno quella parte d'aria che inferiore alle maggiori altezze de i monti, venga dall'asprezza della superficie terrestre rapita e portata in giro, o pure che, come mista di molti vapori ed esalazioni terrestri, naturalmente sguiti il moto diurno; il che non avviene dell'aria che intorno alla nave cacciata da i remi: per lo che l'argumentare dalla nave alla torre non ha forza d'illazione; perch quel sasso che vien dalla cima dell'albero, entra in un mezo che non ha il moto della nave, ma quel che si parte dall'altezza della torre, si trova in un mezo che ha l'istesso moto che tutto 'l globo terrestre, talch, senz'esser impedito dall'aria, anzi pi tosto favorito dal moto di lei, pu seguire l'universal corso della Terra.

   SIMP. Io non resto capace, che l'aria possa imprimere in un grandissimo sasso o in una grossa palla di ferro o di piombo, che passasse, verbigrazia, dugento libre, il moto col quale essa medesima si muove e che per avventura ella comunica alle piume, alla neve ed altre cose leggierissime; anzi veggo che un peso di quella sorte, esposto a qualsivoglia pi impetuoso vento, non vien pur mosso di luogo un sol dito: or pensate se l'aria lo porter seco.

   SALV. Gran disparit tra la vostra esperienza e 'l nostro caso. Voi fate sopraggiugnere il vento a quel sasso posto in quiete; e noi esponghiamo nell'aria, che gi si muove, il sasso, che pur si muove esso ancora con l'istessa velocit, talch l'aria non gli ha a conferire un nuovo moto, ma solo mantenerli, o per meglio dire non impedirli, il gi concepito: voi volete cacciar il sasso d'un moto straniero e fuor della sua natura; e noi, conservarlo nel suo naturale. Se voi volevi produrre una pi aggiustata esperienza, dovevi dire che si osservasse, se non con l'occhio della fronte, almeno con quel della mente, ci che accaderebbe quando un'aquila portata dall'impeto del vento si lasciasse cader da gli artigli una pietra; la quale, perch gi nel partirsi dalle branche volava al pari del vento, e dopo partita entra in un mezo mobile con egual velocit, ho grande opinione che non si vedrebbe cader gi a perpendicolo, ma che, seguendo 'l corso del vento ed aggiugnendovi quel della propria gravit, si moverebbe di un moto trasversale.

   SIMP. Bisognerebbe poterla fare una tale esperienza, e poi secondo l'evento giudicare; in tanto l'effetto della nave sin qui mostra di applaudere all'opinion nostra.

   SALV. Ben diceste, sin qui; perch forse di qui a poco potrebbe mutar sembianza. E per non vi tener, come si dice, pi su le bacchette, ditemi, signor Simplicio: parv'egli internamente che l'esperienza della nave quadri cos bene al proposito nostro, che ragionevolmente si debba credere che quello che si vede accadere in lei, debba ancora accadere nel globo terrestre?

   SIMP. Sin qui mi parso di s; e bench voi abbiate arrecate alcune piccole disuguaglianze, non mi paion di tal momento che basti a rimuovermi di parere.

   SALV. Anzi desidero che voi ci continuiate, e tenghiate saldo che l'effetto della Terra abbia a rispondere a quel della nave, purch quando ci si scoprisse progiudiziale al vostro bisogno, non vi venisse umore di mutar pensiero. Voi dite: "Perch, quando la nave sta ferma, il sasso cade al pi dell'albero, e quando ell' in moto cade lontano dal piede adunque, per il converso, dal cadere il sasso al piede si inferisce la nave star ferma, e dal caderne lontano s'argumenta la nave muoversi; e perch quello che occorre della nave deve parimente accader della Terra, per dal cader della pietra al pi della torre si inferisce di necessit l'immobilit del globo terrestre". Non questo il vostro discorso?

   SIMP. per appunto, ridotto in brevit, che lo rende agevolissimo ad apprendersi.

   SALV. Or ditemi: se la pietra lasciata dalla cima dell'albero, quando la nave cammina con gran velocit, cadesse precisamente nel medesimo luogo della nave nel quale casca quando la nave sta ferma, qual servizio vi presterebber queste cadute circa l'assicurarvi se 'l vassello sta fermo o pur se cammina?

   SIMP. Assolutamente nissuno: in quel modo che, per esempio, dal batter del polso non si pu conoscere se altri dorme o desto, poich il polso batte nell'istesso modo ne' dormienti che ne i vegghianti.

   SALV. Benissimo. Avete voi fatta mai l'esperienza della nave?

   SIMP. Non l'ho fatta; ma ben credo che quelli autori che la producono, l'abbiano diligentemente osservata: oltre che si conosce tanto apertamente la causa della disparit, che non lascia luogo di dubitare.

   SALV. Che possa esser che quelli autori la portino senza averla fatta, voi stesso ne sete buon testimonio, che senza averla fatta la recate per sicura e ve ne rimettete a buona fede al detto loro: s come poi non solo possibile, ma necessario, che abbiano fatto essi ancora, dico di rimettersi a i suoi antecessori, senza arrivar mai a uno che l'abbia fatta; perch chiunque la far, trover l'esperienza mostrar tutto 'l contrario di quel che viene scritto: cio mostrer che la pietra casca sempre nel medesimo luogo della nave, stia ella ferma o muovasi con qualsivoglia velocit. Onde, per esser la medesima ragione della Terra che della nave, dal cader la pietra sempre a perpendicolo al pi della torre non si pu inferir nulla del moto o della quiete della Terra.

   SIMP. Se voi mi rimetteste ad altro mezo che all'esperienza, io credo bene che le dispute nostre non finirebber per fretta; perch questa mi pare una cosa tanto remota da ogni uman discorso, che non lasci minimo luogo alla credulit o alla probabilit.

   SALV. E pur l'ha ella lasciato in me.

   SIMP. Che dunque voi non n'avete fatte cento, non che una prova, e l'affermate cos francamente per sicura? Io ritorno nella mia incredulit, e nella medesima sicurezza che l'esperienza sia stata fatta da gli autori principali che se ne servono, e che ella mostri quel che essi affermano.

   SALV. Io senza esperienza son sicuro che l'effetto seguir come vi dico, perch cos necessario che segua; e pi v'aggiungo che voi stesso ancora sapete che non pu seguire altrimenti, se ben fingete, o simulate di fingere, di non lo sapere. Ma io son tanto buon cozzon di cervelli, che ve lo far confessare a viva forza. Ma il signor Sagredo sta molto cheto: mi pareva pur di vedervi far non so che moto, per dir alcuna cosa.

   SAGR. Volevo veramente dir non so che; ma la curiosit che mi ha mossa questo sentir dire di far tal violenza al signor Simplicio, che palesi la scienza che e' ci vuole occultare, mi ha fatto deporre ogni altro desiderio: per vi prego ad effettuare il vanto.

   SALV. Purch il signor Simplicio si contenti di rispondere alle mie interrogazioni, io non mancher.

   SIMP. Io risponder quel che sapr, sicuro che avr poca briga, perch delle cose che io tengo false non credo di poterne saper nulla, essendoch la scienza de' veri, e non de' falsi.

   SALV. Io non desidero che voi diciate o rispondiate di saper niente altro che quello che voi sicuramente sapete. Per ditemi: quando voi aveste una superficie piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come l'acciaio, e che fusse non parallela all'orizonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo, lasciata in sua libert che credete voi che ella facesse? non credete voi (s come credo io) che ella stesse ferma?

   SIMP. Se quella superficie fusse inclinata?

   SALV. S, ch cos gi ho supposto.

   SIMP. Io non credo che ella si fermasse altrimente, anzi pur son sicuro ch'ella si moverebbe verso il declive spontaneamente.

   SALV. Avvertite bene a quel che voi dite, signor Simplicio, perch io son sicuro ch'ella si fermerebbe in qualunque luogo voi la posaste.

   SIMP. Come voi, signor Salviati, vi servite di questa sorte di supposizioni, io comincier a non mi maravigliar che voi concludiate conclusioni falsissime.

   SALV. Avete dunque per sicurissimo ch'ella si moverebbe verso il declive spontaneamente?

   SIMP. Che dubbio?

   SALV. E questo lo tenete per fermo, non perch io ve l'abbia insegnato (perch io cercavo di persuadervi il contrario), ma per voi stesso e per il vostro giudizio naturale.

   SIMP. Ora intendo il vostro artifizio: voi dicevi cos per tentarmi e (come si dice dal vulgo) per iscalzarmi, ma non che in quella guisa credeste veramente.

   SALV. Cos sta. E quanto durerebbe a muoversi quella palla, e con che velocit? E avvertite che io ho nominata una palla perfettissimamente rotonda ed un piano esquisitamente pulito, per rimuover tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii: e cos voglio che voi astragghiate dall'impedimento dell'aria, mediante la sua resistenza all'essere aperta, e tutti gli altri ostacoli accidentarii, se altri ve ne potessero essere.

   SIMP. Ho compreso il tutto benissimo: e quanto alla vostra domanda, rispondo che ella continuerebbe a muoversi in infinito, se tanto durasse la inclinazione del piano, e con movimento accelerato continuamente; ch tale la natura de i mobili gravi, che vires acquirant eundo: e quanto maggior fusse la declivit, maggior sarebbe la velocit.

   SALV. Ma quand'altri volesse che quella palla si movesse all'ins sopra quella medesima superficie, credete voi che ella vi andasse?

   SIMP. Spontaneamente no, ma ben strascinatavi o con violenza gettatavi.

   SALV. E quando da qualche impeto violentemente impressole ella fusse spinta, quale e quanto sarebbe il suo moto?

   SIMP. Il moto andrebbe sempre languendo e ritardandosi, per esser contro a natura, e sarebbe pi lungo o pi breve secondo il maggiore o minore impulso e secondo la maggiore o minore acclivit.

   SALV. Parmi dunque sin qui che voi mi abbiate esplicati gli accidenti d'un mobile sopra due diversi piani; e che nel piano inclinato il mobile grave spontaneamente descende e va continuamente accelerandosi, e che a ritenervelo in quiete bisogna usarvi forza; ma sul piano ascendente ci vuol forza a spignervelo ed anco a fermarvelo, e che 'l moto impressogli va continuamente scemando, s che finalmente si annichila. Dite ancora di pi che nell'un caso e nell'altro nasce diversit dall'esser la declivit o acclivit del piano, maggiore o minore; s che alla maggiore inclinazione segue maggior velocit, e, per l'opposito, sopra 'l piano acclive il medesimo mobile cacciato dalla medesima forza in maggior distanza si muove quanto l'elevazione minore. Ora ditemi quel che accaderebbe del medesimo mobile sopra una superficie che non fusse n acclive n declive.

   SIMP. Qui bisogna ch'io pensi un poco alla risposta. Non vi essendo declivit, non vi pu essere inclinazione naturale al moto, e non vi essendo acclivit, non vi pu esser resistenza all'esser mosso, talch verrebbe ad essere indifferente tra la propensione e la resistenza al moto: parmi dunque che e' dovrebbe restarvi naturalmente fermo. Ma io sono smemorato, perch non molto che 'l signor Sagredo mi fece intender che cos seguirebbe.

   SALV. Cos credo, quando altri ve lo posasse fermo, ma se gli fusse dato impeto verso qualche parte, che seguirebbe?

   SIMP. Seguirebbe il muoversi verso quella parte.

   SALV. Ma di che sorte di movimento? di continuamente accelerato, come ne' piani declivi, o di successivamente ritardato, come negli acclivi?

   SIMP. Io non ci so scorgere causa di accelerazione n di ritardamento, non vi essendo n declivit n acclivit.

   SALV. S. Ma se non vi fusse causa di ritardamento, molto meno vi dovrebbe esser di quiete: quanto dunque vorreste voi che il mobile durasse a muoversi?

   SIMP. Tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie n erta n china.

   SALV. Adunque se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimente senza termine, cio perpetuo?

   SIMP. Parmi di s, quando il mobile fusse di materia da durare.

   SALV. Gi questo si supposto, mentre si detto che si rimuovano tutti gl'impedimenti accidentarii ed esterni, e la fragilit del mobile, in questo fatto, un degli impedimenti accidentarii. Ditemi ora: quale stimate voi la cagione del muoversi quella palla spontaneamente sul piano inclinato, e non, senza violenza, sopra l'elevato?

   SIMP. Perch l'inclinazion de' corpi gravi di muoversi verso 'l centro della Terra, e solo per violenza in su verso la circonferenza; e la superficie inclinata quella che acquista vicinit al centro, e l'acclive discostamento.

   SALV. Adunque una superficie che dovesse esser non declive e non acclive, bisognerebbe che in tutte le sue parti fusse egualmente distante dal centro. Ma di tali superficie ve n' egli alcuna al mondo?

   SIMP. Non ve ne mancano: cci quella del nostro globo terrestre, se per ella fusse ben pulita, e non, quale ella , scabrosa e montuosa; ma vi quella dell'acqua, mentre placida e tranquilla.

   SALV. Adunque una nave che vadia movendosi per la bonaccia del mare, un di quei mobili che scorrono per una di quelle superficie che non sono n declivi n acclivi, e per disposta, quando le fusser rimossi tutti gli ostacoli accidentarii ed esterni, a muoversi, con l'impulso concepito una volta, incessabilmente e uniformemente

   SIMP. Par che deva esser cos.

   SALV. E quella pietra ch' su la cima dell'albero non si muov'ella, portata dalla nave, essa ancora per la circonferenza d'un cerchio intorno al centro, e per conseguenza d'un moto indelebile in lei, rimossi gli impedimenti esterni? e questo moto non egli cos veloce come quel della nave?

   SIMP. Sin qui tutto cammina bene. Ma il resto?

   SALV. Cavatene in buon'ora l'ultima conseguenza da per voi, se da per voi avete sapute tutte le premesse.

   SIMP. Voi volete dir per ultima conclusione, che movendosi quella pietra d'un moto indelebilmente impressole, non l' per lasciare, anzi per seguire la nave, ed in ultimo per cadere nel medesimo luogo dove cade quando la nave sta ferma; e cos dico io ancora che seguirebbe quando non ci fussero impedimenti esterni, che sturbassero il movimento della pietra dopo esser posta in libert: li quali impedimenti son due; l'uno l'essere il mobile impotente a romper l'aria col suo impeto solo, essendogli mancato quello della forza de' remi, del quale era partecipe, come parte della nave, mentre era su l'albero; l'altro il moto novello del cadere a basso, che pur bisogna che sia d'impedimento all'altro progressivo.

   SALV. Quanto all'impedimento dell'aria, io non ve lo nego; e quando il cadente fusse materia leggiera, come una penna o un fiocco di lana, il ritardamento sarebbe molto grande; ma in una pietra grave, piccolissimo: e voi stesso poco fa avete detto che la forza del pi impetuoso vento non basta a muover di luogo una grossa pietra; or pensate quel che far l'aria quieta incontrata dal sasso, non pi veloce di tutto 'l navilio. Tuttavia, come ho detto, vi concedo questo piccolo effetto, che pu dependere da tale impedimento; s come so che voi concederete a me che quando l'aria si movesse con l'istessa velocit della nave e del sasso, l'impedimento sarebbe assolutamente nullo. Quanto all'altro, del sopravegnente moto in gi, prima manifesto che questi due, dico il circolare intorno al centro e 'l retto verso 'l centro, non son contrarii n destruttivi l'un dell'altro n incompatibili, perch, quanto al mobile, ei non ha repugnanza alcuna a cotal moto: ch gi voi stesso avete conceduto, la repugnanza esser contro al moto che allontana dal centro, e l'inclinazione, verso il moto che avvicina al centro, onde necessariamente segue che al moto che non appressa n discosta dal centro, non ha il mobile n repugnanza n propensione n, in conseguenza, cagione di diminuirsi in lui la facult impressagli: e perch la causa motrice non una sola, che si abbia, per la nuova operazione, a inlanguidire, ma son due tra loro distinte, delle quali la gravit attende solo a tirare il mobile al centro, e la virt impressa a condurlo intorno al centro, non resta occasione alcuna d'impedimento.

   SIMP. Il discorso veramente in apparenza assai probabile, ma in essenza turbato un poco da qualche intoppo mal agevole a superarsi. Voi in tutto 'l progresso avete fatta una supposizione, che dalla scuola peripatetica non di leggiero vi sar conceduta, essendo contrariissima ad Aristotile: e questa il prender come cosa notoria e manifesta che 'l proietto separato dal proiciente continui il moto per virt impressagli dall'istesso proiciente, la qual virt impressa tanto esosa nella peripatetica filosofia, quanto il passaggio d'alcuno accidente d'uno in un altro suggetto: nella qual filosofia si tiene, come credo che vi sia noto, che 'l proietto sia portato dal mezo, che nel nostro caso viene ad esser l'aria e per se quel sasso, lasciato dalla cima dell'albero, dovesse seguire il moto della nave, bisognerebbe attribuire tal effetto all'aria, e non a virt impressagli: ma voi supponete che l'aria non sguiti il moto della nave, ma sia tranquilla. Oltre che colui che lo lascia cadere, non l'ha a scagliare n dargli impeto col braccio, ma deve semplicemente aprir la mano e lasciarlo: e cos, n per virt impressagli dal proiciente, n per benefizio dell'aria, potr il sasso seguire 'l moto della nave, e per rester indietro.

   SALV. Parmi dunque di ritrar dal vostro parlare, che non venendo la pietra cacciata dal braccio di colui, la sua non venga altrimenti ad essere una proiezione.

   SIMP. Non si pu propriamente chiamar moto di proiezione.

   SALV. Quello dunque che dice Aristotile del moto, del mobile e del motore de i proietti, non ha che fare nel nostro proposito; e se non ci ha che fare, perch lo producete?

   SIMP. Producolo per amor di quella virt impressa, nominata ed introdotta da voi, la quale, non essendo al mondo, non pu operar nulla, perch non entium null sunt operationes; e per non solo del moto de i proietti, ma di ogn'altro che non sia naturale, bisogna attribuirne la causa motrice al mezo, del quale non si avuta la debita considerazione, e per il detto sin qui resta inefficace.

   SALV. Ors tutto in buon'ora. Ma ditemi: gi che la vostra instanza si fonda tutta su la nullit della virt impressa, quando io vi abbia dimostrato che 'l mezo non ha che fare nella continuazion del moto de' proietti, dopo che son separati dal proiciente, lascierete voi in essere la virt impressa, o pur vi moverete con qualch'altr'assalto alla sua destruzione?

   SIMP. Rimossa l'azione del mezo, non veggo che si possa ricorrere ad altro che alla facult impressa dal movente.

   SALV. Sar bene, per levare il pi che sia possibile le cause dell'andarsene in infinito con le altercazioni, che voi quanto si pu distintamente spianiate qual sia l'operazione del mezo nel continuar il moto al proietto.

   SIMP. Il proiciente ha il sasso in mano; muove con velocit e forza il braccio, al cui moto si muove non pi il sasso che l'aria circonvicina, onde il sasso, nell'esser abbandonato dalla mano, si trova nell'aria che gi si muove con impeto, e da quella vien portato: che se l'aria non operasse, il sasso cadrebbe dalla mano al piede del proiciente.

   SALV. E voi sete stato tanto credulo che vi sete lasciato persuader queste vanit, mentre in voi stesso avevi i sensi da confutarle e da intenderne il vero? Per ditemi: quella gran pietra e quella palla d'artiglieria che, posata solamente sopra una tavola, restava immobile contro a qualsivoglia impetuoso vento, secondo che voi poco fa affermaste, se fusse stata una palla di sughero o altrettanta bambagia, credete che il vento l'avesse mossa di luogo?

   SIMP. Anzi so certo che l'averebbe portata via, e tanto pi velocemente, quanto la materia fusse stata pi leggiera; ch per questo veggiamo noi le nugole esser portate con velocit pari a quella del vento stesso che le spigne.

   SALV. E 'l vento che cosa ?

   SIMP. Il vento si definisce, non esser altro che aria mossa.

   SALV. Adunque l'aria mossa molto pi velocemente e 'n maggior distanza traporta le materie leggierissime che le gravissime?

   SIMP. Sicuramente.

   SALV. Ma quando voi aveste a scagliar col braccio un sasso, e poi un fiocco di bambagia, chi si moverebbe con pi velocit e in maggior lontananza?

   SIMP. La pietra assaissimo; anzi la bambagia mi cascherebbe a i piedi.

   SALV. Ma se quel che muove il proietto, doppo l'esser lasciato dalla mano, non altro che l'aria mossa dal braccio e l'aria mossa pi facilmente spigne le materie leggiere che le gravi, come dunque il proietto di bambagia non va pi lontano e pi veloce di quel di pietra? bisogna pure che nella pietra resti qualche cosa, oltre al moto dell'aria. Di pi, se da quella trave pendessero due spaghi lunghi egualmente, e in capo dell'uno fusse attaccata una palla di piombo, e una di bambagia nell'altro, ed amendue si allontanassero egualmente dal perpendicolo, e poi si lasciassero in libert non dubbio che l'una e l'altra si moverebbe verso 'l perpendicolo, e che spinta dal proprio impeto lo trapasserebbe per certo intervallo, e poi vi ritornerebbe. Ma qual di questi due penduli credete voi che durasse pi a muoversi, prima che fermarsi a piombo?

   SIMP. La palla di piombo andr in qua e 'n l mille volte, e quella di bambagia dua o tre al pi.

   SALV. Talch quell'impeto e quella mobilit, qualunque se ne sia la causa, pi lungamente si conserva nelle materie gravi che nelle leggieri. Vengo ora a un altro punto, e vi domando: perch l'aria non porta via adesso quel cedro ch' su quella tavola?

   SIMP. Perch ella stessa non si muove.

   SALV. Bisogna dunque che il proiciente conferisca il moto all'aria, col quale ella poi muova il proietto. Ma se tal virt non si pu imprimere, non si potendo far passare un accidente d'un subbietto in un altro, come pu passare dal braccio nell'aria? non forse l'aria un subbietto altro dal braccio?

   SIMP. Rispondesi che l'aria, per non esser n grave n leggiera nella sua regione, disposta a ricevere facilissimamente ogni impulso ed a conservarlo ancora.

   SALV. Ma se i penduli adesso adesso ci hanno mostrato che il mobile, quanto meno participa di gravit, tanto meno atto a conservare il moto, come potr essere che l'aria, che in aria non ha punto di gravit, essa sola conservi il moto concepito? Io credo, e so che voi ancora credete al presente, che non prima si ferma il braccio, che l'aria attornogli. Entriamo in camera, e con uno sciugatoio agitiamo quanto pi si possa l'aria, e fermato il panno conducasi una piccola candeletta accesa nella stanza, o lascivisi andare una foglia d'oro volante; che voi dal vagar quieto dell'una e dell'altra v'accorgerete dell'aria ridotta immediatamente a tranquillit. Io potrei addurvi mille esperienze, ma dove non bastasse una di queste, si potrebbe aver la cura per disperata affatto.

   SAGR. Quando si tira una freccia contr'al vento, quanto incredibil cosa che quel filetto d'aria, spinto dalla corda vadia al dispetto della fortuna accompagnando la freccia! Ma io ancora vorrei sapere un particolare da Aristotile, per il quale prego il signor Simplicio che mi favorisca di risposta. Quando col medesimo arco fussero tirate due freccie, una per punta al modo consueto, e l'altra per traverso, cio posandola per lo lungo su la corda, e cos distesa tirandola, vorrei sapere qual di esse andrebbe pi lontana. Favoritemi in grazia di risposta, bench forse la dimanda vi paia pi tosto ridicola che altrimenti; e scusatemi, perch io, che ho, come voi vedete, anzi del grossetto che no, non arrivo pi in alto con la mia speculativa.

   SIMP. Io non ho veduto mai tirar le freccie per traverso: tuttavia credo che intraversata non andrebbe n anco la ventesima parte di quel ch'ella va per punta.

   SAGR. E perch io ho creduto l'istesso, quindi che mi nata occasione di metter dubbio tra 'l detto d'Aristotile e l'esperienza. Perch, quanto all'esperienza, s'io metter sopra quella tavola due freccie in tempo che spiri vento gagliardo, una posata per il filo del vento e l'altra intraversata il vento porter via speditamente questa e lascier star l'altra: ed il medesimo par che dovesse accadere, quando la dottrina d'Aristotile fusse vera, delle due tirate con l'arco; imperocch la traversa vien cacciata da una gran quantit dell'aria mossa dalla corda, cio da tanta quanta la sua lunghezza, dove che l'altra freccia non riceve impulso da pi aria che si sia il piccolissimo cerchietto della sua grossezza: ed io non so immaginarmi la cagione di tal diversit, e desidererei di saperla.

   SIMP. La causa mi par assai manifesta, ed perch la freccia tirata per punta ha a penetrar poca quantit d'aria, e l'altra ne ha da fender tanta quanta tutta la sua lunghezza.

   SAGR. Adunque le freccie tirate hanno a penetrar l'aria? Oh se l'aria va con loro, anzi quella che le conduce, che penetrazione vi pu essere? non vedete voi che a questo modo bisognerebbe che la freccia si movesse con maggior velocit che l'aria? e questa maggior velocit, chi la conferisce alla freccia? vorrete voi dir che l'aria le dia velocit maggiore della sua propria? Intendete dunque, signor Simplicio, che 'l negozio procede per l'appunto a rovescio di quel che dice Aristotile, e che tanto falso che 'l mezo conferisca il moto al proietto, quanto vero che egli solo che gli arreca impedimento: e inteso questo, intenderete senza trovar difficult che quando l'aria si muove veramente, molto meglio porta seco la freccia per traverso che per lo dritto, perch molta l'aria che la spigne in quella postura, e pochissima in questa; ma tirate con l'arco, perch l'aria sta ferma, la freccia traversa, percotendo in molt'aria, molto viene impedita, e l'altra per punta facilissimamente supera l'ostacolo della minima quantit d'aria che se le oppone.

   SALV. Quante proposizioni ho io notate in Aristotile (intendendo sempre nella filosofia naturale), che sono non pur false, ma false in maniera, che la sua diametralmente contraria vera, come accade di questa! Ma seguitando il nostro proposito, credo che il signor Simplicio resti persuaso che dal veder cader la pietra nel medesimo luogo sempre, non si possa conietturare circa il moto o la stabilit della nave; e quando il detto sin qui non gli bastasse, ci l'esperienza di mezo, che lo potr del tutto assicurare: nella quale esperienza, al pi che e' potesse vedere, sarebbe il rimanere indietro il mobile cadente, quando e' fusse di materia assai leggiera e che l'aria non seguisse il moto della nave; ma quando l'aria si movesse con pari velocit, niuna immaginabil diversit si troverebbe n in questa n in qualsivoglia altra esperienza, come appresso son per dirvi. Or, quando in questo caso non apparisca diversit alcuna, che si deve pretender di veder nella pietra cadente dalla sommit della torre, dove il movimento in giro alla pietra non avventizio e accidentario, ma naturale ed eterno, e dove l'aria segue puntualmente il moto della torre, e la torre quel del globo terrestre? Avete voi, signor Simplicio, da replicar altro sopra questo particulare?

   SIMP. Non altro, se non che non veggio sin qui provata la mobilit della Terra.

   SALV. N io tampoco ho preteso di provarla, ma solo di mostrare come dall'esperienza portata da gli avversarii per argomento della fermezza non si pu cavar nulla; s come credo mostrar dell'altre.

   SAGR. Di grazia, signor Salviati, prima che passare ad altro, concedetemi che io metta in campo certa difficult che mi si raggirata per la fantasia mentre voi stavi con tanta flemma sminuzolando al signor Simplicio questa esperienza della nave.

   SALV. Noi siam qui per discorrere, ed bene che ogn'uno muova le difficult che gli sovvengono, ch questa la strada per venir in cognizion del vero. Per dite.

   SAGR. Quando sia vero che l'impeto col quale si muove la nave resti impresso indelebilmente nella pietra, dopo che s' separata dall'albero, e sia in oltre vero che questo moto non arrechi impedimento o ritardamento al moto retto all'ingi, naturale alla pietra, forza che ne segua un effetto meraviglioso in natura. Stia la nave ferma, e sia il tempo della caduta d'un sasso dalla cima dell'albero due battute di polso: muovasi poi la nave, e lascisi andar dal medesimo luogo l'istesso sasso, il quale, per le cose dette, metter pur il tempo di due battute ad arrivare a basso, nel qual tempo la nave avr, verbigrazia, scorso venti braccia, talch il vero moto della pietra sar stato una linea trasversale, assai pi lunga della prima retta e perpendicolare, che la sola lunghezza dell'albero: tuttavia la palla l'avr passata nel medesimo tempo. Intendasi di nuovo il moto della nave accelerato assai pi, s che la pietra nel cadere dovr passare una trasversale ancor pi lunga dell'altra, ed insomma, crescendosi la velocit della nave quanto si voglia, il sasso cadente descriver le sue trasversali sempre pi e pi lunghe, e pur tutte le passer nelle medesime due battute di polso: ed a questa similitudine, quando in cima di una torre fusse una colubrina livellata, e con essa si tirassero tiri di punto bianco, cio paralleli all'orizonte, per poca o molta carica che si desse al pezzo, s che la palla andasse a cadere ora lontana mille braccia, or quattro mila, or sei mila, or dieci mila etc., tutti questi tiri si spedirebbero in tempi eguali tra di loro, e ciascheduno eguale al tempo che la palla consumerebbe a venire dalla bocca del pezzo sino in terra, lasciata, senz'altro impulso, cadere semplicemente gi a perpendicolo. Or par meravigliosa cosa che nell'istesso breve tempo della caduta a piombo sino in terra dall'altezza, verbigrazia, di cento braccia, possa la medesima palla, cacciata dal fuoco, passare or quattrocento, or mille, or quattromila, ed or diecimila braccia, s che la palla in tutti i tiri di punto bianco si trattenga sempre in aria per tempi eguali.

   SALV. La considerazione per la sua novit bellissima, e quando l'effetto sia vero, meraviglioso: e della sua verit io non ne dubito; e quando non ci fusse l'impedimento accidentario dell'aria, io tengo per fermo che se nell'uscir la palla del pezzo si lasciasse cader un'altra dalla medesima altezza gi a piombo, amendue arriverebbero in terra nel medesimo instante, ancorch quella avesse camminato diecimila braccia di distanza, e questa cento solamente; intendendo che il piano della Terra fusse eguale, che per sicurezza si potrebbe tirare sopra qualche lago. L'impedimento poi che potesse venir dall'aria, sarebbe nel ritardar il moto velocissimo del tiro. Or, se cos vi piace, venghiamo alle soluzioni degli altri argomenti, gi che il signor Simplicio resta (per quanto io mi creda) ben capace della nullit di questo primo, preso da i cadenti da alto a basso.

   SIMP. Io non mi sento rimossi tutti gli scrupoli; e forse il difetto mio, per non esser di cos facile e veloce apprensiva come il signor Sagredo. E parmi che quando questo moto participato dalla pietra, mentre era su l'albero della nave, s'avesse, come voi dite, a conservar indelebilmente in lei, dopo ancora che si trova separata dalla nave, bisognerebbe che similmente quando alcuno, sendo sopra un cavallo che corresse velocemente, si lasciasse cader di mano una palla, quella, caduta in terra, continuasse il suo moto e seguitasse il corso del cavallo senza restargli a dietro: il quale effetto non credo io che si vegga, se non quando colui ch' sul cavallo la gettasse con forza verso la parte del corso; ma senza questo, credo ch'ella rester in terra dov'ella percuote.

   SALV. Io credo che voi v'inganniate d'assai, e son sicuro che l'esperienza vi mostrer il contrario, e che la palla, arrivata che sia in terra, correr insieme col cavallo, n gli rester indietro se non quanto l'asprezza ed inegualit della strada l'impedir: e la ragione mi par pure assai chiara. Imperocch, quando voi, stando fermo, tiraste per terra la medesima palla, non continuerebbe ella il moto anco fuor della vostra mano? e per tanto pi lungo intervallo, quanto la superficie fusse pi eguale, s che, verbigrazia, sopra il ghiaccio andrebbe lontanissima?

   SIMP. Questo non ha dubbio, quando io gli do impeto col braccio; ma nell'altro caso si suppone che colui che sul cavallo la lasci solamente cadere.

   SALV. Cos voglio io che segua. Ma quando voi la tirate col braccio, che altro rimane alla palla, uscita che ella vi di mano, che il moto concepito dal vostro braccio, il quale, in lei conservato, continua di condurla innanzi? ora, che importa che quell'impeto sia conferito alla palla pi dal vostro braccio che dal cavallo? mentre che voi sete a cavallo, non corre la vostra mano, ed in conseguenza la palla, cos veloce come il cavallo stesso? certo s; adunque, nell'aprir solamente la mano, la palla si parte col moto gi concepito non dal vostro braccio per moto vostro particolare, ma dal moto dependente dall'istesso cavallo, che vien comunicato a voi, al braccio, alla mano, e finalmente alla palla. Anzi voglio dirvi di pi, che se colui nel correre getter col braccio la palla al contrario del corso, ella, arrivata che sia in terra, talvolta, ancorch scagliata al contrario, pur seguiter il corso del cavallo, e talvolta rester ferma in terra, e solamente si muover all'opposito del corso quando il moto ricevuto dal braccio superasse in velocit quello della carriera. Ed una vanit quella di alcuni che dicono, potersi dal cavaliere lanciare una zagaglia per aria verso la parte del corso e col cavallo seguirla e raggiugnerla e finalmente ripigliarla: e dico una vanit, perch a far che il proietto vi torni in mano, bisogna tirarlo all'ins, nel modo medesimo che se altri stesse fermo; perch, sia pure il corso quanto si voglia veloce, purch sia uniforme ed il proietto non sia una cosa leggierissima, sempre ricader in mano al proiciente, e sia pur gettato in alto quanto si voglia.

   SAGR. Da questa dottrina io vengo in cognizione di alcuni problemi assai curiosi, in materia di questi proietti; il primo de' quali dovr parer molto strano al signor Simplicio. E il problema questo: ch'io dico che possibile che lasciata cader semplicemente la palla da uno che in qualsivoglia modo corra velocemente, arrivata che ella sia in terra, non solo segua il corso di colui, ma di assai lo anticipi, il qual problema connesso con questo, che il mobile lanciato dal proiciente sopra il piano dell'orizonte, pu acquistar nuova velocit, maggiore assai della conferitagli da esso proiciente. Il quale effetto ho io pi volte con ammirazione osservato nello stare a veder costoro che giuocano a tirar con le ruzzole, le quali si veggono, uscite che son della mano, andar per aria con certa velocit, la qual poi se gli accresce assai nell'arrivare in terra; e se ruzzolando urtano in qualche intoppo che le faccia sbalzare in alto, si veggono per aria andar assai lentamente, e ricadute in terra pur tornano a muoversi con velocit maggiore: ma quel che ancora pi stravagante, ho io ancora osservato che non solamente vanno sempre pi veloci per terra che per aria, ma di due spazi fatti amendue per terra, tal volta un moto nel secondo spazio pi veloce che nel primo. Or che direbbe qui il signor Simplicio?

   SIMP. Direi, la prima cosa, di non aver fatta cotale osservazione; secondariamente, direi di non la credere; direi poi, nel terzo luogo, che, quando voi me ne accertaste e che demostrativamente me l'insegnaste, voi fuste un gran demonio.

   SAGR. Di quelli per di Socrate, non di quei dell'Inferno. Ma voi pur tornate su questo insegnare; io vi dico che quando uno non sa la verit da per s, impossibile che altri gliene faccia sapere; posso bene insegnarvi delle cose che non son n vere n false, ma le vere, cio le necessarie, cio quelle che impossibile ad esser altrimenti, ogni mediocre discorso o le sa da s o impossibile che ei le sappia mai: e cos so che crede anco il signor Salviati. E per vi dico che de i presenti problemi le ragioni son sapute da voi, ma forse non avvertite.

   SIMP. Lasciamo per ora questa disputa, e concedetemi ch'io dica che non intendo n so queste cose che si trattano, e vedete pur di farmi restar capace de' problemi.

   SAGR. Questo primo depende da un altro; il quale , onde avvenga che, tirando la ruzzola con lo spago, assai pi lontano ed in conseguenza con maggior forza va, che tirata con la semplice mano.

   SIMP. Aristotile ancora fa non so che problemi intorno a questi proietti.

   SALV. Si, e molto ingegnosi, ed in particolare quello onde avvenga che le ruzzole tonde vanno meglio che le quadre.

   SAGR. E di questo, signor Simplicio, non vi darebbe l'animo di sapere la ragione, senza altrui insegnamento?

   SIMP. S bene, s bene; ma lasciamo le beffe.

   SAGR. Tanto sapete ancora la ragion di quest'altro. Ditemi dunque: sapete che una cosa che si muova, quando vien impedita si ferma?

   SIMP. Sollo; quando per l'impedimento tanto che basti.

   SAGR. Sapete voi che maggiore impedimento arreca al mobile l'avere a muoversi per terra che per aria, essendo la terra scabrosa e dura, e l'aria molle e cedente?

   SIMP. E perch so questo, so che la ruzzola andr pi veloce per aria che per terra; talch il mio sapere tutto all'opposito di quel che voi stimavi.

   SAGR. Adagio, signor Simplicio. Sapete voi che nelle parti di un mobile che giri intorno al suo centro, si ritrovano movimenti verso tutte le bande? s che altre ascendono altre descendono, altre vanno innanzi, altre all'indietro?

   SIMP. Lo so, ed Aristotile me l'ha insegnato.

   SAGR. E con qual dimostrazione? ditemela di grazia.

   SIMP. Con quella del senso.

   SAGR. Adunque Aristotile vi ha fatto vedere quel che senza lui non avereste veduto? avrebbev'egli prestato mai i suoi occhi? Voi volevi dire che Aristotile ve l'aveva detto avvertito, ricordato, e non insegnato. Quando dunque una ruzzola, senza mutar luogo, gira in se stessa, non parallela, ma eretta all'orizonte, alcune sue parti ascendono, le opposte descendono, le superiori vanno per un verso, l'inferiori per il contrario. Figuratevi ora una ruzzola che, senza mutar luogo, velocemente giri in se stessa e stia sospesa in aria, e che, in tal guisa girando, sia lasciata cadere in terra a perpendicolo: credete voi che arrivata che ella sar in terra, seguiter di girare in se stessa senza mutar luogo, come prima?

   SIMP. Signor no.

   SAGR. Ma che far?

   SIMP. Correr per terra velocemente.

   SAGR. E verso qual parte?

   SIMP. Verso quella dove la porter la sua vertigine.

   SAGR. Nella sua vertigine ci son delle parti, cio le superiori, che si muovono al contrario delle inferiori; per bisogna dire a quali ella ubidir: ch quanto alle parti ascendenti e descendenti, l'une non cederanno all'altre, n 'l tutto andr in gi, impedito dalla terra, n in su, per esser grave.

   SIMP. Andr la ruzzola girando per terra verso quella parte dove tendono le parti sue superiori.

   SAGR. E perch non dove tendono le contrarie, cio quelle che toccan terra?

   SIMP. Perch quelle di terra vengono impedite dall'asprezza del toccamento, cio dall'istessa scabrosit della terra; ma le superiori, che sono nell'aria tenue e cedente, sono impedite pochissimo o niente, e per la ruzzola andr per il loro verso.

   SAGR. Talch quell'attaccarsi, per cos dire, le parti di sotto alla terra, fa ch'elle restano, e solo si spingono avanti le superiori.

   SALV. E per quando la ruzzola cadesse sul ghiaccio o altra superficie pulitissima, non cos bene scorrerebbe innanzi, ma potrebbe per avventura continuar di girare in se stessa, senza acquistar altro moto progressivo.

   SAGR. facil cosa che cos seguisse; ma almeno non cos speditamente andrebbe ruzzolando, come cadendo su la superficie alquanto aspra. Ma dicami il signor Simplicio: quando la ruzzola, girando velocemente in se stessa, vien lasciata cadere, perch non va ella anche per aria innanzi, come fa poi quando in terra?

   SIMP. Perch, avendo aria di sopra e di sotto, n queste parti n quelle hanno dove attaccarsi, e non avendo occasione di andar pi innanzi che indietro, cade a piombo.

   SAGR. Talch la sola vertigine in se stessa, senz'altro impeto, pu spigner la ruzzola, arrivata che sia in terra, assai velocemente. Or venghiamo al resto. Quello spago che il ruzzolante si lega al braccio, e col quale, avvolto intorno alla ruzzola, e' la tira, che effetto fa in essa?

   SIMP. La costringe a girare in se stessa, per isvilupparsi dalla corda.

   SAGR. Talch quando la ruzzola arriva in terra, ella vi giugne girando in se stessa, merc dello spagno. Non ha ella dunque cagione in se stessa di muoversi pi velocemente per terra, che ella non faceva mentre era per aria?

   SIMP. Certo s: perch per aria non aveva altro impulso che quel del braccio del proiciente, e se ben aveva ancora la vertigine, questa (come si detto) per aria non spigne punto; ma arrivando in terra, al moto del braccio s'aggiugne la progressione della vertigine, onde la velocit si raddoppia. E gi intendo benissimo che rimbalzando la ruzzola in alto, la sua velocit scemer, perch l'aiuto della circolazione gli manca; e nel ricadere in terra lo viene a racquistare, e per torna a muoversi pi velocemente che per aria. Restami solo da intender che in questo secondo moto per terra ella vadia pi velocemente che nel primo, perch cos ella si moverebbe in infinito, accelerandosi sempre.

   SAGR. Io non ho detto assolutamente che questo secondo moto sia pi veloce del primo, ma che pu talvolta accader ch' e' sia pi veloce.

   SIMP. Questo quello ch'io non capisco e ch'io vorrei intendere.

   SAGR. E questo ancora sapete per voi stesso. Per ditemi: quando voi vi lasciaste cader la ruzzola di mano senza che ella girasse in se stessa, che farebbe percotendo in terra?

   SIMP. Niente, ma resterebbe quivi.

   SAGR. Non potrebb'egli accadere che nel percuotere in terra ella acquistasse moto? pensateci meglio.

   SIMP. Se noi non la lasciassimo cadere su qualche pietra che avesse pendio, come fanno i fanciulli con le chiose, e che battendo a sbiescio su la pietra pendente acquistasse movimento in se stessa in giro, col quale poi ella seguitasse di muoversi progressivamente in terra, non saprei in qual altra maniera ella potesse far altro che fermarsi dove ella battesse.

   SAGR. Ecco pure che in qualche modo ella pu acquistar nuova vertigine. Quando dunque la ruzzola sbalzata in alto ricade in gi, perch non pu ella abbattersi a dare su lo sbiescio di qualche sasso fitto in terra e che abbia il pendio verso dove il moto, ed acquistando, per tal percossa, nuova vertigine, oltre a quella prima dello spago, raddoppiar il suo moto, e farlo pi veloce che non fu nel suo primo battere in terra?

   SIMP. Ora intendo che ci pu facilmente seguire. E vo considerando che quando la ruzzola s facesse girare al contrario, nell'arrivare in terra farebbe contrario effetto, cio il moto della vertigine ritarderebbe quel del proiciente.

   SAGR. E lo ritarderebbe, e l'impedirebbe tal volta del tutto, quando la vertigine fusse assai veloce. E di qui nasce la soluzione di quell'effetto che i giuocatori di palla a corda pi esperti fanno con lor vantaggio, cio d'ingannar l'avversario col trinciar (che tale il loro termine) la palla, cio rimetterla con la racchetta obliqua, in modo che ella acquisti una vertigine in se stessa contraria al moto proietto, dal che ne sguita che, nell'arrivare in terra, il balzo che, quando la palla non girasse, andrebbe verso l'avversario, porgendoli il consueto tempo di poterla rimettere, resta come morto, e la palla si schiaccia in terra, o meno assai del solito ribalza, e rompe il tempo della rimessa. Per questo anco si veggono quelli che giuocano con palle di legno a chi pi s'accosta a un segno determinato, quando giuocano in una strada sassosa e piena d'intoppi, da far deviar in mille modi la palla n punto andar verso il segno, per isfuggirli tutti, gettar la palla non ruzzolando per terra, ma di posta per aria, come se avessero a gettare una piastra piana; ma perch nel gettar la palla ella esce di mano con qualche vertigine conferitale dalle dita, tuttavoltach la mano si tenesse sotto la palla, come comunemente si tiene, onde la palla, nel percuotere in terra presso al segno, tra 'l moto del proiciente e quel della vertigine scorrerebbe assai lontana, per far ch'ella si fermi, abbrancano artifiziosamente la palla, tenendo la mano di sopra e la palla di sotto, alla quale nello scappar vien conferita dalle dita la vertigine al contrario, per la quale, nel battere in terra vicino al segno, quivi si ferma o poco pi avanti scorre. Ma per tornar al principal problema, che stato causa di far nascer questi altri, dico che possibile che uno mosso velocissimamente si lasci uscir una palla di mano la quale, giunta che sia in terra, non solo sguiti il moto di colui, ma lo anticipi ancora, movendosi con velocit maggiore. E per vedere un tal effetto, voglio che il corso sia d'una carretta, alla quale per banda di fuori sia fermata una tavola pendente, s che la parte inferiore resti verso i cavalli e la superiore verso le ruote di dietro. Ora, se nel maggior corso della carretta alcuno, che vi sia dentro, lascer cadere una palla gi per il pendio di quella tavola, ella nel venir gi ruzzolando acquister vertigine in se stessa, la quale, aggiunta al moto impresso dalla carretta, porter la palla per terra assai pi velocemente della carretta: e quando si accomodasse un'altra tavola pendente all'opposito, si potrebbe temperare il moto della carretta in modo, che la palla scorsa gi per la tavola, nell'arrivare in terra, restasse immobile, ed anco talvolta corresse al contrario della carretta. Ma troppo lungamente ci siam partiti dalla materia; e se il signor Simplicio resta appagato della soluzione del primo argomento contro alla mobilit della Terra, preso da i cadenti a perpendicolo, si potr venire a gli altri.

   SALV. Le digressioni fatte sin qui non son talmente aliene dalla materia che si tratta, che si possan chiamar totalmente separate da quella; oltrech dependono i ragionamenti da quelle cose che si vanno destando per la fantasia non a un solo, ma a tre, che anco, di pi, discorriamo per nostro gusto, n siamo obligati a quella strettezza che sarebbe uno che ex professo trattasse metodicamente una materia, con intenzione anco di publicarla. Non voglio che il nostro poema si astringa tanto a quella unit, che non ci lasci campo aperto per gli episodii, per l'introduzion de' quali dovr bastarci ogni piccolo attaccamento e quasi che noi ci fussimo radunati a contar favole, quella sia lecito dire a me, che mi far sovvenire il sentir la vostra.

   SAGR. Questo a me piace grandemente: e gi che noi siamo in questa larghezza, siami lecito, prima che passare pi innanzi, ricercar da voi, signor Salviati, se mai vi venuto pensato qual si possa credere che sia la linea descritta dal mobile grave, naturalmente cadente dalla cima della torre a basso; e se vi avete fatto sopra reflessione, ditemi in grazia il vostro pensiero.

   SALV. Io ci ho talvolta pensato: e non dubito punto che quando altri fusse sicuro della natura del moto col quale il grave descende per condursi al centro del globo terrestre, mescolandolo poi col movimento comune circolare della conversion diurna, si troverrebbe precisamente qual sorte di linea sia quella che dal centro della gravit del mobile vien descritta nella composizion di tali due movimenti.

   SAGR. Del semplice movimento verso il centro, dependente dalla gravit, credo che si possa assolutamente senza errore credere che sia per linea retta, quale appunto sarebbe quando la Terra fusse immobile.

   SALV. Quanto a questa parte, non solamente possiamo crederla, ma l'esperienza ce ne rende certi.

   SAGR. Ma come ce ne assicura l'esperienza, se noi non veggiamo mai altro moto che il composto delli due, circolare ed in gi?

   SALV. Anzi pur, signor Sagredo, non veggiamo noi altro che il semplice in gi, avvenga che l'altro circolare, comune alla Terra alla torre ed a noi, resta impercettibile e come nullo, e solo ci resta notabile quello della pietra, non participato da noi; e di questo il senso dimostra che sia per linea retta, venendo sempre parallelo alla stessa torre, che sopra la superficie terrestre fabbricata rettamente ed a perpendicolo.

   SAGR. Avete ragione, e ben troppo dappoco mi son dimostrato, mentre non m' sovvenuto una cosa s facile. Ma gi che questo notissimo, che altro dite voi di desiderare per intender la natura di questo movimento a basso?

   SALV. Non basta intender che sia retto, ma bisogna sapere se sia uniforme o pure difforme, cio se mantenga sempre un'istessa velocit o pur si vadia ritardando o accelerando.

   SAGR. Gi chiaro che si va accelerando continuamente.

   SALV. N questo basta, ma converrebbe sapere secondo qual proporzione si faccia tal accelerazione: problema, che sin qui non credo che sia stato saputo da filosofo n da matematico alcuno, ancorch da filosofi, ed in particolare Peripatetici, sieno stati volumi intieri, e grandissimi, scritti intorno al moto.

   SIMP. I filosofi si occupano sopra gli universali principalmente; trovano le definizioni ed i pi comuni sintomi, lasciando poi certe sottigliezze e certi tritumi, che son poi pi tosto curiosit, a i matematici: ed Aristotile si contentato di definire eccellentemente che cosa sia il moto in universale, e del locale mostrare i principali attributi, cio che altro naturale, altro violento, che altro semplice, altro composto, che altro equabile, altro accelerato; e dell'accelerato si contentato di render la ragione dell'accelerazione, lasciando poi l'investigazione della proporzione di tale accelerazione e di altri pi particolari accidenti al mecanico o ad altro inferiore artista.

   SAGR. Tutto bene, signor Simplicio mio. Ma voi, signor Salviati, calandovi talvolta dal trono della maest peripatetica, avete mai scherzato intorno all'investigazione di questa proporzione dell'accelerazione del moto de' gravi descendenti?

   SALV. Non mi stato bisogno di pensarvi, attesoch l'Accademico, nostro comun amico, mi mostr gi un suo trattato del moto, dove era dimostrato questo, con molti altri accidenti; ma troppo gran digressione sarebbe se per questo volessimo interromper il presente discorso, che pure esso ancora una digressione, e far, come si dice, una commedia in commedia.

   SAGR. Mi contento d'assolvervi da tal narrazione per al presente, con patto per che questa sia una delle proposizioni riservata da esaminarsi tra le altre in altra particolar sessione, perch tal notizia da me desideratissima: ed intanto torniamo alla linea descritta dal grave cadente dalla sommit della torre sino alla sua base.

   SALV. Quando il movimento retto verso il centro della Terra fusse uniforme, essendo anco uniforme il circolare verso oriente,. si verrebbe a comporre di amendue un moto per una linea spirale, di quelle definite da Archimede nel libro delle sue spirali, che sono quando un punto si muove uniformemente sopra una linea retta, mentre essa pur uniformemente si gira intorno a un de i suoi estremi punti, fisso come centro del suo rivolgimento. Ma perch il moto retto del grave cadente continuamente accelerato, forza che la linea del composto de i due movimenti si vadia sempre con maggior proporzione allontanando successivamente dalla circonferenza di quel cerchio che avrebbe disegnato il centro della gravit della pietra quando ella fusse restata sempre sopra la torre; e bisogna che questo allontanamento sul principio sia piccolo, anzi minimo, anzi pur minimissimo, avvengach il grave descendente, partendosi dalla quiete, cio dalla privazion del moto a basso, ed entrando nel moto retto in gi, forza che passi per tutti i gradi di tardit che sono tra la quiete e qualsivoglia velocit, li quali gradi sono infiniti, s come gi a lungo si discorso e concluso.

   Stante dunque che tale sia il progresso dell'accelerazione, ed essendo oltre di ci vero che il grave descendente va per terminare nel centro della Terra, bisogna che la linea del suo moto composto sia tale, che ben si vadia sempre con maggior proporzione allontanando dalla cima della torre, o, per dir meglio, dalla circonferenza del cerchio descritto dalla cima della torre per la conversion della Terra, ma che tali discostamenti sieno minori e minori in infinito, quanto meno e meno il mobile si trova essersi scostato dal primo termine dove posava. Oltre di ci necessario che questa tal linea del moto composto vadia a terminar nel centro della Terra. Or, fatti questi due presupposti, venni gi descrivendo intorno al centro A col semidiametro A B il cerchio B I, rappresentantemi il globo terrestre; e prolungando il semidiametro AB in C, descrissi l'altezza della torre BC, la quale, portata dalla Terra sopra la circonferenza B I, descrive con la sua sommit l'arco C D, divisa poi la linea C A in mezo in E, col centro E, intervallo E C, descrivo il mezo cerchio C I A, per il quale dico ora che assai probabilmente si pu credere che una pietra, cadendo dalla sommit della torre C, venga movendosi del moto composto del comune circolare e del suo proprio retto.

  Imperocch, segnando nella circonferenza C D alcune parti eguali C F, F G, G H, H L, e da i punti F, G, H, L tirate verso il centro A linee rette, le parti di esse intercette fra le due circonferenze C D, B I ci rappresenteranno sempre la medesima torre C B, trasportata dal globo terrestre verso D I, nelle quali linee i punti dove esse vengono segate dall'arco del mezo cerchio C I sono i luoghi dove di tempo in tempo la pietra cadente si ritrova; li quali punti si vanno sempre con maggior proporzione allontanando dalla cima della torre, che quello che fa che il moto retto fatto lungo la torre ci si mostra sempre pi e pi accelerato. Vedesi ancora come, merc della infinita acutezza dell'angolo del contatto delli due cerchi D C, C I, il discostamento del cadente dalla circonferenza CFD, cio dalla cima della torre, verso il principio piccolissimo, che quanto a dire il moto in gi esser lentissimo, e pi e pi tardo in infinito secondo la vicinit al termine C, cio allo stato della quiete, e finalmente s'intende come in ultimo tal moto andrebbe a terminar nel centro della Terra A.

   SAGR. Intendo perfettamente il tutto, n posso credere che 'l mobile cadente descriva col centro della sua gravit altra linea che una simile.

   SALV. Ma piano, signor Sagredo; ch io ho da portarvi ancora tre mie meditazioncelle, che forse non vi dispiaceranno. La prima delle quali , che se noi ben consideriamo, il mobile non si muove realmente d'altro che di un moto semplice circolare, s come quando posava sopra la torre pur si muoveva di un moto semplice e circolare. La seconda ancora pi bella: imperocch egli non si muove punto pi o meno che se fusse restato continuamente su la torre, essendo che a gli archi C F, F G, G H, etc., che egli avrebbe passati stando sempre su la torre, sono precisamente eguali gli archi della circonferenza C I rispondenti sotto gli stessi C F, F G, G H, etc. Dal che ne sguita la terza meraviglia: che il moto vero e reale della pietra non vien altrimenti accelerato, ma sempre equabile ed uniforme, poich tutti gli archi eguali notati nella circonferenza C D ed i loro corrispondenti segnati nella circonferenza C I vengono passati in tempi eguali. Talch noi venghiamo liberi di ricercar nuove cause di accelerazione o di altri moti, poich il mobile tanto stando su la torre quanto scendendone, sempre si muove nel modo medesimo, cio circolarmente, con la medesima velocit e la medesima uniformit. Or ditemi quel che vi pare di questa mia bizzarria.

   SAGR. Dicovi che non potrei a bastanza con parole esprimer quanto ella mi par maravigliosa: e per quanto al presente mi si rappresenta all'intelletto, io non credo che il negozio passi altrimenti; e volesse Dio che tutte le dimostrazioni de' filosofi avesser la met della probabilit di questa. Vorrei bene, per mia intera sodisfazione, sentir la prova come quelli archi sieno eguali.

   SALV. La dimostrazion facilissima. Intendete esser tirata questa linea I E; ed essendo il semidiametro del cerchio C D, cio la linea C A, doppio del semidiametro C E del cerchio C I, sar la circonferenza doppia della circonferenza, ed ogn'arco del maggior cerchio doppio di ogni arco simile del minore, ed in conseguenza la met dell'arco del cerchio maggiore eguale all'arco del minore: e perch l'angolo C E I, fatto nel centro E del minor cerchio e che insiste su l'arco C I, doppio dell'angolo C A D, fatto nel centro A del cerchio maggiore, al quale suttende l'arco C D, adunque l'arco C D la met dell'arco del maggior cerchio simile all'arco C I, e per sono li due archi C D, C I eguali: e nell'istesso modo si dimostrerr di tutte le parti. Ma che il negozio, quanto al moto de i gravi descendenti, proceda cos puntualmente, io per ora non lo voglio affermare; ma dir bene che se la linea descritta dal cadente non questa per l'appunto, ella gli sommamente prossima.

   SAGR. Ma io, signor Salviati, vo pur ora considerando un'altra cosa mirabile: e questa , che stanti queste considerazioni, il moto retto vadia del tutto a monte e che la natura mai non se ne serva, poich anco quell'uso che da principio gli si concedette, che fu di ridurre al suo luogo le parti de i corpi integrali quando fussero dal suo tutto separate e per in prava disposizione costituite, gli vien levato, ed assegnato pur al moto circolare.

   SALV. Questo seguirebbe necessariamente quando si fusse concluso, il globo terrestre muoversi circolarmente, cosa che io non pretendo che sia fatta, ma solamente si andato sin qui, e si andr, considerando la forza delle ragioni che vengono assegnate da i filosofi per prova dell'immobilit della Terra: delle quali questa prima, presa da i cadenti a perpendicolo, patisce le difficult che avete sentite; le quali non so di quanto momento sieno parse al signor Simplicio, e per, prima che passare al cimento de gli altri argomenti, sarebbe bene ch'ei producesse se cosa ha da replicare in contrario.

   SIMP. Quanto a questo primo, confesso veramente aver sentito varie sottigliezze alle quali non avevo pensato, e come che elle mi giungono nuove, non posso aver le risposte cos in pronto. Ma questo, preso da i cadenti a perpendicolo, non l'ho per de i pi gagliardi argomenti per l'immobilit della Terra, e non so quello che accader de i tiri dell'artiglierie, e massime di quelli contro al moto diurno.

   SAGR. Tanto mi desse fastidio il volar de gli uccelli quanto mi fanno difficult le artiglierie e tutte le altre esperienze arrecate di sopra! Ma questi uccelli, che ad arbitrio loro volano innanzi e 'n dietro e rigirano in mille modi, e, quel che importa pi, stanno le ore intere sospesi per aria questi, dico, mi scompigliano la fantasia, n so intendere come tra tante girandole e' non ismarriscano il moto della Terra, o come e' possin tener dietro a una tanta velocit, che finalmente supera a parecchi e parecchi doppi il lor volo.

   SALV. Veramente il dubitar vostro non senza ragione, e forse il Copernico stesso non ne dovette trovar scioglimento di sua intera sodisfazione, e perci per avventura lo tacque; se ben anco nell'esaminar l'altre ragioni in contrario fu assai conciso, credo per altezza d'ingegno, e fondato su maggiori e pi alte contemplazioni, nel modo che i leoni poco si muovono per l'importuno abbaiar de i picciol cani. Serberemo dunque l'instanza de gli uccelli in ultimo, e 'n tanto cercheremo di dar sodisfazione al signor Simplicio nell'altre, col mostrargli, al modo solito, che egli stesso ha le soluzioni in mano, se bene non se n'accorge. E facendo principio da i tiri di volata, fatti, col medesimo pezzo polvere e palla, l'uno verso oriente e l'altro verso occidente, dicami qual cosa sia quella che lo muove a credere che 'l tiro verso occidente (quando la revoluzion diurna fusse del globo terrestre) dovrebbe riuscir pi lungo assai che l'altro verso levante.

   SIMP. Muovomi a cos credere, perch nel tiro verso levante la palla, mentre che fuori dell'artiglieria, viene seguita dall'istessa artiglieria, la quale, portata dalla Terra pur velocemente corre verso la medesima parte, onde la caduta della palla in terra vien poco lontana dal pezzo. All'incontro nel tiro occidentale, avanti che la palla percuota in terra, il pezzo si ritirato assai verso levante, onde lo spazio tra la palla e'l pezzo, cio il tiro, apparir pi lungo dell'altro quanto sar stato il corso dell'artiglieria, cio della Terra, ne' tempi che amendue le palle sono state per aria.

   SALV. Io vorrei che noi trovassimo qualche modo di far una esperienza corrispondente al moto di questi proietti, come quella della nave al moto de i cadenti da alto a basso, e vo pensando la maniera.

   SAGR. Credo che prova assai accomodata sarebbe il pigliare una carrozzetta scoperta, ed accomodare in essa un balestrone da bolzoni a meza elevazione, acci il tiro riuscisse il massimo di tutti, e mentre i cavalli corressero, tirare una volta verso la parte dove si corre, e poi un'altra verso la contraria, facendo benissimo notare dove si trova la carrozza in quel momento di tempo che 'l bolzone si ficca in terra, s nell'uno come nell'altro tiro; ch cos potr vedersi per appunto quanto l'uno riesce maggior dell'altro.

   SIMP. Parmi che tale esperienza sia molto accomodata; e non ho dubbio che 'l tiro, cio che lo spazio tra la freccia e dove si trova la carrozza nel momento che la freccia si ficca in terra, sar minore assai quando si tira verso il corso della carrozza, che quando si tira per l'opposito. Sia, per esempio, il tiro in se stesso trecento braccia, e 'l corso della carrozza, nel tempo che il bolzone sta per aria, sia braccia cento: adunque, tirandosi verso il corso, delle trecento braccia del tiro la carrozzetta ne passa cento, onde nella percossa del bolzone in terra lo spazio tra esso e la carrozza sar braccia dugento solamente; ma all'incontro nell'altro tiro, correndo la carrozza al contrario del bolzone, quando il bolzone ar passate le sue trecento braccia e la carrozza le sua cento altre in contrario, la distanza traposta si trover esser di braccia quattrocento.

   SALV. Sarebbec'egli modo alcuno per far che questi tiri riuscissero eguali?

   SIMP. Io non saprei altro modo che col far star ferma la carrozza.

   SALV. Questo si sa: ma io domando, facendo correr la carrozza a tutto corso.

   SIMP. Chi non ingagliardisse l'arco nel tirar secondo il corso, e poi l'indebolisse per tirar contro al corso.

   SALV. Ecco dunque che pur ci qualch'altro rimedio. Ma quanto bisognerebbe ingagliardirlo di pi, e quanto poi indebolirlo?

   SIMP. Nell'esempio nostro, dove aviamo supposto che l'arco tirasse trecento braccia, bisognerebbe, per il tiro verso il corso, ingagliardirlo s che tirasse braccia quattrocento e per l'altro indebolirlo tanto che non tirasse pi di dugento, perch cos l'uno e l'altro tiro riuscirebbe di braccia trecento in relazione alla carrozza, la quale col suo corso di cento braccia, che ella sottrarrebbe al tiro delle quattrocento e l'aggiugnerebbe a quel delle dugento, verrebbe a ridurgli amendue alle trecento.

   SALV. Ma che effetto fa nella freccia la maggior o minor gagliardia dell'arco?

   SIMP. L'arco gagliardo la caccia con maggior velocit, e 'l pi debole con minore; e l'istessa freccia va tanto pi lontana una volta che l'altra, con quanta maggior velocit ella esce della cocca l'una volta che l'altra.

   SALV. Talch per far che la freccia tirata tanto per l'uno quanto per l'altro verso s'allontani egualmente dalla carrozza corrente, bisogna che se nel primo tiro dell'esempio proposto ella si parte, verbigrazia, con quattro gradi di velocit, nell'altro tiro ella si parta con due solamente. Ma se si adopra il medesimo arco, da esso ne riceve sempre tre gradi.

   SIMP. Cos ; e per questo, tirando con l'arco medesimo, nel corso della carrozza i tiri non posson riuscire eguali.

   SALV. Mi ero scordato di domandar con che velocit si suppone, pur in questa esperienza particolare, che corra la carrozza.

   SIMP. La velocit della carrozza bisogna supporla di un grado, in comparazione di quella dell'arco, che tre.

   SALV. S, s, cos torna il conto giusto. Ma ditemi: quando la carrozza corre, non si muovono ancora con la medesima velocit tutte le cose che son nella carrozza?

   SIMP. Senza dubbio.

   SALV. Adunque il bolzone ancora, e l'arco, e la corda su la quale teso.

   SIMP. Cos .

   SALV. Adunque, nello scaricare il bolzone verso il corso della carrozza l'arco imprime i suoi tre gradi di velocit in un bolzone che ne ha gi un grado, merc della carrozza che verso quella parte con tanta velocit lo porta, talch nell'uscir della cocca e' si trova con quattro gradi di velocit; ed all'incontro, tirando per l'altro verso, il medesimo arco conferisce i suoi medesimi tre gradi in un bolzone che si muove in contrario con un grado, talch nel separarsi dalla corda non gli restano altro che dua soli gradi di velocit. Ma gi voi stesso avete deposto che per fare i tiri eguali bisogna che il bolzone si parta una volta con quattro gradi e l'altra con due: adunque, senza mutar arco, l'istesso corso della carrozza quello che aggiusta le partite, e l'esperienza poi quella che le sigilla a coloro che non volessero o non potessero esser capaci della ragione. Ora applicate questo discorso all'artiglieria, e troverete che, muovasi la Terra o stia ferma, i tiri fatti dalla medesima forza hanno a riuscir sempre eguali, verso qualsivoglia parte indrizzati. L'errore di Aristotile, di Tolomeo, di Ticone, vostro, e di tutti gli altri, ha radice in quella fissa e inveterata impressione, che la Terra stia ferma, della quale non vi potete o sapete spogliare n anco quando volete filosofare di quel che seguirebbe, posto che la Terra si movesse; e cos nell'altro argomento, non considerando che mentre che la pietra su la torre, fa, circa il muoversi o non muoversi, quel che fa il globo terrestre perch avete fisso nella mente che la Terra stia ferma, discorrete intorno alla caduta del sasso sempre come se si partisse dalla quiete, dove che bisogna dire: Se la Terra sta ferma, il sasso si parte dalla quiete e scende perpendicolarmente; ma se la Terra si muove, la pietra altres si muove con pari velocit, n si parte dalla quiete, ma dal moto eguale a quel della Terra, col quale mescola il sopravegnente in gi e ne compone un trasversale.

   SIMP. Ma, Dio buono, come, se ella si muove trasversalmente, la veggo io muoversi rettamente e perpendicolarmente? questo pure un negare il senso manifesto; e se non si deve credere al senso, per qual altra porta si deve entrare a filosofare?

   SALV. Rispetto alla Terra, alla torre e a noi, che tutti di conserva ci moviamo, col moto diurno, insieme con la pietra, il moto diurno come se non fusse, resta insensibile, resta impercettibile, senza azione alcuna, e solo ci resta osservabile quel moto del quale noi manchiamo, che il venire a basso lambendo la torre. Voi non sete il primo che senta gran repugnanza in apprender questo nulla operar il moto tra le cose delle quali egli comune.

   SAGR. Ora mi sovviene di certo mio fantasticamento, che mi pass un giorno per l'immaginativa mentre navigava nel viaggio di Aleppo, dove andava consolo della nostra nazione - e forse potrebb'esser di qualche aiuto, per esplicar questo nulla operare del moto comune ed esser come se non fusse per tutti i participanti di quello: e voglio, se cos piace al signor Simplicio, discorrer seco quello che allora fantasticava da me solo.

   SIMP. La novit delle cose che sento mi fa curioso, non che tollerante, di ascoltare: per dite pure.

   SAGR. Se la punta di una penna da scrivere, che fusse stata in nave per tutta la mia navigazione da Venezia sino in Alessandretta, avesse avuto facult di lasciar visibil segno di tutto il suo viaggio, che vestigio, che nota, che linea avrebb'ella lasciata?

   SIMP. Avrebbe lasciato una linea distesa da Venezia sin l, non perfettamente diritta o, per dir meglio, distesa in perfetto arco di cerchio, ma dove pi e dove meno flessuosa, secondo che il vassello fusse andato or pi or meno fluttuando, ma questo inflettersi in alcuni luoghi un braccio o due, a destra o a sinistra, in alto o a basso, in una lunghezza di molte centinaia di miglia piccola alterazione arebbe arrecato all'intero tratto della linea, s che a pena sarebbe stato sensibile, e senza error di momento si sarebbe potuta chiamare una parte d'arco perfetto.

   SAGR. S che il vero, vero, verissimo moto di quella punta di penna sarebbe anco stato un arco di cerchio perfetto, quando il moto del vassello, tolta la fluttuazion dell'onde, fusse stato placido e tranquillo. E se io avessi tenuta continuamente quella medesima penna in mano, e solamente l'avessi talvolta mossa un dito o due in qua o in l, qual alterazione arei io arrecata a quel suo principale e lunghissimo tratto?

   SIMP. Minore di quella che arrecherebbe a una linea retta lunga mille braccia il declinar in varii luoghi dall'assoluta rettitudine quanto un occhio di pulce.

   SAGR. Quando dunque un pittore nel partirsi dal porto avesse cominciato a disegnar sopra una carta con quella penna, e continuato il disegno sino in Alessandretta, avrebbe potuto cavar dal moto di quella un'intera storia di molte figure perfettamente dintornate e tratteggiate per mille e mille versi, con paesi, fabbriche, animali ed altre cose, se ben tutto il vero, reale ed essenzial movimento segnato dalla punta di quella penna non sarebbe stato altro che una ben lunga ma semplicissima linea; e quanto all'operazion propria del pittore, l'istesso a capello avrebbe delineato quando la nave fusse stata ferma. Che poi del moto lunghissimo della penna non resti altro vestigio che quei tratti segnati su la carta, la cagione ne l'essere stato il gran moto da Venezia in Alessandretta comune della carta e della penna e di tutto quello che era in nave; ma i moti piccolini, innanzi e 'n dietro, a destra ed a sinistra, comunicati dalle dita del pittore alla penna e non al foglio, per esser proprii di quella, potettero lasciar di s vestigio su la carta, che a tali movimenti restava immobile. Cos parimente vero, che movendosi la Terra, il moto della pietra, nel venire a basso, stato realmente un lungo tratto di molte centinaia ed anco di molte migliaia di braccia, e se avesse potuto segnare in un'aria stabile o altra superficie il tratto del suo corso, averebbe lasciata una lunghissima linea trasversale; ma quella parte di tutto questo moto che comune del sasso, della torre e di noi, ci resta insensibile e come se non fusse, e solo rimane osservabile quella parte della quale n la torre n noi siamo partecipi, che in fine quello con che la pietra, cadendo, misura la torre.

   SALV. Sottilissimo pensiero per esplicar questo punto, assai difficile per esser capito da molti. Or, se il signor Simplicio non vuol replicar altro, possiamo passare all'altre esperienze, lo scioglimento delle quali ricever non poca agevolezza dalle cose dichiarate sin qui.

   SIMP. Io non ho che dir altro, ed era mezo astratto su quel disegno, e sul pensare come quei tratti tirati per tanti versi, di qua, di l, in su, in gi, innanzi, in dietro, e 'ntrecciati con centomila ritortole, non sono, in essenza e realissimamente, altro che pezzuoli di una linea sola tirata tutta per un verso medesimo, senza verun'altra alterazione che il declinar dal tratto dirittissimo talvolta un pochettino a destra e a sinistra e il muoversi la punta della penna or pi veloce ed or pi tarda, ma con minima inegualit: e considero che nel medesimo modo si scriverebbe una lettera, e che questi scrittori pi leggiadri, che, per mostrar la scioltezza della mano, senza staccar la penna dal foglio, in un sol tratto segnano con mille e mille ravvolgimenti una vaga intrecciatura, quando fussero in una barca che velocemente scorresse, convertirebbero tutto il moto della penna, che in essenza una sola linea tirata tutta verso la medesima parte e pochissimo inflessa o declinante dalla perfetta drittezza, in un ghirigoro: ed ho gran gusto che il signor Sagredo m'abbia destato questo pensiero. Per seguitiamo innanzi, ch la speranza di poterne sentir de gli altri mi terr pi attento.

   SAGR. Quando voi aveste curiosit di sentir di simili arguzie, che non sovvengono cos a ognuno, non ce ne mancano, e massime in questa cosa della navigazione. E non vi parr un bel pensiero quello che mi sovvenne pur nella medesima navigazione, quando mi accorsi che l'albero della nave, senza rompersi o piegarsi, aveva fatto pi viaggio con la gaggia, cio con la cima, che col piede? perch la cima, essendo pi lontana dal centro della Terra che non il piede, veniva ad aver descritto un arco di un cerchio maggiore del cerchio per il quale era passato il piede.

   SIMP. E cos, quand'un uomo cammina, fa pi viaggio col capo che co i piedi?

   SAGR. L'avete da per voi stesso e di vostro ingegno penetrata benissimo. Ma non interrompiamo il signor Salviati.

   SALV. Mi piace di veder che il signor Simplicio si va addestrando, se per il pensiero suo, e non l'ha imparato da certo libretto di conclusioni, dove ne sono parecchi altri non men vaghi e arguti. Segue che noi parliamo dell'artiglieria eretta a perpendicolo sopra l'orizonte, cio del tiro verso il nostro vertice, e finalmente del ritorno della palla per l'istessa linea sopra l'istesso pezzo, ancorch nella lunga dimora che ella sta separata dal pezzo, la Terra l'abbia per molte miglia portato verso levante, e par che per tanto spazio dovrebbe la palla cader lontana dal pezzo verso occidente; il che non accade; adunque l'artiglieria, senza essersi mossa, l'ha aspettata. La soluzione l'istessa che quella della pietra cadente dalla torre, e tutta la fallacia e l'equivocazione consiste nel suppor sempre per vero quello che in quistione; perch l'avversario ha sempre fermo nel concetto che la palla si parta dalla quiete, nel venir cacciata dal fuoco fuor del pezzo, e partirsi dallo stato di quiete non pu esser se non supposta la quiete del globo terrestre, che poi la conclusione di che si quistioneggia. Replico per tanto che quelli che fanno la Terra mobile, rispondono che l'artiglieria e la palla che vi dentro participano il medesimo moto che ha la Terra, anzi che questo, insieme con lei, hann'eglino da natura, e che per la palla non si parte altrimenti dalla quiete, ma congiunta co 'l suo moto intorno al centro, il quale dalla proiezione in su non le vien n tolto n impedito, ed in tal guisa, seguitando il moto universale della Terra verso oriente, sopra l'istesso pezzo di continuo si mantiene, s nell'alzarsi come nel ritorno: e l'istesso vedrete voi accadere facendo l'esperienza in nave di una palla tirata in su a perpendicolo con una balestra, la quale ritorna nell'istesso luogo, muovasi la nave o stia ferma.

   SAGR. Questo sodisf benissimo al tutto: ma perch ho veduto che il signor Simplicio prende gusto di certe arguzie da chiappar (come si dice) il compagno, gli voglio domandare se, supposto per ora che la Terra stia ferma, e sopra essa l'artiglieria eretta perpendicolarmente e drizzata al nostro zenit, egli ha difficult nessuna in intender che quello il vero tiro a perpendicolo, e che la palla nel partirsi e nel ritorno sia per andar per l'istessa linea retta, intendendo sempre rimossi tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii.

   SIMP. Io intendo che il fatto deva succeder cos per appunto.

   SAGR. Ma quando l'artiglieria si piantasse non a perpendicolo, ma inclinata verso qualche parte, qual dovrebbe essere il moto della palla? andrebbe ella forse, come nell'altro tiro, per la linea perpendicolare, e ritornando anco poi per l'istessa?

   SIMP. Questo non farebb'ella, ma uscita del pezzo seguiterebbe il suo moto per la linea retta che continua la dirittura della canna, se non in quanto il proprio peso la farebbe declinar da tal dirittura verso terra.

   SAGR. Talch la dirittura della canna la regolatrice del moto della palla, n fuori di tal linea si muove, o muoverebbe, se 'l peso proprio non la facesse declinare in gi: e per, posta la canna a perpendicolo e cacciata la palla in su, ella ritorna per l'istessa linea retta in gi, perch il moto della palla dependente dalla sua gravit in gi per la medesima perpendicolare. Il viaggio dunque della palla fuor del pezzo continua la dirittura di quella particella di viaggio che ella ha fatto dentro al pezzo: non sta cos?

   SIMP. Cos pare a me.

   SAGR. Ora figuratevi la canna eretta a perpendicolo, e che la Terra si volga in se stessa co 'l moto diurno e seco porti l'artiglieria: ditemi qual sar il moto della palla dentro alla canna, dato che si sia fuoco?

   SIMP. Sar un moto retto e perpendicolare, essendo la canna drizzata a perpendicolo.

   SAGR. Considerate bene, perch'io credo ch' e' non sar perpendicolare altrimenti. Sarebbe bene a perpendicolo se la Terra stesse ferma, perch cos la palla non avrebbe altro moto che quello che le venisse dal fuoco; ma quando la Terra giri, la palla che nel pezzo ha essa ancora il moto diurno, talch, sopravvenendole l'impulso del fuoco, ella cammina, dalla culatta del pezzo alla bocca, di due movimenti, dal composto de' quali ne risulta, il moto fatto dal centro della gravit della palla essere una linea inclinata.

 

E per pi chiara intelligenza, sia l'artiglieria A C eretta, ed in essa la palla B: manifesto che stando il pezzo immobile, e datogli fuoco, la palla uscir per la bocca A, ed avr co 'l suo centro, camminando per il pezzo, descritta la linea perpendicolare B A, e quella dirittura andr seguitando fuor del pezzo, movendosi verso il vertice. Ma quando la Terra andasse in volta, ed in conseguenza seco portasse l'artiglieria, nel tempo che la palla cacciata dal fuoco si muovesse per la canna, l'artiglieria portata dalla Terra passerebbe nel sito D E, e la palla B nello sboccare sarebbe alla gioia D, ed il moto del centro della palla sarebbe stato secondo la linea B D, non pi perpendicolare, ma inclinata verso levante; e dovendo (come gi s' concluso) continuar la palla il suo moto per l'aria secondo la direzion del moto fatto nel pezzo, il moto seguir conforme all'inclinazion della linea B D: e cos non sar altrimenti perpendicolare, ma inclinato verso levante, verso dove ancora cammina il pezzo, onde potr la palla seguire il moto della Terra e del pezzo. Or eccovi, signor Simplicio, mostrato come il tiro che pareva dover esser a perpendicolo, non altrimenti.

   SIMP. Io non resto ben capace di questo negozio; e voi, signor Salviati?

   SALV. Io ne resto in parte; ma vi ho non so che scrupolo, che Dio voglia ch'io lo sappia spiegare. E' mi pare che, conforme a questo che si detto, quando il pezzo sia a perpendicolo e la Terra si muova, la palla non solo non avrebbe a ricader, come vuole Aristotile e Ticone, lontana dal pezzo verso occidente, ma n anco, come volete voi, sopra il pezzo, anzi assai lontano verso levante; perch, conforme alla vostra esplicazione, ella avrebbe due moti, li quali concordemente la caccerebbero verso quella parte, cio il moto comune della Terra, che porta l'artiglieria e la palla da C A verso E D, ed il fuoco, che la caccia per la linea inclinata B D, moti amendue verso levante, e per superiori al moto della Terra.

   SAGR. No, Signore Il moto che porta la palla verso levante vien tutto dalla Terra, ed il fuoco non ve ne ha parte alcuna; il moto che spigne la palla in su, tutto del fuoco n vi ha che far punto la Terra: e che sia vero, non date fuoco, che mai non uscir la palla fuor del pezzo, n pur si alzer un capello: come ancora, fermate la Terra e date fuoco la palla, senza punto inclinarsi, andr per la perpendicolare. Avendo dunque la palla due moti, uno in su e l'altro in giro de' quali si compone il traversale B D, l'impulso in su tutto del fuoco, il circolare vien tutto dalla Terra ed a quel della Terra eguale; e perch gli eguale, la palla si mantien sempre a perpendicolo sopra la bocca dell'artiglieria, e finalmente in quella ricade; e mantenendosi sempre sopra la dirittura del pezzo, apparisce ancora continuamente sopra il capo di chi vicino al pezzo, e per ci pare che ella giusto a perpendicolo salga verso il nostro vertice.

   SIMP. A me resta un'altra difficult, ed che, per esser il moto della palla nel pezzo velocissimo, non par possibile che in quel momento di tempo la trasposizion dell'artiglieria da C A in E D conferisca inclinazion tale alla linea trasversale C D, che merc di essa la palla poi per aria possa tener dietro al corso della Terra.

   SAGR. Voi errate in pi conti. E prima, l'inclinazion della trasversale C D credo che sia molto maggiore di quello che voi vi immaginate, perch tengo senza dubbio che la velocit del moto terrestre, non solo sotto l'equinoziale, ma nel nostro parallelo ancora, sia maggior che quella della palla, mentre si muove dentro al pezzo, s che l'intervallo C E sarebbe assolutamente maggiore che tutta la lunghezza del pezzo, e l'inclinazione della traversale maggiore, in conseguenza, di mezzo angolo retto. Ma, o sia poca o sia molta la velocit della Terra in comparazione di quella del fuoco, questo non importa niente, perch, se la velocit della Terra poca, ed in conseguenza poca l'inclinazione della trasversale, di poca inclinazione ci anco di bisogno per far che la palla continui di mantenersi nella sua volata sopra il pezzo: ed insomma, se voi attentamente andrete considerando, comprenderete che il moto della Terra, co 'l trasferir seco il pezzo da C A in E D, conferisce alla trasversale C D quel di meno o di pi inclinazione che si ricerca per aggiustare il tiro al suo bisogno. Ma errate secondariamente, mentre voleste riconoscer la facult del tener dietro la palla al moto della Terra dall'impeto del fuoco, e ricadete nell'errore in che pareva esser incorso poco fa il signor Salviati; perch il tener dietro alla Terra l'antichissimo e perpetuo moto participato indelebilmente ed inseparabilmente da essa palla, come da cosa terrestre e che per sua natura lo possiede e lo posseder in perpetuo.

   SALV. Quietiamoci pur, signor Simplicio, perch il negozio cammina giustamente cos. Ed ora da questo discorso vengo a intender la ragione di un problema venatorio di questi imberciatori che con l'archibuso ammazzano gli uccelli per aria: e perch io mi era immaginato che per crre l'uccello fermassero la mira lontana dall'uccello, anticipando per certo spazio, e pi o meno secondo la velocit del volo e la lontananza dell'uccello, acci che sparando ed andando la palla a dirittura della mira venisse ad arrivar nell'istesso tempo al medesimo punto, essa co 'l suo moto e l'uccello co 'l suo volo, e cos si incontrassero; domandando ad uno di loro se la lor pratica fusse tale, mi rispose di no, ma che l'artifizio era assai pi facile e sicuro, e che operano nello stesso modo per appunto che quando tirano all'uccello fermo, cio che aggiustano la mira all'uccel volante, e quello co 'l muover l'archibuso vanno seguitando, mantenendogli sempre la mira addosso sin che sparano, e che cos gli imberciano come gli altri fermi. Bisogna dunque che quel moto, bench lento, che l'archibuso fa nel volgersi, secondando con la mira il volo dell'uccello, si comunichi alla palla ancora e che in essa si congiunga con l'altro del fuoco, s che la palla abbia dal fuoco il moto diritto in alto, e dalla canna il declinar secondando il volo dell'uccello, giusto come pur ora si detto del tiro d'artiglieria; dove la palla ha dal fuoco l'andare in alto verso il vertice, e dal moto della Terra il piegar verso oriente e di amendue farne un composto che segua il corso della Terra e che a chi la guarda apparisca solo di andare a dritto in su, ritornando per la medesima linea di poi in gi. Il tener dunque la mira continuamente indirizzata verso lo scopo fa che il tiro va a ferir giusto: e per tener la mira a segno, se lo scopo sta fermo, anco la canna converr che si tenga ferma; e se il berzaglio si muover, la canna si terr a segno co 'l moto. E di qui depende la propria risposta all'altro argomento del tirar con l'artiglieria al berzaglio posto verso mezogiorno o verso settentrione; dove si instava che quando la Terra si movesse, i tiri riuscirebber tutti costieri verso occidente, perch nel tempo che la palla, uscita del pezzo, va per aria al segno, quello, portato verso levante, si lascia la palla per ponente. Rispondo dunque domandando se, aggiustata che si sia l'artiglieria al segno e lasciata star cos, ella continua a rimirar sempre l'istesso segno, muovasi la Terra o stia ferma. Convien rispondere che la mira non si muta altrimenti, perch, se lo scopo sta fermo, l'artiglieria parimente sta ferma, e se quello, portato dalla Terra, si muove, muovesi con l'istesso tenore l'artiglieria ancora; e mantenendosi la mira, il tiro riesce sempre giusto, come per le cose dette di sopra manifesto.

   SAGR. Fermate un poco in grazia, signor Salviati, sin che io proponga alcun pensiero che mi si mosso intorno a questi imberciatori d'uccelli volanti: il modo dell'operar de' quali credo che sia qual voi dite, e credo che l'effetto parimente segua del ferir l'uccello; ma non mi par gi che tale operazione sia del tutto conforme a questa de i tiri dell'artiglieria, li quali debbon colpire tanto nel moto del pezzo e dello scopo, quanto nella quiete comune di amendue: e le difformit mi paion queste. Nel tiro dell'artiglieria, essa e lo scopo si muovono con velocit eguale, sendo portati amendue dal moto del globo terrestre; e se ben tal volta l'esser il pezzo piantato pi verso il polo che il berzaglio, ed in conseguenza il suo moto alquanto pi tardo, come fatto in minor cerchio, tal differenza insensibile, per la poca lontananza dal pezzo al segno: ma nel tiro dell'imberciatore il moto dell'archibuso, col quale va seguitando l'uccello, tardissimo in comparazion del volo di quello, dal che mi par che ne sguiti che quel piccol moto che conferisce il volger della canna alla palla che vi dentro, non possa, uscita che ella , multiplicarsi per aria sino alla velocit del volo dell'uccello, in modo che essa palla se gli mantenga sempre indirizzata, anzi par ch' e' debba anticiparla e lasciarsela alla coda. Aggiugnesi che in questo atto l'aria per la quale debbe passar la palla non si suppone che abbia il moto dell'uccello; ma ben nel caso dell'artiglieria essa e 'l berzaglio e l'aria intermedia participano egualmente il moto universal diurno. Talch del colpire dell'imberciatore crederei che ne fusser cagioni, oltre al secondar il volo col moto della canna, l'anticiparlo alquanto, con tener la mira innanzi, ed oltr'a ci il tirar (com'io credo) non con una sola palla, ma con buon numero di palline, le quali, allargandosi per aria, occupano spazio assai grande, ed oltre a questo l'estrema velocit con la quale dall'uscita della canna si conducono all'uccello.

   SALV. Ed ecco di quanto il volo dell'ingegno del signor Sagredo anticipa e previene la tardit del mio, il quale forse arebbe avvertite queste disparit, ma non senza una lunga applicazion di mente. Ora, tornando alla materia, ci restano da considerar i tiri di punto bianco verso levante e verso ponente: i primi de' quali, quando la Terra si muovesse, dovrebbon riuscir sempre alti sopra il berzaglio, e i secondi bassi, avvengach le parti della Terra orientali, per il moto diurno, si vanno continuamente abbassando sotto la tangente parallela all'orizonte, che per ci appariscono le stelle orientali elevarsi, ed all'incontro le parti occidentali si vengono alzando, onde le stelle occidentali mostrano di abbassarsi; e per i tiri che son aggiustati secondo la detta tangente allo scopo orientale, il qual, mentre la palla vien per la tangente, si abbassa, doverebber riuscir alti, e gli occidentali bassi, mediante l'alzamento del berzaglio mentre la palla corre per la tangente. La risposta simile all'altre: perch, s come lo scopo orientale per il moto della Terra si va continuamente abbassando sotto una tangente che restasse immobile, cos anco il pezzo per la medesima ragione si va continuamente inclinando, e seguitando di rimirar sempre l'istesso scopo, onde i tiri ne riescon giusti. Ma qui mi par opportuna occasione di avvertir certa larghezza che vien fatta, forse con soverchia liberalit, da i seguaci del Copernico alla parte avversa: dico di concedergli come sicure e certe alcune esperienze che gli avversarii veramente non hanno mai fatte, come, verbigrazia, quella de i cadenti dall'albero della nave mentre in moto, ed altre molte; tra le quali tengo per fermo che una sia questa del far prova se i tiri d'artiglieria orientali riescon alti, e gli occidentali bassi. E perch credo che non l'abbiano mai fatta, vorrei che mi dicessero qual diversit e' credono che si dovrebbe scorgere tra i medesimi tiri, posta la Terra immobile o postala mobile; e per loro risponda adesso il signor Simplicio.

   SIMP. Io non mi voglio arrogere di risponder cos fondatamente come forse qualche altro pi intendente di me, ma dir quello che penso cos all'improviso che risponderebbero, che in effetto quello che gi stato prodotto: cio che quando la Terra si movesse, i tiri orientali riuscirebber sempre alti, etc., dovendo, come par verisimile muoversi la palla per la tangente.

   SALV. Ma s'io dicessi che cos segue in effetto, come fareste a reprovare il mio detto?

   SIMP. Converrebbe venir all'esperienza per chiarirsene.

   SALV. Ma credete voi che si trovasse bombardier cos pratico, che togliesse a dar nel berzaglio ogni tiro nella distanza, verbigrazia, di cinquecento braccia?

   SIMP. Signor no: e credo che non sarebbe alcuno, per esperto che fusse, che si promettesse di non errar ragguagliatamente pi d'un braccio.

   SALV. Come dunque ci potremmo con tiri cos fallaci assicurar in quello di che dubitiamo?

   SIMP. Potremmoci assicurar in due modi: l'uno, co 'l tirar molti tiri; e l'altro, perch rispetto alla gran velocit del moto della Terra la deviazion dallo scopo sarebbe, per mio parer, grandissima.

   SALV. Grandissima, cio assai pi d'un braccio; gi che il variar di tanto, ed anco di pi, si concede che accaschi ordinariamente anco nella quiete del globo terrestre.

   SIMP. Credo fermamente che la variazion sarebbe assai maggiore.

   SALV. Or voglio che per nostro gusto facciamo cos alla grossa un poco di calcolo, se cos vi piace, che ci servir anco (se il computo batter, come spero) per avvertimento di non se ne andar in altre occorrenze, come si dice, cos facilmente preso alle grida, e porger l'assenso a tutto quello che prima ci si rappresenta alla fantasia. E per dare ancora tutti i vantaggi a i Peripatetici e Ticonici, voglio che ci figuriamo esser sotto l'equinoziale, per tirar con una colubrina di punto bianco verso occidente al berzaglio in cinquecento braccia di distanza. Prima cerchiamo, cos (come ho detto) a un di presso, quanto pu essere il tempo nel quale la palla, uscita dal pezzo, giugne al segno, che sappiamo esser brevissimo, ed al sicuro non pi di quello nel quale un pedone cammina due passi; e questo ancor manco di un minuto secondo d'ora, perch, posto che il pedone cammini tre miglia per ora, che sono braccia novemila, essendo che un'ora contiene tremila seicento minuti secondi, vengono a farsi in un secondo passi dua e mezo: un secondo dunque pi che il tempo del moto della palla. E perch la rivoluzion diurna ventiquattr'ore, l'orizonte occidentale si alza quindici gradi per ora, cio quindici minuti primi di grado per un minuto primo di ora, cio quindici secondi di grado per un secondo d'ora; e perch un secondo il tempo del tiro, adunque in questo tempo si alza l'orizonte occidentale quindici secondi di grado, e tanto ancora il berzaglio: quindici secondi per di quel cerchio, del quale il semidiametro sia di braccia cinquecento (che tanta si posto esser la lontananza del berzaglio dalla colubrina). Or guardiamo nella tavola de gli archi e corde (che ecco qui appunto il libro del Copernico), qual parte la corda di quindici secondi del semidiametro che sia braccia cinquecento: qui si vede, la corda di un minuto primo esser manco di trenta parti di quelle che il semidiametro centomila; adunque delle medesime la corda di un minuto secondo sar manco di mezo, cio manco di una parte di quali il semidiametro sia dugentomila, e per la corda di quindici secondi sar manco di quindici delle medesime dugentomila parti. Ma quello che di dugentomila manco di quindici, ancor pi di quello che di cinquecento quattro centesimi; adunque l'alzamento del berzaglio nel tempo del moto della palla manco di quattro centesimi, cio di un venticinquesimo di braccio; sar dunque circa un dito: ed un sol dito, in conseguenza, sar lo svario di ciascun tiro occidentale, quando il moto diurno fusse della Terra. Ora s'io vi dir che questo svario effettivamente accade in tutti i tiri (dico di dar pi basso un dito di quel che darebbono se la Terra non si movesse), come fareste, signor Simplicio, a convincermi, mostrandomi con l'esperienze ci non accadere? non vedete voi che non possibile ributtarmi, se prima non trovate una maniera di tirar a segno tanto esatta, che mai non s'erri d'un capello? perch, mentre che i tiri riusciranno variabili di braccia, come de facto sono, io dir sempre che in ciascheduno di quelli svarii vi contenuto quello di un dito, cagionato dal moto della Terra.

   SAGR. Perdonatemi, signor Salviati; voi sete troppo liberale; perch io direi a i Peripatetici, che quando bene ogni tiro investisse il centro stesso del berzaglio, ci non contrarierebbe punto al moto della Terra: imperocch i bombardieri si sono esercitati sempre in aggiustar la mira al berzaglio, ed hanno fatto la pratica di mettere il pezzo a segno in modo che ci dien dentro, stante il moto della Terra; e dico che se la Terra si fermasse, i tiri non riuscirebbon giusti, ma gli occidentali riuscirebbon alti, e bassi gli orientali. Or convincami il signor Simplicio.

   SALV. Sottigliezza degna del signor Sagredo. Ma abbiasi a vedere questa variazione nel moto o nella quiete della Terra, non potendo ella esser se non piccolissima, non pu se non rimaner sommersa nelle grandissime che per molti accidenti continuamente accascano. E tutto questo sia detto e conceduto per buona misura al signor Simplicio, e solo per avvertimento di quanto bisogni andar cauto nel conceder come vere molte esperienze a quelli che mai non l'hanno fatte, ma animosamente le producono quali bisognerebbe che fussero per servir alla causa loro. Dico che questo si d per giunta al signor Simplicio, perch la verit schietta che circa gli effetti di questi tiri il medesimo deve accadere puntualmente tanto nel moto quanto nella quiete del globo terrestre; s come accader di tutte l'altre esperienze addotte e che addur si possono, le quali in tanto hanno nel primo aspetto qualche sembianza di vero, in quanto l'antiquato concetto dell'immobilit della Terra ci mantiene tra gli equivoci.

   SAGR. Io per la parte mia resto sin qui sodisfatto a pieno, ed intendo benissimo che chiunque si imprimer nella fantasia questa general comunicanza della diurna conversione tra tutte le cose terrestri, alle quali tutte ella naturalmente convenga, in quel modo che nel vecchio concetto stimavano convenirgli la quiete intorno al centro, senza veruno intoppo discerner la fallacia e l'equivocazione che faceva parer gli argomenti prodotti esser concludenti. Restami solamente qualche scrupolo, come di sopra ho accennato, intorno al volar de gli uccelli; i quali, avendo, come animati, facult di muoversi a lor piacimento di centomila moti, e di trattenersi, separati dalla Terra, lungamente per aria, e qui con disordinatissimi rivolgimenti andar vagando, non resto ben capace come tra s gran mescolanza di movimenti non si abbia a confondere e smarrir il primo moto comune, ed in qual modo, restati che ne sieno spogliati, e' lo possano compensare e ragguagliar co 'l volo, e tener dietro alle torri ed a gli alberi che di corso tanto precipitoso fuggono verso levante: dico tanto precipitoso che nel cerchio massimo del globo poco meno di mille miglia per ora, delle quali il volo delle rondini non credo che ne faccia cinquanta.

   SALV. Quando gli uccelli avessero a tener dietro al corso de gli alberi con l'aiuto delle loro ali, starebbero freschi; e quando e' venisser privati dell'universal conversione, resterebbero tanto in dietro, e tanto furioso apparirebbe il corso loro verso ponente, a chi per gli potesse vedere, che supererebbe di assai quel d'una freccia; ma credo che noi non gli potremmo scorgere, s come non si veggono le palle d'artiglieria, mentre, cacciate dalla furia del fuoco, scorron per aria. Ma la verit che il moto proprio de gli uccelli, dico del lor volare, non ha che far nulla co 'l moto universale, al quale n apporta aiuto n disaiuto: e quello che mantiene inalterato cotal moto ne gli uccelli, l'aria stessa per la quale e' vanno vagando, la quale, seguitando naturalmente la vertigine della Terra, s come conduce seco le nugole, cos porta gli uccelli ed ogn'altra cosa che in essa si ritrovasse pendente: talch, quanto al seguir la Terra, gli uccelli non v'hanno a pensare, e per questo servizio potrebbero dormir sempre.

   SAGR. Che l'aria possa condur seco le nugole, come materie facilissime per la lor leggerezza ad esser mosse e come spogliate d'ogn'altra inclinazione in contrario, anzi pur come materie participanti esse ancora delle condizioni e propriet terrene, capisco io senza difficult veruna; ma che gli uccelli, che, per esser animati, posson muoversi di moto anco contrario al diurno, interrotto che l'abbiano, l'aria lo possa loro restituire, mi pare alquanto duretto: e massime che son corpi solidi e gravi; e noi, come di sopra s' detto, veggiamo i sassi e gli altri corpi gravi restar contumaci contro all'impeto dell'aria, e quando pure si lascino superare, non acquistano mai tanta velocit quanto il vento che gli conduce.

   SALV. Non diamo, signor Sagredo, s poca forza all'aria mossa, la qual potente a muovere e condurre i navili ben carichi ed a sbarbar le selve e rovinar le torri, quando rapidamente ella si muove; n per in queste si violenti operazioni si pu dire che il moto suo sia a gran lunga cos veloce come quello della diurna revoluzione.

   SIMP. Ecco dunque che l'aria mossa potr ancora continuar il moto a i proietti, conforme alla dottrina d'Aristotile: e ben mi pareva strana cosa che egli avesse auto a errare in questo particolare.

   SALV. Potrebbe senza dubbio, quando ella potesse continuarlo in se stessa; ma, s come cessato il vento n le navi camminano n gli alberi si spiantano, cos non si continuando il moto nell'aria doppo che la pietra uscita della mano e fermatosi il braccio, resta che altro sia che l'aria quel che fa muover il proietto.

   SIMP. E come, cessato il vento, cessa il moto della nave? anzi si vede che fermato il vento, ed anco ammainate le vele, il vassello dura a scorrer le miglia intere.

   SALV. Ma questo contro di voi, signor Simplicio, poich fermata l'aria, che ferendo le vele conduceva il navilio, ad ogni modo senza l'aiuto del mezo ei continua il corso.

   SIMP. Si potrebbe dire che fusse l'acqua il mezo che conducesse la nave e le mantenesse il moto.

   SALV. Potrebbesi veramente dire, per dir tutto l'opposito del vero; perch la verit che l'acqua, con la sua gran resistenza all'esser aperta dal corpo del vassello, con gran fremito gli contrasta, n gli lascia concepir a gran pezzo quella velocit che il vento gli conferirebbe, quando l'ostacolo dell'acqua non vi fusse. Voi, signor Simplicio, non dovete mai aver posto mente con qual furia l'acqua venga strisciando intorno alla barca, mentre ella velocemente spinta da i remi o dal vento, scorre per l'acqua stagnante; ch quando voi aveste badato a un tal effetto, non vi verrebbe ora in pensiero di produr simil vanit: e vo comprendendo che voi siate sin qui stato del gregge di coloro che per apprender come passino simili negozi e per acquistar le notizie de gli effetti di natura, e' non vadano su barche o intorno a balestre e artiglierie, ma si ritirano in studio a scartabellar gl'indici e i repertori per trovar se Aristotile ne ha detto niente, ed assicurati che si sono del vero senso del testo, n pi oltre desiderano, n altro stimano che saper se ne possa.

   SAGR. Felicit grande, e da esser loro molto invidiata; perch se il sapere da tutti naturalmente desiderato, e se tanto l'essere quanto il darsi ad intender d'essere, essi godono di un ben grandissimo, e posson persuadersi d'intendere e di saper tutte le cose, alla barba di quelli che conoscendo di non saper quel ch'e' non sanno, ed in conseguenza vedendosi non saper n anco una ben minimissima particella dello scibile, s'ammazzano con le vigilie, con le contemplazioni, e si macerano intorno a esperienze ed osservazioni. Ma di grazia torniamo a' nostri uccelli: nel proposito de' quali voi avevi detto che l'aria mossa con grandissima velocit poteva loro restituir quella parte del movimento diurno che tra gli scherzi de' loro voli potessero avere smarrita; sopra di che io replico che l'aria mossa non par che possa conferire in un corpo solido e grave una velocit tanta quanta la sua propria; e perch quella dell'aria quanto quella della Terra, non pareva che l'aria fusse bastante a ristorar il danno della perdita nel volo de gli uccelli.

   SALV. Il discorso vostro ha in apparenza molto del probabile, ed il dubitar a proposito non da ingegni dozinali; tuttavia, levatane l'apparenza, credo che in esistenza e' non abbia un pelo pi di forza che gli altri gi considerati e sciolti.

   SAGR. E' non dubbio alcuno, che quando e' non sia concludente necessariamente, la sua efficacia non pu esser se non nulla assolutamente, perch quando la conclusione necessariamente in questo modo solo, non si pu produr per l'altra parte ragion che vaglia.

   SALV. L'aver voi maggior difficult in questa che nell'altre instanze, pare a me che dependa dall'esser gli uccelli animati, e poter per ci usar forza a lor piacimento contro al primario moto ingenito nelle cose terrene, nel modo appunto che gli veggiamo, mentre son vivi, volar anco all'ins, moto impossibile ad essi come gravi, dove che morti non posson se non cadere a basso; e perci stimate voi che le ragioni che hanno luogo in tutte le sorti de i proietti detti di sopra, non possano averlo ne gli uccelli; e quest' verissimo, e perch vero, per non si vede, signor Sagredo, fare a quei proietti quel che fanno gli uccelli: ch se voi dalla cima della torre lascerete cadere un uccel morto e un vivo, il morto far quell'istesso che fa una pietra, cio seguiter prima il moto generale diurno, e poi il moto a basso, come grave; ma se l'uccello lasciato sar vivo, chi gli vieta che, restando sempre in lui il moto diurno, e' non si getti, co 'l batter le ale, verso qual parte dell'orizonte pi gli piacer? e questo nuovo moto, come suo particolare e non participato a noi, ci si deve far sensibile. E quando e' si sia co 'l suo volo mosso verso occidente, chi gli ha da vietare che con altrettanto batter di penne e' non ritorni in su la torre? Perch, finalmente, lo spiccar il volo verso ponente non fu altro che un detrar dal moto diurno, che ha, verbigrazia, dieci gradi di velocit, un sol grado, onde glie ne rimanevano nove, mentre volava; e quando si fusse posato in terra, gli ritornavano i dieci comuni, a i quali co 'l volar verso levante poteva aggiugnerne uno, e con li undici ritornar su la torre: ed in somma, se noi ben considereremo e pi intimamente contempleremo gli effetti del volar de gli uccelli, non differiscono in altro da i proietti verso tutte le parti del mondo, salvo che nell'esser questi mossi da un proiciente esterno, e quelli da un principio interno. E qui, per ultimo sigillo della nullit di tutte le esperienze addotte, mi par tempo e luogo di mostrar il modo di sperimentarle tutte facilissimamente. Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocit vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non pi gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a pi giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, bench niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder cos, fate muover la nave con quanta si voglia velocit; ch (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in l) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, n da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima n, perch la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, bench, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con pi forza bisogner tirarla, per arrivarlo, se egli sar verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, bench, mentre la gocciola per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con pi fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, n mai accader che si riduchino verso la parete che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d'incenso si far un poco di fumo, vedrassi ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non pi verso questa che quella parte. E di tutta questa corrispondenza d'effetti ne cagione l'esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed all'aria ancora, che per ci dissi io che si stesse sotto coverta; ch quando si stesse di sopra e nell'aria aperta e non seguace del corso della nave, differenze pi e men notabili si vedrebbero in alcuni de gli effetti nominati: e non dubbio che il fumo resterebbe in dietro, quanto l'aria stessa; le mosche parimente e le farfalle, impedite dall'aria, non potrebber seguir il moto della nave, quando da essa per spazio assai notabile si separassero; ma trattenendovisi vicine, perch la nave stessa, come di fabbrica anfrattuosa, porta seco parte dell'aria sua prossima, senza intoppo o fatica seguirebbon la nave, e per simil cagione veggiamo tal volta, nel correr la posta, le mosche importune e i tafani seguir i cavalli, volandogli ora in questa ed ora in quella parte del corpo; ma nelle gocciole cadenti pochissima sarebbe la differenza, e ne i salti e ne i proietti gravi, del tutto impercettibile.

   SAGR. Queste osservazioni, ancorch navigando non mi sia caduto in mente di farle a posta, tuttavia son pi che sicuro che succederanno nella maniera raccontata: in confermazione di che mi ricordo essermi cento volte trovato, essendo nella mia camera, a domandar se la nave camminava o stava ferma, e tal volta, essendo sopra fantasia, ho creduto che ella andasse per un verso, mentre il moto era al contrario. Per tanto io sin qui resto sodisfatto e capacissimo della nullit del valore di tutte l'esperienze prodotte in provar pi la parte negativa che l'affirmativa della conversion della Terra. Resta ora l'instanza fondata su 'l veder per esperienza come una vertigine veloce ha facult di estrudere e dissipare le materie aderenti alla machina che va in volta; per lo che pareva a molti, ed anco a Tolomeo, che quando la Terra si rigirasse in se stessa con tanta velocit, i sassi e gli animali dovessero esser scagliati verso le stelle, e che le fabbriche non potessero con s tenace calcina esser attaccate a i fondamenti, che esse ancora non patissero un tale eccidio.

   SALV. Prima che venire allo scioglimento di questa instanza, non posso tacer quello che mille volte ho osservato, e non senza riso, cadere nella mente quasi di tutti gli uomini nel primo motto che sentono di questo muoversi la Terra, creduta da loro talmente fissa ed immota, che non solamente di tal quiete mai non hanno dubitato, ma fermamente creduto che tutti gli altri uomini insieme con loro l'abbiano stimata creata immobile e tale mantenutasi in tutti i secoli decorsi; e fermatisi in questo concetto, stupiscono poi nel sentire che alcuno le conceda il moto, quasi che dopo averla egli tenuta immobile, scioccamente pensi, allora, e non prima, essersi ella messa in moto, quando Pitagora o chi altro si fusse il primo a dir che ella si muoveva. Ora, che tale stoltissimo pensiero (dico di credere che quelli che ammettono il moto della Terra, l'abbiano prima creduta stabile dalla sua creazione sino al tempo di Pitagora, e solo fattola poi mobile dopo che Pitagora la stim tale) trovi luogo nelle menti de gli uomini vulgari e di senso leggiero, io non me ne maraviglio; ma che gli Aristoteli e i Tolomei siano essi ancora incorsi in questa puerizia, mi par veramente assai pi strana ed inescusabil semplicit.

   SAGR. Adunque, signor Salviati, voi credete che Tolomeo pensasse di dover, disputando, mantener la stabilit della Terra contro a uomini li quali, concedendo quella essere stata immobile sino al tempo di Pitagora, allora solamente affermassero essersi ella fatta mobile, quando esso Pitagora le attribu il moto?

   SALV. Non si pu credere altrimenti, se noi ben consideriamo la maniera ch' e' tiene in confutare il detto loro: la confutazione del quale consiste nella demolizion delle fabbriche, e nello scagliamento delle pietre, de gli animali e de gli uomini stessi verso il cielo; e perch tal rovina e sbalestramento non si pu fare di edifizii e di animali che prima non sieno in Terra, n in Terra possono collocarsi uomini e fabbricarsi edifizii se non quando ella stesse ferma, di qui dunque manifesto che Tolomeo procede contro a quelli che avendo per alcun tempo conceduto la quiete alla Terra cio allora che gli animali, le pietre e i muratori potetter dimorarvi, e fabbricar i palazzi e le citt, la fanno poi precipitosamente mobile, alla rovina e distruzione delle fabbriche e de gli animali, etc. Ch quando egli avesse preso assunto di disputar contro a chi avesse attribuito alla Terra tal vertigine dalla sua prima creazione, l'avrebbe confutata co 'l dire che se la Terra si fusse sempre mossa, mai non si sarebbe potuto costituir in essa n fiere n uomini n pietre, e molto meno fabbricare edifizii e fondar citt, etc.

   SIMP. Non resto ben capace di questa Aristotelica e Tolemaica sconvenevolezza.

   SALV. Tolomeo o arguisce contro a quelli che hanno stimata la Terra mobile sempre, o contro a chi ha stimato che ella sia stata per alcun tempo ferma e che poi si messa in moto: se contro a i primi, doveva dire: "La Terra non si mossa sempre, perch mai non sarebbero stati uomini n animali n edifizii in Terra, non permettendo loro la terrestre vertigine il dimorarvi"; ma gi che egli argumentando dice: "La Terra non si muove, perch le fiere gli uomini e le fabbriche, gi poste in Terra, precipiterebbono", suppone la Terra essersi una volta trovata in tale stato, che abbia ammesso alle fiere e a gli uomini il dimorarvi e 'l fabbricarvi; il che si tira in conseguenza l'essere stata ella alcun tempo ferma, cio atta alla dimora de gli animali ed alla fabbrica de gli edifizii. Restate voi ora capace di quanto io ho voluto dire?

   SIMP. Resto e non resto: ma questo poco importa al merito della causa, n un erroruzzo di Tolomeo, commesso per inavvertenza, pu esser bastante a muover la Terra, quando ella sia immobile. Ma lasciati gli scherzi, venghiamo pure al nervo dell'argomento, che a me pare insolubile.

   SALV. Ed io, signor Simplicio, lo voglio ancora annodare e strigner da vantaggio, co 'l mostrar ancor pi sensatamente come sia vero che i corpi gravi, girati con velocit intorno a un centro stabile, acquistano impeto di muoversi allontanandosi da quel centro, quando anco e' sieno in stato di aver propensione di andarvi naturalmente. Leghisi in capo di una corda un secchiello, dentrovi dell'acqua, e tenendo forte in mano l'altro capo, e fatto semidiametro la corda e 'l braccio, e centro la snodatura della spalla, facciasi andare intorno velocemente il vaso, s che egli descriva la circunferenza di un cerchio, il quale o sia parallelo all'orizonte, o siagli eretto, o in qualsivoglia modo inclinato, in tutti i casi seguir che l'acqua non cascher fuori del vaso, anzi colui che lo gira sentir sempre tirar la corda e far forza per allontanarsi pi dalla spalla; e se nel fondo del secchiello si far un foro, si vedr l'acqua zampillar fuori non meno verso il cielo che lateralmente e verso la terra; e se in cambio d'acqua si metteranno pietruzze, girando nell'istesso modo, si sentir far loro l'istessa forza contro alla corda; e finalmente si veggono i fanciulli tirar i sassi in gran lontananza co 'l muover in giro un pezo di canna, in cima della quale sia incastrato il sasso: argomenti tutti della verit della conclusione, cio che la vertigine conferisce al mobile impeto verso la circonferenza, quando il moto sia veloce; e perch, quando la Terra girasse in se stessa, il moto della superficie, e massime verso il cerchio massimo, come incomparabilmente pi veloce che i nominati, dovrebbe estruder ogni cosa contro al cielo.

   SIMP. L'instanza mi par molto bene stabilita e annodata, e gran cosa ci vorr, per mio credere, a rimuoverla e sciorla.

   SALV. Lo scioglimento suo depende da alcune notizie non meno sapute e credute da voi che da me; ma perch elle non vi sovvengono, per non vedete lo scioglimento. Senza dunque ch'io ve lo insegni, perch gi voi le sapete, co 'l semplice ricordarvele far che voi stesso risolverete l'instanza.

   SIMP. Io ho posto mente pi volte al vostro modo di ragionare, il quale mi ha destato qualche pensiero che voi incliniate a quella opinion di Platone, che nostrum scire sit quoddam reminisci: per, di grazia, cavatemi di questo dubbio, dicendomi 'l vostro senso.

   SALV. Quel ch'io senta dell'opinion di Platone, posso significarvelo con parole ed ancora con fatti. Gi ne' ragionamenti avuti sin qui mi son io pi d'una volta dichiarato con fatti: seguir l'istesso stile nel particolare che aviamo per le mani, che potr poi servirvi come esempio a pi agevolmente comprendere il mio concetto circa l'acquisto della scienza, quando per ci avanzi tempo per un altro giorno e non sia di noia al signor Sagredo che noi facciamo questa digressione.

   SAGR. Anzi mi sar gratissimo, perch mi ricordo che quando studiavo logica, mai non potetti restar capace di quella tanto predicata dimostrazion potissima di Aristotile.

   SALV. Seguitiamo dunque: e dicami il signor Simplicio qual sia il moto che fa quel sassetto stretto nella cocca della canna, mentre il fanciullo la muove per tirarlo lontano.

   SIMP. Il moto del sasso sin che nella cocca circolare cio va per un arco di cerchio, il cui centro stabile la snodatura della spalla, e il semidiametro la canna co 'l braccio.

   SALV. E quando la pietra scappa dalla canna, qual il suo moto? sguit'ella di continuare 'l suo precedente circolare, o pur va per altra linea?

   SIMP. Non sguit'altrimenti di muoversi in giro, perch cos non si discosterebbe dalla spalla del proiciente, dove che noi la veggiamo andar lontanissima.

   SALV. Di che moto dunque si muove ella?

   SIMP. Lasciate ch'io ci pensi un poco, perch non ci ho pi fatto fantasia.

   SALV. Signor Sagredo, udite all'orecchio: ecco il quoddam reminisci in campagna, bene inteso. Voi ci pensate molto, signor Simplicio!

   SIMP. Secondo me il moto concepito nell'uscir della cocca non pu esser se non per linea retta; anzi pur egli necessariamente per linea retta, intendendo del puro impeto avventizio. Mi dava un poco di fastidio il vedergli descriver un arco; ma perch tal arco piega sempre all'ingi, e non verso altra parte, comprendo che quel declinare vien dalla gravit della pietra, che naturalmente la tira al basso. L'impeto impresso dico senz'altro ch' per linea retta.

   SALV. Ma per qual linea retta? perch infinite e verso tutte le bande se ne posson produrre dalla cocca della canna e dal punto della separazion della pietra dalla canna.

   SIMP. Muovesi per quella che alla dirittura del moto che ha fatto la pietra con la canna.

   SALV. Il moto della pietra, mentre era nella cocca, gi avete detto che stato circolare; ora repugna l'esser circolare e a dirittura, non essendo nella linea circolare parte alcuna di retto.

   SIMP. Io non intendo che 'l moto proietto sia a dirittura di tutto il circolare, ma di quell'ultimo punto dove termin il moto circolare. Io mi intendo dentro di me, ma non so ben esplicarmi.

   SALV. Ed io ancora mi accorgo che voi intendete la cosa, ma non avete i termini proprii da esprimerla: or questi ve gli posso ben insegnar io; insegnarvi, cio, delle parole, ma non delle verit, che son cose. E per farvi toccar con mano che voi sapete la cosa e solo vi mancano i termini da esprimerla, ditemi: quando voi tirate una palla con l'archibuso, verso che parte acquist'ella impeto di andare?

   SIMP. Acquista impeto di andare per quella linea retta che segue la dirittura della canna, cio che non declina n a destra n a sinistra, n in su n in gi.

   SALV. Che in somma quanto a dire, che non fa angolo nessuno con la linea del moto retto fatto per la canna.

SIMP. Cos ho voluto dire.

   SALV. Se dunque la linea del moto del proietto si ha da continuar senza far angolo sopra la linea circolare descritta da lui mentre fu co 'l proiciente, e se da questo moto circolare deve passar al moto retto, qual dovr esser questa linea retta?

   SIMP. Non potr esser se non quella che tocca il cerchio nel punto della separazione, perch tutte l'altre mi par che, prolungate, segherebbono la circonferenza, e per conterrebber con essa qualche angolo.

   SALV. Voi benissimo avete discorso, e vi sete dimostrato mezo geometra. Ritenete dunque in memoria che il vostro concetto reale si spiega con queste parole: cio che il proietto acquista impeto di muoversi per la tangente l'arco descritto dal moto del proiciente nel punto della separazione di esso proietto dal proiciente.

   SIMP. Intendo benissimo, e quest' quel ch'io volevo dire.

   SALV. D'una linea retta che tocchi un cerchio, quale de' suoi punti il pi vicino di tutti al centro di quel cerchio?

   SIMP. Quel del contatto senza dubbio; perch quello nella circonferenza del cerchio, e gli altri fuora, ed i punti della circonferenza son tutti egualmente lontani dal centro.

   SALV. Adunque un mobile partendosi dal contatto e movendosi per la retta tangente, si va continuamente discostando dal contatto ed anco dal centro del cerchio.

SIMP. Cos sicuramente.

   SALV. Or, se voi avete tenuto a mente le proposizioni che mi avete dette, ricongiugnetele insieme e ditemi ci che se ne raccoglie.

   SIMP. Io non credo per d'esser tanto smemorato, ch'io non me n'abbia a ricordare. Dalle cose dette si raccoglie che il proietto, mosso velocemente in giro dal proiciente, nel separarsi da quello ritiene impeto di continuare il suo moto per la linea retta che tocca il cerchio descritto dal moto del proiciente nel punto della separazione; per il qual moto il proietto si va sempre discostando dal centro del cerchio descritto dal moto del proiciente.

   SALV. Voi dunque sin ora sapete la ragione del venir estrusi i gravi aderenti alla superficie d'una ruota mossa velocemente; estrusi, dico, e lanciati oltre alla circonferenza, sempre pi lontani dal centro.

   SIMP. Di questo mi par di restar assai ben capace; ma questa nuova cognizione pi tosto mi accresce che mi scemi l'incredulit che la Terra possa muoversi in giro con tanta velocit, senza estruder verso il cielo le pietre, gli animali, etc.

   SALV. Nell'istesso modo che voi avete saputo sin qui, saprete, anzi sapete, anco il resto: e co 'l pensarvi sopra ve ne ricordereste ancora da per voi; ma, per abbreviar il tempo, vi aiuter io a ricordarvelo. Sin qui avete per voi stesso saputo che il moto circolare del proiciente imprime nel proietto impeto di muoversi (quando avviene ch'e' si separino) per la retta tangente il cerchio del moto nel punto della separazione, e, continuando per essa il moto, vien sempre allontanandosi dal proiciente; ed avete detto che per tal linea retta continuerebbe il proietto di muoversi, quando dal proprio peso non gli fusse aggiunta inclinazione all'in gi, dalla quale deriva l'incurvazione della linea del moto. Parmi ancora che voi abbiate saputo da per voi che questa piegatura tende sempre verso il centro della Terra, perch l tendon tutti i gravi. Ora passo un poco pi avanti, e vi domando se il mobile dopo la separazione, nel continuar il suo moto retto, si va sempre allontanando egualmente dal centro, o volete dalla circonferenza, di quel cerchio del qual il moto precedente fu parte; che tanto a dir se un mobile che partendosi dal punto della tangente, e movendosi per essa tangente, si allontani egualmente dal punto del contatto e dalla circonferenza del cerchio.

   SIMP. Signor no, perch la tangente vicino al punto del contatto si scosta pochissimo dalla circonferenza, con la quale ella contiene un angolo strettissimo, ma nell'allontanarsi pi e pi, l'allontanamento cresce sempre con maggior proporzione; s che in un cerchio che avesse, verbigrazia dieci braccia di diametro, un punto della tangente che fusse lontano dal contatto due palmi, si troverebbe lontano dalla circonferenza del cerchio tre o quattro volte pi che un punto che fusse discosto dal toccamento un palmo; e'l punto che fusse lontano mezo palmo, parimente credo che a pena si discosterebbe la quarta parte della distanza del secondo; s che vicino al contatto per un dito o due, appena si scorge che la tangente sia separata dalla circonferenza.

   SALV. Talch il discostamento del proietto dalla circonferenza del precedente moto circolare in su 'l principio piccolissimo?

   SIMP. Quasi insensibile.

   SALV. Or ditemi un poco: il proietto che dal moto del proiciente riceve impeto di muoversi per la retta tangente, e che vi andrebbe ancora se il proprio peso non lo tirasse in gi, quanto sta, doppo la separazione, a cominciar a declinare a basso?

   SIMP. Credo che cominci subito, perch non avendo chi lo sostenti, non pu esser che la propria gravit non operi.

   SALV. Talch, se quel sasso che scagliato da quella ruota mossa in giro con velocit grande, avesse cos propension naturale di muoversi verso il centro dell'istessa ruota s come e' l'ha di muoversi verso il centro della Terra, sarebbe facil cosa che e' ritornasse alla ruota, o pi tosto che e' non se ne partisse; perch essendo, su 'l principio della separazione, l'allontanamento tanto minimissimo, mediante l'infinita acutezza dell'angolo del contatto, ogni poco poco d'inclinazione che lo ritirasse verso il centro della ruota, basterebbe a ritenerlo sopra la circonferenza.

   SIMP. Io non ho dubbio alcuno che, supposto quello che non n pu essere, cio che l'inclinazione di quei corpi gravi fusse di andare al centro di quella ruota, e' non verrebbero estrusi n scagliati.

   SALV. N io ancora suppongo, n ho bisogno di supporre, quel che non , perch non voglio negare che i sassi vengano scagliati; ma dico cos per supposizione, acci voi mi diciate il resto. Figuratevi ora che la Terra sia la gran ruota che, mossa con tanta velocit, abbia a scagliar le pietre. Gi voi mi avete molto ben saputo dire che il moto proietto dovr esser per quella linea retta che toccher la Terra nel punto della separazione: e questa tangente come si va ella allontanando notabilmente dalla superficie del globo terrestre?

   SIMP. Credo che in mille braccia non s'allontani un dito.

   SALV. Ed il proietto non dite voi che, tirato dal proprio peso, declina dalla tangente verso il centro della Terra?

   SIMP. Hollo detto: e dico anco il resto e intendo perfettamente che la pietra non si separer dalia Terra, poich il suo allontanarsene su 'l principio sarebbe tanto e tanto minimo che ben mille volte pi vien ad esser l'inclinazione che ha il sasso di muoversi verso il centro della Terra, il qual centro in questo caso anco il centro della ruota. E veramente forza concedere che le pietre, gli animali e gli altri corpi gravi non posson esser estrusi: ma mi fanno ora nuova difficult le cose leggierissime, le quali hanno debolissima inclinazione di calare al centro onde, mancando in loro la facult di ritirarsi alla superficie non veggo che elle non avessero a esser estruse; voi poi sapete che ad destruendum sufficit unum.

   SALV. Daremo sodisfazione anco a questo. Per ditemi in prima quel che voi intendete per cose leggiere, cio se voi intendete materie cos leggiere veramente che vadano all'ins, o pur non assolutamente leggiere, ma cos poco gravi che ben vengano a basso, ma lentamente, perch se voi intendete delle assolutamente leggiere, ve le lascer esser estruse pi che voi non volete.

   SIMP. Io intendo di queste seconde, quali sarebbono penne, lana, bambagia e simili, a sollevar le quali basta ogni minima forza: tuttavia si veggono starsene in Terra molto riposatamente.

   SALV. Come questa penna abbia qualche natural propensione di scender verso la superficie della Terra, per minima ch'ella sia, vi dico che ell' bastante a non la lasciar sollevare, e questo non ignoto n anco a voi. Per ditemi: quando la penna fusse estrusa dalla vertigine della Terra, per che linea si moverebb'ella?

   SIMP. Per la tangente nel punto della separazione.

   SALV. E quando ella dovesse tornar a riunirsi, per qual linea si muoverebbe?

   SIMP. Per quella che va da lei al centro della Terra.

   SALV. Talch qui cascano in considerazione due moti: uno della proiezione, che comincia dal punto del contatto e segue per la tangente; e l'altro dell'inclinazione all'ingi, che comincia dal proietto e va per la segante verso il centro: ed a voler che la proiezione segua, bisogna che l'impeto per la tangente prevaglia all'inclinazione per la segante: non sta cos?

   SIMP. Cos mi pare.

   SALV. Ma che cosa pare a voi che sia necessaria che si trovi nel moto proiciente, acci che e' prevaglia a quel dell'inclinazione, onde ne segua lo staccamento e l'allontanamento della penna dalla Terra?

   SIMP. Io non lo so.

   SALV. Come non lo sapete? qui il mobile il medesimo, cio la medesima penna; or come pu il medesimo mobile superare nel moto e prevalere a se stesso?

   SIMP. Io non intendo che e' possa prevalere o cedere a se medesimo nel moto, se non co 'l muoversi or pi veloce e or pi tardo.

   SALV. Ecco dunque che voi pur lo sapevi. Se dunque deve seguir la proiezione della penna e prevalere il suo moto per la tangente al moto per la segante, quali bisogna che sieno le velocit loro?

   SIMP. Bisogna che il moto per la tangente sia maggior di quell'altro per la segante. Oh povero a me! o non egli anco centomila volte maggiore, e non solamente del moto in gi della penna, ma anco di quello della pietra? ed io, ben da semplice davvero, mi ero lasciato persuadere che le pietre non potrebber esser estruse dalla vertigine della Terra! Torno dunque a ridirmi, e dico che quando la Terra si muovesse, le pietre, gli elefanti, le torri e le citt volerebbero verso il cielo per necessit; e perch ci non segue, dico che la Terra non si muove.

   SALV. Oh, signor Simplicio, voi vi sollevate cos presto, ch'io comincer a temer pi di voi che della penna. Quietatevi un poco, e ascoltate. Se per ritener la pietra o la penna annessa alla superficie della Terra ci fusse di bisogno che 'l suo descender a basso fusse pi o tanto quanto il moto fatto per la tangente, voi areste ragione a dir che bisognasse che ella si movesse altrettanto o pi velocemente per la segante all'ingi che per la tangente verso levante; ma non mi avete voi detto poco fa, che mille braccia di distanza per la tangente dal contatto non rimuovono appena un dito dalla circonferenza? Non basta, dunque, che il moto per la tangente, che quel della vertigine diurna, sia semplicemente pi veloce del moto per la segante, che quel della penna all'ingi; ma bisogna che quello sia tanto pi veloce, che 'l tempo che basta a condur la penna, verbigrazia, mille braccia per la tangente, sia poco per il muoversi un sol dito all'ingi per la segante: il che vi dico che non sar mai, fate pur quel moto veloce, e questo tardo, quanto vi piace.

   SIMP. E perch non potrebbe esser quello per la tangente tanto veloce, che non desse tempo alla penna d'arrivar alla superficie della Terra?

   SALV. Provate a mettere il caso in termini, ed io vi risponder. Dite adunque quanto vi par che bastasse far quel moto pi veloce di questo.

   SIMP. Dir, per esempio, che quando quello fusse un milion di volte pi veloce di questo, la penna e anco la pietra verrebbero estruse.

   SALV. Voi dite cos, e dite il falso, solo per difetto non di logica o di fisica o di metafisica ma di geometria: perch, se voi intendeste solo i primi elementi sapreste che dal centro del cerchio si pu tirare una retta linea sino alla tangente che la tagli in modo che la parte della tangente tra 'l contatto e la segante sia uno, due e tre milioni di volte maggior di quella parte della segante che resta tra la tangente e la circonferenza; e di mano in mano che la segante sara pi vicina al contatto questa proporzione si fa maggiore in infinito: onde non da temere che per veloce che sia la vertigine e lento il moto in gi, la penna, o altro pi leggiero, possa cominciare a sollevarsi, perch sempre l'inclinazione in gi supera la velocit della proiezione.

   SAGR. Io non resto interamente capace di questo negozio.

   SALV. Io ve ne far una dimostrazione universalissima, e anco assai facile. Sia data proporzione quella che ha la B A alla C, e sia B A maggior di C quanto esser si voglia; e sia il cerchio il cui centro D, dal quale bisogni tirare una segante,

 

 

 

s che la tangente ad essa segante abbia la proporzione che ha B A alla C: prendasi delle due B A, C la terza proporzionale A I, e come B I ad I A, cos si faccia il diametro F E ad E G, e dal punto G tirisi la tangente G H: dico esser fatto quanto bisognava, e come B A a C, cos essere H G a G E. Imperocch, essendo come B I ad I A cos F E ad E G, sar, componendo, come B A ad A I cos F G a G E; e perch la C media proporzionale tra B A, A I e la GH media tra FG, GE, per come BA a C, cos sar FG a GH, cio HG a GE, che quel che bisognava fare.

   SAGR. Resto capace di questa dimostrazione; tuttavia non mi si toglie interamente ogni scrupolo, anzi mi sento rigirar per la mente certa confusione, la quale, a guisa di nebbia densa ed oscura, non mi lascia discerner con quella lucidit che suole esser propria delle ragioni matematiche la chiarezza e necessit della conclusione. E quello in che io mi confondo, questo. vero che gli spazii tra la tangente e la circonferenza si vanno diminuendo in infinito verso 'l contatto; ma anco vero all'incontro, che la propensione del mobile al descendere si va facendo in esso sempre minore quanto egli si trova pi vicino al primo termine della sua scesa, cio allo stato di quiete, s come manifesto da quello che voi ci dichiaraste, mostrando che il grave descendente partendosi dalla quiete debbe passar per tutti i gradi di tardit mezani tra essa quiete e qualsivoglia segnato grado di velocit, li quali sono minori e minori in infinito. Aggiugnesi che essa velocit e propensione al moto si va per un'altra ragione diminuendo pure in infinito, e ci avviene dal potersi in infinito diminuire la gravit di esso mobile: talch le cagioni che diminuiscono la propensione allo scendere, ed in conseguenza favoriscono la proiezione, son due, cio la leggerezza del mobile e la vicinit al termine di quiete, ed amendue agumentabili in infinito; le quali hanno, all'incontro, il contrasto di una sola causa del far la proiezione, la quale, bench essa parimente agumentabile in infinito, non comprendo come essa sola non possa restar vinta dall'unione ed accoppiamento dell'altre, che son due pure agumentabili in infinito.

   SALV. Dubitazione degna del signor Sagredo; e per dilucidarla, s che pi chiaramente venga da noi compresa, poich voi ancora dite d'averla in confuso, la verremo distinguendo con ridurla in figura, la quale anco forse ci arrecher agevolezza nel risolverla. Segniamo dunque una linea perpendicolare verso il centro, e sia questa A G, ed ad essa sia ad angoli retti la orizontale A B sopra la quale si farebbe il moto della proiezione e vi continuerebbe d'andare il proietto con movimento equabile, quando la gravit non lo inclinasse a basso. Intendasi ora dal punto A prodotta una linea retta, la quale con la A B contenga qualsivoglia angolo, e sia questa A E, e notiamo sopra la A B alcuni spazii eguali A F, F H, H K,

 

 

 

e da essi tiriamo le perpendicolari F G, H I, K L sino alla A E. E perch, come altra volta si detto, il grave cadente, partendosi dalla quiete, va acquistando sempre maggior grado di velocit di tempo in tempo, secondo che l'istesso tempo va crescendo possiamo figurarci gli spazii A F, F H, H K rappresentarci tempi eguali, e le perpendicolari F G, H I, K L gradi di velocit acquistati in detti tempi, s che il grado di velocit acquistato in tutto il tempo A K sia come la linea K L rispetto al grado H I acquistato nel tempo A H, e 'l grado F G nel tempo A F, li quali gradi K L, H I, F G hanno (come manifesto) la medesima proporzione che i tempi KA, HA, FA; e se altre perpendicolari si tireranno da i punti ad arbitrio notati nella linea F A, sempre si troverranno gradi minori e minori in infinito, procedendo verso il punto A, rappresentante il primo instante del tempo e il primo stato di quiete: e questo ritiramento verso A ci rappresenta la prima propensione al moto in gi, diminuita in infinito per l'avvicinamento del mobile al primo stato di quiete, il quale avvicinamento agumentabile in infinito. Troveremo adesso l'altra diminuzion di velocit, che pure si pu fare in infinito per la diminuzion della gravit del mobile; e questo si rappresenter col produrre altre linee dal punto A, le quali contengano angoli minori dell'angolo BAE, qual sarebbe questa A D, la quale, segando le parallele K L, H I, F G ne' punti M, N, O, ci figura i gradi F O, H N, K M acquistati ne i tempi A F, A H, A K, minori de gli altri gradi F G, H I, K L acquistati ne i medesimi tempi, ma questi come da un mobile pi grave, e quelli da un pi leggiero. Ed manifesto che col ritirar la linea E A verso A B, ristrignendo l'angolo E A B (il che si pu fare in infinito, s come la gravit in infinito si pu diminuire), si vien parimente a diminuire in infinito la velocit del cadente, ed in conseguenza la causa che impediva la proiezione: e per pare che dall'unione di queste due ragioni contro alla proiezione, diminuite in infinito, non possa ella esser impedita. E riducendo tutto l'argomento in brevi parole, diremo: Col ristrigner l'angolo E A B si diminuiscono i gradi di velocit L K, I H, G F; ed in oltre col ritirar le parallele K L, H I, F G verso l'angolo A si diminuiscono pure i medesimi gradi, e l'una e l'altra diminuzione si estende in infinito: adunque la velocit del moto in gi si potr ben diminuir tanto e tanto (potendosi doppiamente diminuire in infinito), che ella non basti per restituire il mobile sopra la circonferenza della ruota, e per fare in conseguenza, che la proiezione venga impedita e tolta. All'incontro poi, per far che la proiezion non segua, bisogna che gli spazii per i quali il proietto deve scendere per riunirsi alla ruota, si facciano cos brevi ed angusti, che per tarda, anzi pur diminuita in infinito, che sia la scesa del mobile, ella pur basti a ricondurvelo; e per bisognerebbe che si trovasse una diminuzione di essi spazii non solo fatta in infinito, ma di una infinit tale che superasse la doppia infinit che si fa nella diminuzion della velocit del cadente in gi. Ma come si diminuir una magnitudine pi di un'altra che si diminuisce doppiamente in infinito? Ora noti il signor Simplicio quanto si possa ben filosofare in natura senza geometria! I gradi della velocit diminuiti in infinito, s per la diminuzion della gravit del mobile s per l'avvicinamento al primo termine del moto, cio allo stato di quiete, sempre son determinati, e proporzionatamente rispondono alle parallele comprese tra due linee rette concorrenti in un angolo, conforme all'angolo B A E o B A D o altro in infinito pi acuto, ma per sempre rettilineo. ma la diminuzione degli spazii per li quali il mobile ha da ricondursi sopra la circonferenza della ruota proporzionata ad un'altra sorte di diminuzione, compresa dentro a linee che contengono un angolo infinitamente pi stretto ed acuto di qualsivoglia acuto rettlineo, quale sar questo. Piglisi nella perpendicolare A C qualsivoglia punto C, e fattolo centro, descrivasi con l'intervallo C A un arco A M P, il quale taglier le parallele determinatrici de i gradi di velocit, per minime che elle siano e comprese dentro ad angustissimo angolo rettilineo; delle quali parallele le parti che restano tra l'arco e la tangente A B sono le quantit de gli spazii e de i ritorni sopra la ruota, sempre minori, e con maggior proporzione minori quanto pi s'accostano al contatto, minori, dico, di esse parallele, delle quali son parti. Le parallele comprese tra le linee rette, nel ritirarsi verso l'angolo, diminuiscono sempre con la medesima proporzione, come, verbigrazia, essendo divisa la A H in mezo nel punto F, la parallela H I sar doppia della F G, e suddividendo la F A in mezo, la parallela prodotta dal punto della divisione sar la met della F G, e continuando la suddivisione in infinito, le parallele sussequenti saranno sempre la met delle prossime precedenti: ma non cos avviene delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza del cerchio; imperocch, fatta l'istessa suddivisione nella F A e posto, per esempio, che la parallela che vien dal punto H fusse doppia di quella che vien da F, questa sar poi pi che doppia della seguente, e continuamente quanto verremo verso il toccamento A troveremo le precedenti linee contenere le prossime seguenti tre, quattro, dieci, cento, mille, centomila, e cento milioni, e pi in infinito. La brevit, dunque, di tali linee si riduce a tale, che di gran lunga supera il bisogno per far che il proietto, per leggerissimo che sia, ritorni, anzi pur si mantenga, sopra la circonferenza.

   SAGR. Io resto molto ben capace di tutto il discorso e della forza con la quale egli strigne: tuttavia mi pare che chi volesse travagliarlo ancora, potrebbe muoverci qualche difficult, con dire che delle due cause che rendono la scesa del mobile pi e pi tarda in infinito, manifesto che quella che depende dalla vicinit al primo termine della scesa, cresce sempre con la medesima proporzione, s come sempre mantengono l'istessa proporzione tra di loro le parallele etc.; ma che la diminuzion della medesima velocit dependente dalla diminuzion della gravit del mobile (che era la seconda causa) si faccia essa ancora con la medesima proporzione, non par cos manifesto. E chi ci assicura che ella non si faccia secondo la proporzione delle linee intercette tra la tangente e la circonferenza o pur anco con proporzion maggiore?

   SALV. Io avevo preso come per vero che le velocit de i mobili naturalmente descendenti seguitassero la proporzione delle loro gravit, in grazia del signor Simplicio e d'Aristotile, che in pi luoghi l'afferma come proposizione manifesta; voi, in grazia dell'avversario, ponete ci in dubbio, ed asserite poter esser che la velocit si accresca con proporzion maggiore, ed anco maggiore in infinito, di quella della gravit, onde tutto il discorso passato vadia per terra; resta a me, per sostenerlo, il dire che la proporzione delle velocit molto minore di quella delle gravit, e cos non solamente sollevare, ma fortificare, quanto si detto: e di questo ne adduco per prova l'esperienza, la quale ci mostrer che un grave anco ben trenta e quaranta volte pi di un altro, qual sarebbe, per esempio, una palla di piombo ed una di sughero non si mover n anco a gran pezzo pi veloce il doppio. Ora, se la proiezione non si farebbe quando ben la velocit del cadente si diminuisse secondo la proporzione della gravit, molto meno si far ella tutta volta che poco si scemi la velocit per molto che si detragga del peso. Ma posto anco che la velocit si diminuisse con proporzione assai maggiore di quella con che si scemasse la gravit, quando ben anco ella fusse quella stessa con la quale si diminuiscono quelle parallele tra la tangente e la circonferenza, io non penetro necessit veruna che mi persuada doversi far la proiezione di materie quanto si vogliano leggierissime, anzi affermo pure che ella non si far, intendendo per di materie non propriamente leggierissime, cio prive di ogni gravit e che per lor natura vadano in alto, ma che lentissimamente descendano ed abbiano pochissima gravit: e quello che mi muove a cos credere che la diminuzione di gravit, fatta secondo la proporzione delle parallele tra la tangente e la circonferenza, ha per termine ultimo ed altissimo la nullit di peso, come quelle parallele hanno per ultimo termine della lor diminuzione l'istesso contatto, che un punto indivisibile; ora la gravit non si diminuisce mai sino al termine ultimo, perch cos il mobile non sarebbe grave; ma ben lo spazio del ritorno del proietto alla circonferenza si riduce all'ultima piccolezza, il che quando il mobile posa sopra la circonferenza nell'istesso punto del contatto, talch per ritornarvi non ha bisogno di spazio quanto: e per, sia quanto si voglia minima la propensione al moto in gi, sempre ella pi che a bastanza per ricondurre il mobile su la circonferenza, dalla quale ei dista per lo spazio minimo, cio per niente.

   SAGR. Veramente il discorso molto sottile, ma altrettanto concludente; ed forza confessare che il voler trattar le quistioni naturali senza geometria un tentar di fare quello che impossibile ad esser fatto.

   SALV. Ma il signor Simplicio non dir cos; se bene io non credo ch'ei sia di quei Peripatetici che dissuadono i lor discepoli dallo studio delle mattematiche, come quelle che depravano il discorso e lo rendono meno atto alla contemplazione.

   SIMP. Io non farei questo torto a Platone, ma direi bene con Aristotile che ei s'immerse troppo e troppo s'invagh di quella sua geometria; perch finalmente queste sottigliezze mattematiche, signor Salviati, son vere in astratto, ma applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono: perch dimostrerranno ben i mattematici con i lor principii, per esempio, che sphra tangit planum in puncto, proposizione simile alla presente; ma come si viene alla materia, le cose vanno per un altro verso: e cos voglio dire di quest'angoli del contatto e di queste proporzioni, che tutte poi vanno a monte quando si viene alle cose materiali e sensibili.

   SALV. Adunque voi non credete altrimenti che la tangente tocchi la superficie del globo terrestre in un punto?

   SIMP. Non solo in un punto, ma credo che molte e molte decine e forse centinaia di braccia vadia una linea retta toccando la superficie anco dell'acqua, non che della Terra, prima che separarsi da lei.

   SALV. Ma s'io vi concedo questa cosa, non v'accorgete voi che tanto peggio per la causa vostra? perch, se posto che la tangente, da un sol punto in fuori, fusse separata dalla superficie della Terra, si ad ogni modo dimostrato che per la grande strettezza dell'angolo della contingenza (se per si deve chiamar angolo) il proietto non si separerebbe, quanto meno avr egli causa di separarsi se quell'angolo si chiuda affatto e la superficie e la tangente procedano unitamente? Non vedete voi che a questo modo la proiezione si farebbe su l'istessa superficie della Terra, che tanto quanto a dire che ella non si farebbe? Vedete adunque qual sia la forza del vero, che mentre voi cercate d'atterrarlo, i vostri medesimi assalti lo sollevano e l'avvalorano. Ma gi che vi ho tratto di questo errore, non vorrei gi lasciarvi in quest'altro che voi stimaste che una sfera materiale non tocchi un piano in un sol punto; e vorrei pur che la conversazione, ancor che di poche ore, avuta con persone che hanno qualche cognizion di geometria vi facesse comparir un poco pi intelligente tra quei che non ne sanno niente. Or, per mostrarvi quanto sia grande l'error di coloro che dicono che una sfera, verbigrazia, di bronzo, non tocca un piano, verbigrazia, d'acciaio, in un punto, ditemi qual concetto voi vi formeresti di uno che dicesse e costantemente asseverasse che la sfera non fusse veramente sfera.

   SIMP. Lo stimerei per privo di discorso affatto.

   SALV. In questo stato colui che dice che la sfera materiale non tocca un piano, pur materiale, in un punto, perch il dir questo l'istesso che dire che la sfera non sfera. E che ci sia vero, ditemi in quello che voi costituite l'essenza della sfera, cio che cosa quella che fa differir la sfera da tutti gli altri corpi solidi.

   SIMP. Credo che l'essere sfera consista nell'aver tutte le linee rette, prodotte dal suo centro sin alla circonferenza eguali.

   SALV. Talch quando tali linee non fussero eguali, quel tal solido non sarebbe altrimenti una sfera.

   SIMP. Signor no.

   SALV. Ditemi appresso, se voi credete che delle molte linee che si posson tirar tra due punti, ve ne possa essere altro che una retta sola.

   SIMP. Signor no.

   SALV. Ma voi intendete pure che questa sola retta sar poi per necessit la brevissima di tutte l'altre.

   SIMP. L'intendo, e ne ho anche la dimostrazion chiara, arrecata da un gran filosofo peripatetico; e parmi, se ben mi ricorda, ch'ei la porti riprendendo Archimede, che la suppone come nota, potendola dimostrare.

   SALV. Questo sar stato un gran matematico, avendo potuto dimostrar quel che n seppe n potette dimostrare Archimede; e se ve ne sovvenisse la dimostrazione, la sentirei volentieri, perch mi ricordo benissimo che Archimede ne i libri della sfera e del cilindro mette cotesta proposizione tra i postulati, e tengo per fermo che l'avesse per indimostrabile.

   SIMP. Credo che mi sovverr, perch'ella assai facile e breve.

   SALV. Tanto sar maggior la vergogna d'Archimede, e la gloria di cotesto filosofo.

   SIMP. Io far la sua figura. Tra i punti A, B tira la linea retta A B e la curva A C B, delle quali ei vuol provare la retta esser pi breve; e la prova tale.

Nella curva piglia un punto, che sarebbe C, e tira due altre rette A C, C B, le quali due sono pi lunghe della sola A B, che cos dimostra Euclide. ma la curva A C B maggiore delle due rette A C, C B; adunque a fortiori la curva A C B sar molto maggiore della retta A B, che quello che si doveva dimostrare.

 

 

   SALV. Io non credo che a cercar tutti i paralogismi del mondo si potesse trovare il pi accomodato di questo per dare un esempio della pi solenne fallacia che sia tra tutte le fallacie, cio di quella che prova ignotum per ignotius.

   SIMP. In che modo?

   SALV. Come in che modo? la conclusione ignota, che voi volete provare, non che la curva A C B sia pi lunga della retta A B? il mezo termine, che si piglia per noto, non che la curva A C B sia maggior delle due A C, C B, le quali noto esser maggior della A B? e se vi ignoto che la curva sia maggiore della sola retta A B, come non sar egli assai pi ignoto che ella sia maggiore delle due rette A C, C B, che si sa esser maggiori della sola A B? e voi lo prendete per noto?

   SIMP. Io non intendo ancor bene dove consista la fallacia.

   SALV. Come le due rette sien maggiori della A B (s come noto per Euclide), tuttavolta che la curva sia maggior delle due rette A C, C B, non sar ella molto maggiore della sola retta A B?

   SIMP. Signor s.

   SALV. Esser maggiore la curva A C B della retta A B la conclusione, pi nota del mezo termine, che l'esser la medesima curva maggior delle due rette A C, C B: ora, quando il mezo manco noto della conclusione, si domanda provare ignotum per ignotius. Or torniamo al nostro proposito: basta che voi intendete, la retta esser la brevissima di tutte le linee che si posson tirare fra due punti. E quanto alla principal conclusione, voi dite che la sfera materiale non tocca il piano in un sol punto: qual dunque il suo contatto?

   SIMP. Sar una parte della sua superficie.

   SALV. E il contatto parimente d'un'altra sfera eguale alla prima, sar pure una simil particella della sua superficie?

   SIMP. Non ci ragione che non deva esser cos.

   SALV. Adunque ancor le due sfere, toccandosi si toccheranno con le due medesime particelle di superficie, perch, adattandosi ciascheduna di esse all'istesso piano, forza che si adattino ancor fra di loro. Imaginatevi ora le due sfere, i cui centri A, B, che si tocchino, e congiungansi i lor centri con la retta linea A B, la quale passer per il toccamento. Passi per il punto C, e preso nel toccamento un altro punto D, congiungansi le due rette A D, B D, s che si constituisca il triangolo ADB, del quale i due lati AD, DB saranno eguali all'altro solo A C B, contenendo, tanto quelli quanto questi, due semidiametri, che per la definizion della sfera

 

 

 

sono tutti eguali: e cos la retta A B, tirata tra i due centri A, B, non sar la brevissima di tutte, essendoci le due AD, DB eguali a lei; il che per le vostre concessioni assurdo.

   SIMP. Questa dimostrazione conclude delle sfere in astratto, e non delle materiali.

   SALV. Assegnatemi dunque in che cosa consiste la fallacia del mio argomento, gi che non conclude nelle sfere materiali, ma s bene nelle immateriali e astratte.

   SIMP. Le sfere materiali son soggette a molti accidenti, a i quali non soggiacciono le immateriali. E perch non pu esser che, posandosi una sfera di metallo sopra un piano, il proprio peso non calchi in modo che il piano ceda qualche poco, o vero che l'istessa sfera nel contatto si ammacchi? In oltre, quel piano difficilmente potr esser perfetto, quando non per altro, almeno per esser la materia porosa; e forse non sar men diffficile il trovare una sfera cos perfetta, che abbia tutte le linee dal centro alla superficie egualissime per l'appunto.

   SALV. Oh tutte queste cose ve le concedo io facilmente, ma elle sono assai fuor di proposito; perch mentre voi volete mostrarmi che una sfera materiale non tocca un piano materiale in un punto, voi vi servite d'una sfera che non sfera e d'un piano che non piano, poich, per vostro detto o queste cose non si trovano al mondo o se si trovano si guastano nell'applicarsi a far l'effetto. Era dunque manco male che voi concedeste la conclusione ma condizionatamente, cio che se si desse in materia una sfera e un piano che fussero e si conservassero perfetti, si toccherebber in un sol punto, e negaste poi ci potersi dare.

   SIMP. Io credo che la proposizione de i filosofi vadia intesa in cotesto senso, perch non dubbio che l'imperfezion della materia fa che le cose prese in concreto non rispondono alle considerate in astratto.

   SALV. Come non si rispondono? Anzi quel che voi stesso dite al presente prova che elle rispondon puntualmente.

   SIMP. In che modo?

   SALV. Non dite voi che per l'imperfezion della materia quel corpo che dovrebbe esser perfetto sferico e quel piano che dovrebbe esser perfetto piano, non riescono poi tali in concreto quali altri se gli immagina in astratto?

   SIMP. Cos dico.

   SALV. Adunque, tuttavolta che in concreto voi applicate una sfera materiale a un piano materiale, voi applicate una sfera non perfetta a un piano non perfetto; e questi dite che non si toccano in un punto. Ma io vi dico che anco in astratto una sfera immateriale, che non sia sfera perfetta, pu toccare un piano immateriale, che non sia piano perfetto, non in un punto, ma con parte della sua superficie; talch sin qui quello che accade in concreto, accade nell'istesso modo in astratto: e sarebbe ben nuova cosa che i computi e le ragioni fatte in numeri astratti, non rispondessero poi alle monete d'oro e d'argento e alle mercanzie in concreto. Ma sapete signor Simplicio, quel che accade? S come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie ed altre bagaglie, cos, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ci sapr fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici. Gli errori dunque non consistono n nell'astratto n nel concreto n nella geometria o nella fisica ma nel calcolatore che non sa fare i conti giusti. Per quando voi aveste una sfera ed un piano perfetti, bench materiali, non abbiate dubbio che si toccherebbero in un punto; e se questo era ed impossible ad aversi, molto fuor di proposito fu il dire che sphra enea non tangit in puncto. Ma pi vi aggiungo, signor Simplicio: concedutovi che non si possa dare in materia una figura sferica perfetta n un piano perfetto, credete voi che si possano dare due corpi materiali di superficie in qualche parte e in qualche modo incurvata, anco quanto si voglia irregolatamente?

   SIMP. Di questi non credo che ce ne manchino.

   SALV. Come ve ne siano di tali, questi ancora si toccheranno in un punto, ch il toccarsi in un sol punto non miga privilegio particolare del perfetto sferico e del perfetto piano. Anzi chi pi sottilmente andasse contemplando questo negozio, troverebbe che pi difficile assai il trovar due corpi che si tocchino con parte delle lor superficie, che con un punto solo: perch a voler che due superficie combagino bene insieme, bisogna o che amendue sieno esattamente piane, o che se una colma, l'altra sia concava, ma di una incavatura che per appunto risponda al colmo dell'altra; le quali condizioni son molto pi difficili a trovarsi, per la lor troppo stretta determinazione, che le altre, che nella casual larghezza son infinite.

   SIMP. Adunque voi credete che due pietre o due ferri, presi a caso e accostati insieme, il pi delle volte si tocchino in un sol punto?

   SALV. Ne gli incontri casuali credo di no, s perch per lo pi sopra essi sar qualche poco d'immondizia cedente, s perch non si usa diligenza in applicargli insieme senza qualche percossa, ed ogni poca basta a far che l'una superficie ceda qualche poco all'altra, s che scambievolmente si figurino, almeno in qualche minima particella, l'una all'impronta dell'altra: ma quando le superficie loro fussero ben terse, e che posati amendue sopra una tavola, acciocch l'uno non gravasse sopra all'altro, si spingessero pian piano l'uno verso l'altro, io non ho dubbio che potrebbero condursi al semplice contatto in un sol punto.

   SAGR. Egli forza che con vostra licenza io proponga certa mia difficult, natami nel sentir proporre al signor Simplicio la impossibilit che nel potersi trovare un corpo materiale e solido che abbia perfettamente la figura sferica e nel veder il signor Salviati prestargli in certo modo, non contradicendo, l'assenso. Per vorrei sapere se la medesima difficult si trovi nel figurare un solido di qualche altra figura, cio, per dichiararmi meglio, se maggior difficult si trovi in voler ridurre un pezzo di marmo in figura d'una sfera perfetta, che d'una perfetta piramide o d'un perfetto cavallo o d'una perfetta locusta.

   SALV. Per questa prima risposta, la dar io: e prima mi scuser dell'assenso che vi pare ch'io abbia prestato al signor Simplicio, il quale era solamente per a tempo, perch io ancora avevo in animo, avanti che entrare in altra materia, dir quello che per avventura sar l'istesso o assai conforme al vostro pensiero. E rispondendo alla vostra prima interrogazione, dico che se figura alcuna si pu dare a un solido, la sferica la facilissima sopra tutte l'altre, s come anco la semplicissima e tiene tra le figure solide quel luogo che il cerchio tiene tra le superficiali: la descrizion del qual cerchio, come pi facile di tutte le altre, essa sola stata giudicata da i matematici degna d'esser posta tra i postulati attenenti alle descrizioni di tutte l'altre figure. Ed talmente facile la formazion della sfera, che se in una piastra piana di metallo duro si caver un vacuo circolare, dentro al quale si vadia rivolgendo casualmente qualsivoglia solido assai grossamente tondeggiato, per se stesso senz'altro artifizio si ridurr in figura sferica, quanto pi sia possibile perfetta purch quel tal solido non sia minore della sfera che passasse per quel cerchio; e quel che ci anche di pi degno di considerazione che dentro a quel medesimo incavo si formeranno sfere di diverse grandezze. Quello poi che ci voglia per formare un cavallo o (come voi dite) una locusta, lo lascio giudicare a voi, che sapete che pochissimi scultori si troveranno al mondo atti a poterlo fare, e credo che il signor Simplicio in questo particolare non dissentir da me.

   SIMP. Non so se io dissenta punto da voi. L'oppinion mia che nessuna delle nominate figure si possa perfettamente ottenere, ma per avvicinarsi quanto si possa al pi perfetto grado, credo che incomparabilmente sia pi agevole il ridurre il solido in figura sferica, che in forma di cavallo o di locusta.

   SAGR. E questa maggior difficult da che credete voi che ella dependa?

   SIMP. S come la grand'agevolezza nel formar la sfera deriva dalla sua assoluta semplicit ed uniformit, cos la somma irregolarit rende difficilissimo l'introdur l'altre figure.

   SAGR. Adunque, come l'irregolarit causa di difficult, anco la figura di un sasso rotto con un martello a caso sar delle difficili a introdursi, essendo essa ancora irregolare forse pi di quella del cavallo?

   SIMP. Cos deve essere.

   SAGR. Ma ditemi: quella figura, qualunque ella si sia che ha quel sasso, hall'egli perfettissimamente o pur no?

   SIMP. Quella che egli ha, l'ha tanto perfettamente, che nessun'altra le si assesta tanto puntualmente.

   SAGR. Adunque, se delle figure irregolari, e perci difficili a conseguirsi, pur se ne trovano infinite perfettissimamente ottenute, con qual ragione si potr dire che la semplicissima, e per ci facilissima pi di tutte, sia impossibile a ritrovarsi?

   SALV. Signori, con vostra pace, mi par che noi siamo entrati in una disputa non molto pi rilevante che quella della lana caprina, e dove che i nostri ragionamenti dovrebber continuar di esser intorno a cose serie e rilevanti, noi consumiamo il tempo in altercazioni frivole e di nessun rilievo Ricordiamoci in grazia che il cercar la costituzione del mondo de' maggiori e de' pi nobil problemi che sieno in natura, e tanto maggior poi, quanto viene indrizzato allo scioglimento dell'altro, dico della causa del flusso e reflusso del mare, cercata da tutti i grand'uomini che sono stati sin qui e forse da niun ritrovata: per, quando altro non ci resti da produrre per l'assoluto scioglimento dell'instanza presa dalla vertigine della Terra, che fu l'ultima portata per argomento della sua immobilit circa il proprio centro, potremo passare allo scrutinio delle cose che sono in pro e contro al movimento annuo.

   SAGR. Non vorrei, signor Salviati, che voi misuraste gl'ingegni di noi altri con la misura del vostro: voi, avvezzo sempre ad occuparvi in contemplazioni altissime, stimate frivole e basse tal una di quelle che a noi paiono degno cibo de' nostri intelletti; per talvolta, per sodisfazione nostra non vi sdegnate di abbassarvi a concedere qualcosa alla nostra curiosit. Quanto poi allo scioglimento dell'ultima instanza, presa dallo scagliamento della vertigine diurna, per sodisfare a me bastava assai meno di quello che si prodotto; tuttavia le cose che si son dette soprabbondantemente, mi son parse tanto curiose, che non solo non mi hanno stancata la fantasia, ma me l'hanno con le loro novit trattenuta sempre con diletto tale che maggior non saprei desiderarne: per se qualche altra specolazione resta a voi da aggiugnervi, producetela pure, ch'io per la parte mia molto volentieri la sentir.

   SALV. Io nelle cose trovate da me ho sempre sentito grandissimo diletto, e doppo questo, che il massimo, provo gran piacere nel conferirle con qualche amico che le capisca e che mostri di gustarle: or, poich voi sete uno di questi, allentando un poco la briglia alla mia ambizione, che gode dentro di s quando io mi mostro pi perspicace di qualche altro reputato di acuta vista, produrr, per colmo e buona misura della discussion passata, un'altra fallacia de i seguaci di Tolomeo e d'Aristotile, presa nel gi prodotto argomento.

   SAGR. Ecco che io avidamente mi apparecchio a sentirla.

   SALV. Noi aviamo sin qui trapassato e conceduto a Tolomeo come effetto indubitabile, che procedendo lo scagliamento del sasso dalla velocit della ruota mossa intorno al suo centro, tanto si accresca la causa di esso scagliamento, quanto la velocit della vertigine si agumenta; dal che si inferiva che essendo la velocit della terrestre vertigine sommamente maggiore di quella di qualsivoglia macchina che noi artifiziosamente possiam far girare, l'estrusione in conseguenza delle pietre e de gli animali etc. dovesse esser violentissima. Ora io noto che in questo discorso una grandissima fallacia, mentre noi indifferentemente ed assolutamente paragoniamo le velocit tra di loro. vero che s'io fo comparazione delle velocit della medesima ruota o di due ruote eguali tra di loro, quella che pi velocemente sar girata, con maggior impeto scaglier le pietre, e crescendo la velocit, con la medesima proporzione crescer anco la causa della proiezione; ma quando la velocit si facesse maggiore non con l'accrescer velocit nell'istessa ruota, che sarebbe co 'l fargli dar numero maggiore di conversioni in tempi eguali, ma co 'l crescere il diametro e far la ruota maggiore, s che ritenendo il medesimo tempo di una conversione tanto nella piccola quanto nella gran ruota, e solo nella grande la velocit fusse maggiore per esser la sua circonferenza maggiore, non sia chi creda che la causa dello scagliamento nella gran ruota crescesse secondo la proporzione della velocit della sua circonferenza verso la velocit della circonferenza della minor ruota, perch questo falsissimo, come per adesso una speditissima esperienza ci potr mostrar cos alla grossa: ch tal pietra potremmo noi scagliare con una canna lunga un braccio, che con una lunga sei braccia non potremo, ancorch il moto dell'estremit della canna lunga, cio della pietra incastratavi, fusse pi veloce il doppio del moto della punta della canna pi corta; che sarebbe quando le velocit fussero tali, che nel tempo di una conversione intera della canna maggiore, la minore ne facesse tre.

   SAGR Questo, signor Salviati, che voi mi dite, gi comprendo io dovere necessariamente succeder cos, ma non mi sovvien gi prontamente la causa perch eguali velocit non abbiano a operare egualmente in estruder i proietti, ma assai pi quella della ruota minore che l'altra della ruota maggiore: per vi prego a dichiararmi come il negozio cammina.

   SIMP. Voi, signor Sagredo, questa volta vi sete dimostrato dissimile a voi medesimo, che solete in un momento penetrar tutte le cose, ed ora trapassate una fallacia posta nell'esperienza delle canne, la quale ho io potuto penetrare; e questa la diversa maniera di operare nel far la proiezione or con la canna breve ed or con la lunga: perch a voler che la pietra scappi fuor della cocca, non bisogna continuar uniformemente il suo moto, ma allora ch'egli velocissimo, convien ritenere il braccio e reprimer la velocit della canna, perloch la pietra, che gi in moto velocissimo, scappa e con impeto si muove; ma tal ritegno non si pu far nella canna maggiore, la quale, per la sua lunghezza e flessibilit, non ubbidisce interamente al freno del braccio, ma, continuando di accompagnare il sasso per qualche spazio, co 'l dolcemente frenarlo se lo ritien congiunto, e non, come se in un duro intoppo avesse urtato, da s lo lascia fuggire ch quando amendue le canne urtassero in un ritegno che le fermasse, io credo che la pietra parimente scapperebbe dall'una e dall'altra, ancorch i movimenti loro fussero egualmente veloci.

   SAGR. Con licenzia del signor Salviati, risponder io alcuna cosa al signor Simplicio, poich egli a me si rivoltato: e dico che nel suo discorso vi del buono e del cattivo buono, perch quasi tutto vero; cattivo, perch non fa in tutto al proposito nostro. Verissimo , che quando quello che con velocit porta le pietre, urtasse in un ritegno immobile, esse con impeto scorrerebbero innanzi, seguendone quell'effetto che tutto il giorno si vede accadere in una barca che, scorrendo velocemente, arreni o urti in qualche ostacolo, che tutti quelli che vi son dentro, colti all'improvviso repentinamente traboccano e cascano verso dove correva il navilio; e quando il globo terrestre incontrasse un intoppo tale che del tutto resistesse alla sua vertigine e la fermasse, allora s ch'io credo che non solamente le fiere, gli edifizii e le citt, ma le montagne, i laghi e i mari si sovvertirebbero, e pur che il globo stesso non si dissipasse: ma niente di questo fa al proposito nostro, che parliamo di quel che possa seguire al moto della Terra girata uniformemente e placidamente in se stessa, ancorch con velocit grande. Quello parimente che voi dite delle canne, in parte vero, ma non fu portato dal signor Salviati come cosa che puntualmente si assesti alla materia di cui trattiamo, ma solamente come un esempio che cos alla grossa possa destarci la mente a pi accuratamente considerare, se crescendosi la velocit in qualsivoglia modo, con l'istessa proporzione si accresca la causa della proiezione, s che, verbigrazia, se una ruota di dieci braccia di diametro, movendosi in maniera che un punto della sua circonferenza passasse in un minuto d'ora cento braccia, e perci avesse impeto di scagliare una pietra, tale impeto si accresce centomila volte in una ruota che avesse un milion di braccia di diametro: il che nega il signor Salviati, ed io inclino a creder l'istesso; ma non ne sapendo la ragione, l'ho da esso richiesta, e con desiderio la sto attendendo.

   SALV. Eccomi per darvi quella sodisfazione che dalle mie forze mi sar conceduta, e bench nel mio primo parlare vi sia per parer ch'io vadia ricercando cose aliene dal proposito nostro, tuttavia credo che nel progresso del ragionamento troverremo che pur non saranno tali. Per dicami il signor Sagredo in quali cose egli ha osservato consister la resistenza di alcun mobile all'esser mosso.

   SAGR. Io per adesso non veggo esser nel mobile resistenza interna all'esser mosso se non la sua naturale inclinazione e propensione al moto contrario, come ne' corpi gravi, che hanno propensione al moto in gi, la resistenza al moto in su: ed ho detto resistenza interna perch di questa credo che voi intendiate, e non dell'esterne, che sono accidentali e molte.

   SALV. Cos ho voluto dire, e la vostra perspicacit ha prevalso al mio avvedimento. Ma s'io sono stato scarso nell'interrogare, dubito che il signor Sagredo non abbia, con la risposta, adequata a pieno la domanda, e che nel mobile, oltre alla naturale inclinazione al termine contrario, sia un'altra pure intrinseca e naturale qualit che lo faccia renitente al moto. Per ditemi di nuovo: non credete voi che l'inclinazione, verbigrazia, de i gravi di muoversi in gi sia eguale alla resistenza de i medesimi all'essere spinti in su?

   SAGR. Credo che ella sia tale per l'appunto; e per questo veggo nella bilancia due pesi eguali restar fermi nell'equilibrio, resistendo la gravit dell'uno all'esser alzato alla gravit con la quale l'altro, premendo in gi, alzar lo vorrebbe.

   SALV. Benissimo; s che a voler che l'uno alzasse l'altro bisognerebbe accrescer peso al premente, o scemarlo all'altro. Ma se nella sola gravit consiste la resistenza al moto in su, onde avviene che nella bilancia di braccia diseguali, cio nella stadera, talvolta un peso di cento libbre, co 'l suo gravare in gi, non bastante a alzarne uno di quattro libbre che gli contraster; e potr questo di quattro abbassandosi alzare quello di cento? ch tale l'effetto dei romano verso il grave peso che noi vogliam pesare. Se la resistenza all'esser mosso risiede nella sola gravit, come pu il romano, co'l suo peso di quattro libbre sole, resistere al peso di una balla di lana o di seta, che sar ottocento o mille, anzi pure potr egli vincere co 'l suo momento la balla e sollevarla? Bisogna pur, signor Sagredo, dire che qui si lavori con altra resistenza e con altra forza, che con quella della semplice gravit.

   SAGR. necessario che sia cos: per ditemi qual questa seconda virt.

   SALV. quello che non era nella bilancia di braccia eguali. Considerate qual novit nella stadera, ed in questa di necessit consiste la causa del nuovo effetto.

   SAGR. Credo che 'l vostro tentare mi abbia fatto sovvenir non so che. In amendue gli strumenti si lavora co 'l peso e co 'l moto: nella bilancia i movimenti sono eguali, e per l'un peso bisogna che superi l'altro in gravit per muoverlo; nella stadera il peso minore non mover il maggiore se non quando questo si muova poco, essendo appeso nella minor distanza, e quello si muova molto, pendendo da distanza maggiore: bisogna dunque dire che 'l minor peso superi la resistenza del maggiore co 'l muoversi molto, mentre l'altro si muova poco.

   SALV. Che tanto quanto a dire che la velocit del mobile meno grave compensa la gravit del mobile pi grave e meno veloce.

   SAGR. Ma credete voi che la velocit ristori per l'appunto la gravit? cio che tanto sia il momento e la forza di un mobile, verbigrazia, di quattro libbre di peso, quanto quella di un di cento, qualunque volta quello avesse cento gradi di velocit e questo quattro gradi solamente?

   SALV. Certo s, come io vi potrei con molte esperienze mostrare: ma per ora bastivi la confermazione di questa sola della stadera, nella quale voi vedrete il poco pesante romano allora poter sostenere ed equilibrare la gravissima balla, quando la sua lontananza dal centro, sopra il quale si sostiene e volgesi la stadera, sar tanto maggiore dell'altra minor distanza dalla quale pende la balla, quanto il peso assoluto della balla maggior di quel del romano. E di questo non poter la gran balla co 'l suo peso sollevare il romano, tanto men grave, altro non si vede poterne esser cagione che la disparit de i movimenti che e quella e questo far dovrebbero, mentre che la balla con l'abbassarsi un sol dito facesse alzare il romano cento dita (posto che la balla pesasse per cento romani, e la distanza del romano dal centro della stadera fusse cento volte pi della distanza tra 'l medesimo centro e 'l punto della sospension della balla): il muoversi poi lo spazio di cento dita il romano, nel tempo che la balla si muove per un sol dito, l'istesso che 'l dire, esser la velocit del moto del romano cento volte maggior della velocit del moto della balla. Ora fermatevi bene nella fantasia, come principio vero e notorio, che la resistenza che viene dalla velocit del moto compensa quello che depende dalla gravit d'un altro mobile: s che, in conseguenza, tanto resiste al l'esser frenato un mobile d'una libbra, che si muova con cento gradi di velocit, quanto un altro mobile di cento libbre, la cui velocit sia d'un grado solo, ed all'esser mossi due mobili eguali resisteranno egualmente, se si avranno a far muovere con egual velocit; ma se uno dover esser mosso pi velocemente dell'altro, far maggior resistenza, secondo la maggior velocit che se gli vorr conferire. Dichiarate queste cose, venghiamo all'esplicazion del nostro problema; e per pi facile intelligenza facciamone un poco di figura. E siano due ruote diseguali intorno a questo centro A, e della minore sia la circonferenza B G, e della maggiore C E H, ed il semidiametro A B C sia eretto all'orizonte, e per i punti B, C segniamo le rette linee tangenti B F, C D, e ne gli archi B G, C E sieno prese due parti eguali B G, C E; ed intendasi le due ruote esser girate sopra i lor centri con eguali velocit, s che due mobili, li quali sariano, verbigrazia, due pietre, poste ne' punti B e C, vengano portate per le circonferenze B G, C E con eguali velocit, talch nell'istesso tempo che la pietra B scorrerebbe per l'arco B G, la pietra C passerebbe l'arco C E: dico adesso che la vertigine della minor ruota molto pi potente a far la proiezion della pietra B, che non la vertigine della maggior ruota della pietra C.

Imperocch dovendosi, come gi si dichiarato far la proiezione per la tangente, quando le pietre B, C dovessero separarsi dalle lor ruote e cominciare il moto della proiezione da i punti B, C, verrebbero dall'impeto concepito dalla vertigine scagliate per le tangenti B F, C D: per le tangenti dunque B F, C D hanno, le due pietre, eguali impeti di scorrere, e vi scorrerebbero se da qualche altra forza non ne fussero deviate. Non sta cos, signor Sagredo?

   SAGR. Cos mi par che cammini il negozio.

   SALV. Ma qual forza vi par che possa esser quella che devii le pietre dal muoversi per le tangenti, dove l'impeto della vertigine veramente le caccia?

   SAGR. o la propria gravit, o qualche colla che le ritien posate o attaccate sopra le ruote.

   SALV. Ma a deviare un mobile dal moto dove egli ha impeto, non ci vuol egli maggior forza o minore, secondo che la deviazione ha da esser maggiore o minore? cio, secondoch nella deviazione egli dovr nell'istesso tempo passar maggiore o minore spazio?

   SAGR. S, perch gi di sopra fu concluso che a far muovere un mobile, con quanta maggior velocit si ha da far muovere, tanto bisogna che sia maggiore la virt movente.

   SALV. Ora considerate come per deviar la pietra della minor ruota dal moto della proiezione, che ella farebbe per la tangente B F, e ritenerla attaccata alla ruota, bisogna che la propria gravit la ritiri per quanto lunga la segante F G, o vero la perpendicolare tirata dal punto G sopra la linea B F; dove che nella ruota maggiore il ritiramento non ha da esser pi che si sia la segante D E, o vero la perpendicolare tirata dal punto E sopra la tangente D C, minor assai della F G, e sempre minore e minore secondo che la ruota si facesse maggiore: e perch questi ritiramenti si hanno a fare in tempi eguali, cio mentre che si passano li due archi eguali B G, C E, quello della pietra B, cio il ritiramento F G, dover esser pi veloce dell'altro D E, e per molto maggior forza si ricercher per tener la pietra B congiunta alla sua piccola ruota, che la pietra C alla sua grande, ch' il medesimo che dire, che tal poca cosa impedir lo scagliamento nella ruota grande, che non lo proibir nella piccola. manifesto, dunque, che quanto pi si cresce la ruota, tanto si scema la causa della proiezione.

   SAGR. Da questo che ora intendo merc del vostro lungo sminuzzamento, mi par di poter far restar pago il mio intelletto con assai breve discorso: perch, venendo dalla velocit eguale delle due ruote impresso impeto eguale in amendue le pietre per le tangenti, si vede la gran circonferenza co 'l poco separarsi dalla tangente, andar secondando in un certo modo e con dolce morso suavemente raffrenando nella pietra l'appetito, per cos dire, di separarsi dalla circonferenza, s che qualunque piccol ritegno, o della propria inclinazione o di qualche glutine, basta a mantenervela congiunta; il quale poi resta invalido a ci poter fare nella piccola ruota, la quale, co 'l poco secondare la direzione della tangente, con troppa ingorda voglia cerca ritenere a s la pietra, e non essendo il freno e 'l glutine pi gagliardo di quello che manteneva l'altra pietra unita con la maggior ruota, si strappa la cavezza, e si corre per la tangente. Per tanto io non solamente resto capace dell'aver tutti quelli errato, che hanno creduto crescersi la cagione della proiezione secondo che si accresce la velocit della vertigine; ma di pi vo considerando, che scemandosi la proiezione nell'accrescersi la ruota, tuttavoltach si mantenga la medesima velocit in esse ruote, forse potrebbe esser vero che a voler che la gran ruota scagliasse come la piccola, bisognasse crescerle tanto di velocit, quanto se le cresce di diametro, che sarebbe quando le intere conversioni si finissero in tempi eguali e cos si potrebbe stimare che la vertigine della Terra non pi fusse bastante a scagliare le pietre, che qualsivoglia altra piccola ruota che tanto lentamente si girasse, che in ventiquattr'ore desse una sola rivolta.

   SALV. Non voglio per ora che noi cerchiamo tant'oltre; basta che assai abbondantemente abbiamo (s'io non m'inganno) mostrato l'inefficacia dell'argumento, che nel primo aspetto pareva concludentissimo, e tale era stato stimato da grandissimi uomini: ed assai bene speso mi parr il tempo e le parole, se anco nel concetto del signor Simplicio aver guadagnato qualche credenza, non dir della mobilit della Terra, ma almanco del non esser l'opinion di coloro che la credono, tanto ridicola e stolta, quanto le squadre de' filosofi comuni la tengono.

   SIMP. Le soluzioni addotte sin qui all'instanze fatte contro a questa diurna revoluzion della Terra, prese da i gravi cadenti dalla sommit d'una torre, e da i proietti a perpendicolo in su o secondo qualsivoglia inclinazione lateralmente, verso oriente, occidente, mezzogiorno o settentrione etc., mi hanno in qualche parte scemata l'antiquata incredulit concepita contro a tale opinione: ma altre maggiori difficult mi si aggirano adesso per la fantasia, dalle quali io assolutamente non mi saprei mai sviluppare, n forse credo che voi medesimi ve ne potrete disciorre; e pu anco essere che venute non vi sieno all'orecchie, perch sono assai moderne. E queste sono le opposizioni di due autori che ex professo scrivono contro al Copernico: le prime si leggono in un libretto di conclusioni naturali; le altre sono d'un gran filosofo e matematico insieme, inserte in un trattato che egli fa in grazia d'Aristotile e della sua opinione intorno all'inalterabilit del cielo, dove ei prova che non pur le comete, ma anco le stelle nuove, cio quella del settantadua in Cassiopea e quella del seicentoquattro nel Sagittario, non erano altrimenti sopra le sfere de i pianeti, ma assolutamente sotto il concavo della Luna nella sfera elementare; e ci dimostra egli contro a Ticone, Keplero e molti altri osservatori astronomi, e gli abbatte con le loro armi medesime, cio per via delle parallassi. Io, se vi in piacere, produrr le ragioni dell'uno e dell'altro, perch le ho lette pi d'una volta con attenzione; e voi potrete esaminar la lor forza e dirne il vostro parere.

   SALV. Essendoch il nostro principal fine di produrre e ponderar tutto quello che stato addotto in pro e contro a i due sistemi Tolemaico e Copernicano, non bene passar cosa alcuna delle scritte in cotal materia.

   SIMP. Comincer dunque dall'instanze contenute nel libretto delle conclusioni, e poi verr all'altre. Primieramente, dunque, l'autore con grand'acutezza va calcolando quante miglia per ora fa un punto della superficie terrestre posto sotto l'equinoziale, e quante si fanno da altri punti posti in altri paralleli; e non contento di investigar tali movimenti in tempi orarii, gli trova anco in un minuto d'ora, n contento del minuto, lo ritrova sino a uno scrupolo secondo; ma pi, e' va insino a mostrar apertissimamente quante miglia farebbe in tali tempi una palla d'artiglieria, posta nel concavo dell'orbe lunare, suppostolo anco tanto grande quanto l'istesso Copernico se lo figura, per levar tutti i sutterfugii all'avversario: e fatta quest'ingegnosissima ed esquisitissima supputazione, dimostra che un grave cadente di lass consumerebbe assai pi di sei giorni per arrivar sino al centro della Terra, dove naturalmente tendono tutte le cose gravi. Ora, quando dall'assoluta potenza divina o da qualche angelo fusse miracolosamente trasferita lass una grossissima palla di artiglieria, e posta nel nostro punto verticale e di l lasciata in sua libert, ben, per suo e mio parere, incredibilissima cosa che ella nel descendere a basso si andasse sempre mantenendo nella nostra linea verticale, continuando di girare con la Terra intorno al suo centro per tanti giorni, descrivendo sotto l'equinoziale una linea spirale nel piano di esso cerchio massimo, e sotto altri paralleli linee spirali intorno a coni, e sotto i poli cadendo per una semplice linea retta. Stabilisce poi e conferma questa grand'improbabilit co 'l promover, per modo di interrogazioni, molte difficult impossibili a rimuoversi da i seguaci del Copernico; e sono, se ben mi ricorda

   SALV. Piano un poco: di grazia, signor Simplicio, non vogliate avvilupparmi con tante novit in un tratto; io ho poca memoria, e per mi bisogna andar di passo in passo. E perch mi sovviene aver gi voluto calcolare in quanto tempo un simil grave, cadendo dal concavo della Luna arriverebbe nel centro della Terra, e mi par ricordare che il tempo non sarebbe s lungo, sar bene che voi ci dichiate con qual regola quest'autore abbia fatto il suo computo.

   SIMP. Hallo fatto, per provare il suo intento a fortiori, vantaggioso assai per la parte avversa, supponendo che la velocit del cadente per la linea verticale verso il centro della Terra fusse eguale alla velocit del suo moto circolare fatto nel cerchio massimo del concavo dell'orbe lunare, al cui ragguaglio verrebbe a fare in un'ora dodicimila seicento miglia tedesche, cosa che veramente ha dell'impossibile; tuttavia, per abbondare in cautela e dar tutti i vantaggi alla parte, ei la suppone per vera, e conclude il tempo della caduta dovere ad ogni modo esser pi di sei giorni.

   SALV. E quest' tutto il suo progresso? e con questa dimostrazione prova, il tempo di tal cascata dover esser pi di sei giorni?

   SAGR. Parmi che e' si sia portato troppo discretamente, poich essendo in poter del suo arbitrio dar qual velocit gli piaceva a un tal cadente, ed in conseguenza farlo venire in Terra in sei mesi ed anco in sei anni, si contentato di sei giorni. Ma di grazia, signor Salviati, racconciatemi un poco il gusto co 'l dirmi in qual maniera procedeva il vostro computo, gi che voi dite averlo altra volta fatto; ch ben son sicuro che se 'l quesito non ricercava qualche operazione spiritosa, voi non vi areste applicata la mente.

   SALV. Non basta, signor Sagredo, che la conclusione sia nobile e grande, ma il punto sta nel trattarla nobilmente. E chi non sa che nel resecar le membra di un animale si possono scoprir meraviglie infinite della provida e sapientissima natura? tuttavia, per uno che il notomista ne tagli, mille ne squarta il beccaio; ed io, nel cercar ora di sodisfare alla vostra domanda, non so con quale delli due abiti sia per comparire in scena: pur, preso animo dalla comparsa dell'autor del signor Simplicio, non rester di recitarvi (se mi sovverr) il modo che io tenevo. Ma prima ch'io metta mano ad altro, non posso lasciar di dire che dubito grandemente che il signor Simplicio non abbia fedelmente referito il modo co 'l quale questo suo autore trova che la palla d'artiglieria, nel venir dal concavo della Luna sino al centro della Terra, consumerebbe pi di sei giorni; perch, s'egli avesse supposto che la sua velocit nello scendere fusse stata eguale a quella del concavo (come dice il signor Simplicio che e' suppone), si sarebbe dichiarato ignudissimo anco delle prime e pi semplici cognizioni di geometria: anzi mi maraviglio che l'istesso signor Simplicio nell'ammetter la supposizione ch'egli dice, non vegga l'esorbitanza immensa che in quella si contiene.

   SIMP. Ch'io abbia equivocato nel riferirla, potrebbe essere; ma che io vi scuopra dentro fallacia, non sicuramente.

   SALV. Forse non ho ben appreso quel che avete riferito. Non dite voi che quest'autore fa la velocit del moto della palla nello scendere eguale a quella ch'ell'aveva nello andare in volta, stando nel concavo lunare, e che calando con tal velocit si condurrebbe al centro in sei giorni?

   SIMP. Cos mi par ch'egli scriva.

   SALV. E non vedete un'esorbitanza s grande? Ma voi certo la dissimulate: ch non pu esser che non sappiate che 'l semidiametro del cerchio manco che la sesta parte della circonferenza; e che in conseguenza il tempo nel quale il mobile passer il semidiametro, sar manco della sesta parte del tempo nel quale, mosso con la medesima velocit, passerebbe la circonferenza; e che per la palla, scendendo con la velocit con la quale si muoveva nel concavo, arriver in manco di quattr'ore al centro, posto che nel concavo compiesse una revoluzione in ore ventiquattro, come bisogna ch'ei supponga per mantenersi sempre nella medesima verticale.

   SIMP. Intendo ora benissimo l'errore; ma non glie lo vorrei attribuire immeritamente, ed forza ch'io abbia errato nel recitar il suo argomento: e per fuggir di non gli n'addossar de gli altri, vorrei avere il suo libro, e se ci fusse chi andasse a pigliarlo, l'averei molto caro.

   SAGR. Non mancher un lacch, che ander volando; ed appunto si far senza perdimento di tempo, ch intanto il signor Salviati ci favorir del suo computo.

   SIMP. Potr andare, che lo trover aperto su 'l mio banco insieme con quello dell'altro che pur argomenta contro al Copernico.

   SAGR. Faremo portar quello ancora, per pi sicurezza; ed in tanto il signor Salviati far il suo calculo. Ho spedito un servitore.

   SALV. Avanti di ogni altra cosa, bisogna considerare come il movimento de i gravi descendenti non uniforme, ma partendosi dalla quiete vanno continuamente accelerandosi; effetto conosciuto ed osservato da tutti, fuor che dal prefato autore moderno, il quale, non parlando di accelerazione, lo fa equabile. Ma questa general cognizione di niun profitto, quando non si sappia secondo qual proporzione sia fatto questo accrescimento di velocit, conclusione stata sino a i tempi nostri ignota a tutti i filosofi, e primieramente ritrovata e dimostrata dall'Accademico, nostro comun amico: il quale, in alcuni suoi scritti non ancor pubblicati, ma in confidenza mostrati a me e ad alcuni altri amici suoi, dimostra come l'accelerazione del moto retto de i gravi si fa secondo i numeri impari ab unitate, cio che segnati quali e quanti si voglino tempi eguali, se nel primo tempo, partendosi il mobile dalla quiete, aver passato un tale spazio, come, per esempio, una canna, nel secondo tempo passer tre canne, nel terzo cinque, nel quarto sette, e cos conseguentemente secondo i succedenti numeri caffi, che in somma l'istesso che il dire che gli spazii passati dal mobile, partendosi dalla quiete, hanno tra di loro proporzione duplicata di quella che hanno i tempi ne' quali tali spazii son misurati, o vogliam dire che gli spazii passati son tra di loro come i quadrati de' tempi.

   SAGR. Mirabil cosa sento dire. E di questo dite esserne dimostrazion matematica?

   SALV. Matematica purissima, e non solamente di questa, ma di molte altre bellissime passioni attenenti a i moti naturali e a i proietti ancora, tutte ritrovate e dimostrate dall'amico nostro: ed io le ho vedute e studiate tutte con mio grandissimo gusto e meraviglia, vedendo suscitata una nuova cognizione intera, intorno ad un suggetto del quale si sono scritti centinaia di volumi; e n pur una sola dell'infinite conclusioni ammirabili che vi son dentro, stata osservata e intesa da alcuno prima che dal nostro amico

   SAGR. Voi mi fate fuggir la voglia d'intender pi oltre de i nostri cominciati discorsi, e solo sentire alcuna delle dimostrazioni che mi accennate; per, o ditemele al presente, o almeno datemi ferma parola di farne meco una particolare sessione, ed anco presente il signor Simplicio se avr gusto di sentire le passioni ed accidenti del primario effetto della natura.

   SIMP. Averollo indubitatamente, ancorch, per quanto appartiene al filosofo naturale, io non credo che il descendere a certe minute particolarit sia necessario, bastando una general cognizione della definizion del moto e della distinzione di naturale e violento, equabile e accelerato, e simili; ch quando questo non fusse bastato, io non credo che Aristotile avesse pretermesso di insegnarci tutto quello che fusse mancato.

   SALV. Pu essere. Ma non perdiamo pi tempo in questo, ch'io prometto spenderci una meza giornata appartatamente per vostra sodisfazione, anzi pur ora mi sovviene avervi un'altra volta promesso di darvi questa medesima sodisfazione. E tornando al nostro cominciato calcolo del tempo nel quale il grave cadente verrebbe dal concavo della Luna sino al centro della Terra, per proceder non arbitrariamente e a caso, ma con metodo concludentissimo, cercheremo prima di assicurarci, con l'esperienza pi volte replicata, in quanto tempo una palla, verbigrazia, di ferro venga in Terra dall'altezza di cento braccia.

   SAGR. Pigliando per una palla di un tal determinato peso, e quella stessa sopra la quale noi vogliamo far il computo del tempo della scesa dalla Luna.

   SALV. Questo non importa niente, perch palle di una, di dieci, di cento, di mille libbre, tutte misureranno le medesime cento braccia nell'istesso tempo.

   SIMP. Oh questo non cred'io, n meno lo crede Aristotile, che scrive che le velocit de i gravi descendenti hanno tra di loro la medesima proporzione delle loro gravit.

   SALV. Come voi, signor Simplicio, volete ammetter cotesto per vero, bisogna che voi crediate ancora, che lasciate nell'istesso momento cader due palle della medesima materia, una di cento libbre e l'altra d'una, dall'altezza di cento braccia, la grande arrivi in Terra prima che la minore sia scesa un sol braccio: ora accomodate, se voi potete, il vostro cervello a imaginarsi di veder la gran palla giunta in Terra quando la piccola sia ancora a men d'un braccio vicina alla sommit della torre.

   SAGR. Che questa proposizione sia falsissima, io non ne ho un dubbio al mondo; ma che anco la vostra sia totalmente vera, non ne son ben capace: tuttavia la credo, poich voi risolutamente l'affermate; il che son sicuro che non fareste quando non ne aveste certa esperienza o ferma dimostrazione.

   SALV. Honne l'una e l'altra, e quando tratteremo la materia de i moti separatamente, ve la comunicher: intanto, per non avere occasione di pi interrompere il filo, ponghiamo di voler fare il computo sopra una palla di ferro di cento libbre, la quale per replicate esperienze scende dall'altezza di cento braccia in cinque minuti secondi d'ora. E perch, come vi ho detto, gli spazii che si misurano dal cadente, crescono in duplicata proporzione, cio secondo i quadrati de' tempi, essendoch il tempo di un minuto primo duodecuplo del tempo di cinque secondi, se noi multiplicheremo le cento braccia per il quadrato di 12, cio per 144, averemo 14400, che sar il numero delle braccia che il mobile medesimo passer in un minuto primo d'ora; e seguitando la medesima regola, perch un'ora 60 minuti, multiplicando 14400, numero delle braccia passate in un minuto, per il quadrato di 60, cio per 3600, ne verr 51840000, numero delle braccia da passarsi in un'ora, che sono miglia 17280. E volendo sapere lo spazio che si passerebbe in 4 ore, multiplicheremo 17280 per 16 (che il quadrato di 4), e ce ne verranno miglia 276480: il qual numero assai maggiore della distanza dal concavo lunare al centro della Terra, che miglia 196000, facendo la distanza del concavo 56 semidiametri terrestri, come fa l'autor moderno, ed il semidia metro della Terra 3500 miglia di braccia 3000 l'uno, quali sono le nostre miglia italiane. Adunque, signor Simplicio quello spazio dal concavo della Luna al centro della Terra che il vostro computista diceva non potersi passare se non in assai pi di sei giorni, vedete come, facendo il computo sopra l'esperienza e non su per le dita, si passerebbe in assai meno di 4 ore; e facendo il computo esatto, si passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.

   SAGR. Di grazia, caro Signor, non mi defraudate di questo calculo esatto, perch bisogna che sia cosa bellissima.

   SALV. Tale veramente. Per avendo (come ho detto) con diligente esperienza osservato come un tal mobile passa, cadendo, l'altezza di 100 braccia in 5 secondi d'ora, diremo: Se 100 braccia si passano in 5 secondi, braccia 588 000 000 (che tante sono 56 semidiametri della Terra) in quanti secondi si passeranno? La regola per quest'operazione che si multiplichi il terzo numero per il quadrato del secondo; ne viene 14 700 000 000, il quale si deve dividere per il primo, cio per 100, e la radice quadrata del quoziente, che 12 124 minuti secondi d'ora, che sono ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi.

 

 

         100    5       588000000

         A       B       C                  25

____________________________

            1              14700000000

                                35956

            22

                                10

          241      _________________

                           60      12124

        2422

                                       202

      24244                         3

 

 

   SAGR. Ho veduta l'operazione, ma non intendo niente della ragione del cos operare, n mi par tempo adesso di domandarla.

   SALV. Anzi ve la voglio dire, ancorch non la ricerchiate, perch assai facile. Segniamo questi tre numeri con le lettere A primo, B secondo, C terzo; A, C sono i numeri de gli spazii, B 'l numero del tempo: si cerca il quarto numero, pur del tempo. E perch noi sappiamo, che qual proporzione ha lo spazio A allo spazio C, tale deve avere il quadrato del tempo B al quadrato del tempo che si cerca per, per la regola aurea, si multiplicher il numero C per il quadrato del numero B, ed il prodotto si divider per il numero A, ed il quoziente sar il quadrato del numero, che si cerca, e la sua radice quadrata sar l'istesso numero cercato. Or vedete come facile da intendersi.

   SAGR. Tali sono tutte le cose vere, doppo che son trovate; ma il punto sta nel saperle trovare. Io resto capacissimo, e vi ringrazio, e se altra curiosit vi resta in questa materia, vi prego a dirla, perch, s'io debbo parlar liberamente, dir, con licenzia del signor Simplicio, che da i vostri discorsi imparo sempre qualche bella novit, ma da quelli de' suoi filosofi non so d'aver sin ora imparato cose di gran rilievo.

   SALV. Pur troppo ci resterebbe da dire in questi movimenti locali; ma conforme al convenuto ci riserberemo ad una sessione appartata, e per ora dir qualche cosa attenente all'autor proposto dal signor Simplicio: al quale par d'aver dato un gran vantaggio alla parte nel concederle che quella palla d'artiglieria, nel cader dal concavo della Luna, possa venir con velocit eguale alla velocit con la quale si sarebbe mossa in giro restando lass e movendosi alla conversion diurna. Ora io gli dico che quella palla, cadendo dal concavo sino al centro, acquister grado di velocit assai pi che doppio della velocit del moto diurno del concavo lunare; e questo mostrer io con supposti verissimi, e non arbitrarii. Dovete dunque sapere, come il grave cadendo, ed acquistando sempre velocit nuova secondo la proporzione gi detta, in qualunque luogo egli si trovi della linea del suo moto, ha in s tal grado di velocit, che se ei continuasse di muoversi con quella uniformemente, senza pi crescerla, in altrettanto tempo quanto stato quello della sua scesa passerebbe spazio doppio del passato nella linea del precedente moto in gi: e cos, per esempio, se quella palla nel venir dal concavo della Luna al suo centro ha consumato ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, dico che giunta al centro si trova costituita in tal grado di velocit, che se con quella, senza pi crescerla, continuasse di muoversi uniformemente, passerebbe in altre ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi il doppio di spazio, cio quant' tutto 'l diametro intero dell'orbe lunare. E perch dal concavo della Luna al centro so no miglia 196000, le quali la palla passa in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, adunque (stante quello ch' detto) continuando la palla di muoversi con la velocit che si trova avere nell'arrivare al centro, passerebbe, in altre ore 3 minuti primi 22 e 4 secondi, spazio doppio del detto, cio miglia 392000: ma la medesima, stando nel concavo della Luna, che ha di circuito miglia 1232000, e movendosi con quello al moto diurno, farebbe nel medesimo tempo, cio in ore 3, minuti primi 22 e 4 secondi, miglia 172880, che sono assai manco che la met delle miglia 392000. Ecco dunque come il moto nel concavo non qual dice l'autor moderno, cio di velocit impossibile a participarsi dalla palla cadente, etc.

   SAGR. Il discorso camminerebbe benissimo e mi quieterebbe, quando mi fusse saldata quella partita del muoversi il mobile per doppio spazio del passato cadendo, in altro tempo eguale a quel della scesa, quando e' continuasse di muoversi uniformemente co 'l massimo grado della velocit acquistata nel descendere: proposizione anco un'altra volta da voi supposta per vera, ma non dimostrata.

   SALV. Quest' una delle dimostrate dal nostro amico, e la vedrete a suo tempo; ma in tanto voglio con alcune conietture, non insegnarvi cosa nuova, ma rimuovervi da una certa opinione contraria, mostrandovi che forse cos possa essere. Sospendendosi con un filo lungo e sottile, legato al palco, una palla di piombo, se noi la allontaneremo dal perpendicolo, lasciandola poi in libert, non avete voi osservato che ella declinando passer spontaneamente di l dal perpendicolo poco meno che altrettanto?

   SAGR. L'ho osservato benissimo, e veduto (massime se la palla sar grave assai) che ella sormonta tanto poco meno della scesa, che ho talvolta creduto che l'arco ascendente sia eguale al descendente, e per dubitato che le sue vibrazioni potessero perpetuarsi; e creder che lo farebbero se si potesse levar l'impedimento dell'aria, la quale, resistendo all'esser aperta, ritarda qualche poco ed impedisce il moto del pendolo: ma l'impedimento ben poco; di che argomento il numero grande delle vibrazioni che si fanno avanti che il mobile si fermi del tutto.

   SALV. Non si perpetuerebbe il moto, signor Sagredo, quando ben si levasse totalmente l'impedimento dell'aria, perch ve n' un altro pi recondito assai.

   SAGR. E qual ? ch altro non me ne sovviene.

   SALV. Vi guster il sentirlo, ma ve lo dir poi; intanto seguitiamo. Io vi ho proposta l'osservazione di questo pendolo, acci che voi intendiate che l'impeto acquistato nell'arco descendente, dove il moto naturale, per se stesso potente a sospignere di moto violento la medesima palla per altrettanto spazio nell'arco simile ascendente; tale, dico, per se stesso, rimossi tutti gl'impedimenti esterni. Credo anco che senza dubitarne s'intenda, che s come nell'arco descendente si va crescendo la velocit sino al punto infimo del perpendicolo, cos da questo per l'altro arco ascendente si vadia diminuendo sino all'estremo punto altissimo, e diminuendo con l'istesse proporzioni con le quali si venne prima agumentando, s che i gradi delle velocit ne i punti egualmente distanti dal punto infimo sieno tra di loro eguali. Di qui parmi (discorrendo con una certa convenienza) di poter credere, che quando il globo terrestre fusse perforato per il centro, una palla d'artiglieria scendendo per tal pozzo acquisterebbe sino al centro tal impeto di velocit che trapassato il centro la spignerebbe in su per altrettanto spazio quanto fusse stato quello della caduta, diminuendo sempre la velocit oltre al centro con decrementi simili a gl'incrementi acquistati nello scendere; ed il tempo che si consumerebbe in questo secondo moto ascendente credo che sarebbe eguale al tempo della scesa. Ora, se il mobile co 'l diminuir successivamente, sino alla totale estinzione, il sommo grado della velocit che ebbe nel centro, conduce il mobile in tanto tempo per tanto spazio per quanto in altrettanto tempo era venuto con l'acquisto di velocit dalla total privazione di essa sino a quel sommo grado; par ben ragionevole che quando si movesse sempre co 'l sommo grado di velocit, trapassasse in altrettanto tempo amendue quelli spazii: perch se noi andremo con la mente dividendo quelle velocit in gradi crescenti e calanti, come, verbigrazia, questi numeri, s che i primi sino al 10 sieno i crescenti, e gli altri sino all'1 i calanti, e quelli, del tempo della scesa, e gli altri, del tempo della salita, si vede che, congiunti tutti insieme, fanno tanto quanto se una delle due parti di loro fusse stata tutta di gradi massimi; e per tutto lo spazio passato con tutti i gradi delle velocit crescenti e calanti (che tutto il diametro intero) dev'esser eguale allo spazio passato dalle velocit massime che in numero sono la met dell'aggregato delle crescenti e delle calanti. Io mi conosco essermi assai duramente spiegato, e Dio voglia ch'io mi lasci intendere.

   SAGR. Credo d'avere inteso benissimo, ed anco di poter in brevi parole mostrar ch'io ho inteso. Voi avete voluto dire, che cominciando il moto dalla quiete ed andando successivamente crescendo la velocit con agumenti eguali, quali sono quelli de' numeri conseguenti, cominciando dall'unit, anzi dal zero, che rappresenta lo stato di quiete, disponendogli cos, e conseguentemente quanti ne piacesse, s che il minimo grado sia il zero e 'l massimo, verbigrazia, 5, tutti questi gradi di velocit, con i quali il mobile si mosso, fanno la somma di 15; ma quando il mobile si movesse con tanti gradi in numero quanti son questi, e che ciascheduno fusse eguale al massimo, che 5, l'aggregato di tutte queste velocit sarebbe doppio dell'altre, cio 30: e per movendosi il mobile per altrettanto tempo, ma con velocit equabile e qual quella del sommo grado 5, dover passare spazio doppio di quello che pass nel tempo accelerato, che cominci dallo stato di quiete.

   SALV. Voi, conforme alla vostra velocissima e sottilissima apprensiva, avete spiegato il tutto assai pi lucidamente di me, e fattomi anco venire in mente di aggiugnere alcuna cosa di pi. Imperocch, essendo nel moto accelerato l'agumento continuo, non si pu compartire i gradi della velocit, la quale sempre cresce, in numero alcuno determinato,

 

perch, mutandosi di momento in momento, son sempre infiniti: per meglio potremo esemplificare la nostra intenzione figurandoci un triangolo, qual sarebbe questo A B C, pigliando nel lato A C quante parti eguali ne piacer, A D, D E, E F, F G, e tirando per i punti D, E, F, G linee rette parallele alla base B C; dove voglio che ci imaginiamo, le parti segnate nella linea A C esser tempi eguali, e le parallele tirate per i punti D, E, F, G rappresentarci i gradi delle velocit accelerate e crescenti egualmente in tempi eguali, ed il punto A esser lo stato di quiete, dal quale partendosi il mobile abbia, verbigrazia, nel tempo A D acquistato il grado di velocit D H, nel seguente tempo aver cresciuta la velocit sopra il grado D H sino al grado E I, e conseguentemente fattala maggiore ne i tempi succedenti, secondo i crescimenti delle linee F K, G L, etc. Ma perch l'accelerazione si fa continuamente di momento in momento, e non intercisamente di parte quanta di tempo in parte quanta, essendo posto il termine A come momento minimo di velocit, cio come stato di quiete e come primo instante del tempo susseguente A D, manifesto che avanti l'acquisto del grado di velocit D H, fatto nel tempo A D, si passato per altri infiniti gradi minori e minori, guadagnati ne gli infiniti instanti che sono nel tempo D A, corrispondenti a gli infiniti punti che sono nella linea D A: per per rappresentare la infinit de i gradi di velocit che precedono al grado D H, bisogna intendere infinite linee sempre minori e minori, che si intendano tirate da gl'infiniti punti della linea D A, parallele alla D H, la qual infinit di linee ci rappresenta in ultimo la superficie del triangolo A H D; e cos intenderemo, qualsivoglia spazio passato dal mobile con moto che, cominciando dalla quiete, si vadia uniformemente accelerando, aver consumato ed essersi servito di infiniti gradi di velocit crescenti, conforme all'infinite linee, che, cominciando dal punto A, si intendono tirate parallele alla linea H D ed alle I E, K F, L G, B C, continuandosi il moto quanto ne piace.

   Ora finiamo l'intero parallelogrammo A M B C, e prolunghiamo sino al suo lato B M non solo le parallele segnate nel triangolo, ma la infinit di quelle che si intendono prodotte da tutti i punti del lato A C. E s come la B C era massima delle infinite del triangolo, rappresentanteci il massimo grado di velocit acquistato dal mobile nel moto accelerato, e tutta la superficie di esso triangolo era la massa e la somma di tutta la velocit con la quale nel tempo A C pass un tale spazio, cos il parallelogrammo viene ad esser una massa ed aggregato di altrettanti gradi di velocit, ma ciascheduno eguale al massimo B C, la qual massa di velocit viene a esser doppia della massa delle velocit crescenti del triangolo, s come esso parallelogrammo doppio del triangolo; e per, se il mobile che cadendo si servito de i gradi di velocit accelerata, conforme al triangolo A B C, ha passato in tanto tempo un tale spazio, ben ragionevole e probabile che servendosi delle velocit uniformi, e rispondenti al parallelogrammo, passi con moto equabile nel medesimo tempo spazio doppio al passato dal moto accelerato.

   SAGR. Resto interamente appagato. E se voi chiamate questo un discorso probabile, quali saranno le dimostrazioni necessarie? Volesse Dio che in tutta la comune filosofia se ne trovasse pur una delle s concludenti!

   SIMP. Non bisogna nella scienza naturale ricercar l'esquisita evidenza matematica.

   SAGR. Ma questa del moto non quistion naturale? e pur non trovo che di esso Aristotile mi dimostri pur un minimo accidente. Ma non divertiamo pi il nostro ragionamento, e voi, signor Salviati, non mancate in grazia di dirmi quello che mi accennaste esser cagione del fermare il pendolo, oltre alla resistenza del mezo all'esser aperto.

   SALV. Ditemi: di due pendenti da distanze diseguali, quello che attaccato a pi lunga corda non fa le sue vibrazioni pi rare?

   SAGR. S, quando si movessero per eguali distanze dal perpendicolo.

   SALV. Cotesto allontanarsi pi o meno non importa niente, perch il medesimo pendolo fa le sue reciprocazioni sempre sotto tempi eguali, sieno quelle lunghissime o brevissime; cio rimuovasi il pendolo assaissimo o pochissimo dal perpendicolo; e se pur non sono del tutto eguali, son elleno insensibilmente differenti, come l'esperienza vi pu mostrare; ma quando ben le fussero molto diseguali, non disfavorirebbe, ma favorirebbe la causa nostra.

 

Imperocch segniamo il perpendicolo A B, e penda dal punto A nella corda A C un peso C, ed un altro pur nella medesima pi alto, che sia E; e discostata la corda A C dal perpendicolo, e lasciata poi in libert, i pesi C, E si moveranno per gli archi C B D, E G F: ed il peso E, come pendente da minor distanza, ed anco come (per vostro detto) allontanato meno vuol ritornare indietro pi presto e far le sue vibrazioni pi frequenti che il peso C, e per gli impedir il trascorrere tant'oltre verso il termine D quanto farebbe se fusse libero; e cos, recandogli in ogni vibrazione continuo impedimento, finalmente lo ridurr alla quiete. Ora, la corda medesima (levando i pesi di mezo) un composto di molti pendoli gravi, cio ciascheduna delle sue parti un tal pendolo, attaccato pi e pi vicino al punto A e per disposto a far le sue vibrazioni sempre pi e pi frequenti; ed in conseguenza abile ad arrecare un continuo impedimento al peso C. Segno di questo ne , che se noi osserveremo la corda A C, la vedremo distesa non rettamente, ma in arco; e se noi in cambio di corda piglieremo una catena, vedremo tale effetto assai pi manifesto, e massime con l'allontanar assai il grave C dal perpendicolo A B: imperocch, per esser la catena composta di molte particelle snodate, e ciascheduna assai grave, gli archi A E C, A F D si vedranno notabilmente incurvati. Per questo dunque, che le parti della catena, secondo che son pi vicine al punto A, voglion far le lor vibrazioni pi frequenti, non lasciano scorrer le pi basse quanto naturalmente farebbero; e con il continuo detrar dalle vibrazioni del peso C, finalmente lo fermano, quando ben l'impedimento dell'aria si potesse tor via.

   SAGR. Appunto sono arrivati i libri. Pigliate, signor Simplicio, e trovate il luogo del quale si dubita.

   SIMP. Eccolo qui, dove egli incomincia ad argumentar contro al moto diurno della Terra, avendo egli prima confutato l'annuo: Motus Terrae annuus asserere Copernicanos cogit conversionem eiusdem quotidianam; alias idem Terrae hemispherium continenter ad Solem esset conversum, obumbrato semper averso([1]); e cos la met della Terra non vedrebbe mai il Sole.

   SALV. Parmi, per questo primo ingresso, che quest'uomo non si sia ben figurata la posizion del Copernico; perch s'egli avesse avvertito, come e' fa star l'asse del globo terrestre perpetuamente parallelo a se stesso, non arebbe detto che la met della Terra non vedrebbe mai il Sole, ma che l'anno sarebbe stato un sol giorno naturale, cio che per tutte le parti della Terra si sarebbe auto sei mesi di giorno e sei mesi di notte, come ora accade a gli abitatori sotto 'l polo. Ma questo siagli perdonato, e venghiamo al resto.

   SIMP. Segue: Hanc autem gyrationem Terrae impossibilem esse, sic demonstramus.([2]) Questo appresso la dichiarazione della seguente figura, dove si veggono dipinti molti gravi descendenti, e leggieri ascendenti, e uccelli che si trattengono per aria, etc.

   SAGR. Mostrate, di grazia. Oh che belle figure, che uccelli, che palle, e che altre belle cose son queste?

   SIMP. Queste son palle che vengono dal concavo della Luna.

   SAGR. E questa che ?

   SIMP. una chiocciola, che qua a Venezia chiaman buovoli, che ancor essa vien dal concavo della Luna.

   SAGR. S, s: quest' che la Luna ha cos grand'efficacia sopra questi pesci ostreacei, che noi chiamiamo pesci armai.

   SIMP. Quest' poi quel calcolo ch'io dicevo, di questo viaggio in un giorno naturale, in un'ora, in un minuto primo ed in un secondo, che farebbe un punto della Terra posto sotto l'equinoziale, ed anco nel parallelo di 48 gradi. E poi segue questo, dov'io dubito non avere errato nel referirlo; per leggiamolo: His positis, necesse est, Terra circulariter mota, omnia ex aere eidem etc. Quod si hasce pilas aequales ponemus pondere, magnitudine, gravitate, et in concavo spherae lunaris positas libero descensui permittamus, si motum deorsum aequemus celeritate motui circum (quod tamen secus est, cum pila A etc.), elabentur minimum (ut multum cedamus adversariis) dies sex: quo tempore sexies circa Terram etc.([3])

   SALV. Voi purtroppo avevi fedelmente referita l'instanza di quest'uomo. Di qui potete comprender, signor Simplicio, con quanta cautela dovrebber andar quelli che vorrebber dar a credere altrui quelle cose che forse non credono essi medesimi: perch mi pare impossibil cosa che quest'autore non si avesse ad accorgere ch' e' si figurava un cerchio il cui diametro, che appresso i matematici manco che la terza parte della circonferenza, fusse pi di 12 volte maggiore della medesima; errore che pone esser assai pi di 36 quello ch' manco d'uno.

   SAGR. Forse che queste proporzioni matematiche, che son vere in astratto, applicate poi in concreto a cerchi fisici ed elementari non rispondon cos per appunto: se ben mi pare che i bottai, per trovare il semidiametro del fondo da farsi per la botte, si servono della regola in astratto de' matematici, ancorch tali fondi sien cose assai materiali e concrete. Per dica il signor Simplicio la scusa di quest'autore, e se gli pare che la fisica possa differir tanto dalla matematica.

   SIMP. La ritirata non mi par suffiziente, perch lo svario troppo grande: e in questo caso non saprei che dire altro, se non che quandoque bonus etc. Ma posto che il calcolo del signor Salviati sia pi giusto, e che il tempo della scesa della palla non fusse pi di tre ore, parmi ad ogni modo che venendo dal concavo della Luna, distante per s grand'intervallo, mirabil cosa sarebbe che ella avesse instinto da natura di mantenersi sempre sopra 'l medesimo punto della Terra al quale nella sua partita ella soprastava, e non pi tosto restar in dietro per lunghissimo intervallo.

   SALV. L'effetto pu esser mirabile, e non mirabile, ma naturale e ordinario, secondo che sono le cose precedenti. Imperocch, se la palla (conforme a' supposti che fa l'autore) mentre si tratteneva nel concavo della Luna aveva il moto circolare delle ventiquattr'ore insieme con la Terra e co 'l resto del contenuto dentro ad esso concavo, quella medesima virt che la faceva andare in volta avanti lo scendere, continuer di farla andar anco nello scendere; e tantum abest che ella non sia per secondare il moto della Terra, ma debba restare indietro, che pi tosto dovrebbe prevenirlo, essendoch nell'avvicinarsi alla Terra il moto in giro ha da esser fatto continuamente per cerchi minori: talch, mantenendosi nella palla quella medesima velocit che ell'aveva nel concavo, dovrebbe anticipare, come ho detto, la vertigine della Terra. Ma se la palla nel concavo mancava della circolazione, non in obbligo nello scendere di mantenersi perpendicolarmente sopra quel punto della Terra che gli era sottoposto quando la scesa cominci; n il Copernico n alcuno de' suoi aderenti lo dir.

   SIMP. Ma l'autore far instanza, come voi vedete, domandando da qual principio dependa questo moto circolare de' gravi e de' leggieri, cio se da principio interno o esterno.

   SALV. Stando nel problema di che si tratta, dico che quel principio che faceva andar la palla in volta mentre era nel concavo lunare, il medesimo che gli mantiene la circolazione anco nello scendere: lascer poi che l'autore lo faccia interno o esterno a modo suo.

   SIMP. L'autore prover che non pu esser n interno n esterno.  

   SALV. Ed io risponder che la palla nel concavo non si muoveva, e sar libero dal dover dichiarare come discendendo resti sempre verticale al medesimo punto, attesoch ella non vi rester.

   SIMP. Bene; ma come i gravi e i leggieri non possono aver principio n interno n esterno di muoversi circolarmente, n anco il globo terrestre si muover di moto circolare; e cos avremo l'intento.

   SALV. Io non ho detto che la Terra non abbia principio n esterno n interno al moto circolare, ma dico che non so qual de' dua ella si abbia; ed il mio non lo sapere non ha forza di levarglielo. Ma se questo autore sa da che principio sieno mossi in giro altri corpi mondani, che sicuramente si muovono, dico che quello che fa muover la Terra una cosa simile a quella per la quale si muove Marte, Giove, e che e' crede che si muova anco la sfera stellata; e se egli mi assicurer chi sia il movente di uno di questi mobili, io mi obbligo a sapergli dire chi fa muover la Terra. Ma pi, io voglio far l'istesso s'ei mi sa insegnare chi muova le parti della Terra in gi.

   SIMP. La causa di quest'effetto notissima, e ciaschedun sa che la gravit.

   SALV. Voi errate, signor Simplicio; voi dovevi dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravit. Ma io non vi domando del nome, ma dell'essenza della cosa: della quale essenza voi non sapete punto pi di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro, eccettuatone il nome, che a questa stato posto e fatto familiare e domestico per la frequente esperienza che mille volte il giorno ne veggiamo; ma non che realmente noi intendiamo pi, che principio o che virt sia quella che muove la pietra in gi, di quel che noi sappiamo chi la muova in su, separata dal proiciente, o chi muova la Luna in giro, eccettoch (come ho detto) il nome, che pi singulare e proprio gli abbiamo assegnato di gravit. dovech a quello con termine pi generico assegnamo virt impressa, a quello diamo intelligenza, o assistente, o informante, ed a infiniti altri moti diamo loro per cagione la natura.

   SIMP. Parmi che quest'autore domandi assai manco di quello a che voi negate la risposta; poich e' non vi chiede qual sia particolarmente e nominatamente il principio che muove i gravi e i leggieri in giro, ma, qualunque e' si sia, cerca solamente se voi lo stimate intrinseco o estrinseco: che se bene, verbigrazia, io non so che cosa sia la gravit, per la quale la Terra descende, so per ch'ell' principio interno, poich, non impedito, spontaneamente muove; ed all'incontro so che il principio che la muove in su, esterno, ancorch io non sappia che cosa sia la virt impressale dal proiciente.

   SALV. In quante quistioni bisognerebbe divertire, se noi volessimo decidere tutte le difficult che si vengono attaccando l'una in conseguenza dell'altra! Voi chiamate principio esterno, ed anco lo chiamerete preternaturale e violento, quello che muove il proietto grave all'ins; ma forse non egli meno interno e naturale che quello che lo muove in gi: pu chiamarsi per avventura esterno e violento mentre il mobile congiunto co 'l proiciente; ma separato, che cosa esterna rimane per motore della freccia o della palla? Bisogna pur necessariamente dire che quella virt che la conduce in alto, sia non meno interna che quella che la muove in gi; ed io ho cos per naturale il moto in su de i gravi per l'impeto concepito, come il moto in gi dependente dalla gravit.

   SIMP. Questo non ammetter io mai; perch questo ha il principio interno naturale e perpetuo, e quello, esterno violento e finito.

   SALV. Se voi vi ritirate dal concedermi che i principii de i moti de i gravi in gi ed in su sieno egualmente interni e naturali, che fareste s'io vi dicessi che e' potessero anco essere il medesimo in numero?

   SIMP. Lo lascio giudicare a voi.

   SALV. Anzi voglio io voi stesso per giudice. Per ditemi: credete voi che nel medesimo corpo naturale possano riseder principii interni che siano tra di loro contrarii?

   SIMP. Credo assolutamente di no.

   SALV. Della terra, del piombo, dell'oro, ed in somma delle materie gravissime, quale stimate voi che sia la lor naturale intrinseca inclinazione, cio a qual moto credete voi che 'l lor principio interno le tiri?

   SIMP. Al moto verso il centro delle cose gravi, cio al centro dell'universo e della Terra, dove, non impedite, si condurrebbero.

   SALV. Talch, quando il globo terrestre fusse perforato da un pozzo che passasse per il centro di esso, una palla d'artiglieria lasciata cader per esso, mossa da principio naturale ed intrinseco, si condurrebbe al centro; e tutto questo moto farebbe ella spontaneamente e per principio intrinseco: non sta cos?

   SIMP. Cos tengo io per fermo.

   SALV. Ma giunta al centro, credete voi ch'ella passasse pi oltre, o pur che quivi cesserebbe immediatamente dal moto?

   SIMP. Credo che ella continuerebbe di muoversi per lunghissimo spazio.

   SALV. Ma questo moto oltre al centro non sarebb'egli all'ins e, per vostro detto, preternaturale e violento? e da qual altro principio lo farete voi dependere, salvoch da quell'istesso che ha condotta la palla al centro, e che voi avete chiamato intrinseco e naturale? trovate voi un proiciente esterno, che gli sopraggiunga di nuovo per cacciarla in su. E questo che si dice del moto per il centro, si vede anco quass da noi: imperocch l'impeto interno di un grave cadente per una superficie declive, se la medesima, piegandosi da basso, si refletter in su, lo porter, senza punto interrompere il moto, anco all'ins. Una palla di piombo pendente da uno spago, rimossa dal perpendicolo, descende spontaneamente, tirata dall'interna inclinazione, e senza interpor quiete trapassa il punto infimo, e senz'altro sopravvegnente motore si muove in su. Io so che voi non negherete che tanto naturale ed interno de i gravi il principio che gli muove in gi, quanto de i leggieri quello che gli muove in su: onde io vi metto in considerazione una palla di legno, la quale scendendo per aria da grande altezza, e per movendosi da principio interno, giunta sopra una profondit d'acqua, continua la sua scesa, e senz'altro motore esterno per lungo tratto si sommerge; e pure il moto in gi per l'acqua gli preternaturale, e con tutto ci depende da principio che interno, e non esterno della palla. Eccovi dunque dimostrato come un mobile pu esser mosso, da uno stesso principio interno, di movimenti contrarii.

   SIMP. Io credo che a tutte queste instanze ci sieno risposte, bench per ora non mi sovvengano. Ma comunque ci sia, continua l'autor di domandar da qual principio dependa questo moto circolare de i gravi e de i leggieri, cio se da principio interno o esterno, e seguendo dimostra che non pu esser n l'uno n l'altro, dicendo: Si ab externo, Deusne illum excitat per continuum miraculum? an vero angelus? an aer? Et hunc quidem multi assignant. Sed contra ([4])

   SALV. Non vi affaticate in legger l'instanze, perch'io non son di quelli che attribuisca tal principio all'aria ambiente. Quanto poi al miracolo o all'angelo, pi tosto inclinerei in quella parte; perch quello che comincia da divino miracolo o da operazione angelica, qual la trasportazione d'una palla d'artiglieria nel concavo della Luna, non ha dell'improbabile che in virt del medesimo principio faccia anco il resto. Ma quanto all'aria, a me basta che ella non impedisca il moto circolare de i mobili che per essa si dice che si muovono; e per ci fare, basta (n pi si ricerca) che essa si muova dell'istesso moto, e che con la medesima velocit finisca le sue circolazioni che il globo terrestre.

   SIMP. Ed egli insurger parimente contro a questo, domandando chi conduce intorno l'aria, la natura o la violenza? e confuta la natura, con dire che ci contro alla verit, all'esperienza, all'istesso Copernico.

   SALV. Contro al Copernico non altrimenti, il quale non scrive tal cosa, e quest'autor glie l'attribuisce con troppo eccesso di cortesia: anzi egli dice, e per mio parer dice bene, che la parte dell'aria vicina alla Terra, essendo pi presto evaporazion terrestre, pu aver la medesima natura, e naturalmente seguire il suo moto, o vero, per essergli contigua, seguirla in quella maniera che i Peripatetici dicono che la parte superiore e l'elemento del fuoco seguono il moto del concavo della Luna; s che a loro tocca a dichiarare se cotal moto sia naturale o violento.

   SIMP. Replicher l'autore, che se 'l Copernico fa muovere una parte dell'aria inferiore solamente, mancando di cotal moto la superiore, non potr render ragione, come quell'aria quieta sia per poter condur seco i medesimi gravi e fargli secondare il moto della Terra.

   SALV. Il Copernico dir che questa propension naturale de i corpi elementari di seguire il moto terrestre ha una limitata sfera, fuor della quale cesserebbe tal naturale inclinazione; oltrech, come ho detto, non l'aria quella che porta seco i mobili, i quali, sendo separati dalla Terra, seguano il suo moto; s che cascano tutte le instanze che questo autor produce per provar che l'aria pu non cagionar cotali effetti.

   SIMP. Come dunque ci non sia, bisogner dire che tali effetti dependano da principio interno; contro alla qual posizione oboriuntur dificillim, immo inextricabiles, qustiones secund,([5]) che sono le seguenti: Principium illud interrum vel est accidens, vel substantia: si primum, quale nam illud? nam qualitas loco motiva circum hactenus nulla videtur esse agnita. ([6])

   SALV. Come non si ha notizia di alcuna? non ci sono queste, che muovon intorno tutte queste elementari materie, insieme con la Terra? Vedete come quest'autore suppon per vero quello ch' in quistione.

   SIMP. Ei dice che ci non si vede, e parmi che abbia ragione in questo.

   SALV. Non si vede da noi, perch andiamo in volta insieme con loro.

   SIMP. Sentite l'altra instanza: Qu etiam si esset, quomodo tamen inveniretur in rebus tam contrariis? in igne ut in aqua? in aere ut in terra? in viventibus ut in anima carentibus?([7])

   SALV. Posto per ora che l'acqua e il fuoco sien contrarii come anche l'aria e la terra (che pur ci sarebbe da dire assai), il pi che da questo ne possa seguire, sar che ad essi non possono esser comuni i moti che tra loro sien contrarii s che, verbigrazia, il moto in su, che naturalmente compete al fuoco, non possa competere all'acqua, ma che, s come essa per natura contraria al fuoco, cos a lei convenga quel moto che contrario al moto del fuoco, che sar il moto deorsum: ma il moto circolare, che non contrario n al sursum n al deorsum, anzi che si pu mescolare con amendue, come il medesimo Aristotile afferma, perch non potr egualmente competere a i gravi ed a i leggieri? I moti poi che non posson esser comuni a i viventi ed a i non viventi son quelli che dependon dall'anima; ma quelli che son del corpo, in quanto egli elementare, ed in conseguenza participante delle qualit degli elementi, perch non hanno ad esser comuni al cadavero ed al vivente? E per, quando il moto circolare sia proprio degli elementi, dovr esser comune de i misti ancora.

   SAGR. forza che quest'autor creda, che cadendo una gatta morta da una finestra, non possa esser che anco viva ci potesse cadere, non essendo cosa conveniente che un cadavero partecipi delle qualit che convengono ad un vivente.

   SALV. Non conclude, dunque, il discorso di quest'autore contro a chi dicesse, il principio del moto circolare de i gravi e de i leggieri esser un accidente interno. Non so quanto e' sia per dimostrare che non possa esser una sustanza.

   SIMP. Insurge contro a questo con molte opposizioni, la prima delle quali questa: Si secundum (nempe si dicas, tale principium esse substantiam), illud est aut materia, aut forma, aut compositum; sed repugnant iterum tot divers rerum natur, quales sunt aves, limaces, saxa, sagitt, nives, fumi, grandines, pisces, etc., qu tamen omnia, specie et genere differentia, moverentur a natura sua circulariter, ipsa naturis diversissima, etc. ([8])

   SALV. Se queste cose nominate sono di nature diverse, e le cose di nature diverse non possono aver un moto comune, bisogner, quando si debba sodisfare a tutte, pensar ad altro che a due moti solamente in su e in gi; e se se ne deve trovar uno per le freccie, uno per le lumache, un altro per i sassi, uno per i pesci, bisogner pensare anco a i lombrichi e a i topazii e all'agarico, che non son men differenti di natura tra di loro che la gragnuola e la neve.

   SIMP. Par che voi ve ne burliate di questi argomenti.

   SALV. Anzi no, signor Simplicio; ma gi si risposto di sopra, cio che se un moto in gi o vero in su pu convenire alle cose nominate, potr non meno convenir loro un circolare. E stando nella dottrina peripatetica, non porrete voi diversit maggiore tra una cometa elementare e una stella celeste, che tra un pesce e un uccello? e pur quelle si muovono amendue circolarmente. Or seguite il secondo argumento.

   SIMP. Si Terra staret per voluntatem Dei, rotarentne ctera annon? si hoc, falsum est a natura gyrari; si illud, redeunt priores qustiones; et sane mirum esset, quod gavia pisciculo, alauda nidulo suo et corvus limaci petrque, etiam volens, imminere non posset.([9])

   SALV. Io per me darei una risposta generale: che, dato per volont di Dio che la Terra cessasse dalla vertigine diurna, quegli uccelli farebber tutto quello che alla medesima volont di Dio piacesse. Ma se pur cotesto autore desiderasse una pi particolar risposta, gli direi che e' farebber tutto l'opposito di quello che e' facessero quando, mentre eglino separati dalla Terra si trattenesser per aria, il globo terrestre per volont divina si mettesse inaspettatamente in un moto precipitosissimo: tocca ora a quest'autore ad assicurarci di quello che in tal caso accaderebbe.

   SAGR. Di grazia, signor Salviati, concedete a mia richiesta a quest'autore, che fermandosi la Terra per volont di Dio, l'altre cose da quella separate continuasser d'andar in volta del natural movimento loro, e sentiamo quali impossibili o inconvenienti ne seguirebbero: perch io per me non so veder disordini maggiori di questi che produce l'autor medesimo, cio che l'allodole, ancorch le volessero, non si potrebber trattener sopra i nidi loro, n i corbi sopra le lumache o sopra i sassi; dal che ne seguirebbe che a i corbi converrebbe patirsi la voglia delle lumache, e gli allodolini si morrebber di fame e di freddo, non potendo esser n imbeccati n covati dalle lor madri: questa tutta la rovina ch'io so ritrar che seguirebbe, stante il detto dell'autore. Vedete voi, signor Simplicio, se maggiori inconvenienti seguir ne dovessero.

   SIMP. Io non ne so scorger di maggiori, ma ben credibile che l'autore ci scorga, oltre a questi, altri disordini in natura, che forse per suoi degni rispetti non ha volsuti produrre. Seguir dunque la terza instanza: Insuper, qu fit utist res tam vari tantum moveantur ab occasu in ortum parallel ad quatorem? ut semper moveantur, numquam quiescant?. ([10])

   SALV. Muovonsi da occidente in oriente, parallele all'equinoziale, senza fermarsi, in quella maniera appunto che voi credete che le stelle fisse si muovano da levante a ponente, parallele all'equinoziale, senza fermarsi.

   SIMP. Quare quo sunt altiores celerius, quo humiliores tardius?([11])

   SALV. Perch in una sfera o in un cerchio che si volga intorno al suo centro, le parti pi remote descrivono cerchi maggiori, e le pi vicine gli descrivono nell'istesso tempo minori.

   SIMP. Quare qu quinostiali propiores in maiori, qu remotiores in minori, circulo feruntur?([12])

   SALV. Per immitar la sfera stellata, nella quale le pi vicine all'equinoziale si muovon in cerchi maggiori che le pi lontane.

   SIMP. Quare pila eadem sub quinostiali tota circa centrum Terr ambitu maximo, celeritate incredibili, sub polo vero circa centrum proprium gyro nullo, tarditate suprema, volveretur?. ([13])

   SALV. Per immitar le stelle del firmamento, che farebbon l'istesso se 'l moto diurno fusse loro.

   SIMP. Quare eadem res, pila verbi gratia plumbea, si semel Terram circuivit descripto circulo maximo, eamdem ubique non circummigret secundum circulum maximum, sed translata extra quinostialem in circulis minoribus agetur? ([14])

   SALV. Perch cos farebbero, anzi pure hanno fatto in dottrina di Tolomeo, alcune stelle fisse, che gi erano vicinissime all'equinoziale e descrivevan cerchi grandissimi, ed ora, che ne son lontane, gli descrivon minori.

   SAGR. Oh s'io potessi tenere a mente tutte queste belle cose, mi parrebbe pur d'aver fatto il grand'acquisto! Bisogna, signor Simplicio, che voi me lo prestiate questo libretto, perch egli forza che perentro vi sia un mare di cose peregrine ed esquisitissime.

   SIMP. Io ve ne far un presente.

   SAGR. Oh questo no, io non ve ne priverei mai. Ma son finite ancora le interrogazioni?

   SIMP. Signor no; sentite pure: Si latio circularis gravibus et levibus est naturalis, qualis est ea qu fit secundum lineam rectam? nam si naturalis, quomodo et is motus quicircum est, naturalis est, cum specie differat a recto? si violentus, qu fit ut missile ignitum, sursum evolans, scintillosum caput sursum a Terra, non autem circum, volvatur?([15]) etc.

   SALV. Gi mille volte si detto che il moto circolare naturale del tutto e delle parti, mentre sono in ottima disposizione: il retto per ridurr'all'ordine le parti disordinate; se ben meglio dire che mai, n ordinate n disordinate, non si muovon di moto retto, ma di un moto misto che anco potrebb'esser circolare schietto; ma a noi resta visibile e osservabile una parte sola di questo moto misto cio la parte del retto, restandoci l'altra parte del circolare impercettibile, perch noi ancora lo participiamo; e questo risponde a i razzi, li quali si muovono in su e in giro, ma noi non possiamo distinguer il circolare, perch di quello ci moviamo noi ancora. Ma quest'autore non credo che abbia mai capita questa mistione, poich si vede come egli resolutamente dice che i razzi vanno in su a diritto e non vanno altrimenti in giro.

   SIMP. Quare centrum spher delaps sub quatore spiram describit in eius plano, sub aliis parallelis spiram describit in cono? sub polo descendit in axe, lineam gyralem decurrens in superficie cylindrica consignatam? ([16])

   SALV. Perch delle linee tirate dal centro alla circonferenza della sfera, che son quelle per le quali i gravi descendono, quella che termina nell'equinoziale disegna un cerchio, e quelle che terminano in altri paralleli descrivon superficie coniche, e l'asse non descrive altro, ma si resta nell'esser suo. E se io vi debbo dire il mio parer liberamente, dir che non so ritrarre da tutte queste interrogazioni costrutto nissuno che rilievi contro al moto della Terra; perch s'io domandassi a quest'autore (concedutogli che la Terra non si muova) quello che accaderebbe di tutti questi particolari, dato che ella si movesse come vuole il Copernico, son ben sicuro che e' direbbe che ne seguirebbon tutti questi effetti, che egli adesso oppone come inconvenienti per rimuover la mobilit; talch nella mente di quest'uomo le conseguenze necessarie vengon reputate assurdi. Ma, di grazia, se ci altro, spediamoci da questo tedio.

   SIMP. In questo che segue, ci contro al Copernico e suoi seguaci, che voglion che il moto delle parti, separate dal suo tutto, sia solo per riunirsi al suo tutto, ma che naturale assolutamente sia il muoversi circolarmente alla vertigine diurna; contro a i quali inst dicendo che, conforme all'oppinion di costoro, si tota Terra, una cum aqua, in nihilum redigeretur, nulla grando aut pluvia e nube decideret, sed naturaliter tantum circumferretur; neque ignis ullus aut igneum ascenderet, cum, illorum non improbabili sententia, ignis nullus sit supra. ([17])

   SALV. La providenza di questo filosofo mirabile e degna di gran lode, attesoch e' non si contenta di pensare alle cose che potrebbon accadere stante il corso della natura, ma vuol trovarsi provvisto in occasione che seguissero di quelle cose che assolutamente si sa che non sono mai per seguire. Io voglio dunque, per sentir qualche bella sottigliezza, concedergli che quando la Terra e l'acqua andassero in niente, n le grandini n la pioggia cadessero pi, n le materie ignee andasser pi in alto, ma si trattenesser girando: che sar poi? e che mi opporr il filosofo?

   SIMP. L'opposizione nelle parole che seguono immediatamente; eccole qui: Quibus tamen experientia et ratio ad versatur. ([18])

   SALV. Ora mi convien cedere, poich egli ha s gran vantaggio sopra di me, qual l'esperienza, della quale io manco; perch sin ora non mi son mai incontrato in vedere che 'l globo terrestre, con l'elemento dell'acqua, sia andato in niente, s ch'io abbia potuto osservare quel che in questo piccol finimondo faceva la gragnuola e l'acqua. Ma ci dic'egli almanco, per nostra scienza, quel che facevano?

   SIMP. Non lo dice altrimenti.

   SALV. Pagherei qualsivoglia cosa a potermi abboccar con questa persona, per domandargli, se quando questo globo spar, e' port via anco il centro comune della gravit, s com'io credo; nel qual caso, penso che la grandine e l'acqua restassero come insensate e stolide tra le nugole, senza saper che farsi di loro. Potrebbe anco esser che, attratte da quel grande spazio vacuo, lasciato mediante la partita del globo terrestre, si rarefacesser tutti gli ambienti, ed in particolar l'aria, che sommamente distraibile, e concorressero con somma velocit a riempierlo; e forse i corpi pi solidi e materiali, come gli uccelli, che pur di ragione ne dovevano esser molti per aria, si ritirarono pi verso il centro della grande sfera vacua (che par ben ragionevole che alle sustanze che sotto minor mole contengono assai materia, sieno assegnati i luoghi pi angusti, lasciando alle pi rare i pi ampli), e quivi, mortisi finalmente di fame e risoluti in terra, formassero un nuovo globettino, con quella poca di acqua che si trovava allora tra nugoli. Potrebbe anco essere che le medesime materie, come quelle che non veggon lume, non s'accorgessero della partita della Terra, e che alla cieca scendessero al solito, pensando d'incontrarla, e a poco a poco si conducessero al centro, dove anco di presente andrebbero se l'istesso globo non l'impedisse. E finalmente, per dare a questo filosofo una meno irrisoluta risposta, gli dico che so tanto di quel che seguirebbe dopo l'annichilazione del globo terrestre, quanto egli avrebbe saputo che fusse per seguir di esso ed intorno ad esso avanti che fusse creato: e, perch io son sicuro che direbbe che non si sarebbe n anco potuto immaginare nissuna delle cose seguite, delle quali la sola esperienza l'ha fatto scienziato, dovr non mi negar perdono e scusarmi s'io non so quel che egli sa delle cose che seguirebbero doppo l'annichilazione di esso globo, atteso che io manco di quest'esperienza che egli ha. Dite ora se ci altra cosa.

   SIMP. Ci questa figura, che rappresenta il globo terrestre con una gran cavit intorno al suo centro, ripiena d'aria e per mostrare che i gravi non si muovono in gi per unirsi co 'l globo terrestre, come dice il Copernico, costituisce questa pietra nel centro, e domanda, posta in libert quel che ella farebbe; ed un'altra ne pone nella concavit di questa gran caverna, e fa l'istessa interrogazione, dicendo quanto alla prima: Lapis in centro constitutus aut ascendet ad Terram in punctum aliquod, aut non: si secundum, falsum est partes ob solam seiunctionem a toto ad illud moveri, si primum, omnis ratio et experientia renititur, neque gravia in su gravitatis centro conquiescent. Item, si suspensus lapis liberatus decidat in centrum, separabit se a toto, contra Copernicum; si pendeat, refragatur omnis experientia, cum videamus integros fornices corruere. ([19])

   SALV. Risponder, bench con mio disavvantaggio grande, gi che son alle mani con chi ha veduto per esperienza ci che fanno questi sassi in questa gran caverna, cosa che non ho veduta io, e dir che credo che prima siano le cose gravi che il centro comune della gravit, s che non un centro, che altro non che un punto indivisibile, e per di nessuna efficacia, sia quello che attragga a s le materie gravi, ma che esse materie, cospirando naturalmente all'unione, si formino un comun centro, che quello intorno al quale consistono parti di eguali momenti: onde stimo, che trasferendosi il grande aggregato de i gravi in qualsivoglia luogo, le particelle che dal tutto fusser separate lo seguirebbero, e non impedite lo penetrerebbero sin dove trovassero parti men gravi di loro, ma pervenute sin dove s'incontrassero in materie pi gravi, non scenderebber pi. E per stimo che nella caverna ripiena d'aria tutta la volta premerebbe, e solo violentemente si sostenterebbe sopra quell'aria, quando la durezza non potesse esser superata e rotta dalla gravit ma sassi staccati credo che scenderebbero al centro, e non soprannoterebbero all'aria: n per ci si potrebbe dire che non si movessero al suo tutto, movendosi l dove tutte le parti del tutto si moverebbero, quando non fussero impedite.

   SIMP. Quel che resta certo errore ch'ei nota in un seguace del Copernico, il quale, facendo che la Terra si muova del moto annuo e del diurno in quella guisa che la ruota del carro si muove sopra il cerchio della Terra ed in se stessa, veniva a fare o il globo terrestre troppo grande o l'orbe magno troppo piccolo; attesoch 365 revoluzioni dell'equinoziale son meno assai che la circonferenza dell'orbe magno.

   SALV. Avvertite che voi equivocate, e dite il contrario di quello che bisogna che sia scritto nel libretto: imperocch bisogna dire che quel tale autore veniva a fare il globo terrestre troppo piccolo o l'orbe magno troppo grande, e non il terrestre troppo grande e l'annuo troppo piccolo.

   SIMP. L'equivoco non altrimenti mio: ecco qui le parole del libretto: Non videt quod vel circulum annuum quo minorem, vel orbem terreum iusto multo fabricet maiorem.([20])

   SALV. Se il primo autore abbia errato, io non lo posso sapere, poich l'autor del libretto non lo nomina; ma ben manifesto e inescusabile l'error del libretto, abbia o non abbia errato quel primo seguace del Copernico, poich quel del libretto trapassa senza accorgersi un error s materiale, e non lo nota e non lo emenda.

[Qui attribuito l'errore all'autor del libretto, ma veramente l'errore non vi .]

   Ma questo siagli perdonato, come errore pi tosto d'inavertenza che d'altro. Oltre che, se non ch'io sono omai stracco e sazio di pi lungamente occuparmi e consumare il tempo con assai poca utilit in queste molto leggieri altercazioni, potrei mostrare come non impossibile che un cerchio, anco non maggior d'una ruota d'un carro, co 'l dar non pur 365, ma anco meno di 20 revoluzioni, pu descrivere o misurare la circonferenza non pur dell'orbe magno, ma di uno mille volte maggiore: e questo dico per mostrare che non mancano sottigliezze assai maggiori di questa, con la quale quest'autore nota l'error del Copernico. Ma, di grazia, respiriamo un poco, per venir poi a quest'altro filosofo, oppositor del medesimo Copernico.

   SAGR. Veramente ne ho bisogno io ancora, bench abbia solamente affaticato gli orecchi; e quando io pensassi di non aver a sentir cose pi ingegnose in quest'altro autore, non so s'io mi risolvessi a andarmene a i freschi in gondola.

   SIMP. Credo che sentirete cose di maggior polso, perch quest' filosofo consumatissimo, e anco gran matematico, ed ha confutato Ticone in materia delle comete e delle stelle nuove.

   SALV. egli forse l'autor medesimo dell'Antiticone?

   SIMP. quello stesso: ma la confutazione contro alle stelle nuove non nell'Antiticone, se non in quanto e di mostra che elle non erano progiudiziali all'inalterabilit ed ingenerabilit del cielo, s come gi vi dissi: ma doppo l'Antiticone, avendo trovato per via di parallasse modo di dimostrare che esse ancora son cose elementari e contenute dentro al concavo della Luna, ha scritto quest'altro libro: De tribus novis stellis etc., ed inseritovi anco gli argomenti contro al Copernico. Io l'altra volta vi produssi quello ch'egli aveva scritto circa queste stelle nuove nell'Antiticone, dove egli non negava che le fussero nel cielo, ma dimostrava che la lor produzione non alterava l'inalterabilit del cielo, e ci facev'egli con discorso puro filosofico, nel modo ch'io vi dissi; e non mi sovvenne di dirvi come di poi aveva trovato modo di rimuoverle dal cielo, perch, procedendo egli in questa confutazione per via di computi e di parallassi, materie poco o niente comprese da me, non l'avevo lette, e solo avevo fatto studio sopra queste instanze contro al moto della Terra, che son pure naturali.

   SALV. Intendo benissimo, e converr, doppo che avremo sentite le opposizioni al Copernico, che sentiamo, o veggiamo almeno, la maniera con la quale per via di parallasse dimostra essere state elementari quelle nuove stelle, che tanti astronomi di gran nome costituiron tutti altissime e tra le stelle del firmamento; e come quest'autore conduce a termine una tanta impresa, di ritirar di cielo le nuove stelle sin dentro alla sfera elementare, sar ben degno d'esser grandemente esaltato e trasferito esso tra le stelle, o almeno che per fama sia tra quelle eternato il suo nome. Per spediamoci quanto prima da questa parte, che oppone all'oppinion del Copernico, e cominciate a portare le sue instanze.

   SIMP. Queste non occorrer leggerle ad verbum, perch sono molto prolisse; ma io, come vedete, nel leggerle attentamente pi volte, ho contrassegnato nella margine le parole dove consiste tutto il nervo della dimostrazione, e quella baster leggere. Il primo argomento comincia qui: Et primo, si opinio Copernici recipiatur, criterium naturalis philosophi, ni prorsus tollatur, vehementer saltem labefactari videtur.([21]) Il qual criterio vuole, secondo l'opinione di tutte le sette de filosofi, che il senso e l'esperienza siano le nostre scorte nel filosofare; ma nella posizion del Copernico i sensi vengono a ingannarsi grandemente, mentre visibilmente scorgono da vicino, in mezi purissimi, i corpi gravissimi scender rettamente a perpendicolo n mai deviar un sol capello dalla linea retta; con tutto ci per il Copernico la vista in cosa tanto chiara s'inganna, e quel moto non altrimenti retto, ma misto di retto e circolare.

   SALV. Questo il primo argomento che Aristotile e Tolomeo e tutti i lor seguaci producono: al quale si abbondantemente risposto, e mostrato il paralogismo, ed assai apertamente dichiarato come il moto comune a noi ed a gli altri mobili come se non fusse. Ma perch le conclusioni vere hanno mille favorevoli rincontri che le confermano, voglio, in grazia di questo filosofo, aggiunger qualche altra cosa; e voi, signor Simplicio, facendo la parte sua, rispondetemi alle domande. E prima, ditemi: che effetto fa in voi quella pietra la quale, cadendo dalla cima della torre, cagione che voi di tal movimento vi accorgiate? perch se 'l suo cadere nulla di pi o di nuovo operasse in voi di quello che si operava la sua quiete in cima della torre, voi sicuramente non vi accorgereste della sua scesa, n distinguereste il suo muoversi dal suo star ferma.

   SIMP. Comprendo il suo discendere in relazione alla torre, perch or la veggo a canto a un tal segno di essa torre, poi ad un basso, e cos successivamente, sin che la scorgo giunta in terra.

   SALV. Adunque, se quella pietra fusse caduta da gli artigli d'una volante aquila e scendesse per la semplice aria invisibile, e voi non aveste altro oggetto visibile e stabile con chi far parallelo di quella, non potreste il suo moto comprendere?

   SIMP. Anzi pur me n'accorgerei, poich, per vederla mentre altissima, mi converrebbe alzar la testa, e secondo ch'ella venisse calando, mi bisognerebbe abbassarla, ed in somma muover continuamente o quella o gli occhi, secondando il suo moto.

   SALV. Ora avete data la vera risposta. Voi conoscete dunque la quiete di quel sasso, mentre senza muover punto l'occhio ve lo vedete sempre avanti, e conoscete ch'ei si muove, quando, per non lo perder di vista, vi convien muover l'organo della vista, cio l'occhio. Adunque, tuttavoltach senza muover mai l'occhio voi vi vedeste continuamente un oggetto nell'istesso aspetto, sempre lo giudichereste immobile.

   SIMP. Credo che cos bisognasse necessariamente.

   SALV. Figuratevi ora d'esser in una nave, e d'aver fissato l'occhio alla punta dell'antenna: credete voi che, perch la nave si muovesse anco velocissimamente, vi bisognasse muover l'occhio per mantener la vista sempre alla punta dell'antenna e seguitare il suo moto?

   SIMP. Son sicuro che non bisognerebbe far mutazion nessuna, e che non solo la vista, ma quando io v'avessi drizzato la mira d'un archibuso, mai per qualsivoglia moto della nave non mi bisognerebbe muoverla un pelo per mantenervela aggiustata.

   SALV. E questo avviene perch il moto che conferisce la nave all'antenna, lo conferisce anche a voi ed al vostro occhio, s che non vi convien muoverlo punto per rimirar la cima dell'antenna; ed in conseguenza ella vi apparisce immobile.

 E tanto che il raggio della vista vadia dall'occhio all'antenna, quanto se una corda fusse legata tra due termini della nave: ora, cento corde sono a diversi termini fermate, e negli stessi posti si conservano, muovasi la nave o stia ferma.

   Ora trasferite questo discorso alla vertigine della Terra ed al sasso posto in cima della torre, nel quale voi non potete discernere il moto, perch quel movimento che bisogna per seguirlo, l'avete voi comunemente con lui dalla Terra n vi convien muover l'occhio; quando poi gli sopraggiugne il moto all'ingi, che suo particolare, e non vostro, e che si mescola co 'l circolare, la parte del circolare che comune della pietra e dell'occhio, continua d'esser impercettibile, e solo si fa sensibile il retto, perch per seguirla vi convien muover l'occhio abbassandolo. Vorrei, per tr d'error questo filosofo, potergli dire che, una volta andando in barca, facesse d'avervi un vaso assai profondo pieno d'acqua, ed avesse accomodato una palla di cera o d'altra materia che lentissimamente scendesse al fondo, s che in un minuto d'ora appena calasse un braccio, e facendo andar la barca quanto pi velocemente potesse, talch in un minuto d'ora facesse pi di cento braccia, leggiermente immergesse nell'acqua la detta palla e la lasciasse liberamente scendere, e con diligenza osservasse il suo moto: egli primieramente la vedrebbe andare a dirittura verso quel punto del fondo del vaso dove tenderebbe quando la barca stesse ferma, ed all'occhio suo ed in relazione al vaso tal moto apparirebbe perpendicolarissimo e rettissimo; e pure non si pu dir che non fusse composto del retto in gi e del circolare intorno all'elemento dell'acqua. E se queste cose accaggiono in moti non naturali, ed in materie che noi possiamo farne l'esperienze nel loro stato di quiete e poi nel contrario del moto, e pur, quanto all'apparenza, non si scorge diversit alcuna e par che ingannino il senso, che vogliamo noi distinguere circa alla Terra, la quale perpetuamente stata nella medesima costituzione, quanto al moto o alla quiete? ed in qual tempo vogliamo in essa sperimentare se differenza alcuna si scorge tra questi accidenti del moto locale ne suoi diversi stati di moto e di quiete, se ella in un solo di questi due eternamente si mantiene?

   SAGR. Questi discorsi m'hanno racconciato alquanto lo stomaco, il quale quei pesci e quelle lumache in parte mi avevano conturbato; ed il primo m'ha fatto sovvenire la correzione d'un errore, il quale ha tanto apparenza di vero, che non so se di mille uno non l'ammettesse per indubitato. E questo fu, che navigando in Soria, e trovandomi un telescopio assai buono, statomi donato dal nostro comune amico, che non molti giorni avanti l'aveva investigato, proposi a quei marinari che sarebbe stato di gran benefizio nella navigazione l'adoperarlo su la gaggia della nave per iscoprir vasselli da lontano e riconoscergli: fu approvato il benefizio, ma opposta la difficult del poterlo usare mediante il continuo fluttuar della nave, e massime in su la cima dell'albero, dove l'agitazione tanto maggiore, e che meglio sarebbe stato chi l'avesse potuto adoperare al piede, dove tal movimento minore che in qualsivoglia altro luogo del vassello. Io (non voglio ascondere l'error mio) concorsi nel medesimo parere, e per allora non replicai altro, n saprei dirvi da che mosso, tornai tra me stesso a ruminar sopra questo fatto, e finalmente m'accorsi della mia semplicit (ma per scusabile) nell'ammetter per vero quello che falsissimo: dico falso, che l'agitazion massima della gaggia, in comparazion della piccola del piede dell'albero, debba render pi difficile l'uso del telescopio nell'incontrar l'oggetto.

   SALV. Io sarei stato compagno de i marinari ed anche vostro, su 'l principio.

   SIMP. Ed io parimente sarei stato, e sono ancora; n crederei co 'l pensarvi cent'anni intenderla altrimenti.

   SAGR. Potr dunque io questa volta farvi a tutti due (come si dice) il maestro addosso: e perch il proceder per interrogazioni mi par che dilucidi assai le cose, oltre al gusto che si ha dello scalzare il compagno, cavandogli di bocca quel che non sapeva di sapere, mi servir di tale artifizio E prima io suppongo che le navi, fuste o altri legni, che si cerca di scoprire e riconoscere, sieno lontani assai, cio 4, 6, 10 o 20 miglia, perch per riconoscer i vicini non c' bisogno d'occhiali; ed in conseguenza il telescopio pu, in tanta distanza di 4 o 6 miglia, comodamente scoprire tutto 'l vassello, ed anco machina assai maggiore. Ora io domando, quali in ispezie e quanti in numero siano i movimenti che si fanno nella gaggia, dependenti dalla fluttuazion della nave.

   SALV. Figuriamoci che la nave vadia verso levante: prima, nel mar tranquillissimo, non ci sarebbe altro moto che questo progressivo; ma aggiunta l'agitazion dell'onde, ce ne sar uno che, alzando ed abbassando vicendevolmente la poppa e la prua, fa che la gaggia inclina innanzi e indietro; altre onde, facendo andare il vassello alla banda, piegano l'albero a destra e a sinistra; altre posson girare alquanto la nave e farla defletter, diremo con l'artimone, dal dritto punto orientale or verso greco or verso sirocco; altre, sollevando per di sotto la carina, potrebber far che la nave, senza deflettere, solamente si alzasse ed abbassasse: ed in somma parmi che in spezie questi movimenti sien due, uno, cio, che muta per angolo la direzion del telescopio, e l'altro che la muta, diremo, per linea, senza mutar angolo, cio mantenendo sempre la canna dello strumento parallela a se stessa.

   SAGR. Ditemi appresso: se noi, avendo prima drizzato il telescopio l a quella torre di Burano, lontana di qua sei miglia, lo piegassimo per angolo a destra o a sinistra, o vero in su o in gi, solamente quanto un nero d'ugna, che effetto ci farebbe circa l'incontrar essa torre?

   SALV. Ce la farebbe immediate sparir dalla vista, perch una tal declinazione, bench piccolissima qui, pu importar l le centinaia e le migliaia delle braccia.

   SAGR. Ma se senza mutar l'angolo, conservando sempre la canna parallela a se stessa, noi la trasferissimo 10 o 12 braccia pi lontana, a destra o a sinistra, in alto o a basso, che effetto ci cagionerebbe ella quanto alla torre?

   SALV. Assolutamente impercettibile; perch, sendo gli spazii qui e l contenuti tra raggi paralleli, le mutazioni fatte qui e l convien che sieno eguali, e perch lo spazio che scuopre l lo strumento capace di molte di quelle torri, per non la perderemmo altrimenti di vista.

   SAGR. Tornando ora alla nave, possiamo indubitabilmente affermare, che il muovere il telescopio a destra o a sinistra, in su o in gi, ed anco innanzi o indietro, 20 o 25 braccia, mantenendolo per sempre parallelo a se stesso, non pu sviare il raggio visivo dal punto osservato nell'oggetto pi che le medesime 25 braccia; e perch nella lontananza di 8 o 10 miglia la scoperta dello strumento abbraccia spazio molto pi largo che la fusta o altro legno veduto, per tal piccola mutazione non me lo fa perder di vista. L'impedimento dunque e la causa dello smarrir l'oggetto non ci pu venire se non dalla mutazion fatta per angolo, gi che per l'agitazion della nave la trasportazion del telescopio in alto o a basso, a destra o a sinistra, non pu importar gran numero di braccia. Ora supponete d'aver due telescopii fermati uno all'inferior parte dell'albero della nave, e l'altro alla cima non pur dell'albero, ma anco dell'antenna altissima, quando con essa si fa la penna, e che amendue sien drizzati al vassello discosto 10 miglia: ditemi se voi credete che, per qual si sia agitazion della nave e inclinazion dell'albero maggior mutazione, quanto all'angolo, si faccia nella canna altissima che nella infima. Alzando un'onda la prua far ben dare indietro la punta dell'antenna 30 o 40 braccia pi che il piede dell'albero, e verr a ritirar indietro la canna superiore per tanto spazio, e la inferiore un palmo solamente; ma l'angolo tanto si altera nell'uno strumento quanto nell'altro: e parimente un'onda che venga per banda, trasporta a destra ed a sinistra cento volte pi la canna alta che la bassa; ma gli angoli o non si mutano o si alterano egualmente; ma la mutazione a destra o a sinistra, innanzi o in dietro, in su o in gi, non reca impedimento sensibile nella veduta de gli oggetti lontani, ma s bene grandissima l'alterazione dell'angolo: adunque bisogna necessariamente confessare che l'uso del telescopio nella sommit dell'albero non pi difficile che al piede, avvenga che le mutazioni angolari son eguali in amendue i luoghi.

   SALV. Quanto bisogna andar circospetto prima che affermare o negare una proposizione! Io torno a dire, che nel sentir pronunziar resolutamente che per il movimento maggiore fatto nella sommit dell'albero che nel piede, ciascuno si persuader che grandemente sia pi difficile l'uso del telescopio su alto che a basso. E cos anco voglio scusar quei filosofi che si disperano e si gettan via contro a quelli che non gli voglion concedere che quella palla d'artiglieria, che e veggon chiaramente venire a basso per una linea retta e perpendicolare, assolutamente si muova in quel modo, ma voglion che 'l moto suo sia per un arco, ed anco molto e molto inclinato e trasversale. Ma lasciamogli in quest'angustia, e sentiamo l'altre opposizioni che l'autore che aviamo a mano fa contro al Copernico.

   SIMP. Continua pur l'autore di mostrare come in dottrina del Copernico bisogna negare i sensi, e le sensazioni massime, qual sarebbe se noi, che sentiamo il ventilar d'una leggierissima aura, non abbiamo poi a sentire l'impeto d'un vento perpetuo che ci ferisce con una velocit che scorre pi di 2529 miglia per ora; ch tanto lo spazio che il centro della Terra co 'l moto annuo trapassa in un'ora per la circonferenza dell'orbe magno, come egli diligentemente calcola, e perch, come ei dice pur di parer del Copernico, cum Terra movetur circumpositus ar; motus tamen eius, velocior licet ac rapidior celerrimo quocumque vento, a nobis non sentiretur, sed summa tum tranquillitas reputaretur, nisi alius motus accederet. Quid est vero decipi sensum, nisi hc esset deceptio? ([22])

   SALV. forza che questo filosofo creda che quella Terra che il Copernico fa andare in giro, insieme con l'aria ambiente, per la circonferenza dell'orbe magno, non sia questa dove noi abitiamo, ma un'altra separata, perch questa nostra conduce seco noi ancora, con la medesima velocit sua e dell'aria circostante: e qual ferita possiam noi sentire, mentre fuggiamo con egual corso a quello di chi ci vuol giostrare? Questo signore s' scordato che noi ancora siamo, non men che la Terra e l'aria, menati in volta, e che in conseguenza sempre siamo toccati dalla medesima parte d'aria, la quale per non ci ferisce.

   SIMP. Anzi no: eccovi le parole che immediatamente seguono: Prterea nos quoque rotamur ex circumductione Terr etc. ([23])

   SALV. Ora non lo posso pi n aiutare n scusare; scusatelo voi e aiutatelo, signor Simplicio.

   SIMP. Per ora, cos improvvisamente, non mi sovvien difesa di mia sodisfazione.

   SALV. Omb, ci penserete stanotte, e difenderetelo poi domani: intanto sentiamo l'altre opposizioni.

   SIMP. Sguita pur l'istessa instanza, mostrando che in via del Copernico bisogna negar le sensazioni proprie. Imperocch questo principio, per il quale noi andiamo intorno con la Terra, o nostro intrinseco, o ci esterno, cio un rapimento di essa Terra: e se questo secondo , non sentendo noi cotal rapimento, convien dire che 'l senso del tatto non senta il proprio obietto congiunto, n la sua impressione nel sensorio; ma se il principio intrinseco, noi non sentiremo un moto locale derivante da noi medesimi, e non ci accorgeremo mai di una propensione perpetuamente annessa con esso noi.

   SALV. Talch l'instanza di questo filosofo batte qua, che, sia quel principio, per il quale noi ci moviamo con la Terra, o esterno o interno, dovremmo in ogni maniera sentirlo, e non lo sentendo, non n l'uno n l'altro, e per noi non ci moviamo, n in conseguenza la Terra. Ed io dico che pu essere nell'un modo e nell'altro, senza che noi lo sentiamo. E del poter esser esterno, l'esperienza della barca rimuove ogni difficult soprabbondantemente: e dico soprabbondantemente, perch, potendo noi a tutte l'ore farla muovere ed anco farla star ferma, e con grand'accuratezza andare osservando se da qualche diversit, che dal senso del tatto possa esser compresa, noi possiamo imparare ad accorgerci se la si muova o no, vedendo che per ancora non si acquistata tale scienza, a che maravigliarsi se l'istesso accidente ci resta incognito nella Terra, la quale ci pu aver portati perpetuamente, senza potere mai sperimentar la sua quiete? Voi sete pur, signor Simplicio, per quel ch'io credo, andato mille volte nelle barche da Padova, e se voi volete confessar il vero, non avete mai sentita in voi la participazione di quel moto, se non quando la barca, arrenando o urtando in qualche ritegno, si fermata, e che voi con gli altri passeggieri, colti all'improvviso, sete con pericolo traboccati. Bisognerebbe che il globo terrestre incontrasse qualche intoppo che l'arrestasse, che vi assicuro che allora vi accorgereste dell'impeto che in voi risiede, mentre da esso sareste scagliato verso le stelle. Ben vero che con altro senso, ma accompagnato co 'l discorso, potete accorgervi del moto della barca, cio con la vista, mentre riguardate gli alberi e le fabbriche poste nella campagna, le quali, essendo separate dalla barca, par che si muovano in contrario: ma se per una tale esperienza voleste restare appagato del moto terrestre, direi che riguardaste le stelle, che per ci vi appariscono muoversi in contrario. Il maravigliarsi poi di non sentir cotal principio, posto che fusse nostro interno, pensiero men ragionevole; perch se noi non sentiamo un simile che ci vien di fuori e che frequentemente si parte, per qual ragione dovremmo sentirlo quando immutabilmente risedesse di continuo in noi? Ora cci altro in questo primo argomento?

   SIMP. cci questa esclamazioncella: Ex hac itaque opinione necesse est diffidere nostris sensibus, ut penitus fallacibus vel stupidis in sensibilibus, etiam coniunctissimis, diiudicandis; quam ergo veritatem sperare possumus, a facultate adeo fallaci ortum trahentem? ([24])

   SALV. Oh io ne vorrei dedur precetti pi utili e pi sicuri, imparando ad esser pi circuspetto e men confidente circa quello che a prima giunta ci vien rappresentato da i sensi, che ci possono facilmente ingannare; e non vorrei che questo autore si affannasse tanto in volerci far comprender co 'l senso, questo moto de i gravi descendenti esser semplice retto e non di altra sorte, n si risentisse ed esclamasse perch una cosa tanto chiara manifesta e patente venga messa in difficult; perch in questo modo d indizio di credere che a quelli che dicon, tal moto non esser altrimenti retto, anzi pi tosto circolare, paia di veder sensatamente quel sasso andar in arco, gi che egli invita pi il lor senso che il lor discorso a chiarirsi di tal effetto: il che non vero signor Simplicio, perch, s come io, che sono indifferente tra queste opinioni e solo a guisa di comico mi immaschero da Copernico in queste rappresentazioni nostre, non ho mai veduto, n mi parso di veder, cader quel sasso altrimenti che a perpendicolo, cos credo che a gli occhi di tutti gli altri si rappresenti l'istesso. Meglio dunque che, deposta l'apparenza, nella quale tutti convenghiamo, facciamo forza co 'l discorso, o per confermar la realt di quella, o per iscoprir la sua fallacia.

   SAGR. Se io potessi una volta incontrarmi in questo filosofo, che pur mi pare che si elevi assai sopra molti altri seguaci dell'istesse dottrine, vorrei in segno di affetto ricordargli un accidente che assolutamente egli ha ben mille volte veduto, dal quale, con molta conformit di questo che trattiamo, si pu comprendere quanto facilmente possa altri restar ingannato dalla semplice apparenza o vogliamo dire rappresentazione del senso. E l'accidente il parere, a quelli che di notte camminano per una strada, d'esser seguitati dalla Luna con passo eguale al loro, mentre la veggono venir radendo le gronde de i tetti sopra le quali ella gli apparisce, in quella guisa appunto che farebbe una gatta che, realmente camminando sopra i tegoli, tenesse loro dietro: apparenza che, quando il discorso non s'interponesse pur troppo manifestamente ingannerebbe la vista.

   SIMP. Veramente non mancano l'esperienze le quali ci rendono sicuri delle fallacie de i semplici sensi; per, sospendendo per ora cotali sensazioni, sentiamo gli argomenti che seguono, che son presi, come e' dice, ex rerum natura. Il primo de' quali , che la Terra non pu muoversi di sua natura di tre movimenti grandemente diversi, o vero bisognerebbe rifiutare molte dignit manifeste: la prima delle quali , che ogni effetto depende da qualche causa, la seconda, che nessuna cosa produce se medesima, dal che ne segue che non possibile che il movente e quello che mosso siano totalmente l'istessa cosa: e questo non solo nelle cose che son mosse da motore estrinseco manifesto, ma si raccoglie anco da i principii proposti l'istesso accadere nel moto naturale dependente da principio intrinseco; altrimenti, essendo che il movente, come movente, causa, e 'l mosso, come mosso, effetto, il medesimo totalmente sarebbe causa ed effetto; adunque un corpo non muove tutto s, cio che tutto muova e tutto sia mosso, ma bisogna nella cosa mossa distinguere in qualche modo il principio efficiente della mozione, e quello che di tal mozione si muove. La terza dignit che, nelle cose suggette a i sensi, uno, in quanto uno, produce una cosa sola; cio l'anima nell'animale produce ben diverse operazioni, cio la vista, l'udito, l'odorato, la generazione, ma con istrumenti diversi: ed in somma si scorge, nelle cose sensibili le diverse operazioni derivar da diversit che sia nella causa. Ora, se si congiugneranno queste dignit, sar cosa chiarissima che un corpo semplice, qual la Terra, non si potr di sua natura muover insieme di tre movimenti grandemente diversi. Imperocch, per le supposizioni fatte, tutta non muove s tutta; bisogna dunque distinguere in lei tre principii di tre moti, altrimenti un principio medesimo produrrebbe pi moti: ma contenendo in s tre principii di moti naturali, oltre alla parte mossa, non sar corpo semplice, ma composto di tre principii moventi e della parte mossa: se dunque la Terra corpo semplice, non si mover di tre moti. Anzi, pur non si mover ella di alcuno di quelli che le attribuisce il Copernico, dovendosi muover d'un solo; essendo manifesto, per le ragioni di Aristotile, che ella si muove al suo centro, come mostrano le sue parti, che scendono ad angoli retti alla superficie sferica della Terra.

   SALV. Molte cose sarebbon da dirsi e da considerarsi intorno alla testura di questo argomento; ma gi che noi lo possiamo in brevi parole risolvere, non voglio per ora senza necessit diffondermi, e tanto pi, quanto la risposta mi vien dal medesimo autore somministrata, mentre egli dice, nell'animale da un sol principio esser prodotte diverse operazioni: onde io per ora gli rispondo, con un simil modo da un sol principio derivare nella Terra diversi movimenti.

   SIMP. A questa risposta non si quieter punto l'autore dell'instanza, anzi vien pur ella totalmente atterrata da quello che ei soggiugne immediatamente per maggiore stabilimento dell'impugnazion fatta, s come voi sentirete. Corrobora, dico, l'argomento con altra dignit, che questa: che la natura non manca, n soprabbonda, nelle cose necessarie. Questo manifesto a gli osservatori delle cose naturali e principalmente degli animali, ne' quali, perch dovevano muoversi di molti movimenti, la natura ha fatte loro molte flessure, e quivi acconciamente ha legate le parti per il moto, come alle ginocchia, a i fianchi, per il camminar de gli animali e per coricarsi a lor piacimento; in oltre nell'uomo ha fabbricate molte flessioni e snodature al gomito ed alla mano, per poter esercitar molti moti. Da queste cose si cava l'argomento contro al triplicato movimento della Terra: o vero il corpo uno e continuo, senza essere snodato da flessura nessuna, pu esercitar diversi movimenti, o vero non pu senza aver le flessure, se pu senza, adunque indarno ha la natura fabbricate le flessure negli animali, che contro alla dignit; ma se non pu senza, adunque la Terra, corpo uno e continuo e privo di flessure e di snodamenti, non pu di sua natura muoversi di pi moti. Or vedete quanto argutamente va a incontrar la vostra risposta, che par quasi che l'avesse prevista.

   SALV. Dite voi su 'l saldo, o pur parlate ironicamente?

   SIMP. Io dico dal miglior senno ch' i' m'abbia.

   SALV. Bisogna dunque che voi vi sentiate d'aver tanto buono in mano, da poter anco sostener la difesa di questo filosofo contro qualche altra replica che gli fusse fatta in contrario: per rispondetemi, vi prego, in sua grazia, gi che non possiamo averlo presente. Voi primieramente ammettete per vero che la natura abbia fatti gli articoli, le flessure e snodature a gli animali, acciocch si possano muover di molti e diversi movimenti; ed io vi nego questa proposizione, e dico che le flessioni son fatte acciocch l'animale possa muovere una o pi delle sue parti, restando immobile il resto, e dico che quanto alle spezie e differenze de' movimenti, quelli sono di una sola, cio tutti circolari: e per questo voi vedete, tutti i capi de gli ossi mobili esser colmi o cavi; e di questi, altri sono sferici, che son quelli che hanno a muoversi per tutti i versi, come fa nella snodatura della spalla il braccio dell'alfiere nel maneggiar l'insegna, e dello strozziere nel richiamar co 'l logoro il falcone, e tal la flessura del gomito, sopra la quale si gira la mano nel forar col succhiello; altri son circolari per un sol verso e quasi cilindrici, che servono per le membra che si piegano in un sol modo, come le parti delle dita l'una sopra l'altra, etc. Ma senza pi particolari incontri, un solo general discorso ne pu far conoscer questa verit; e questo , che di un corpo solido che si muova restando uno de' suoi estremi senza mutar luogo, il moto non pu esser se non circolare: e perch nel muover l'animale uno delle sue membra non lo separa dall'altro suo conterminale, adunque tal moto circolare di necessit.

   SIMP. Io non l'intendo per questo verso; anzi veggo io l'animale muoversi di cento moti non circolari e diversissimi tra loro, e correre e saltare e salire e scendere e notare e molt'altri.

   SALV. Sta bene: ma cotesti son moti secondarii, dependenti da i primi, che sono de gli articoli e delle flessure. Al piegar delle gambe alle ginocchia e delle cosce a i fianchi, che son moti circolari delle parti, ne viene in conseguenza il salto o il corso, che son movimenti di tutto 'l corpo, e questi posson esser non circolari. Ora, perch del globo terrestre non si ha da muovere una parte sopra un'altra immobile, ma il movimento deve esser di tutto il corpo, non ci bisogno di flessure.

   SIMP. Questo (dir la parte) potrebbe esser quando il moto fusse un solo, ma l'esser tre, e diversissimi tra di loro, non possibile che s'accomodino in un corpo inarticolato.

   SALV. Cotesta credo veramente che sarebbe la risposta del filosofo; contro alla quale io insurgo per un'altra banda, e vi domando se voi stimate che per via di articoli e flessure si potesse adattare il globo terrestre alla participazione di tre moti circolari diversi. Voi non rispondete? Gi che voi tacete, risponder io per il filosofo; il quale assolutamente direbbe di s, perch altrimenti sarebbe stato superfluo e fuori del caso il metter in considerazione che la natura fa le flessioni acciocch il mobile possa muoversi di moti differenti, e che per, non avendo il globo terrestre flessure non pu aver i tre moti attribuitigli; perch, quando egli avesse stimato che n anco per via di flessure si potesse render atto a tali movimenti, arebbe liberamente pronunziato, il globo non poter muoversi di tre moti. Ora, stante questo, io prego voi, e per voi, se fusse possibile, il filosofo autor dell'argomento, ad essermi cortese d'insegnarmi in qual maniera bisognerebbe accomodar le flessure, acciocch i tre moti comodamente potessero esercitarsi; e vi concedo tempo per la risposta quattro e anco sei mesi. Intanto a me pare che un principio solo possa cagionar nel globo terrestre pi moti, in quella guisa appunto, come dianzi risposi, che un sol principio, co 'l mezo di varii strumenti, produce moti multiplici e diversi nell'animale: e quanto all'articolazione, non ve n' bisogno, dovendo esser i movimenti del tutto, e non di alcune parti; e perch hanno ad esser circolari, la semplice figura sferica la pi bella articolazione che domandar si possa.

   SIMP. Al pi che vi si dovesse concedere, sarebbe che ci potesse accader d'un movimento solo; ma di tre diversi, al parer mio e dell'autore, non possibile, come egli pur continuando, e corroborando l'instanza, segue scrivendo: Figuriamoci co 'l Copernico che la Terra si muova, per propria facult e da principio intrinseco, da occidente in oriente nel piano dell'eclittica, ed oltre a ci che ella si rivolga, pur da principio intrinseco, intorno al suo proprio centro da oriente in occidente, e per il terzo moto ch'ella per propria inclinazione si pieghi da settentrione in austro ed all'incontro; essendo ella un corpo continuo e non collegato con flessioni e giunture, potr mai la nostra stimativa e 'l nostro giudizio comprendere che un medesimo principio naturale e indistinto, cio che una medesima propensione, si distragga insieme in diversi moti e quasi contrarii? Io non posso credere che alcuno sia per dir tal cosa, se non chi a dritto e a torto avesse preso a sostenere questa posizione.

   SALV. Fermate un poco, e trovatemi questo luogo nel libro; mostrate. Fingamus modo cum Copernico, Terram aliqua sua vi et ab indito principio impelli ab occasu ad ortum in ecliptic plano, tum rursus revolvi ab indito etiam principio circa suimet centrum ab ortu in occasum, tertio deflecti rursus suopte nutu a septentrione in austrum et vicissim. Io dubitavo, signor Simplicio, che voi non aveste preso errore nel riferirci le parole dell'autore; ma veggo che egli stesso, e pur troppo gravemente, si inganna, e con mio dispiacere comprendo ch'e' si posto ad impugnar una posizione la quale e' non ha ben capita; imperocch questi non sono i movimenti che 'l Copernico attribuisce alla Terra. E donde cava egli che 'l Copernico faccia il moto annuo per l'eclittica contrario al moto circa il proprio centro? bisogna che e' non abbia letto il suo libro, che in cento luoghi, ed anco ne i primi capitoli, scrive tali movimenti esser amendue verso le medesime parti, cio da occidente verso oriente. Ma senza sentirlo da altri, non dovev'egli per se stesso comprendere, che attribuendosi alla Terra i movimenti che si levano l'uno al Sole e l'altro al primo mobile, bisognava che fussero necessariamente fatti pel medesimo verso?

   SIMP. Guardate pur di non errar voi, ed il Copernico insieme. Il moto diurno del primo mobile non egli da levante a ponente? ed il moto annuo del Sole per l'eclittica non , per l'opposito, da ponente a levante? come dunque volete che i medesimi, trasferiti nella Terra, di contrarii divengan concordi?

   SAGR. Certo che il signor Simplicio ci ha scoperta l'origine dell'error di questo filosofo: forza che esso ancora abbia fatto l'istesso discorso.

   SALV. Or che si pu, caviamo d'errore almanco il signor Simplicio. Il quale, vedendo le stelle nel nascere alzarsi sopra l'orizonte orientale, non ar difficult nell'intendere che, quando tal moto non fusse delle stelle, bisognerebbe necessariamente dire che l'orizonte con moto contrario si abbassasse, ed in conseguenza che la Terra si volgesse in se stessa al contrario di quel che ci sembrano muoversi le stelle, cio da occidente verso oriente, che secondo l'ordine de' segni del zodiaco. Quanto poi all'altro moto, essendo il Sole fisso nel centro del zodiaco e la Terra mobile per la circonferenza di quello, per far che il Sole ci apparisca muoversi per esso zodiaco secondo l'ordine de i segni, necessario che la Terra cammini secondo il medesimo ordine attesoch il Sole ci apparisce sempre occupar nel zodiaco il grado opposto al grado nel quale si trova la Terra: e cos, scorrendo la Terra, verbigrazia, l'Ariete, il Sole apparir scorrer la Libra, e passando la Terra per il segno del Toro, il Sole scorrer per quello dello Scorpione; la Terra per i Gemini il Sole per il Sagittario: ma quest' muoversi per il medesimo verso amendue, cio secondo l'ordine de' segni, come anco era la revoluzion della Terra circa il proprio centro.

   SIMP. Ho inteso benissimo, n saprei qual cosa produr per isgravio d'un tanto errore.

   SALV. Ma piano, signor Simplicio, ch ce n' un altro maggior di questo: ed , ch'e' fa muover la Terra per il moto diurno intorno al proprio centro da oriente verso occidente, e non comprende che quando questo fusse, il movimento delle 24 ore dell'universo ci apparirebbe fatto da ponente verso levante, per l'opposito giusto di quel che noi veggiamo.

   SIMP. Oh io, che appena ho veduti i primi elementi della sfera, son sicuro che non arei errato s gravemente.

   SALV. Giudicate ora quale studio si pu stimare che abbia fatto questo oppositore ne i libri del Copernico, se e' prende al rovescio questa principale e massima ipotesi, sopra la quale si fonda tutta la somma delle cose nelle quali il Copernico dissente dalla dottrina d'Aristotile e di Tolomeo. Quanto poi a questo terzo moto che l'autore, pur di mente del Copernico, assegna al globo terrestre, non so di quale e' si voglia intendere: quello non egli sicuramente che il Copernico gli attribuisce congiuntamente con gli altri due, annuo e diurno, che non ha che fare co 'l declinare verso austro e settentrione, ma solo serve per mantener l'asse della revoluzion diurna continuamente parallelo a se stesso; talch bisogna dire, o che l'oppositore non abbia compreso questo, o l'abbia dissimulato. Ma bench questo solo grave mancamento bastasse a liberarne dall'obbligo di pi occuparci nella considerazione delle sue opposizioni, tuttavia voglio ritenerle in stima, s come veramente meritano di esser apprezzate assai pi che mille altre di altri vani oppositori. Tornando dunque all'instanza, dico che i due movimenti annuo e diurno non sono altrimenti contrarii, anzi son per il medesimo verso, e per posson dependere da un medesimo principio; il terzo vien talmente in conseguenza dell'annuo, da per se stesso e spontaneamente, che non vi bisogna chiamar principio interno n esterno (come a suo luogo dimostrer) dal quale, come da causa, venga prodotto.

   SAGR. Voglio pur io ancora, scorto dal discorso naturale, dire a questo oppositore qualche cosa. Il qual vuol condennare il Copernico se io non gli so puntualmente risolvere tutti i dubbi e risponder a tutte le opposizioni che ei gli fa, quasi che in conseguenza della mia ignoranza segua necessariamente la falsit della sua dottrina: ma se questo termine di condennar gli scrittori gli par iuridico, non dovr parergli fuor di ragione se io non approver Aristotile e Tolomeo, quando egli non risolva meglio di me le difficult medesime ch'io gli promuovo nella loro dottrina. E' mi domanda quali siano i principii, per i quali il globo terrestre si muove del moto annuo nel zodiaco, e del diurno per l'equinoziale in se stesso. Dicogli che e' sono una cosa simile a quelli per i quali Saturno si muove per il zodiaco in 30 anni, ed in se stesso in tempo molto pi breve secondo l'equinoziale, come lo scoprirsi ed ascondersi de i suoi globi collaterali ci mostra; e una cosa simile a quella per la quale ei concederebbe senza scrupolo che il Sole scorresse l'eclittica in un anno, ed in se stesso si rivolgesse parallelo all'equinoziale in manco d'un mese, come sensatamente mostrano le sue macchie; e una cosa simil a quella per la quale le stelle Medicee scorrono il zodiaco in 12 anni, e tra tanto si volgono in cerchi piccolissimi ed in tempi brevissimi intorno a Giove.

   SIMP. Quest'autore vi negher tutte queste cose, come inganni della vista, mediante i cristalli del telescopio.

   SAGR. Oh questo sarebbe un volerne troppo per s, mentre e' vuole che l'occhio semplice non si possa ingannare nel giudicar il moto retto de' gravi descendenti, e vuol che e' si inganni nel comprendere questi altri movimenti, mentre la sua virt vien perfezionata ed accresciuta a trenta doppii. Diciamogli dunque che la Terra partecipa la pluralit di movimenti in un modo simile e forse il medesimo, co 'l quale la calamita ha il muoversi in gi, come grave, e due moti circolari, uno orizontale e l'altro verticale, sotto il meridiano. Ma che pi? ditemi, signor Simplicio tra chi credete voi che quest'autore mettesse maggior diversit, tra il moto retto e 'l circolare, o tra il moto e la quiete?

   SIMP. Tra il moto e la quiete sicuramente. E quest' manifesto; perch il moto circolare non contrario al retto per Aristotile, anzi e' concede che si possano mescolare; il che impossibile del moto e della quiete.

   SAGR. Adunque proposizione meno improbabile il porre in un corpo naturale due principii interni, uno a 'l moto retto e l'altro al circolare, che due, pur interni, uno al moto e l'altro alla quiete. Ora, della naturale inclinazione che risegga nelle parti della Terra, di ritornar al suo tutto quando per violenza ne vengono separate, concordano insieme amendue le posizioni; e solo dissentono nell'operazion del tutto, ch questa vuole che per principio interno stia immobile, e quella gli attribuisce il moto circolare: ma per la vostra concessione e di questo filosofo, due principii, uno al moto e l'altro alla quiete, son incompatibili insieme, s come incompatibili sono gli effetti; ma non gi accade questo de i due movimenti retto e circolare, che nulla repugnanza hanno fra di loro.

   SALV. Aggiugnete di pi, che probabilissimamente pu essere che il movimento che fa la parte della Terra separata, mentre si riconduce al suo tutto, sia esso ancora circolare, come di gi si dichiarato: talch per tutti i rispetti, in quanto appartiene al presente caso, la mobilit sembra pi accettabile che la quiete. Ora seguite, signor Simplicio, quello che resta.

   SIMP. Fortifica l'autore l'instanza con additarci un altro assurdo, cio che gli stessi movimenti convengano a nature sommamente diverse: ma l'osservazione ci insegna, l'operazioni e i moti di nature diverse esser diversi; e la ragione lo conferma, perch altrimenti non avremmo ingresso per conoscere e distinguer le nature, quando elle non avessero i lor moti ed operazioni che ci scorgessero alla cognizione delle sustanze.

   SAGR. Io ho dua o tre volte osservato ne i discorsi di quest'autore, che per prova che la cosa stia nel tale e nel tal modo, e' si serve del dire che in quel tal modo si accomoda alla nostra intelligenza, o che altrimenti non avremmo adito alla cognizione di questo o di quell'altro particolare, o che il criterio della filosofia si guasterebbe, quasi che la natura prima facesse il cervello a gli uomini, e poi disponesse le cose conforme alla capacit de' loro intelletti. Ma io stimerei pi presto, la natura aver fatte prima le cose a suo modo, e poi fabbricati i discorsi umani abili a poter capire (ma per con fatica grande) alcuna cosa de' suoi segreti.

   SALV. Io son dell'istessa opinione. Ma dite, signor Simplicio: quali sono queste nature diverse, alle quali, contro all'osservazione ed alla ragione, il Copernico assegna moti ed operazioni medesime?

   SIMP. Eccole: l'acqua e l'aria (che pur sono nature diverse dalla terra), e tutte le cose che in tali elementi si trovano, aranno ciascheduna quei tre movimenti che il Copernico finge nel globo terrestre. E segue di dimostrar geometricamente come in via del Copernico una nugola che sia sospesa in aria, e che per lungo tempo ci soprastia al capo senza mutar luogo, bisogna necessariamente ch'ell'abbia tutti tre que' movimenti che ha il globo terrestre: la dimostrazione questa, e voi la potete legger da per voi, ch'io non la saprei riferir a mente.

   SALV. Io non istar altrimenti a leggerla, anzi stimo superfluo l'avercela posta, perch'io son sicuro che nessuno de gli aderenti del moto della Terra glie la negher. Per, ammessagli la dimostrazione, parliamo dell'instanza: la qual non mi pare che abbia molta forza di concluder nulla contro alla posizione del Copernico, avvengach niente si deroga a quei moti e a quelle operazioni per i quali si viene in cognizione delle nature etc. Rispondetemi in grazia, signor Simplicio: quelli accidenti ne' quali alcune cose puntualissimamente convengono, ci posson eglin servire per farci conoscer le diverse nature di quelle tali cose?

   SIMP. Signor no, anzi tutto l'opposito, perch dall'identit delle operazioni e degli accidenti non si pu argumentare salvo che una identit di nature.

   SALV. Talch le diverse nature dell'acqua, della terra dell'aria, e dell'altre cose che sono per questi elementi, voi non l'arguite da quelle operazioni nelle quali tutti questi elementi e loro annessi convengono, ma da altre operazioni: sta cos?

   SIMP. Cos in effetto.

   SALV. Talch quello che lasciasse ne gli elementi tutti quei moti, operazioni ed altri accidenti per i quali si distinguono le lor nature, non ci priverebbe del poter venire in cognizione di esse, ancorch e' rimovesse poi quella operazione nella quale unitamente convengono, e che perci non serve nulla per la distinzione di tali nature.

   SIMP. Credo che il discorso proceda benissimo.

   SALV. Ma che la terra, l'acqua e l'aria siano da natura egualmente costituite immobili intorno al centro, non opinione vostra, dell'autore, di Aristotile, di Tolomeo e di tutti i lor seguaci?

   SIMP. ricevuta come verit irrefragabile.

   SALV. Adunque da questa comune natural condizione, di quietare intorno al centro, non si trae argomento delle diverse nature di questi elementi e cose elementari, ma convien apprender tal notizia da altre qualit non comuni; e per chi levasse a gli elementi solamente questa quiete comune e gli lasciasse loro tutte l'altre operazioni, non impedirebbe punto la strada che ne guida alla cognizione delle loro essenze: ma il Copernico non leva loro altro che questa comune quiete, e glie la tramuta in un comunissimo moto, lasciandogli la gravit, la leggierezza, i moti in su, in gi, pi tardi, pi veloci, la rarit, la densit, le qualit di caldo, freddo, secco, umido, ed in somma tutte l'altre cose: adunque un tal assurdo, qual s'immagina questo autore, non altrimenti nella posizion copernicana; n il convenire in una identit di moto importa pi o meno che il convenire in una identit di quiete, circa 'l diversificare o non diversificar nature. Or dite se ci altro argomento in contrario.

   SIMP. Sguita una quarta instanza, presa pur da una naturale osservazione, che che i corpi del medesimo genere hanno moti che convengono in genere, o vero convengono nella quiete: ma nella posizione del Copernico, corpi che convengono in genere, e tra di loro similissimi, arebbono in quanto al moto una somma sconvenienza, anzi una diametral repugnanza, imperocch stelle tanto tra di loro simili, nulladimeno nel moto sarebbero tanto dissimili, poich sei pianeti andrebbono in volta perpetuamente, ma il Sole e tutte le stelle fisse perpetuamente starebbero immote.

   SALV. La forma dell'argomentare mi par concludente, ma credo bene che l'applicazione o la materia sia difettosa; e purch l'autore voglia persistere nel suo assunto, la conseguenza verr senz'altro direttamente contro di lui. Il progresso dell'argomento tale: Tra i corpi mondani, sei ce ne sono che perpetuamente si muovono, e sono i sei pianeti; de gli altri, cio della Terra, del Sole e delle stelle fisse, si dubita chi di loro si muova e chi stia fermo, essendo necessario che se la Terra sta ferma, il Sole e le stelle fisse si muovano, e potendo anch'essere che il Sole e le fisse stessero immobili, quando la Terra si muovesse; cercasi, in dubbio del fatto, a chi pi convenientemente si possa attribuire il moto, ed a chi la quiete. Detta il natural discorso, che il moto debba stimarsi essere di chi pi in genere ed in essenza conviene con quei corpi che indubitatamente si muovono e la quiete di chi da i medesimi pi dissente; ed essendo che un'eterna quiete e perpetuo moto sono accidenti diversissimi, manifesto che la natura del corpo sempre mobile convien che sia diversissima dalla natura del sempre stabile; cerchiamo dunque, mentre stiamo ambigui del moto e della quiete, se per via di qualche altra rilevante condizione potessimo investigare chi pi convenga con i corpi sicuramente mobili, o la Terra, o pure il Sole e le stelle fisse. Ma ecco, la natura, favorevole al nostro bisogno e desiderio, ci somministra due condizioni insigni, e differenti non meno che 'l moto e la quiete, e sono la luce e le tenebre, cio l'esser per natura splendidissimo, e l'esser oscuro e privo di ogni luce. Son dunque diversissimi d'essenza i corpi ornati d'un interno ed eterno splendore, da i corpi privi d'ogni luce: priva di luce la Terra; splendidissimo per se stesso il Sole, e non meno le stelle fisse; i sei pianeti mobili mancano totalmente di luce, come la Terra; adunque l'essenza loro convien con la Terra, e dissente dal Sole e dalle stelle fisse: mobile dunque la Terra, immobile il Sole e la sfera stellata.

   SIMP. Ma l'autore non conceder che i sei pianeti sien tenebrosi, e su tal negativa si terr saldo, o vero egli argomenter la conformit grande di natura tra sei pianeti e il Sole e le stelle fisse, e la difformit tra questi e la Terra, da altre condizioni che dalle tenebre e dalla luce; anzi, or ch'io m'accorgo, nell'instanza quinta, che segue, ci posta la disparit somma tra la Terra e i corpi celesti: nella quale egli scrive, che gran confusione e intorbidamento sarebbe nel sistema dell'universo e tra le sue parti secondo l'ipotesi del Copernico; imperocch tra corpi celesti immutabili ed incorruttibili, secondo Aristotile e Ticone ed altri, tra corpi, dico, di tanta nobilt, per confessione di ognuno e dell'istesso Copernico, che afferma quelli esser ordinati e disposti in un'ottima costituzione, e che da quelli rimuove ogni inconstanza di virt, tra corpi, dico, tanto puri, cio tra Venere e Marte, collocar la sentina di tutte le materie corruttibili, cio la Terra, l'acqua, l'aria e tutti i misti! Ma quanto pi prestante distribuzione e pi alla natura conveniente, anzi a Dio stesso architetto, sequestrar i puri da gl'impuri, i mortali da gl'immortali, come insegnano l'altre scuole, che ci insegnano come queste materie impure e caduche son contenute nell'angusto concavo dell'orbe lunare, sopra 'l quale con serie non interrotta s'alzano poi le cose celesti!

   SALV. vero che 'l sistema Copernicano mette perturbazione nell'universo d'Aristotile; ma noi trattiamo dell'universo nostro, vero e reale. Quando poi la disparit d'essenza tra la Terra e i corpi celesti la vuol quest'autore inferire dall'incorruttibilit di quelli e corruttibilit di questa in via d'Aristotile, dalla qual disparit e' concluda il moto dover esser del Sole e delle fisse e l'immobilit della Terra, va vagando nel paralogismo, supponendo quel che in quistione; perch Aristotile inferisce l'incorruttibilit de' corpi celesti dal moto, del quale si disputa se sia loro o della Terra. Della vanit poi di queste retoriche illazioni, se n' parlato a bastanza. E qual cosa pi insulsa che dire, la Terra e gli elementi esser relegati e separati dalle sfere celesti, e confinati dentro all'orbe lunare? ma non l'orbe lunare una delle celesti sfere, e, secondo il consenso loro, compresa nel mezo di tutte l'altre? nuova maniera di separare i puri da gl'impuri e gli ammorbati da' sani, dar a gl'infetti stanza nel cuore della citt! io credeva che il lazeretto se le dovesse scostare pi che fusse possibile. Il Copernico ammira la disposizione delle parti dell'universo per aver Iddio costituita la gran lampada, che doveva rendere il sommo splendore a tutto il suo tempio, nel centro di esso, e non da una banda. Dell'esser poi il globo terrestre tra Venere e Marte, ne tratteremo in breve; e voi stesso, in grazia di quest'autore, farete prova di rimuovernelo. Ma, di grazia non intrecciamo questi fioretti rettorici con la saldezza delle dimostrazioni, e lasciamogli a gli oratori o pi tosto a i poeti, li quali hanno saputo con lor piacevolezze inalzar con laude cose vilissime ed anco tal volta perniziose; e se altro ci resta, spediamoci quanto prima.

   SIMP. Ci il sesto ed ultimo argomento: nel qual ei pone per cosa molto inverisimile che un corpo corruttibile e dissipabile si possa muovere d'un moto perpetuo e regolare; e questo conferma con l'esempio de gli animali, li quali movendosi di moto a loro naturale, pur si straccano, ed hanno bisogno di riposo per restaurare le forze; ma che ha da fare tal movimento con quel della Terra, immenso al paragon del loro? ma, pi, farla muovere di tre moti discorrenti e distraenti in parti diverse? chi potr mai asserir tali cose, salvo che quelli che si fussero giurati lor difensori? N vale in questo caso quel che produce il Copernico, che per essere questo moto naturale alla Terra, e non violento, opera contrarii effetti da i moti violenti; e che si dissolvon bene, n posson lungamente sussister, le cose alle quali si fa impeto, ma le fatte dalla natura si conservano nell'ottima loro disposizione; non val, dico, questa risposta, che vien atterrata dalla nostra. Imperocch l'animale pur corpo naturale, e non fabbricato dall'arte, ed il movimento suo naturale, derivando dall'anima, cio da principio intrinseco; e violento quel moto il cui principio fuori, ed al quale niente conferisce la cosa mossa: tuttavia, se l'animal continua lungo tempo il suo moto, si stracca, ed anco si muore, quando si vuole sforzare ostinatamente. Vedete dunque come in natura si incontrano da tutte le bande vestigii contrarianti alla posizione del Copernico, n mai de' favorabili. E per non aver a ripigliar pi la parte di questo oppositore, sentite quel ch'ei produce contro al Keplero (co 'l quale ei disputa), in proposito di quello che esso Keplero istava contro a quelli a i quali pare inconveniente, anzi impossibil cosa, l'accrescer in immenso la sfera stellata, come ricerca la posizion del Copernico. Inst dunque il Keplero dicendo: Difficilius est accidens prter modulum subiecti intendere, quam subiectum sine accidente augere: Copernicus igitur verisimilius facit, qui auget orbem stellarum fixarum absque motu, quam Ptolemus qui auget motum fixarum immensa velocitate.([25]) La qual instanza scioglie l'autore, maravigliandosi di quanto il Keplero s'inganni nel dire che nell'ipotesi di Tolomeo si cresca il moto fuor del modello del subietto, imperocch a lui pare che non si accresca se non conforme al modello, e che secondo il suo accrescimento si agumenti la velocit del moto: il che prova egli configurarsi una macina che dia una revoluzione in 24 ore, il qual moto si chiamer tardissimo; intendendosi poi il suo semidiametro prolungato sino alla distanza del Sole, la sua estremit agguaglier la velocit del Sole; prolungatolo sino alla sfera stellata, agguaglier la velocit delle fisse, bench nella circonferenza della macina sia tardissimo. Applicando ora questa considerazione della macina alla sfera stellata, intendiamo un punto nel suo semidiametro vicino al centro quant' il semidiametro della macina il medesimo moto, che nella sfera stellata velocissimo, in quel punto sar tardissimo: ma la grandezza del corpo quella che di tardissimo lo fa divenir velocissimo, ancorch e' continui d'esser il medesimo; e cos la velocit cresce non fuor del modello del subietto, anzi cresce secondo quello e la sua grandezza, molto diversamente da quel che stima il Keplero.

   SALV. Io non credo che quest'autore si sia formato concetto del Keplero cos tenue e basso, che e' possa persuader si che e' non abbia inteso che il termine altissimo d'una linea tirata dal centro sin all'orbe stellato si muove pi velocemente che un punto della medesima linea vicino al centro a due braccia: e per forza che e' capisca e comprenda che il concetto e l'intenzione del Keplero stata di dire, minore inconveniente esser l'accrescer un corpo immobile a somma grandezza, che l'attribuire una somma velocit a un corpo pur vastissimo, avendo riguardo al modulo, cio alla norma ed all'esempio, de gli altri corpi naturali, ne i quali si vede che crescendo la distanza dal centro, si diminuisce la velocit, cio che i periodi delle lor circolazioni ricercano tempi pi lunghi; ma nella quiete, che non capace di farsi maggiore o minore, la grandezza o piccolezza del corpo non fa diversit veruna. Talch, se la risposta dell'autore debbe andar ad incontrar l'argomento del Keplero, necessario che esso autore stimi che al principio movente l'istesso sia muover dentro al medesimo tempo un corpo piccolissimo ed uno immenso, essendo che l'augumento della velocit vien senz'altro in conseguenza dell'accrescimento della mole: ma quest' poi contro alle regole architettoniche della natura, la quale osserva nel modello delle minori sfere, s come veggiamo ne i pianeti e sensatissimamente nelle stelle Medicee, di far circolare gli orbi minori in tempi pi brevi onde il tempo della revoluzion di Saturno pi lungo di tutti i tempi dell'altre sfere minori, essendo di 30 anni: ora il passar da questa a una sfera grandemente maggiore, e farla muover in 24 ore, pu ben ragionevolmente dirsi uscir delle regole del modello. S che, se noi attentamente considereremo, la risposta dell'autore va non contro al concetto e senso dell'argomento, ma contro alla spiegatura e 'l modo del parlare; dove anco l'autore ha il torto n pu negare di non aver ad arte dissimulato l'intelligenza delle parole, per gravar il Keplero d'una troppo crassa ignoranza: ma l'impostura stata tanto grossolana, che non ha potuto con s gran tara difalcar del concetto che ha della sua dottrina impresso il Keplero nelle menti de i litterati. Quanto poi all'instanza contro al perpetuo moto della Terra, presa dall'esser impossibil cosa che ella continuasse senza straccarsi, essendo che gli animali stessi, che pur si muovon naturalmente e da principio interno, si straccano ed hanno bisogno di riposo per relassar le membra

   SAGR. Mi par di sentire il Keplero rispondergli, che pur ci sono de gli animali che si rinfrancano dalla stanchezza co 'l voltolarsi per terra, e che per non si deve temer che il globo terrestre si stracchi; anzi ragionevolmente si pu dire che e' goda d'un perpetuo e tranquillissimo riposo, mantenendosi in un eterno rivoltolamento.

   SALV. Voi, signor Sagredo, sete troppo arguto e satirico: ma lasciamo pur gli scherzi da una banda, mentre trattiamo di cose serie.

   SAGR. Perdonatemi, signor Salviati: questo ch'io dico non miga cos fuor del caso quanto forse voi lo fate; perch un movimento che serva per riposo e per rimuover la stanchezza a un corpo defatigato dal viaggio, pu molto pi facilmente servire a non la lasciar venire, s come pi facili sono i rimedii preservativi che i curativi. E io tengo per fermo, che quando il moto de gli animali procedesse come questo che viene attribuito alla Terra, e' non si stancherebbero altrimenti, avvenga che lo stancarsi il corpo dell'animale deriva, per mio credere, dall'impiegare una parte sola per muover se stessa e tutto il resto del corpo: come, verbigrazia, per camminare si impiegano le cosce e le gambe solamente, per portar loro stesse e tutto il rimanente; all'incontro vedrete il movimento del cuore esser come infatigabile, perch muove s solo. In oltre, non so quanto sia vero che il movimento dell'animale sia naturale, e non pi tosto violento; anzi credo che si possa dir con verit che l'anima muove naturalmente le membra dell'animale di moto preternaturale: perch, se il moto all'ins preternaturale a i corpi gravi, l'alzar le gambe e le cosce, che son corpi gravi, per camminare, non si potr far senza violenza, e per non senza fatica del movente; il salir su per una scala porta il corpo grave, contro alla sua naturale inclinazione, all'in su, onde ne segue la stanchezza, mediante la natural repugnanza della gravit a cotal moto. Ma per muover un mobile di un movimento al quale e' non ha repugnanza nissuna, qual lassezza o diminuzion di virt e di forza si deve temer nel movente? e perch si deve scemar la forza dove non se n'esercita punto?

   SIMP. Sono i moti contrarii, de i quali il globo terrestre si figura muoversi, quelli sopra i quali l'autore fonda la sua instanza.

   SAGR. Gi si detto che non sono altrimenti contrarii, e che in questo l'autore si grandemente ingannato, talch il vigore di tutta l'instanza si volge contro l'impugnator medesimo, mentre e' voglia che il primo mobile rapisca tutte le sfere inferiori contro al moto il quale esse nell'istesso tempo e continuamente esercitano. Al primo mobile, dunque, tocca a stancarsi, che, oltre al muovere se stesso, deve condur tant'altre sfere, le quali, di pi, con movimento contrario gli contrastano. Talch quell'ultima conclusione che l'autor inferiva, con dir che discorrendo per gli effetti di natura s'incontrano sempre cose favorabili per l'opinion d'Aristotile e Tolomeo, e non mai alcuna che non contrarii al Copernico, ha bisogno d'una gran considerazione; e meglio dire, che sendo una di queste due posizioni vera, e l'altra necessariamente falsa, impossibile che per la falsa s'incontri mai ragione, esperienza o retto discorso che le sia favorevole, s come alla vera nessuna di queste cose pu esser repugnante. Gran diversit dunque convien che si trovi tra i discorsi e gli argomenti che si producono dall'una e dall'altra parte in pro e contro a queste due opinioni, la forza de i quali lascer che giudichiate voi stesso, signor Simplicio.

   SALV. Voi, signor Sagredo, traportato dalla velocit del vostro ingegno, mi tagliaste dianzi il ragionamento, mentre io volevo dire alcuna cosa in risposta di quest'ultimo argomento dell'autore; e bench voi gli abbiate pi che a sufficienza risposto, voglio ad ogni modo aggiugner non so che, che allora avevo in mente. Egli pone per cosa molto inverisimile che un corpo dissipabile e corruttibile, qual la Terra, possa perpetuamente muoversi d'un movimento regolare, massime vedendo noi gli animali finalmente stancarsi ed aver necessit di riposo; e gli accresce l'inverisimile il dover essere tal moto di velocit incomparabile e immensa, rispetto a quella de gli animali. Ora io non so intendere perch la velocit della Terra l'abbia di presente a perturbare, mentre quella della sfera stellata, tanto e tanto maggiore, non gli arreca disturbo pi considerabile che se gli arrechi la velocit d'una macine, la quale in 24 ore dia una sola revoluzione. Se per esser la velocit della conversion della Terra su 'l modello di quella della macine non si tira in conseguenza cose di maggior efficacia di quella, cessi l'autore di temer lo stancarsi della Terra perch n anco qualsivoglia ben fiacco e pigro animale, dico n anco un camaleonte, si straccherebbe col muoversi non pi di cinque o sei braccia in 24 ore; ma se e' vuol considerar la velocit non pi su 'l modello della macine, ma assolutamente, ed in quanto in 24 ore il mobile ha da passare uno spazio grandissimo, molto pi si dovrebbe mostrar renitente a concederla alla sfera stellata, la quale con velocit incomparabilmente maggiore di quella della Terra deve condur seco migliaia di corpi, ciaschedun grandemente maggiore del globo terrestre.

   Resterebbe ora che noi vedessimo le prove per le quali l'autore conclude, le stelle nuove del 72 e del 604 essere state sublunari, e non celesti, come comunemente si persuasero gli astronomi di quei tempi, impresa veramente grande; ma ho pensato, per essermi tale scrittura nuova, e lunga per i tanti calcoli, che sar pi espediente che io tra stasera e domattina ne vegga quel pi ch'io potr, e domani poi, tornando a i soliti ragionamenti, vi referisca quello che avr ritratto: e se ci avanzer tempo, verremo a discorrere del movimento annuo attribuito alla Terra. Intanto, se voi avete da dire alcuna cosa, ed in particolare il signor Simplicio, intorno alle cose attenenti al moto diurno, assai lungamente da me esaminato, ci avanza ancora un poco di tempo da poter discorrere.

   SIMP. A me non resta altro che dire, se non che i discorsi auti in questo giorno mi son ben parsi ripieni di pensieri molto acuti e ingegnosi, prodotti per la parte del Copernico in confermazion del moto della Terra, ma non mi sento gi persuaso a crederlo; perch finalmente le cose dette non concludon altro se non che le ragioni per la stabilit della Terra non son necessarie, ma non per si prodotta dimostrazione alcuna per la parte contraria, la quale necessariamente convinca e concluda la mobilit.

   SALV. Io non ho mai preso, signor Simplicio, a rimuovervi dalla vostra opinione, n meno ardirei di definitivamente sentenziar sopra s gran litigio; ma solamente stata, e sar anco nelle disputazioni seguenti, mia intenzione di farvi manifesto, che quelli che hanno creduto che questo moto velocissimo delle 24 ore sia della Terra sola, e non dell'universo trattane la sola Terra, non si erano persuasi che in cotal guisa potesse e dovesse essere, come si dice, alla cieca, ma che benissimo avevano vedute sentite ed esaminate le ragioni della contraria opinione, ed anco non leggiermente rispostole. Con questa medesima intenzione, quando cos sia di gusto vostro e del signor Sagredo, potremo passare alla considerazione dell'altro movimento, prima da Aristarco Samio e poi da Niccol Copernico attribuito al medesimo globo terrestre, il quale , come credo che voi gi abbiate sentito, fatto sotto il zodiaco, dentro allo spazio d'un anno, intorno al Sole, immobilmente collocato nel centro di esso zodiaco.

   SIMP. La quistione tanto grande e tanto nobile, che molto curiosamente sentir discorrerne, presupponendo d'aver a sentir tutto quello che in tal materia si possa dire. Andr poi meco medesimo facendo con mio comodo reflession maggiore sopra le cose sentite e da sentirsi; e quando altro io non guadagni, non sar poco il poterne con pi fondamento discorrere.

   SAGR. Adunque, per non stancar pi il signor Salviati, faremo punto a i ragionamenti d'oggi, e domani ripiglieremo, conforme al solito, i discorsi, con isperanza d'aver a sentir gran novit.

   SIMP. Io lascio il libro delle stelle nuove, ma riporto questo delle conclusioni, per riveder quello che vi scritto contro al moto annuo, che deve esser la materia de' ragionamenti di domani.

Giornata Terza

 

   SAGR. Il desiderio grande con che sono stato aspettando la venuta di Vostra Signoria, per sentir le novit de i pensieri intorno alla conversione annua di questo nostro globo, mi ha fatto parer lunghissime le ore notturne passate, ed anco queste della mattina, bench non oziosamente trascorse anzi buona parte vegliate in riandar con la mente i ragionamenti di ieri, ponderando le ragioni addotte dalle parti a favor delle due contrarie posizioni, quella d'Aristotile e Tolomeo, e questa di Aristarco e del Copernico. E veramente parmi, che qualunque di questi si ingannato, sia degno di scusa; tali sono in apparenza le ragioni che gli possono aver persuasi, tuttavolta per che noi ci fermassimo sopra le prodotte da essi primi autori gravissimi: ma, come che l'opinione peripatetica per la sua antichit ha auti molti seguaci e cultori, e l'altra pochissimi, prima per l'oscurit e poi per la novit mi pare scorgerne tra quei molti, ed in particolare tra i moderni, esserne alcuni che per sostentamento dell'oppinione da essi stimata vera abbiano introdotte altre ragioni assai puerili, per non dir ridicole.

   SALV. L'istesso occorso a me, e tanto pi che a Vossignoria, quanto io ne ho sentite produrre di tali, che mi vergognerei a ridirle, non dir per non denigrare la fama de i loro autori, i nomi de i quali si posson sempre tacere, ma per non avvilir tanto l'onore del genere umano. Dove io finalmente, osservando, mi sono accertato esser tra gli uomini alcuni i quali, preposteramente discorrendo, prima si stabiliscono nel cervello la conclusione, e quella, o perch sia propria loro o di persona ad essi molto accreditata, s fissamente s'imprimono, che del tutto impossibile l'eradicarla giammai; ed a quelle ragioni che a lor medesimi sovvengono o che da altri sentono addurre in confermazione dello stabilito concetto, per semplici ed insulse che elle siano, prestano subito assenso ed applauso, ed all'incontro, quelle che lor vengono opposte in contrario, quantunque ingegnose e concludenti, non pur ricevono con nausea, ma con isdegno ed ira acerbissima: e taluno di costoro, spinto dal furore non sarebbe anco lontano dal tentar qualsivoglia machina per supprimere e far tacer l'avversario, ed io ne ho veduta qualche esperienza.

   SAGR. Questi dunque non deducono la conclusione dalle premesse, n la stabiliscono per le ragioni, ma accomodano o per dir meglio scomodano e travolgon, le premesse e le ragioni alle loro gi stabilite e inchiodate conclusioni Non ben adunque cimentarsi con simili, e tanto meno, quanto la pratica loro non solamente ingioconda, ma pericolosa ancora. Per tanto seguiteremo col nostro signor Simplicio, conosciuto da me di lunga mano per uomo di somma ingenuit e spogliato in tutto e per tutto di malignit: oltre che assai pratico nella peripatetica dottrina, s che io posso assicurarmi che quello che non sovverr ad esso per sostentamento dell'opinione d'Aristotile, non potr facilmente sovvenire ad altri. Ma eccolo appunto tutto anelante, il quale questo giorno si fatto desiderare un gran pezzo. Stavamo appunto dicendo mal di voi.

   SIMP. Bisogna non accusar me, ma incolpar Nettunno, di questa mia cos lunga dimora, che nel reflusso di questa mattina ha in maniera ritirate l'acque, che la gondola che mi conduceva, entrata non molto lontano di qui in certo canale dove non son fondamenta, restata in secco, e mi bisognato tardar l pi d'una grossa ora in aspettare il ritorno del mare. E quivi stando cos senza potere smontar di barca, che quasi repentinamente arren, sono andato osservando un particolare che mi parso assai maraviglioso: ed che nel calar l'acque, si vedevan fuggir via molto velocemente per diversi rivoletti, sendo gi il fango in pi parti scoperto; e mentre io attendo a considerar quest'effetto, veggo in un tratto cessar questo moto, e senza intervallo alcuno di tempo cominciar a tornar la medesima acqua in dietro, e di retrogrado farsi il mar diretto, senza restar pure un momento stazionario: effetto, che per tutto il tempo che ho praticato Venezia, non mi incontrato il vederlo altra volta.

   SAGR. Non vi debbe anco esser molte volte accaduto il restar cos in secco tra piccolissimi rivoletti, per li quali, per aver pochissima declivit, l'abbassamento o alzamento solo di quanto grossa una carta, che faccia la superficie del mare aperto, assai per fare scorrere e ricorrer l'acqua per tali rivoletti per ben lunghi spazii; s come in alcune spiagge marine l'alzamento del mare di 4 o 6 braccia solamente fa sparger l'acqua per quelle pianure per molte centinaia e migliaia di pertiche.

   SIMP. Questo intendo benissimo, ma avrei creduto che tra l'ultimo termine dell'abbassamento e primo principio dell'alzamento dovesse interceder qualche notabile intervallo di quiete.

   SAGR. Questo vi si rappresenter quando voi porrete mente alle mura o a i pali dove queste mutazioni si fanno a perpendicolo; ma non che veramente vi sia stato di quiete.

   SIMP. Mi pareva, che per esser questi due moti contrarii, dovesse tra di loro esser in mezo qualche quiete; conforme anco alla dottrina d'Aristotile, che dimostra che in puncto regressus mediat quies.([26])

   SAGR. Mi ricordo benissimo di cotesto luogo, ma mi ricordo ancora che quando studiavo filosofia, non restai persuaso della dimostrazione d'Aristotile, anzi che avevo molte esperienze in contrario; le quali vi potrei anco addurre, ma non voglio che entriamo in altri pelaghi, essendo convenuti qui per discorrer della materia nostra, se sar possibile, senza interromperla, come abbiamo fatto quest'altri giorni passati.

   SIMP. E pur converr, se non interromperla, almanco prolungarla assai, perch ritornato iersera a casa, mi messi a rileggere il libretto delle conclusioni, dove trovo dimostrazioni contro a questo movimento annuo, attribuito alla Terra, molto concludenti; e perch non mi fidavo di poterle cos puntualmente riferire, ho voluto riportar meco il libro.

   SAGR. Avete fatto bene: ma se noi vogliamo ripigliare i ragionamenti conforme all'appuntamento di ieri, converr sentir prima ci che avr da riferirci il signor Salviati intorno al libro delle stelle nuove, e poi senz'altri interrompimenti verremo al moto annuo. Ora, che dice il signor Salviati in proposito di tali stelle? son ellen veramente state traportate di cielo in queste pi basse regioni in virt de' calcoli dell'autore prodotto dal signor Simplicio?

   SALV. Io mi messi iersera a legger i suoi progressi, e questa mattina ancora gli ho data un'altra scorsa, per veder pure se quel che mi pareva aver letto la sera, vi era scritto veramente, o se erano state mie larve e imaginazioni fantastiche della notte: ed in somma trovo con mio gran cordoglio esservi veramente scritto e stampato quello che per riputazion di questo filosofo non avrei voluto. Che e' non conosca la vanit della sua impresa, non mi par possibile, s perch l' troppo scoperta, s perch mi ricordo averlo sentito nominar con laude dall'Accademico amico nostro; parmi anco cosa troppo inverisimile che egli a compiacenza di altri si possa esser indotto ad aver in cos poca stima la sua riputazione, ch'e' si sia indotto a far pubblica un'opera, della quale non poteva attenderne altro che biasimo appresso gl'intelligenti.

   SAGR. Soggiugnete che saranno assai manco che un per cento, a ragguaglio di quelli che lo celebrerranno ed esalteranno sopra tutti i maggiori intelligenti che sieno o sieno stati gi mai. Uno che abbia saputo sostener la peripatetica inalterabilit del cielo contro a una schiera d'astronomi e che, per lor maggior vergogna, gli abbia atterrati con le lor proprie armi! E che volete che possano quattro o sei per provincia, che scorgano le sue leggierezze, contro a gl'innumerabili che, non sendo atti a poterle scoprire n comprendere, se ne vanno presi alle grida, e tanto pi gli applaudono quanto manco l'intendono? Aggiugnete che anco quei pochi che intendono, si asterranno di dar risposta a scritture tanto basse e nulla concludenti; e ci con gran ragione, perch per gl'intendenti non ce n' bisogno, e per quelli che non intendono fatica buttata via.

   SALV. Il pi proporzionato gastigo al lor demerito sarebbe veramente il silenzio, se non fusser altre ragioni per le quali forse quasi necessario il risentirsi: l'una delle quali , che noi altri Italiani ci facciamo spacciar tutti per ignoranti e diamo da ridere a gli oltramontani, e massime a quelli che son separati dalla nostra religione; ed io potrei mostrarvene di tali assai famosi, che si burlano del nostro Accademico e di quanti matematici sono in Italia, per aver lasciato uscire in luce e mantenervisi senza contradizione le sciocchezze di un tal Lorenzini contro gli astronomi. Ma questo pur anco si potrebbe passare, rispetto ad altra maggior occasione di risa che si potesse porger loro, dependente dalla dissimulazione de gl'intelligenti intorno alle leggerezze di questi simili oppositori alle dottrine da loro non intese.

   SAGR. Io non voglio maggior esempio della petulanzia di costoro e dell'infelicit d'un pari del Copernico, sottoposto ad esser impugnato da chi non intende n anco la primaria sua posizione, per la quale gli mossa la guerra.

   SALV. Voi non meno resterete maravigliato della maniera del confutar gli astronomi che affermano, le stelle nuove essere state superiori a gli orbi de' pianeti, e per avventura nel firmamento stesso.

   SAGR. Ma come potete voi in s breve tempo aver esaminato tutto cotesto libro, che pure un gran volume, ed forza che le dimostrazioni sieno in gran numero?

   SALV. Io mi son fermato su queste prime confutazioni sue, nelle quali con dodici dimostrazioni, fondate sopra le osservazioni di dodici astronomi, che tutti stimarono che la stella nuova del 72, apparsa in Cassiopea, fusse nel firmamento, prova per l'opposito lei essere stata sullunare, conferendo a due a due l'altezze meridiane prese da diversi osservatori in luoghi di differente latitudine, procedendo nella maniera che appresso intenderete: e perch mi par, nell'esaminar questo primo suo progresso, d'avere scoperto in quest'autore una gran lontananza dal poter concluder nulla contro a gli astronomi, in favor de' filosofi peripatetici, e che molto e molto pi concludentemente si confermi l'opinion loro, non ho volsuto applicarmi con una simil pazienza nell'esaminar gli altri suo' metodi, ma gli ho dato una scorsa assai superficiale, sicuro che quella inefficacia che in queste prime impugnazioni, sia parimente nell'altre: e s come vedrete in fatto, pochissime parole bastano a confutar tutta quest'opera, bench construtta con tanti e tanti laboriosi calcoli, come voi vedete. Per sentite il mio progresso. Piglia quest'autore, per trafigger, come dico, gli avversarii con le lor proprie armi, un numero grande d'osservazioni fatte da lor medesimi, che pur sono da 12 o 13 autori in numero, e sopra una parte di quelle fa suoi calcoli, e conclude tali stelle essere state inferiori alla Luna. Ora, perch il proceder per interrogazioni mi piace assai, gi che non ci l'autore stesso, rispondami il signor Simplicio, alle domande ch'io far, quel ch'e' creder che fusse per rispondere esso. E supponendo di trattar della gi detta stella del 72, apparsa in Cassiopea, ditemi, signor Simplicio, se voi credete che ella potesse esser nell'istesso tempo collocata in diversi luoghi, cio esser tra gli elementi, ed anco tra gli orbi de' pianeti, ed anco sopra questi e tra le stelle fisse, ed anco infinitamente pi alta.

   SIMP. Non dubbio che bisogna dire che ella fusse in un sol luogo, ed in una sola e determinata distanza dalla Terra.

   SALV. Adunque, quando le osservazioni fatte da gli astronomi fusser giuste, e che i calcoli fatti da questo autore non fussero errati, bisognerebbe necessariamente che da tutte quelle e da tutti questi se ne raccogliesse la medesima lontananza sempre per appunto: non vero?

   SIMP. Sin qua arriva a 'ntendere il mio discorso, che bisognerebbe che fusse cos di necessit; n credo che l'autore contradicesse.

   SALV. Ma quando de' molti e molti computi fatti non ne riuscissero pur due solamente che s'accordassero, che giudizio ne fareste?

   SIMP. Giudicherei che tutti fussero fallaci, o per colpa del computista o per difetto de gli osservatori; ed al pi che si potesse dire, direi che un solo, e non pi, fusse giusto, ma non saprei gi elegger quale.

   SALV. Vorreste voi dunque da fondamenti falsi dedurre e stabilir per vera una conclusione dubbia? certo no. Ora i calcoli di questo autore son tali, che nessuno confronta con un altro; vedete dunque quant' da prestar lor fede.

   SIMP. Veramente, come la cosa sia cos, questo un mancamento notabile.

   SAGR. Voglio pure aiutare il signor Simplicio e l'autore, con dire al signor Salviati che il suo motivo concluderebbe ben necessariamente, quando l'autore avesse intrapreso a voler determinatamente ritrovare quanta fusse la lontananza della stella dalla Terra; il che non credo che sia stato il suo intento, ma solo di dimostrare che da quelle osservazioni si traeva, la stella essere stata sullunare; talch, se dalle dette osservazioni e da tutti i computi fatti sopra di esse si raccoglie l'altezza della stella sempre minor di quella della Luna, tanto basta all'autore per convincer d'una crassissima ignoranza tutti quelli astronomi che, per difetto di geometria o d'aritmetica, non avevano saputo dalle lor medesime osservazioni dedurre vere conclusioni.

   SALV. Sar dunque conveniente ch'io mi volga a voi, signor Sagredo, che tanto accortamente sostenete la dottrina di questo autore. E per veder di fare che anco il signor Simplicio, bench inesperto di calcoli e dimostrazioni, resti capace almeno della non concludenza delle dimostrazioni di questo autore, prima metto in considerazione come ed esso e gli astronomi tutti con i quali egli in controversia convengono che la stella nuova fusse priva di moto proprio, e solo andasse in giro al moto diurno del primo mobile, ma dissentono circa il luogo, ponendola quelli nella region celeste, cio sopra la Luna, e per avventura tra le stelle fisse, e questi giudicandola vicina alla Terra, cio sotto al concavo dell'orbe lunare. E perch il sito della stella nuova, della quale si parla, fu verso settentrione e non in gran lontananza dal polo, in modo che a noi settentrionali ella non tramontava mai, fu agevol cosa il poter prendere con istrumenti astronomici le sue altezze meridiane, tanto le minime sotto il polo, quanto le massime sopra; dalla conferenza delle quali altezze, fatte da diversi luoghi della Terra posti in varie distanze dal settentrione, cio tra di loro differenti quanto all'altezze polari, si poteva argomentare la lontananza della stella. Imperocch, quando ella fusse stata nel firmamento tra le altre fisse le sue altezze meridiane prese in diverse elevazioni di polo conveniva che fussero tra di loro differenti con le medesime differenze che tra esse elevazioni si ritrovavano; cio, per esempio, se l'elevazione della stella sopra l'orizonte era 30 gradi, presa nel luogo dove l'altezza polare era, verbigrazia, gradi 45, conveniva che l'elevazione della medesima stella fusse cresciuta 4 o 5 gradi in quei paesi pi settentrionali ne' quali il polo fusse pi alto gli stessi 4 o 5 gradi: ma quando la lontananza della stella dalla Terra fusse assai piccola in comparazion di quella del firmamento, le altezze sue meridiane convien che, accostandoci al settentrione, crescano notabilmente pi che l'altezze polari; e da quel maggiore accrescimento, cio dall'eccesso dell'accrescimento dell'elevazion della stella sopra l'accrescimento dell'altezza polare (che si chiama differenza di parallasse), si calcola prontamente, con metodo chiaro e sicuro, la lontananza della stella dal centro della Terra. Ora, questo autore piglia le osservazioni fatte da 13 astronomi in diverse elevazioni di polo, e conferendo una particella di quelle a sua elezione, calcola, con dodici accoppiamenti, l'altezza della stella nuova essere stata sempre sotto la Luna; ma ci conseguisce egli con promettersi tanto crassa ignoranza in tutti quelli alle mani de' quali potesse pervenire il suo libro, che veramente m'ha fatto nausea: ed io sto a vedere come gli altri astronomi ed in particolare il Keplero, contro al quale principalmente inveisce quest'autore, si contenga in silenzio, che pur non gli suol morir la lingua in bocca, se gi egli non ha stimato tale impresa troppo bassa. Ora, per farne avvertiti voi, ho trascritte sopra questo foglio le conclusioni che e' raccoglie dalle sue 12 indagini. Delle quali la prima delle due osservazioni

1.- Del Maurolico e dell'Hainzelio; onde si raccoglie, la stella essere stata lontana dal centro manco di 3 semidiametri terrestri, essendo la differenza di parallasse gr. 4.42 m.p. e 30 sec.

  3 semid.

2.- E calculata dall'osservazioni dell'Hainzelio e dello Schulero, con parallasse 8 m.p. e 30 sec.; e si raccoglie la sua lontananza dal centro pi di

  25semid.

3.- E sopra le osservazioni di Ticone e dell'Hainzelio, con parallasse di 10 m.p.; e si raccoglie la distanza dal centro poco meno di

  19 semid.

4.- E sopra l'osservazioni di Ticone e del Landgravio, con parallasse di 14 m.p.; e rende la distanza dal centro circa

  10 semid.

5.- E sopra l'osservazioni dell'Hainzelio e di Gemma, con parallasse di 42 m.p. e 3o sec.; per la quale si raccoglie la distanza circa

  . 4 semid.

6.- E sopra l'osservazioni del Landgravio e del Camerario, con parallasse di 8 m.p.; e si ritrae la distanza circa

  . 4 semid.

7.- E sopra l'osservazioni di Ticone e dell'Hagecio, con parallasse di 6 m.p.; e si raccoglie la distanza

  . 32 semid.

8.- E con l'osservazioni dell'Hagecio e dell'Ursino, con parallasse di 43 m.p.; e rende la distanza della stella dalla superficie della Terra

  . 1/2 semid.

9.- E sopra le osservazioni del Landgravio e del Buschio, con parallasse di 15 m.p.; e rende la distanza dalla superficie della Terra

  .. 1/48 di semid.

10.- E sopra l'osservazioni del Maurolico e del Munosio, con parallasse di 4 gr. e 30 m.p.; e rende la distanza dalla superficie della Terra

  1/5 di semid.

11.- E con le osservazioni del Munosio e di Gemma, con parallasse di 55 m.p.; e rendono la distanza dal centro circa

  .. 13 semid.

12.     E con le osservazioni del Munosio e dell'Ursino, con parallasse di gr. 1 e 36 m.p.; e si ritrae la distanza dal centro meno di

  .. 7 semid.

   Queste sono 12 investigazioni fatte dall'autore a sua elezione, tra moltissime che, come egli dice, potevano farsi con le combinazioni delle osservazioni di questi 13 osservatori; le quali 12 credibile che sieno le pi favorevoli per provare il suo intento.

   SAGR. Ma io vorrei sapere se tra le altre tante indagini pretermesse dall'autore ve ne sono di quelle che fussero in suo disfavore, cio dalle quali calcolando si raccogliesse, la stella nuova essere stata sopra la Luna, s come mi par, cos a prima fronte, di poter ragionevolmente dubitare, mentre io veggo queste prodotte esser tanto tra di loro differenti, che alcune mi danno la lontananza della stella nuova da Terra 4, 6, 10, 100, e mille, e millecinquecento volte maggiore l'una che l'altra; talch posso ben sospettare che tra le non calcolate ve ne fusse qualcuna in favor della parte avversa, e tanto pi mi pare di poter creder ci, quanto io non penso che quelli astronomi osservatori mancassero della intelligenza e pratica di questi computi, che non penso che dependano dalle pi astruse cose del mondo. E ben mi parr cosa pi che miracolosa se, mentre in queste 12 sole indagini ce ne sono di quelle che rendono la stella vicina alla Terra a poche miglia, ed altre che per piccolissimo intervallo la rendono inferiore alla Luna, non se ne trovi alcuna che, a favor della parte avversa, la renda almanco per 20 braccia sopra l'orbe lunare, e, quel che sar poi pi stravagante, che tutti quelli astronomi siano stati cos ciechi, che non abbiano scorta una lor fallacia tanto patente.

   SALV. Cominciate ora a prepararvi l'orecchie a sentir con infinita ammirazione a quali eccessi di confidenza della propria autorit e dell'altrui balordaggine trasporta il desiderio di contradire e mostrarsi pi intelligente de gli altri. Tra le indagini tralasciate dall'autore ce ne sono di quelle che rendono la stella nuova non pur sopra la Luna, ma sopra le stelle fisse ancora; e queste non son poche, ma la maggior parte, come vedrete in quest'altro foglio, dove io l'ho registrate.

   SAGR. Ma che dice l'autore di queste? forse non le ha considerate?

   SALV. Le ha considerate pur troppo, ma dice che le osservazioni sopra le quali i calcoli rendon la stella infinitamente lontana, sono errate, e che non possono tra di loro combinarsi.

   SIMP. Oh questa mi par bene una ritirata debole, perch la parte potr con altrettanta ragione dire che errate siano quelle onde egli sottrae, la stella essere stata nella regione elementare.

   SALV. Oh, signor Simplicio, se mi succedesse di farvi restar capace dell'artifizio, bench non gran cosa artifizioso, di questo autore, vorrei destarvi meraviglia ed anco sdegno mentre scorgeste come egli, palliando la sua sagacit co 'l velo della vostra semplicit e de gli altri puri filosofi, si vuole insinuare nella vostra grazia co 'l grattarvi le orecchie e co 'l gonfiar la vostra ambizione, mostrando d'aver convinti e resi muti questi astronometti che hanno voluto assalire l'inespugnabile inalterabilit del cielo peripatetico, e, quel che pi, ammutitigli e convinti con le lor proprie armi. Io ne voglio fare ogni sforzo; ed intanto il signor Sagredo condoni al signor Simplicio ed a me il tediarlo forse un po' troppo, mentre con soverchio circuito di parole (soverchio dico, alla sua velocissima apprensiva) ander cercando di far palese cosa, che bene che non gli resti ascosa e incognita.

   SAGR. Io, non solo senza tedio, ma con gusto, sentir i vostri discorsi; e cos ci potessero intervenire tutti i filosofi peripatetici, acci potessero comprendere quanto devano restar obbligati a questo lor protettore.

   SALV. Ditemi, signor Simplicio, se voi sete ben restato capace, come, sendo la stella nuova collocata nel cerchio meridiano l verso settentrione, a uno che da mezzo giorno camminasse verso tramontana tanto se gli andrebbe elevando sopra l'orizonte l'istessa stella nuova quanto il polo, tuttavolta che ella fusse veramente collocata tra le stelle fisse ma che quando ella fusse notabilmente pi bassa, cio pi vicina a Terra, ella apparirebbe elevarsi pi del medesimo polo, e sempre pi quanto la vicinanza fusse maggiore?

   SIMP. Parmi d'esserne capacissimo, in segno di che mi prover a farne una figura matematica: ed in questo cerchio grande noter il polo P, e in questi due cerchi pi bassi noter due stelle vedute da un punto in Terra, che sia A e le due stelle sieno queste B, C, vedute per la medesima linea A B C incontro a una stella fissa D; camminando poi in Terra sino al termine E, le due stelle mi appariranno separate

 

dalla fissa D e avvicinatesi al polo P, e pi la pi bassa B, che mi apparir in G, e manco la C, che apparir in F; ma la fissa D aver mantenuta la medesima lontananza dal polo.

   SALV. Veggo che voi intendete benissimo. Credo che voi comprendiate ancora, come, per esser la stella B pi bassa della C, l'angolo che vien costituito da i raggi della vista che partendosi da i due luoghi A, E si congiungono in C, cio quest'angolo A C E, pi stretto, o vogliam dir pi acuto, dell'angolo costituito in B da i raggi A B, E B.

   SIMP. Si vede al senso benissimo.

   SALV. Ed anco, per esser la Terra piccolissima e quasi insensibile rispetto al firmamento, ed in conseguenza per esser brevissimo lo spazio A E, che si pu camminare in Terra, in comparazion dell'immensa lunghezza delle linee E G, E F da Terra sino al firmamento, venite a intendere che la stella C si potrebbe alzare e allontanar tanto e tanto dalla Terra, che l'angolo costituito in essa da i raggi che partono da i medesimi punti A, E divenisse acutissimo e come assolutamente insensibile e nullo.

   SIMP. E questo ancora intendo io perfettamente.

   SALV. Ora sappiate, signor Simplicio, che gli astronomi e matematici hanno trovate regole infallibili per via di geometria e d'aritmetica, da potere, merc della quantit di questi angoli B, C e delle loro differenze, congiugnendovi la notizia della distanza de i due luoghi A, E, ritrovare a un palmo la lontananza delle cose sublimi, tuttavolta per che detta distanza e detti angoli siano presi giusti.

   SIMP. Talch, se le regole dependenti dalla geometria e dall'aritmetica son giuste, tutte le fallacie ed errori che s'incontrassero nel volere investigar tali altezze di stelle nuove o di comete o di altro, convien che dependano dalla distanza A E e da gli angoli B, C, non ben misurati. E cos tutte quelle diversit che si veggono in queste 12 indagini, dependono non da difetti delle regole de i calcoli, ma da errori commessi nell'investigar tali angoli e tali distanze per mezo delle osservazioni istrumentali.

   SALV. Cos , n di questo casca difficult veruna. Ora convien che attentamente notiate, come nell'allontanar la stella da B in C, onde l'angolo si fa sempre pi acuto, il raggio E B G si va continuamente allontanando dal raggio A B D dalla parte di sotto l'angolo, come mostra la linea E C F, la cui parte inferiore E C pi remota dalla parte A C che non la E B: ma non pu gi mai accadere che, per qualunque immenso allontanamento, le linee A D, E F totalmente si disgiunghino, dovendosi finalmente andare a congiugner nella stella; e solamente si potrebbe dire che le si separassero e si riducessero ad esser parallele, quando l'allontanamento fusse infinito, il qual caso non si pu dare. Ma perch (notate bene) la lontananza del firmamento, in relazione alla piccolezza della Terra, come gi s' detto, si reputa come infinita, per l'angolo contenuto da i raggi che tirati da i punti A, E andassero a terminare in una stella fissa, si stima come nullo, ed essi raggi come due linee parallele; e per si conclude, che allora solamente si potr affermare, la stella nuova essere stata nel firmamento, quando dalla collazione delle osservazioni fatte in diversi luoghi si raccolga co 'l calcolo, l'angolo detto esser insensibile e le linee come parallele. Ma quando l'angolo sia di notabil quantit, convien necessariamente la stella nuova esser pi bassa delle fisse, ed anco della Luna, quando per l'angolo A B E fusse maggiore di quello che si costituirebbe nel centro della Luna.

   SIMP. Adunque la lontananza della Luna non tanto grande che un simil angolo in lei resti insensibile?

   SALV. Signor no; anzi egli sensibile non solo nella Luna, ma nel Sole ancora.

   SIMP. Ma se questo , potr anco essere che tale angolo sia osservabile nella stella nuova senza che ella sia inferiore al Sole, non che alla Luna.

   SALV. Cotesto pu essere, ed anco ne i presenti casi, come vedrete a suo luogo, cio quando aver spianata la strada in maniera, che voi ancora, bench non intelligente di calcoli astronomici, possiate restar capace e toccar con mano quanto quest'autore ha avuto pi la mira di scrivere a compiacenza de i Peripatetici, co 'l palliare e dissimular varie cose, che a stabilimento del vero, co 'l portarle con nuda sincerit. Per seguiamo oltre. Dalle cose dichiarate sin qui credo che voi restiate capacissimo come la lontananza della stella nuova non si pu mai far tanto immensa, che 'l pi volte nominato angolo interamente svanisca e che li due raggi de gli osservatori da i luoghi A, E divengano linee parallele; e venite in conseguenza a comprender perfettamente, che quando il calcolo ritraesse dalle osservazioni, tal angolo esser totalmente nullo o le linee esser veramente parallele, saremmo sicuri l'osservazioni esser, almeno in qualche minimo che, errate; ma quando il calcolo ci desse, le medesime linee essersi disseparate non solamente sino all'equidistanza, cio sino all'esser parallele, ma aver trapassato oltre al termine, ed essersi allargate pi ad alto che a basso, allora bisogna risolutamente concludere, le osservazioni essere state fatte con meno accuratezza, ed in somma essere errate, come quelle che ci conducono ad un manifesto impossibile. Bisogna poi che voi mi crediate, e supponghiate per cosa verissima, che due linee rette che si partono da due punti segnati sopra un'altra retta, allora son pi larghe in alto che a basso, quando gli angoli compresi dentro di esse sopra quella retta son maggiori di due angoli retti; e quando questi fussero eguali a due retti, esse linee sarebbero parallele; ma se fussero minori di due retti, le linee sarebbero concorrenti, e prolungate serrerebbero il triangolo indubitabilmente.

   SIMP. Io, senza prestarvi fede, ne ho scienza, e non son tanto nudo di geometria, ch'io non sappia una proposizione che mille volte ho avuto occasione di leggere in Aristotile, cio che i tre angoli d'ogni triangolo sono eguali a due retti: talch, s'io piglio nella mia figura il triangolo A B E, posto che la linea E A fusse retta, comprendo benissimo come i suoi tre angoli A, E, B sono eguali a due retti, e che in conseguenza li due soli E, A son minori di due retti tanto quanto l'angolo B; onde allargando le linee A B, E B (ritenendole per ferme ne' punti A, E) sin che l'angolo contenuto da esse verso le parti B svanisca, li due da basso resteranno eguali a due retti, ed esse linee saranno ridotte all'esser parallele; e se si seguitasse di slargarle pi, gli angoli a i punti E, A diverrebbero maggiori di due retti.

   SALV. Voi sete un Archimede, e mi avete liberato dallo spender pi parole in dichiararvi, come tuttavolta che da i calcoli si cavasse li due angoli A, E esser maggiori di due retti, l'osservazioni senz'altro vengono ad essere errate. Quest' quel tanto ch'io desideravo che voi capiste perfettamente, e ch'io dubitavo di non aver a poter dichiarar in modo che un puro filosofo peripatetico ne acquistasse sicura intelligenza. Ora seguitiamo quel che resta. E ripigliando quello che poco fa mi concedeste, cio, che non potendo esser la stella nuova in pi luoghi, ma in un solo, tuttavoltach i calcoli fatti sopra le osservazioni di questi astronomi non ce la rendono nel medesimo luogo, forza che sia errore nelle osservazioni, cio o nel prender l'altezze polari, o nel prender l'elevazioni della stella, o nell'una e nell'altra operazione; ora, perch nelle molte indagini, fatte con le combinazioni a due a due dell'osservazioni, pochissime sono che si rincontrino a render la stella nel medesimo sito adunque queste pochissime sole potrebbero esser le non errate, ma le altre tutte sono assolutamente errate.

   SAGR. Bisogner dunque credere a queste pochissime sole pi che a tutte l'altre insieme; e perch voi dite che queste che si concordano son pochissime, ed io tra queste 12 ne veggo due che rendon la distanza della stella dal centro della Terra amendue 4 semidiametri, che sono questa quinta e la sesta, adunque pi probabile che la stella nuova sia stata elementare che celeste.

   SALV. Non sta cos: perch, se voi notate bene, non ci scritto la distanza essere stata puntualmente 4 semidiametri, ma circa 4 semidiametri; ma per voi vedrete che tali due distanze differivano tra di loro per molte centinaia di miglia. Eccovele qui: vedete che questa quinta, che 13389 miglia, supera la sesta, che miglia 13100, quasi di 300 miglia.

   SAGR. Quali son dunque queste poche che s'accordano in por la stella nel medesimo luogo?

   SALV. Son, per disgrazia di questo autore, cinque indagini, che tutte la ripongono nel firmamento, come voi vedrete in quest'altra nota, dove io registro molte altre combinazioni. Ma io voglio concedere all'autore pi di quello che per avventura mi domanderebbe, che insomma che in ciascuna combinazione delle osservazioni sia qualche errore: il che credo che assolutamente sia necessario; perch, sendo 4 in numero le osservazioni che servono per una indagine, cio due diverse altezze di polo e due diverse elevazioni di stella, fatte da diversi osservatori, in diversi luoghi e con diversi strumenti, chiunque abbia qualche cognizione di tal pratica dir non potere essere che tra tutte 4 non sia caduto qualche errore, e massime mentre che noi veggiamo che nel prender una sola altezza di polo, co 'l medesimo strumento, nel medesimo luogo e dal medesimo osservatore, che l'ha potuta far mille volte, tuttavia si va titubando di qualche minuto, e spesso anco di molti, come in questo medesimo libro potete vedere in diversi luoghi. Supposte queste cose, io vi domando, signor Simplicio, se voi credete che questo autore tenga i 13 osservatori in concetto d'uomini accorti, intelligenti e destri nel maneggiare tali strumenti, o pur per uomini grossolani e inesperti.

   SIMP. Non pu esser ch' e' gli reputi se non molto cauti ed intelligenti; perch quando e' gli stimasse inetti a tal esercizio, potrebbe dar bando al suo stesso libro, come nulla concludente, per esser fondato sopra supposizioni piene di errori; e per troppo semplici spaccerebbe noi, mentre e' credesse con l'inesperienza di quelli persuaderci per vera una sua falsa proposizione.

   SALV. Adunque, come questi osservatori sien tali, e che pur con tutto ci abbiano errato e per convenga emendar loro errori, per poter dalle loro osservazioni ritrar quel pi di notizia che sia possibile, conveniente cosa che noi gli applichiamo le minori e pi vicine emende e correzioni che si possa, purch'elle bastino a ritirar l'osservazioni dall'impossibilit alla possibilit; s che, verbigrazia, se si pu temperar un manifesto errore ed un patente impossibile di una loro osservazione con l'aggiugnere o detrar 2 o ver 3 minuti, e con tale emenda ridurlo al possibile, non si deva volerlo aggiustare con la giunta o suttrazione del 15 o 20 o 50.

   SIMP. Non credo che l'autore contradicesse a questo perch, conceduto che e' siano uomini giudiziosi ed esperti, si deve creder pi presto che egli abbiano errato di poco che d'assai.

   SALV. Or notate appresso. De i luoghi dove collocar la stella nuova, alcuni son manifestamente impossibili, ed altri possibili. Impossibile assolutamente che ella fusse per infinito intervallo superiore alle stelle fisse, perch un tal sito non al mondo, e quando fusse, la stella posta l a noi sarebbe stata invisibile; anco impossibile che ella andasse serpendo sopra la superficie della Terra, e molto pi che ella fusse dentro all'istesso globo terreno. Luoghi possibili sono questi de' quali si in controversia, non repugnando al nostro intelletto che un oggetto visibile, in aspetto di stella, potesse esser sopra la Luna, non men che sotto. Ora, mentre si va cercando di ritrar per via d'osservazioni e di calcoli, fatti con quella sicurezza alla quale la diligenza umana pu arrivare, qual veramente fusse il suo luogo, si trova che la maggior parte di essi calcoli la rendon pi che per infinito intervallo superiore al firmamento, altri la rendon prossima alla superficie della Terra, ed alcuni anco sotto tal superficie, e de gli altri, che la ripongono in luoghi non impossibili, nissuni si concordano tra di loro, dimodoch convien dire, tutte le osservazioni esser necessariamente fallaci; talch, se noi vogliamo pur da tante fatiche ritrar qualche frutto, bisogna ridursi alle correzioni, emendando tutte l'osservazioni.

   SIMP. Ma l'autore dir, che delle osservazioni che rendono la stella in luoghi impossibili, non si deve far capitale alcuno, come quelle che infinitamente sono errate e fallaci; e solo si debbono accettar quelle che la costituiscono in luoghi non impossibili, e tra queste solamente andar ricercando, per via de i pi probabili e pi numerosi rincontri, se non il sito particolare e giusto, cio la sua vera distanza dal centro della Terra, almeno di venire in cognizione se ella fu tra gli elementi o pur tra i corpi celesti.

   SALV. Il discorso che fate voi adesso, quell'istesso che ha fatto l'autore a favor della causa sua, ma con troppo irragionevol disavvantaggio della parte; e quest' quel punto principale che mi ha fatto sopramodo maravigliare della troppa confidenza ch' e' si presa, non men della propria autorit, che della cecit ed inavvertenza de gli astronomi: per i quali io parler, e voi risponderete per l'autore. E prima io vi domando, se gli astronomi nell'osservare con loro strumenti, e cercar, verbigrazia, quanta sia l'elevazione d'una stella sopra l'orizonte, possono deviar dal vero tanto nel pi quanto nel meno, cio ritrar con errore che ella sia talvolta pi alta del vero e talvolta pi bassa, o pure se l'errore non pu mai esser se non d'un genere, cio che, errando, sempre pecchino nel soverchio e non mai nel meno, o sempre nel meno n gi mai nel soverchio.

   SIMP. Io non ho dubbio che sia egualmente pronto l'errare nell'uno che nell'altro modo.

   SALV. Credo che l'autore risponderebbe il medesimo. Ora, di questi due generi d'errori, che son contrarii e ne quali possono essere egualmente incorsi gli osservatori della stella nuova, applicati al calcolo, l'un genere render la stella pi alta del vero, e l'altro pi bassa: e perch gi noi convenghiamo che tutte le osservazioni son errate, per qual ragione vuol quest'autore che noi accettiamo per pi congruenti co 'l vero quelle che mostrano la stella essere stata vicina, che l'altre che la mostrano soverchiamente lontana?

   SIMP. Per quel che mi pare aver ritratto dalle cose dette sin qui, io non veggo che l'autore ricusi quelle osservazioni ed indagini che potesser render la stella lontana pi che la Luna ed anco pi del Sole, ma solamente quelle che la fanno remota (come voi stesso avete detto) pi che per un infinito intervallo; la qual distanza perch voi ancora recusate come impossibile, per egli trapassa, come per infinitamente convinte di falsit e di impossibilit, cotali osservazioni. Parmi dunque, che se voi volete convincer l'autore, voi debbiate produrre indagini pi esatte, o pi in numero, o di pi diligenti osservatori, le quali costituiscano la stella in tanta e tanta lontananza sopra la Luna o sopra al Sole, in luogo insomma possibile ad esservi, s come egli produce queste 12 che tutte rendono la stella sotto la Luna, in luoghi che sono al mondo e dove ella poteva essere.

   SALV. Maaa, signor Simplicio, qui consiste l'equivoco vostro e dell'autore; vostro per un rispetto, e dell'autore per un altro. Io scorgo dal vostro parlare, che voi vi sete formato concetto che l'esorbitanze che si commettono nello stabilir la lontananza della stella, vadano crescendo secondo la proporzione de gli errori che si fanno sopra lo strumento nel far l'osservazioni, e che, per il converso, dalla grandezza delle esorbitanze si possa argomentar la grandezza de gli errori, e che per, sentendo dire, ritrarsi dalla tale osservazione la lontananza della stella esser infinita, sia necessario l'error nell'osservare essere stato infinito, e perci inemendabile e come tale recusabile: ma il negozio, signor Simplicio mio, non cammina cos; e del non aver compreso come stia questo fatto, ne scuso voi, come inesperto di tali maneggi, ma non posso gi sotto simil mantello palliar l'error dell'autore, il quale, dissimulando l'intelligenza d questo, che si persuaso che noi veramente non fussimo per intendere, ha sperato servirsi della nostra ignoranza per accreditar maggiormente la sua dottrina appresso la moltitudine de i poco intelligenti. Per, per avvertimento di quelli che son pi creduli che intendenti, e per trar voi d'errore, sappiate che pu essere (e che il pi delle volte accader) che una osservazione la quale vi dia la stella, per esempio, nella lontananza di Saturno, con l'accrescere o detrarre un sol minute dall'elevazione presa con lo strumento la far divenir in distanza infinita, e per di possibile impossibile; e per il converso, quei calcoli che fabbricati sopra tali osservazioni vi rendono la stella infinitamente lontana, molte volte pu essere che con l'aggiugnere o scemare un sol minuto la ritirino in sito possibile: e questo ch'io dico d'un minuto, pu accadere ancora con la correzione d'un mezo, e d'un sesto, e di manco. Ora fissatevi ben nella mente, che nelle distanze altissime qual , verbigrazia, l'altezza di Saturno o quella delle stelle fisse, minimissimi errori fatti dall'osservatore sopra lo strumento rendono il sito di terminato e possibile infinito ed impossibile. Ci non cos avviene delle distanze sublunari e vicine alla Terra, dove pu accadere che l'osservazione dalla quale si sia raccolto, la stella esser lontana, verbigrazia, 4 semidiametri terrestri, si potr crescere o diminuire non solamente d'un minuto, ma di dieci e di cento e di assai pi, senza che il calcolo la renda non pur infinitamente remota, ma n anco superiore alla Luna. Comprendete da questo, che la grandezza de gli errori, per cos dire strumentali non si ha da stimare dall'esito del calcolo, ma dalla quantit stessa de i gradi e de' minuti che si numerano sopra lo strumento; e quelle osservazioni s'hanno a chiamar pi giuste o men errate, le quali con la giunta o suttrazione di manco minuti restituiscono la stella in luogo possibile; e tra i luoghi possibili, il vero sito convien credere che fusse quello intorno al quale concorre numero maggiore delle distanze, sopra le pi giuste osservazioni calcolate.

   SIMP. Io non resto ben capace di questo che voi dite, n so per me stesso comprendere come possa essere che nelle distanze massime maggior esorbitanza possa nascere dall'error d'un sol minuto, che nelle piccole da 10 o da 100; e per arei caro di intenderlo.

   SALV. Voi, se non per teorica almeno per pratica, lo vedrete da questo breve sunto ch'io ho fatto di tutte le combinazioni e di parte delle indagini tralasciate dall'autore, le quali io ho calcolate, e notate sopra questo medesimo foglio.

   SAGR. Convien dunque che voi da ieri in qua, che pur non son passate pi di 18 ore, non abbiate fatto altro che calcolare, senza prender n cibo n sonno.

   SALV. Anzi ho io preso l'uno e l'altro ristoro: ma io fo simili calcoli con gran brevit; e s'io debbo dire il vero, mi son maravigliato non poco che quest'autore vadia cos per la lunga ed interponendo tante computazioni non punto necessarie al quesito che si cerca. E per piena intelligenza di questo, ed anco acci speditamente si possa conoscer quanto dalle osservazioni de gli astronomi, de i quali si serve l'autore, pi probabilmente si raccolga, la stella nuova potere essere stata superiore alla Luna ed anco a tutti i pianeti, e tra le stelle fisse e pi alta ancora, ho trascritte sopra questa carta tutte l'osservazioni registrate dal medesimo autore che furon fatte da 13 astronomi, dove son notate le elevazioni polari e le altezze della stella nel meridiano, tanto le minime sotto il polo, quanto le massime e superiori: e son queste.

 

   -Ticone.

Altezza del polo         gr. 55.58 m.p.

Altezza della stella     gr. 84.0 la massima;

                                   27.57 m.p. la minima.

E queste sono del primo

  scritto, ma del secondo la

  minima                    27.45 m p.

_______________________________________________

   -Ainzelio.

Altezza polare            gr. 48.22 m.p.

Altezza della stella     gr. 76.34 m.p.

                                   76.33 m.p. e 45 sec.

                                   76.35 m.p.

                                   20.9 m.p. e40sec.

                                   20.9 m.p. e 30sec.

                                   20.9 m.p. e 20sec.

_______________________________________________

   -Peucero e Sculero.

Altezza polare            51.54 m.p.

Altezza della stella     79.56 m.p.

                                   23.33 m.p.

_______________________________________________

   -Landgravio.

Altezza polare            51.18 m.p.

Altezza della stella     79.30 m.p.

_______________________________________________

   -Camerario.

Altezza polare            gr. 52.24 m.p.

        della stella          80.30 m.p.

                       80.27 m.p.

                       80.26 m.p.

                       24.28 m.p.

                                   24.20 m.p.

                                   24.17 m p.

________________________________________________

   -Agecio.

Altezza polare            gr. 48.22 m.p.

        della stella          20.15 m.p.

________________________________________________

   -Ursino.

Altezza polare            49.24 m.p.

            stella               79.

                                   22.

________________________________________________

   -Munosio.

Altezza polare            39.30 m p.

Stella                          67.30 m.p.

                                   11.30 m.p.

________________________________________________

   -Maurolico.

Altezza polare    gr.    38.30 m.p.

       della stella           20.15 m.p.

________________________________________________

   -Gemma.

Altezza polare            50.50 m p.

Stella                          79.45 m p.

________________________________________________

   -Buschio.

Altezza polare            51.10 m.p.

Stella                          79.20 m.p.

                                   22.40 m.p.

________________________________________________

   -Reinoldo.

Altezza polare            51.18 m.p.

Stella                          79.30 m.p.

                                   23.02 m.p.

 

Ora, per veder tutto il mio progresso, potremo cominciar da questi calcoli, che son 5 trapassati dall'autore forse perch fanno contro di lui, atteso che costituiscono la stella sopra la Luna per molti semidiametri terrestri. Il primo de' quali questo, calcolato sopra l'osservazioni del Landgravio d'Assia e di Ticone, che sono, anco per concession dell'autore, de i pi esquisiti osservatori: ed in questo primo dichiarer l'ordine che tengo nell'investigazione, la qual notizia vi servir per tutti gli altri, atteso che vanno con la medesima regola, non variando in altro che nella quantit del dato, cio ne i numeri de i gradi dell'altezze polari e delle elevazioni sopra l'orizonte della stella nuova, della quale si cerca la distanza dal centro della Terra in proporzione al semidiametro del globo terrestre; del quale in questo caso niente importa il saper quante miglia sia, onde il risolver quello e la distanza de' luoghi dove furon fatte l'osservazioni, come fa quest'autore, fatica e tempo gettato via, n so perch l'abbia fatto, e massime che in ultimo e' torna a riconvertir le miglia trovate in semidiametri del globo terrestre.

   SIMP. Forse fa questo per ritrovar, con tali misure pi piccole e con le loro frazioni, la distanza della stella determinata sino a 4 dita; perch noi altri, che non intendiamo le vostre regole aritmetiche, restiamo stupefatti nel sentir le conclusioni, mentre leggiamo, verbigrazia: "Adunque la cometa, o la stella nuova, era lontana dal centro della Terra trecento settantatremila ottocentosette miglia, e pi dugent'undici quattromilanovantasettesimi 373807 211/4097", e sopra queste tanto precise puntualit, dove si registrano tali minuzie, formiamo concetto che sia impossibil cosa che voi che ne' vostri calcoli tenete conto d'un dito, poteste in ultimo ingannarci di 100 miglia.

   SALV. Questa vostra ragione e scusa sarebbe accettabile, quando in una distanza di migliaia di miglia un braccio di pi o di meno fusse di gran rilievo, e quando le supposizioni che noi pigllamo per vere fusser cos certe, che ci assicurassero che noi fussimo per ritrarre in ultimo un'indubitabil verit: ma qui voi vedete, nelle 12 indagini dell'autore le lontananze della stella, che da esse si raccolgono, esser differenti l'una dall'altra (e per lontane dal vero) di molte centinaia e migliaia di miglia; ora, mentre io sia pi che sicuro che quel ch'io cerco deve necessariamente differir dal giusto di centinaia di miglia, a che proposito affannarsi nel calcolo, per la gelosia di non ismagliar d'un dito? Ma venghiamo finalmente all'operazione, la qual io risolvo in tal modo. Ticone, come si vede nella nota, osserv la stella nell'altezza polare di gr. 55.58 m.p.; e l'altezza polare del Landgravio fu 51.18 m.p.: l'altezza della stella nel meridiano, presa da Ticone, fu gr. 27.45 m.p.; il Landgravio la trov alta gr. 23.03 m.p.: le quali altezze son queste notate qui appresso, corne vedete:

 

   Ticone           Polo   55.58 m.p.       stella   27.45 m p.

   Landgravio    Polo   51.18 m.p.       stella   23.03 m.p.

 

Fatto questo, sottraggo le minori dalle maggiori, e restano queste differenze qui sotto:

 

                                  4.40m.p.         4.42 m.p.

Parallasse                        2 m.p.

 

dove la differenza dell'altezze polari, 4.40 m.p., minore della differenza dell'altezze della, 4.42 m.p., e per c' differenza di parallasse gr. 0. 2 m.p. Trovate queste cose, piglio l'istessa figura dell'autore, cio questa, nella quale il punto B il luogo del Landgravio, D il luogo di Ticone, C luogo della, A centro della Terra, A B E linea verticale del Landgravio, A D F di Ticone, e l'angolo B C D differenza di parallasse.

 

Ang. BAD    4.40 m.p.    Corda sua 8142 parti di quali il semid. AB 100000

 

     BDF      92.20 m.p.

     BDC    154.45 m.p.    | sini            42657

     BCD        0.02 m.p.    |                   58

__________________________________

          58               42657      8142

                              8142

                            ______

                            85314

                        170628

                        42657

                    341256

              _____________

                    59

            58 | 3473 | 13294

                    571

                       5

 

E perch l'angolo B A D, compreso tra le verticali, eguale alla differenza dell'altezze polari, sar gr. 4.40 m.p., e lo noto qui da parte; e di esso trovo la corda, dalla tavola de gli archi e corde, e la noto appresso, che 8142 parti di quali il semidiametro A B 100000. Trovo poi l'angolo B D C facilmente: imperocch la met dell'angolo B A D, che 2.20 m.p., giunta a un retto d l'angolo B D F 92.20 m.p., al quale giugnendo l'angolo C D F, che la distanza dal vertice della maggiore altezza della stella, che qui 62.15 m.p., ci d la quantit dell'angolo BDC 154.45 m.p.; il quale noto insieme co 'l suo sino, preso dalla tavola, il quale 42.657, e sotto questo noto l'angolo della parallasse B C D 0.2 m.p., co 'l suo sino 58. E perch nel triangolo B C D il lato D B al lato B C come il sino dell'angolo opposto B C D al sino dell'angolo opposto B D C, adunque quando la linea B D fusse 58, B C sarebbe 42.657; e perch la corda DB 8142 di quali il semidiametro BA 100000, e noi cerchiamo di sapere quante delle medesime parti sia B C, per diremo, per la regola aurea: Se quando BD 58, BC 42.657, quando la medesima DB fusse 8.142, quanto sarebbe la BC? Per multiplico il secondo termine per il terzo; mi viene 347.313.294, il quale si deve dividere per il primo, cio per 58, ed il quoziente sarebbe il numero delle parti della linea B C di quali il semidiametro A B 100.000: e per sapere quanti semidiametri B A contenesse la medesima linea B C, bisognerebbe di nuovo dividere il medesimo quoziente trovato per 100.000, ed aremmo il numero de' semidiametri compresi in B C. Ora, il numero 347.313.294 diviso per 58 d 5.988.160 1/4 come si vede qui:

 

                        5988160 1/4

              58 | 347313294

                      5717941

                        54  3

 

e questo diviso per 100000 ci d 59 88160/100000

 

                 1 | 00000 | 59 | 88160

 

   Ma noi possiamo abbreviare assai l'operazione, dividendo il primo prodotto trovato, cio 347313294, per il prodotto della multiplicazione delli due numeri 58 e 100000, che

 

                            59

       58 | 00000 | 3473 | 13294

                           571

                             5

 

e ne vien parimente 59 5113294/5800000.

 

E tanti semidiametri son contenuti nella linea B C, a i quali aggiuntone uno per la linea A B, averemo poco meno che 61 semidiametri per le due linee A B C, e per la distanza retta dal centro A alla stella C sar pi di 60 semidiametri; adunque viene ad esser superiore alla Luna, secondo Tolomeo pi di 27 semidiametri, e secondo il Copernico pi di 8, posto che la lontananza della Luna dal centro della Terra in via di esso Copernico sia, qual dice l'autore, semidiametri 52.

   Con questa simile indagine trovo, dall'osservazioni del Camerario e del Munosio, la stella tornar situata in una simil lontananza, cio essa ancora pi di 60 semidiametri: e queste sono le osservazioni, e questo appresso il calcolo.

 

Altezza       | Camerario 52.24 m p.   altezza              | 24.28 m.p.

polare del   | Munosio    39.30 m.p.   della stella       | 11.30 m.p.

                                                                                   _________________

Differenza dell'altezze                                               12.58m.p. differenza

polari                            12.54 m p.                               dell'altezze

                                                                                   della stella

                                                                    12.54 m.p.

                                                                       __________

                                 Differenza di parallasse   0. 4 m.p. ed angolo

                                                                                           BCD.

 

                        | BAD    12.54 m.p.; e la sua corda    22466

Angoli             | BDC   161.59 m.p.|                           30930

                        | BCD        0. 4        | sini                        116

 

Regola aurea

 

               22466

    116     30930    22466

_____________________

            673980

        202194

      67398

_______________

            59            distanza BC semidiametri 59 e quasi 60.

116 | 6948 | 73380

        1144

          10

 

   La indagine appresso fatta sopra due osservazioni di Ticone e del Munosio; dalle quali si calcola, la stella essere stata lontana dal centro della Terra semidiametri 478 e pi.

 

Altezze    | Ticone    55.58 m.p.       altezze                | 84. 0  m.p.

polari di   | Munosio 39.30 m.p.      della stella         | 67.30 m.p.

                                 ________                                  ___________

Differenza delle                                                         16.30 m.p.  differenza

altezze polari            16.28 m.p.                                                  dell'altezze

                                                                                                   della stella

                                                                       16.28 m.p.

                                                                                   ___________

Differenza di parallasse                                                0. 2 m.p. ed angolo

                                                                                                      BCD.

 

                   | BAD     16.28 m.p.;  la sua corda    28640

Angoli         | BDC   104.14 m.p. | sini                  96930

                   | BCD       0. 2 m.p. | sini                         58

 

Regola aurea

 

         58       96930     28640

                   28640

            _____________

                 3877200

               58158

             77544

           19386

_____________________

             478

   58 | 27760 | 75200

           4506

             53

 

      Quest'indagine che segue, d la stella remota dal centro pi di 358 semidiametri.

 

Altezze    | Peucero    51.54 m.p.        altezza             | 79.56 m.p.

polari      | Munosio   39.30 m.p.        della stella      | 67.30 m.p.

                                   ________                               __________

                                12.24 m.p.                                  12.26 m.p.

                                                                                   12.24 m.p.

                                                                                   _________

                                                                                      0. 2 m.p.

 

             | BAD     12.24 m.p.; corda    21600

Angoli   | BDC   106.16 m.p.  | sini     95996

             | BCD      0.  2 m.p.  | sini            58

 

Regola aurea

      58         95996    21600

                  21600

_______________________

            57597600

            95996

        191992

________________________

          357      

58 | 20735 | 13600

        3339

          42

 

   Da quest'altra indagine la stella si ritrova esser lontana dal centro pi di 716 semidiametri.

 

Altezze    | Landgravio  51.18 m.p.     della    | 79.30 m.p.

polari      | Ainzelio       48.22 m.p.     stella    | 76.33 m.p. e 45 sec

                                   __________                 _________________

                                     2.56 m.p.                   2.56 m.p. e 15 sec.

                                                                      2.56 m.p.

                                                                         __________________

                                                                      0.  0           15 sec.

 

BAD        2.56 m.p.;      corda     5120

BDC    101.58 m.p.        | sini    97845

BCD        0. 0    15 sec.  | sini            7

 

Regola aurea

 

         7 |  97845 | 5120

                5120

____________________

          1956900

          97845

      489225

____________________

      715

7 | 5009 | 66400

      134

 

   Queste, come vedete, son cinque indagini le quali rendon la stella assai superiore alla Luna: dove voglio che voi facciate considerazione sopra quel particolare che poco fa vi dissi, cio che nelle distanze grandi la mutazione, o vogliam dir correzione, di pochissimi minuti, rimuove la stella per grandissimi spazii; come, per esempio, nella prima di queste indagini, dove il calcolo rese la stella 60 semidiametri remota dal centro, con la parallasse di 2 minuti, chi volesse sostenere che ella fusse nel firmamento, non ha a corregger nelle osservazioni altro che 2 minuti e anco meno, perch allora cessa la parallasse, o divien cos piccola che rende la stella in lontananza immensa, quale si riceve da tutti esser quella del firmamento. Nella seconda indagine l'emenda di manco di 4 m.p. fa l'istesso. Nella terza e nella quarta, pur come nella prima, due minuti soli ripongon la stella anco sopra le fisse. Nella precedente un quarto d'un minuto, cio 15 secondi, ci danno l'istesso. Ma non cos avverr nelle altezze sublunari: imperocch figuratevi pure qual lontananza pi vi piace, e fate prova di voler corregger le indagini fatte dall'autore ed aggiustarle s che tutte rispondano nella medesima determinata lontananza; voi vedrete quanto maggiori emende vi bisogner fare.

   SAGR. Non sar se non bene, per nostra piena intelligenza, veder qualche esempio di questo che dite.

   SALV. Stabilite voi a vostro beneplacito qual si sia determinata lontananza sublunare, dove costituir la stella, ch con poca briga potremo assicurarci se correzioni simili a queste, che abbiamo veduto bastar per ridurla tra le fisse, la ridurranno nel luogo da voi stabilito.

   SAGR. Per pigliare la pi favorevole distanza per l'autore, porremo che sia quella che la maggiore di tutte le investigate da esso nelle sue 12 indagini; imperocch, mentre si in controversia tra gli astronomi ed esso, e che quelli dicono la stella essere stata superiore alla Luna, e questo inferiore, ogni poco spazio che e' la provi essere stata sotto, gli d la vittoria.

   SALV. Pigliamo dunque la settima indagine, fatta sopra le osservazioni di Ticone e di Taddeo Agecio, per le quali trova l'autore la stella essere stata lontana dal centro 32 semidiametri, il qual sito il pi favorevole per la parte sua; e per dargli ogni vantaggio, voglio che, oltre a questo, la ponghiamo nella pi disfavorevole lontananza per gli astronomi, qual il collocarla anco sopra il firmamento. Posto dunque ci, andiam ricercando quali correzioni sarebber necessarie applicare all'altre sue 11 indagini, acci sublimassero la stella sino alla distanza di 32 semidiametri; e cominciamo dalla prima, calcolata sopra l'osservazioni dell'Ainzelio e del Maurolico, nella quale l'autore trova la distanza dal centro circa 3 semidiametri, con la parallasse di gr. 4.42 m.p. e 30 sec.: veggiamo ora se co 'l ritirarla a 20 m.p. solamente, si eleva sino alli 32 semidiametri. Ecco l'operazione, brevissima e giusta: multiplico il sino dell'angolo B D C per la corda B D, e parto l'avvenimento, detrattone le 5 ultime figure, per il sino della parallasse; ne viene 28 semidiametri e mezo: talch n anco per la correzione di gr. 4.22 m.p. e 30 secondi, tolti da gr. 4.42 m.p. e 30 secondi, si eleva la stella sino all'altezza di 32 semidiametri, la qual correzione, per intelligenza del signor Simplicio, di m.p. 262 e mezo.

 

Ainzelio       Pol. 48.22     stella 76.34 m.p. e 30 sec.

Maurolico    Pol. 38.30     stella 62

                        _______          _______________

                            9.52       14.34 m.p. e 30 sec.

                                            9.52

                                               ________________

                        Parallasse    4.42 m.p. e 30 sec.

 

BAD       9.52 m.p.                  corda  17200

BDC   108.21 m.p. e 30 sec.    sino    94910

BCD      0.20 m.p.                   sino       582

 

                       94910

                       17200

            ____________

                  18982000

                66437

                9491

___________________

                28

   582 | 16324 | 52000

             4688

                 2

 

   Nella seconda operazione, fatta sopra l'osservazioni dell'Ainzelio e dello Sculero, con parallasse di gr. 0. 8 m.p. e 30 sec., trovasi la stella in altezza di 25 semidiametri in circa, come si vede nella seguente operazione.

 

BD      corda   6166           97987

BDC  | sini  |  97987            6166

BCD  | sini  |     247    ____________

                                      587922

                                    587922

                                    97987

                                587922

                        _______________

                                24

                    247 | 6041 | 87842

                            1103

                              11

 

   E ritirando la parallasse 0.8 m.p. e 30 sec. a 7 m.p., il cui sino 204, si eleva la stella a 30 semidiametri in circa: non basta dunque la correzione di 1 m.p. e 30 sec.

 

               29

   204 | 6041 | 87842

           1965

             12

 

             | BAD  gr.    7.36                   corda  13254

Angoli   | BDC      155.52 m.p.           sino    40886

             | BCD         0.10 m.p.             sino        291

 

                     13254

                     40886

                 _________

                     79524

                   106032

                 106032

               53016

_______________________

               18                                 30

   291 | 5419 | 03044          175 | 5419

           2501                               16

           18

 

   Or veggiamo qual correzione bisogna per la terza indagine, fatta su l'osservazioni dell'Ainzelio e di Ticone, la qual rende la stella alta circa 19 semidiametri, con la parallasse 10 m.p. Gli angoli soliti e lor sini e corda, trovati dall'autore, son questi; e rendono (come anco nell'operazione dell'autore) la stella lontana circa 19 semidiametri; bisogna dunque, per alzarla, scemar la parallasse, conforme alla regola che egli ancora osserva nella nona indagine: ponghiamo per tanto la parallasse esser 6 m.p., il cui sino 175, e fatta la divisione, si trova ancor meno di 31 semidiametri per la distanza della stella. dunque la correzione di 4 m.p. poca per il bisogno dell'autore.

   Venghiamo alla quarta indagine ed alle rimanenti con la medesima regola, e con le corde e sini ritrovati dall'autor medesimo. In questa la parallasse 14 m.p., e l'altezza trovata manco di 10 semidiametri; e diminuendo la parallasse da 14 m.p. a 4 m.p., ad ogni modo vedete come la stella non si eleva n anco sino a 31 semidiametri: non basta dunque la correzione di 10 m.p. sopra 14 m.p.

 

BD      corda   8142         43235

BDC    sino   43235           8142

                                   __________

BCD    sino       407         86470

                                   172940

                                   43235

                               345880

                        ___________________

                                 30

                     116 | 3520 | 19370

                                4

 

Nella quinta operazione dell'autore abbiamo i sini e la corda come vedete:

 

BD     corda    4034           97998

BDC   sino    97998             4034

                                   ___________

BCD   sino      1236         391992

                                     293994

                                 391992

                        __________________

                                   27

                       145 | 3953 | 23932

                               1058

                                   3

 

e la parallasse 0.42 m.p. e 30 sec., la quale rende l'altezza della stessa circa 4 semidiametri; e correggendo la parallasse, con ridurla da i 42 m.p. e 30 sec. a 5 m.p. solamente non basta per alzarla n anche sino a 28 semidiametri: l'emendazione dunque di 37 m.p. e 30 sec. poca.

Nella sesta operazione la corda, i sini e la parallasse son tali

 

BD             corda    1920         40248

BDC           sino    40248           1920

                                               _________

BCD  8 m.  sino        233        804960

                                          362232

                                          40248

                                   _______________

                                        26

                                29 | 772 | 76160

                                      198

                                        1

e la stella si trova esser alta circa 4 semidiametri: vegghiamo dove la si riduce calando la parallasse da 8 a un solo m.p. Ecco l'operazione, e la stella non pi alzata che sino a 27 semidiametri in circa: non basta dunque la correzione di 7m.p. sopra 8m.p.

   Nell'ottava operazione la corda, i sini e la parallasse, come vedete, son tali:

 

BD     corda    1804       36643

BDC    sino   36643         1804

                                   _________

BCD    sino        29      146572

                                293144

                                36643

                        ________________

                              22

                      29 | 661 | 03972

                              83

                              2

 

e di qui calcola l'autore l'altezza della stella semidiametri 1 e mezo, con la parallasse di 43 m.p.; la quale ridotta a 1 m.p. d tuttavia la stella lontana manco di 24 semidiametri: la correzion dunque di 42 m.p. non basta.

   Veggiamo ora la nona. Ecco la corda, i sini e la parallasse, che 15 m.p.: onde l'autor calcola, la lontananza della stella dalla superficie della Terra esser manco di un quarantasettesimo di semidiametro. Ma questo con error del calcolo; imperocch la vien veramente, come noi vedremo qui adesso, pi di un quinto: ecco che vengono circa 90/436 che son pi di un quinto.

 

BD     corda       232         39046

BDC    sino    39046             232

                                   ___________

BCD    sino        436         78092

                                    117138

                                    78092

                                   ___________

                         436 | 90 | 58672

 

   Quello che soggiugne poi l'autore in emenda delle osservazioni, cio che non basta ritirar la differenza della parallasse n a un sol minuto, n anco all'ottava parte di 1 m.p. vero. Ma io dico che n meno la decima parte di 1 m.p. ridurr l'altezza della stella a 32 semidiametri: imperocch il sino della decima parte di 1 m.p., cio di 6 secondi, 3 per il quale se nella nostra regola noi divideremo go, o vogliam dire se noi divideremo per 300000, 9058672, ne verr 30 58672/100000, cio poco pi di 30 semidiametri e mezo.

   La decima d l'altezza della stella un quinto di semidiametro, con quest'angolo, sini e parallasse, che gr. 4.30 m.p.: la quale veggo che ridotta da gr. 4.30 m.p. a 2 m.p., ad ogni modo non promuove la stella sino a 29 semidiametri.

 

BD                   corda    1746         1746

BDC                  sino   92050       92050

                                               __________

BCD  4.30 m.p.  sino     7846      87300

                                                3492

                                            15714

                                   ________________

                                          27

                                58 | 1607 | 19300

                                        441

                                          4

 

   L'undecima rende la stella all'autore remota circa 13 semidiametri, con la parallasse di 55 m.p.: veggiamo, riducendola a 20 m.p., dove innalzer la stella. Ecco il calcolo: l'eleva a poco meno di 33 semidiametri: la correzione dunque di 35, poco meno, sopra 55 m.p.

 

BD                    corda  19748         96166

BDC                  sino    96166         19748

                                               ____________

BCD  0.55 m.p.  sino      1600       769328

                                                  384664

                                                673162

                                              865494

                                              96166

                                              32

                                   _________________

                                582 | 18900 | 86168

                                          1536

                                            36

 

   La duodecima, con la parallasse di gr. 1.36 m.p., rende la stella alta meno di 6 semidiametri: ritirando la parallasse a 20 m.p., conduce la stella a meno di 30 semidiametri di lontananza: non basta dunque la correzione di gr. 1.16 m.p.

 

BD                   corda  17258       17258

BDC                 sino    96150       96150

                                               __________

BCD 1.36 m.p.  sino     2792      862900

                                               17258

                                           103548

                                         155322

                                   _______________

                                           28

                              582 | 16593 | 56700

                                        4957

                                          29

 

   Queste sono le correzioni delle parallasse delle 10 indagini dell'autore, per ridur la stella in altezza di 32 semidiametri:

 

gr. I.             II.                      gr. I.II.

4.22 m.p. e 30 sec.         sopra  4.42.30

     4                               sopra  0.10

   10                               sopra  0.14

   37                               sopra  0.42.30

     7                               sopra  0. 8

   42                               sopra  0.43

   14         e 50 sec.         sopra  0.15

4.28                               sopra  4.30

   35                               sopra  0.55

1.16                               sopra  1.36

____________________________________

216                                           296        60

540                                           540          9

____                                          ___      ____

756                                           836      540

 

   Di qui si vede come per ridur la stella all'altezza di 32 semidiametri, bisogna dalla somma delle parallassi 836 detrarne 756 e ridurle a 80, n anco basta tal correzione.

   Di qui si vede (s come ho notato qua dreto) che quando l'autore stabilisse di voler ricever per vero sito della stella nuova la distanza di 32 semidiametri, la correzione dell'altre sue 10 indagini (e dico 10, perch la seconda, essendo assai ben alta, si riduce all'altezza di 32 semidiametri con 2 m.p. di correzione), per far che tutte restituissero detta stella in tal distanza, ricercherebbe un ritiramento di parallassi tale, che tra tutte le suttrazioni importerebbero pi di 756 m.p.: dove che nelle 5 calcolate da me, che rendono la stella sopra la Luna, per correggerle s che la costituiscano nel firmamento, basta la correzione di minuti 10 e un quarto solamente. Ora aggiugnete a queste, altre 5 indagini che rendono la stella precisamente nel firmamento senza bisogno di veruna correzione, ed avremo 10 indagini concordi a costituirla nel firmamento con la sola correzione di 5 di loro (come s' veduto) di minuti 10 e un quarto: dove che per la correzione dell'altre 10 dell'autore, per ridurla in altezza di 32 semidiametri, vi bisogneranno l'emendazioni di minuti 756 sopra minuti 836; cio bisogna che dalla somma di 836 se ne detraggano 756, a voler che la stella si elevi all'altezza di 32 semidiametri, ed anco tal correzione non basta

   Le indagini poi, che immediatamente senz'altra correzione rendon la stella senza parallasse, e perci nel firmamento ed anco nelle pi remote parti di esso, ed in somma alta quanto l'istesso polo, son queste 5 notate qui:

 

Camerario   |   Altezze polari   | Gr. 52.24 m.p  |   Altezze    | 80.26

Peucero      |                          | Gr. 51.54         |   della stella | 79.56

                                                    ________                          ______

                                                      0.30                               0.30

_______________________________________________________

Landgravio  |   Altezze polari  | Gr. 51.18          |   Altezze   | 79.30  

Ainzeglio     |                         | Gr. 48.22          |   della stella| 76.34

                                                     ______                             ______

                                                      2.56                              2.56

______________________________________________________

Ticone        |   Altezze polari  | Gr. 55.58           |   Altezze  | 84.

Peucero      |                         | Gr. 51.54           |   della stella| 79.56

                                                     ______                             ______

                                                     4.  4                               4.  4

______________________________________________________

Reinoldo     |   Altezze polari  | Gr. 51.18           |    Altezze  | 79.30

Ainzeglio     |                         | Gr. 48.22           |   della stella| 76.34

                                                     ______                             ______

                                                      2.56                               2.56

______________________________________________________

Camerario   |   Altezze polari  | Gr. 52.24           |    Altezze  | 24.17

Agecio        |                         | Gr. 48.22           |   della stella| 20.15

                                                     ______                             ______

                                                      4. 2                                4. 2

 

   Del resto de gli accoppiamenti che si posson fare delle osservazioni di tutti questi astronomi, quelli che rendon la stella per infinito spazio sublime son molti pi in numero, cio circa 30 di pi, che gli altri che danno, calcolando, la stella sotto la Luna; e perch (s come siam convenuti) da credere che gli osservatori abbiano errato pi presto di poco che d'assai, manifesta cosa che le correzioni da applicarsi all'osservazioni che danno la stella alta in infinito, nel ritirarla a basso, prima e con emenda minore la condurranno nel firmamento che sotto la Luna: talch tutte queste applaudono all'opinione di quelli che la mettono tra le fisse. Aggiugnete che le correzioni che si ricercano per tali emende, sono assai minori che quelle per le quali la stella dall'inverisimil vicinit si pu ridurre all'altezza pi favorevole per questo autore, come per gli esempi passati si veduto: tra le quali impossibili vicinit ce ne son 3 che par che rimuovano la stella dal centro della Terra per manco distanza d'un semidiametro, facendola in certo modo andar in volta sotto Terra; e queste son quelle combinazioni nelle quali, essendo l'altezza polare d'uno de gli osservatori maggiore dell'altezza polare dell'altro, l'elevazion della stella presa da quello minore dell'elevazione della stella di questo. E sono tali combinazioni le notate qui appresso.

   Questa prima del Landgravio con Gemma: dove l'altezza polare del Landgravio, 51.18 m.p., maggiore del l'altezza polare di Gemma, che 50.50 m.p.; ma l'altezza della stella del Landgravio, 79.30 m.p., minore di quella della stella di Gemma, 79.45 m.p.

 

Landgravio  | Altezza polare    51.13    |   Altezza   79.30

Gemma       |                          50.50    |   della stella79.45

 

Le altre due sono queste di sotto:

 

Buschio      | Altezza polare    51.10    |   Altezza   79.20

Gemma      |                           50.50    |   della stella79.45

Reinoldo    | Altezza polare      51.18   |   Altezza   79.30

Gemma      |                            50.50   |   della stella79.45

 

   Da quello che sin qui v'ho mostrato, potete comprendere quanto questa prima maniera d'investigar la distanza della stella e provarla sublunare, introdotta dall'autore, sia disfavorevole per la causa sua e quanto pi probabilmente e chiaramente si raccolga, la lontananza di quella esser stata tra le pi remote stelle fisse.

   SIMP. Sino a questa parte mi par che assai manifestamente sia scoperta la poca efficacia delle dimostrazioni dell'autore; ma io veggo che tutto questo vien compreso in non molte carte del libro, e potrebb'esser che altre sue ragioni fusser pi concludenti che non son queste prime.

   SALV. Anzi non posson esser se non men valide, se vogliamo che le passate ci siano esempio per le rimanenti; attesoch (s come manifesto) l'incertezza e poca concludenza di quelle chiaramente si comprende derivar da gli errori commessi nelle osservazioni strumentali, dalle quali si creduto le altezze polari e della stella essere state prese giustamente, essendo in effetto errate facilmente tutte; e pur per trovar l'altezze del polo hanno avuto gli astronomi secoli di tempo da impiegarvisi a lor agio, e le altezze meridiane della stella sono le pi agevoli da osservarsi, come quelle che sono terminatissime e concedono qualche spazio all'osservatore di poterle continuare, come quelle che non si mutano sensibilmente in tempo brevissimo, come fanno le remote dal meridiano: e se questo , s come , verissimo, qual fede vorrem noi prestare a calcoli fondati sopra osservazioni pi in numero, pi difficili a farsi, pi momentanee nel variarsi, con la giunta appresso di strumenti pi incomodi e pi fallaci? Per una semplice occhiata che ho data alle dimostrazioni seguenti, i computi son fatti sopra altezze della stella prese in diversi cerchi verticali, che chiamano con voce arabica azimutti: nelle quali osservazioni si adoprano strumenti mobili non solo ne i cerchi verticali, ma nell'orizonte ancora nel medesimo tempo, in modo che convien, nell'istesso momento che si prende l'altezza, aver nell'orizonte osservata la distanza del verticale, nel qual la stella, dal meridiano; in oltre dopo notabile intervallo di tempo convien reiterar l'operazione, e tener minuto conto del tempo decorso, fidandosi o d'oriuoli o d'altre osservazioni di stelle: una tal matassa di osservazioni va poi conferendo con un'altra simile, fatta da un altro osservatore, in un altro paese, con diverso strumento ed in diverso tempo; e da questa cerca l'autore di ritrar quali sarebbono state l'altezze della stella e le latitudini orizontali accadute nel tempo ed ora dell'altre prime osservazioni, e sopra un tale aggiustamento fabbrica in ultimo il suo calcolo. Lascio ora giudicar a voi quanto sia da prestar fede a ci che da simili indagini si ritrae. Oltre che io non dubito punto che quando altri si volesse martirizare sopra tali lunghissimi computi, si troverebbe, s come ne i passati, esser pi quelli che favorissero la parte avversa, che l'autore: ma non mi par che metta conto prendersi una tal fatica per cosa che non tra le primarie intese da noi.

   SAGR. Io son dalla vostra in questa parte; ma sendo questo negozio circondato da tante confusioni incertezze ed errori, sopra qual confidenza hanno tanti astronomi asseverantemente pronunziato, la nuova stella essere stata altissima?

   SALV. Sopra due sorte di osservazioni, semplicissime facilissime e verissime, una sola delle quali pi che a bastanza per assicurarne dell'essere stata locata nel firmamento, o almeno per lunghissimo tratto superiore alla Luna: una delle quali presa dall'egualit o poco differente inegualit delle sue lontananze dal polo, tanto mentre ell'era nell'infima parte del meridiano, quanto nella suprema; l'altra l'aver lei conservato perpetuamente le medesime distanze da alcune stelle fisse, sue circonvicine, ed in particolare dall'undecima di Cassiopea, non pi da essa remota di gradi I e mezo: dalli quali due capi indubitabilmente si raccoglie o l'assoluta mancanza di parallasse, o una piccolezza tale, che ne assicura con calcoli speditissimi della sua gran lontananza dalla Terra.

   SAGR. Ma queste cose non sono state comprese da questo autore? e se egli le ha vedute, in che modo se ne difende?

   SALV. Noi sogliamo dire che quando altri, non trovando ripiego che vaglia contro a i suoi falli, produce frivolissime scuse, cerca di attaccarsi alle funi del cielo; ma quest'autore ricorre non alle corde, ma alle fila de' ragnateli del cielo, come apertamente vedrete nell'andare esaminando questi due punti pur ora accennativi. E prima, quello che ci mostrino le distanze polari ad uno ad uno de gli osservatori l'ho io notato in questi brevi calcoli; per piena intelligenza de quali devo primamente avvertirvi, come, tuttavolta che la stella nuova o altro fenomeno sia vicino a Terra, girando al moto diurno intorno al polo, pi distante si mostrer da esso mentre si trovi nella parte di sotto nel meridiano, che quando nella superiore, come in questa figura si vede: nella quale il punto T denota il centro della Terra, O il luogo dell'osservatore, il firmamento l'arco V P C, il polo P; il fenomeno, muovendosi per il cerchio F S, vedesi or sotto il

 

polo, per il raggio OFC, ed or sopra, secondo il raggio O S D, s che i luoghi veduti nel firmamento siano D, C ma i veri, rispetto al centro T, sono B, A, lontani egualmente dal polo: dove gi manifesto, il luogo apparente del fenomeno S, cio il punto D, esser pi vicino al polo che non l'altro apparente luogo C, veduto per il raggio O F C; che la prima cosa da notarsi. Conviene che nel secondo luogo voi notiate, come l'eccesso della apparente inferior distanza dal polo sopra l'apparente superiore distanza, pur dal polo, maggiore che non la parallasse inferiore del fenomeno; cio dico che l'eccesso dell'arco C P (distanza inferiore apparente) sopra l'arco P D (distanza apparente superiore) maggiore dell'arco C A (che la parallasse inferiore). Il che si raccoglie facilmente: imperocch di pi eccede l'arco C P il P D che il P B, essendo P B maggiore di P D; ma P B eguale a P A, e l'eccesso di C P sopra P A l'arco C A; adunque l'eccesso dell'arco C P sopra l'arco P D maggiore dell'arco C A, che la parallasse del fenomeno posto in F: che quel che bisognava sapere. E per dar tutti i vantaggi all'autore, voglio che supponghiamo, la parallasse della stella in F esser tutto l'eccesso dell'arco C P (cio della distanza inferiore dal polo) sopra l'arco P D (distanza superiore). Vengo adesso ad esaminare quel che ci danno le osservazioni di tutti gli astronomi prodotti dall'autore: tra le quali non ce n' pur una che non gli sia in disfavore e contraria al suo intento. E facciamo principio da queste del Buschio, il quale trov la distanza della stella dal polo, quando gli era superiore, esser gr. 28.10 m.p., e la inferiore esser gr. 28.30 m.p., s che l'eccesso gr. 0.20 m.p., il quale voglio che prendiamo (a favor dell'autore) come se tutto fusse parallasse della stella in F, cio l'angolo T F O; la distanza poi dal vertice, cio l'arco C V, gr. 67.20 m.p. Trovate queste due cose, prolunghisi la linea C O, e sopra essa caschi la perpendicolare T I, e consideriamo il triangolo T O I, del quale l'angolo I retto, e l'I O T noto, per esser alla cima dell'angolo V O C, distanza della stella dal vertice; inoltre nel triangolo T I F, pur rettangolo, noto l'angolo F, preso per la parallasse: notinsi dunque da parte li due angoli I O T, I F T, e di essi si prendano i sini, che sono come si vede notato. E perch nel triangolo I O T di quali parti il sino tutto T O 100.000, di tali il sino T I 92.276, e di pi nel triangolo I F T di quali il sino tutto TF 100.000, di tali il sino T I 582, per ritrovar quante parti sia T F di quelle che T O 100.000, diremo per la regola aurea: Quando T I 582, T F 100.000; ma quando T I fusse 92.276, quanto sarebbe T F? Multiplichiamo 92.276 per 100.000; ne viene 9.227.600.000: e questo si deve partire per 582; ne viene, come si vede, 15854982: e tante parti saranno in T F di quelle che in T O sono 100.000. Onde per voler sapere quante linee T O sono in T F, divideremo 15.854.982 per 100.000; ne verr 158 e mezo prossimamente: e tanti semidiametri sar la distanza della stella F dal centro T. E per abbreviar l'operazione, vedendo noi come il prodotto del multiplicato di 92.276 per 100.000 si deve divider prima per 582 e poi il quoziente per 100.000, potremo, senza la multiplicazione di 92.276 per 100.000 e con una sola divisione del sino 92.276 per il sino 582, conseguir subito l'istesso, come si vede l sotto; dove 92.276 diviso per 582 Ci d l'istesso 158 e mezo in circa. Tenghiamo dunque memoria, come la sola divisione del sino T I come sino dell'angolo T O I, diviso per il sino T I, come sino dell'angolo I F T, ci d la distanza cercata T F in tanti semidiametri T O.

 

Angoli    | IOT    67.20 m.p.  |  sini  | 92276                  15854982

             | IFT       0.20 m.p.  |         |     582        582 | 9227600000

                                                                                | 3407002246

TI            TF            TI              TF                             49297867

582       100000      92276             0                              325414

                                                               _____________________

                                                               100000 | 158 | 54982

                                                               _____________________

                                                                                   |    158

                                                                             582 | 92276

                                                                                     34070

                                                                                       492

                                                                                         3

 

   Vedete ora quel che ci danno le osservazioni del Peucero: del quale la distanza inferior dal polo gr. 28.21 m.p., e la superiore gr. 28.2 m.p., la differenza gr. 0.19 m.p., e la distanza dal vertice gr. 66.27 m.p.; dalle quali cose si raccoglie la distanza della stella dal centro quasi 166 semidiametri.

 

Angoli   | IAC  66.27 m.p.   | sini |  91672                        165 427/553

             | IEC    0.19 m.p.   |       |     553           553 |   91672

                                                                                |   36397

                                                                                      312

                                                                                        4

 

   Ecco quel che ci mostra l'osservazione di Ticone, presa la pi favorevole per l'avversario: cio, la distanza inferiore dal polo, gr. 28.13 m.p.; e la superiore, 28.2 m.p., lasciando la differenza, che 0.11 m.p., come se tutta fusse parallasse, la distanza dal vertice, gr. 62.15 m.p. Ecco qui sotto l'operazione, e la lontananza della stella dal centro ritrovata semidiametri 276  9/16

 

Angoli   | IAC 62.15 m.p.    |  sini  | 88500                       276 9/16

             | IEC   0.11 m.p.    |         |     320           320 | 88500

                                                                                  |  2418

                                                                                       21

 

L'osservazione del Reinoldo, ch' la seguente, ci rende la distanza della stella dal centro semidiametri 793.

 

Angoli    | IAC 66.58  m.p.   | sini   | 92026                      793 38/116

              | IEC   0.  4  m.p.   |         |    116           116 | 92026

                                                                                  | 10888

                                                                                       33

 

Dalla seguente osservazion del Landgravio si ritrae la distanza della stella dal centro semidiametri 1057.

 

Angoli   | IAC 66.57  m.p.   | sini   | 92012                1057 53/87

             | IEC   0.  3  m.p.   |         |      87        87 | 92012

                                                                            |   5663

                                                                                   5

 

Prese dal Camerario due delle sue osservazioni pi favorevoli per l'autore, si trova la lontananza della stella dal centro semidiametri 3143.

 

Angoli   | IAC 65.43  m.p.   | sini   | 91152                3143

             | IEC   0.  1  m.p.   |          |      29       29 | 91152

                                                                            |   4295

                                                                                1

 

L'osservazione del Munosio non d parallasse, e per rende la stella nuova tra le fisse altissime: quella dell'Ainzelio ce la d remota per infinito spazio, ma con emendazion di un mezo minuto primo la ripon tra le fisse: e l'istesso si ritrae dall'Ursino con la correzione di 12 m.p. De gli altri astronomi non ci sono le distanze sopra e sotto il polo, onde non si pu ritrar cosa veruna. Or vedete come tutte le osservazioni di tutti convengono, in disfavor dell'autore, in collocar la stella nelle regioni celesti e altissime.

   SAGR. Ma che difesa trov'egli contro a s patenti contrariet?

   SALV. Uno di quei debolissimi fili: dicendo che le parallassi vengono diminuite merc delle refrazioni, le quali operando contrariamente, sublimano il fenomeno, dove le parallassi l'abbassano. Ora, quanto vaglia questo miserabil refugio, giudicatelo da questo, che quando quest'effetto delle refrazioni fusse di quella efficacia che da non molto tempo in qua alcuni astronomi hanno introdotto, al pi che potesse operar circa l'elevar pi del vero un fenomeno sopra l'orizonte, mentre egli sia di gi alto 23 o 24 gradi, sarebbe il diminuirgli circa 3 minuti di parallasse, il qual temperamento scarsissimo per ritrar la stella sotto la Luna ed in alcuni casi minore che non il vantaggio conceduto da noi nell'ammetter che l'eccesso della distanza inferior dal polo sopra la superiore sia tutto parallasse, il qual vantaggio cosa assai pi chiara e palpabile che l'effetto della refrazione, della grandezza del quale io dubito, e non senza ragione. Ma pi, io domando quest'autore s'ei crede che quelli astronomi, delle osservazioni de i quali egli si serve, avessero cognizione di questi effetti delle refrazioni e vi facessero sopra considerazione, o no: se gli conobbero e considerarono, ragionevol credere che di essi tenesser conto nell'assegnare le vere elevazioni della stella, facendo a quei gradi di altezze, che sopra gli strumenti si scorgevano, quelle tare che erano convenienti merc dell'alterazioni delle refrazioni, immodo che le distanze pronunziate da loro fussero poi le corrette e giuste, e non le apparenti e false; ma s'ei crede che tali autori non facessero reflessione sopra le dette refrazioni, convien confessare che eglino abbiano parimente errato in determinar tutte quelle cose le quali non si possono perfettamente aggiustare senza la modificazione delle refrazioni: tra le quali cose una l'investigazione precisa delle altezze polari, le quali comunemente si prendono dalle due altezze meridiane di alcuna delle stelle fisse sempre apparenti, le quali altezze verranno alterate dalla refrazione, nell'istesso modo appunto che quelle della stella nuova; talch l'altezza polare, che da esse si deduce, verr difettosa, e partecipe dell'istesso mancamento che quest'autore ascrive alle altezze assegnate alla stella nuova, cio e quella e queste poste, con pari errore, pi sublimi del vero. Ma tale errore, per quanto appartiene al nostro presente negozio. non progiudica punto, perch non avendo noi bisogno di saper altro che la differenza tra le due distanze della stella nuova dal polo, mentre ella gli fu inferiore e poi superiore, chiara cosa che tali distanze saran l'istesse posta l'alterazion della refrazione comunemente per la stella e per il polo, ch' comunemente emendata per questo e per quella. Arebbe qualche momento, bench debolissimo, l'argomento dell'autore, se egli ci avesse assicurati che l'altezza del polo fusse stata assegnata precisa e emendata dall'error dependente dalla refrazione, dal quale non si fussero poi guardati i medesimi astronomi nell'assegnarci l'altezze della stella nuova; ma egli di ci non ci ha fatti sicuri, n forse ce ne poteva fare, e forse (e questo pi credibile) tal cautela stata tralasciata da gli osservatori.

   SAGR. Parmi soprabbondantemente annullata questa instanza; per ditemi in qual maniera e' si libera poi da quell'aver mantenuta sempre la medesima distanza dalle stelle fisse sue circonvicine.

   SALV. Apprendendosi similmente a due fili ancor pi deboli dell'altro, l'uno de' quali pur legato alla refrazione, ma tanto men saldamente, quanto e' dice che, pur la refrazione operando nella stella nuova e sublimandola sopra il vero sito rende incerte le distanze vedute dalle vere, comparate alle stelle fisse sue vicine; n posso a bastanza maravigliarmi come e' dissimuli d'accorgersi che la medesima refrazione lavorer nell'istesso modo nella stella nuova che nell'antica, sua vicina, sublimando amendue egualmente, onde da tale accidente l'intervallo tra esse resti inalterato. L'altro refugio ancora pi infelice e tiene assai del ridicolo, fondandosi sopra l'errore che pu nascere nell'operazione stessa strumentale, mentre che l'osservatore, non potendo costituire il centro della pupilla dell'occhio nel centro del sestante (strumento adoprato nell'osservare gl'intervalli tra due stelle), ma tenendolo elevato sopra detto centro quant' la distanza di essa pupilla da non so che osso della gota, dove s'appoggia il capo dello strumento, si viene a formar nell'occhio un angolo pi acuto di quello che si forma da i lati del sestante: il qual angolo de' raggi differisce anco da se stesso, mentre si riguardano stelle poco elevate sopra l'orizonte e le medesime poi poste in grande altura. Si fa, dice, tal angolo differente, mentre si vadia elevando lo strumento, tenendo ferma la testa: ma se nell'alzar il sestante si piegasse il collo indietro e si andasse elevando la testa insieme con lo strumento, l'angolo allora si conserverebbe l'istesso: suppone dunque la risposta dell'autore che gli osservatori, nell'uso dello strumento, non abbiano alzato la testa conforme al bisogno, cosa che non ha del verisimile. Ma posto anco che cos fusse seguito, lascio giudicare a voi qual differenza pu essere tra due angoli acuti di due triangoli equicruri, i lati dell'uno de i quali triangoli siano lunghi ciascuno quattro braccia, e quelli dell'altro quattro braccia meno quant' il diametro d'una lente; ch assolutamente non maggiore pu essere la differenza tra la lunghezza delli due raggi visivi mentre la linea vien tirata perpendicolarmente dal centro della pupilla sopra il piano dell'aste del sestante (la qual linea non maggiore che la grossezza del pollice), e la lunghezza de i medesimi raggi mentre, elevandosi il sestante senza alzar insieme la testa, tal linea non cade pi a perpendicolo sopra detto piano, ma inclina, facendo l'angolo verso la circonferenza alquanto acuto. Ma per liberare in tutto e per tutto questo autore da queste infelicissime mendicit, sappia (gi che si vede che egli non ha molta pratica nell'uso de gli strumenti astronomici) che ne i lati del sestante o quadrante si accomodano due traguardi uno nel centro e l'altro nell'estremit opposta, i quali sono elevati un dito o pi dal piano dell'aste e per le sommit di tali traguardi si fa passar il raggio dell'occhio, il quale occhio si tiene anco remoto dallo strumento un palmo o due o pi ancora; talch n pupilla, n osso di gota, n di tutta la persona, tocca n si appoggia allo strumento; il quale strumento n meno si sostiene o si eleva a braccia, e massime se saranno di quei grandi, come si costuma, li quali, pesando le decine e le centinaia ed anco le migliaia delle libbre, si sostengono sopra basi saldissime: talch tutta l'instanza svanisce. Questi sono i sutterfugii di questo autore, i quali, quando ben fussero tutto acciaio, non lo potrebbero sollevare d'un centesimo di minuto: e con questi si persuade di darci a credere d'aver compensata quella differenza che importa pi di cento minuti, dico del non si esser osservata notabil diversit nelle distanze tra una fissa e la nuova stella in tutta la lor circolazione, che, quando ella fusse stata prossima alla Luna, doveva farsi grandemente cospicua anco alla semplice vista, senza strumento veruno, e massime paragonandola con l'undecima di Cassiopea, sua vicina a gr. 1 e mezo; che di pi di due diametri della Luna doveva variarsi, come ben avvertirono i pi intelligenti astronomi di quei tempi.

   SAGR. Mi par di vedere quell'infelice agricoltore, che dopo l'essergli state battute e destrutte dalla tempesta tutte le sue aspettate ricolte, va con faccia languida e china raggranellando reliquie cos tenui, che non son per bastargli a nutrir n anco un pulcino per un sol giorno.

   SALV. Veramente che con troppo scarsa provisione d'arme s' levato quest'autore contro a gl'impugnatori della inalterabilit del cielo, e con troppo fragili catene ha tentato di ritirar dalle regioni altissime la stella nuova di Cassiopea in queste basse ed elementari. E perch mi pare che assai chiaramente si sia dimostrata la differenza grande che tra i motivi di quelli astronomi e di questo loro oppugnatore, sar bene che, lasciata questa parte, torniamo alla nostra principal materia; nella quale segue la considerazione del movimento annuo comunemente attribuito al Sole, ma poi, da Aristarco Samio  in prima, e dopo dal Copernico, levato dal Sole e trasferito nella Terra; contro alla qual posizione sento venir gagliardamente provisto il signor Simplicio, ed in particolare con lo stocco e con lo scudo del libretto delle conclusioni o disquisizioni matematiche, l'oppugnazioni del quale sar bene cominciare a proporre.

   SIMP. Voglio, quando cos vi piaccia, riserbarle in ultimo, come quelle che sono le ultime ritrovate.

   SALV. Sar dunque necessario che voi, conforme al modo tenuto sin qui, andiate ordinatamente proponendo le ragioni in contrario, s d'Aristotile come di altri antichi, il che son per far io ancora, acci non resti nulla indietro senza esser attentamente considerato ed esaminato; e parimente il signor Sagredo con la vivacit del suo ingegno, secondoch si sentir svegliare, produrr in mezo i suoi pensieri.

   SAGR. Lo far con la mia solita libert; e perch voi cos comandate, sarete anco in obbligo di scusarla.

   SALV. Il favore obbligher a ringraziarvi, e non a scusarvi. Ma cominci or mai il signor Simplicio a promuover quelle difficult che lo respingono dal poter credere che la Terra, a guisa de gli altri pianeti, si possa muover in giro intorno ad un centro stabile.

   SIMP. La prima e massima difficult la repugnanza ed incompatibilit che tra l'esser nel centro e l'esserne lontano: perch, quando il globo terrestre si abbia a muover in un anno per la circonferenza di un cerchio, cio sotto il zodiaco, impossibile che nell'istesso tempo e' sia nel centro del zodiaco; ma che la Terra sia in tal centro, in molti modi provato da Aristotile, da Tolomeo e da altri.

   SALV. Molto bene discorrete; e non dubbio alcuno che chi vorr far muover la Terra per la circonferenza di un cerchio, bisogna prima che e' provi che ella non sia nel centro di quel tal cerchio. Sguita dunque ora che noi vegghiamo se la Terra sia o non sia in quel centro, intorno al quale io dico che ella si gira, e voi dite ch'ell' collocata; e prima che questo, necessario ancora che ci dichiariamo se di questo tal centro abbiamo voi ed io l'istesso concetto o no. Per dite quale e dove questo vostro inteso centro.

   SIMP. Intendo per centro quello dell'universo, quello del mondo, quello della sfera stellata, quel del cielo.

   SALV. Ancorch molto ragionevolmente io potessi mettervi in controversia, se in natura sia un tal centro, essendo che n voi n altri ha mai provato se il mondo sia finito e figurato, o pure infinito e interminato; tuttavia, concedendovi per ora che ei sia finito e di figura sferica terminato, e che per ci abbia il suo centro, converr vedere quanto sia credibile che la Terra, e non pi tosto altro corpo, si ritrovi in esso centro.

   SIMP. Che il mondo sia finito e terminato e sferico, lo prova Aristotile con cento dimostrazioni.

   SALV. Le quali si riducono poi tutte ad una sola, e quella sola al niente; perch se io gli negher il suo assunto, cio che l'universo sia mobile, tutte le sue dimostrazioni cascano, perch e' non prova esser finito e terminato se non quello dell'universo che mobile. Ma per non multiplicar le dispute, concedasi per ora che il mondo sia finito, sferico, ed abbia il suo centro: e gi che tal figura e centro si argomentato dalla mobilit, non sar se non molto ragionevole se da gl'istessi movimenti circolari de' corpi mondani noi andremo alla particolar investigazione del sito proprio di tal centro; anzi Aristotile medesimo ha egli pur nell'istessa maniera discorso e determinato, facendo centro dell'universo quell'istesso intorno al quale tutte le celesti sfere si girano e nel quale ha creduto venir collocato il globo terrestre. Ora ditemi, signor Simplicio: quando Aristotile si trovasse costretto da evidentissime esperienze a permutar in parte questa sua disposizione ed ordine dell'universo, ed a confessare d'essersi ingannato in una di queste due proposizioni, cio o nel por la Terra nel centro, o nel dir che le sfere celesti si movessero intorno a cotal centro, qual delle due confessioni credete voi ch'egli eleggesse?

   SIMP. Credo che quando il caso accadesse, i Peripatetici

   SALV. Non domando de i Peripatetici, domando d'Aristotile medesimo; ch quanto a quelli so benissimo ci che risponderebbero. Essi, come reverentissimi ed umilissimi mancipii d'Aristotile, negherebbero tutte l'esperienze e tutte l'osservazioni del mondo, e recuserebbero anco di vederle, per non le avere a confessare, e direbbero che il mondo sta come scrisse Aristotile, e non come vuol la natura, perch, toltogli l'appoggio di quell'autorit, con che vorreste che comparissero in campo? E per ditemi pure quel che voi stimate che fusse per far Aristotile medesimo.

   SIMP. Veramente non mi saprei risolvere, qual de' due inconvenienti e' fusse per reputar minore.

   SALV. Non usate, di grazia, questo termine di chiamar inconveniente quel che potrebb'esser necessario che fusse cos. Inconveniente fu il voler por la Terra nel centro delle celesti revoluzioni. Ma gi che voi non sapete in qual parte e' fusse per inclinare, stimandolo io uomo di grand'ingegno andiamo esaminando qual delle due elezioni sia la pi ragionevole, e quella reputiamo che fusse la ricevuta da Aristotile. Ripigliando dunque il nostro ragionamento da principio, e posto, in grazia d'Aristotile, che il mondo (della grandezza del quale non abbiamo sensata notizia oltre alle stelle fisse), come quello che di figura sferica e circolarmente si muove, abbia necessariamente, e rispetto alla figura e rispetto al moto, un centro, ed essendo noi oltre a ci sicuri che dentro alla sfera stellata sono molti orbi, l'uno dentro all'altro, con loro stelle, che pur circolarmente si muovono, si cerca quel che sia pi ragionevol credere e dire, che questi orbi contenuti si muovano intorno all'istesso centro del mondo, o pure intorno ad altro assai lontano da quello. Dite ora, signor Simplicio, il parer vostro circa questo particolare.

   SIMP. Quando noi potessimo fermarci sopra questo solo presupposto, e che fussimo sicuri di non poter incontrar qualche altra cosa che ci disturbasse, io direi che molto pi ragionevol fusse il dire che il continente e le parti contenute si movesser tutte circa un comun centro, che sopra diversi.

   SALV. Ora, quando sia vero che 'l centro del mondo sia l'istesso che quello intorno al quale si muovono gli orbi de i corpi mondani, cio de' pianeti, certissima cosa che non la Terra, ma pi tosto il Sole, si trova collocato nel centro del mondo; talch, quanto a questa prima semplice e generale apprensione, il luogo di mezo del Sole, e la Terra si trova tanto remota dal centro quanto dall'istesso Sole.

   SIMP. Ma da che argumentate voi che non la Terra, ma il Sole, sia nel centro delle conversioni de' pianeti?

   SALV. Concludesi da evidentissime, e perci necessariamente concludenti, osservazioni, delle quali le pi palpabili, per escluder la Terra da cotal centro e collocarvi il Sole, sono il ritrovarsi tutti i pianeti ora pi vicini ed ora pi lontani dalla Terra, con differenze tanto grandi, che, verbigrazia, Venere lontanissima si trova sei volte pi remota da noi che quando ell' vicinissima, e Marte si inalza quasi otto volte pi in uno che in un altro stato. Vedete intanto se Aristotile s'ingann di qualche poco in creder che e' fussero sempre egualmente remoti da noi.

   SIMP. Quali poi sono gl'indizii che i movimenti loro sieno intorno al Sole?

   SALV. Si argomenta ne i tre pianeti superiori, Marte Giove e Saturno, dal trovarsi sempre vicinissimi alla Terra quando sono all'opposizion del Sole, e lontanissimi quando sono verso la congiunzione; e questo avvicinamento ed allontanamento importa tanto, che Marte vicino si vede ben 60 volte maggiore che quando lontanissimo. Di Venere poi e di Mercurio si ha certezza del rivolgersi intorno al Sole dal non si allontanar mai molto da lui e dal vedersegli or sopra ed or sotto, come la mutazion di figure in Venere  conclude necessariamente. Della Luna vero che ella non si pu in verun modo separar dalla Terra, per le ragioni che pi distintamente nel progresso si produrranno.

   SAGR. Io mi aspetto d'aver a sentir cose ancor pi meravigliose, dependenti da questo movimento annuo della Terra, che non sono state le dependenti dalla conversione diurna.

   SALV. Voi non v'ingannate punto: perch, quanto all'operar il moto diurno ne' corpi celesti, non fu n potette esser altro che il farci apparir l'universo precipitosamente scorrer in contrario; ma questo moto annuo, mescolandosi con i moti particolari di tutti i pianeti, produce moltissime stravaganze, le quali hanno fatto sin ora perder la scherma a tutti i maggiori uomini del mondo. Ma ritornando alle prime apprensioni generali, replico che il centro delle celesti conversioni de i cinque pianeti, Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio, il Sole; e sar del moto della Terra ancora, se ci succeder di metterla in cielo. Quanto poi alla Luna, questa ha un moto circolare intorno alla Terra, dalla quale (come ho gi detto) in modo alcuno non si pu separare; ma non per resta ella d'andare intorno al Sole insieme con la Terra co 'l movimento annuo.

   SIMP. Io non resto ancora ben capace di questa struttura; e forse co 'l farne un poco di disegno s'intender meglio, e pi agevolmente si potr discorrere intorno ad essa.

   SALV. E cos sia: anzi, per vostra maggior sodisfazione e meraviglia insieme, voglio che voi stesso la disegniate, e veggiate come, non credendo d'intenderla, ottimamente la capite; e solo co 'l risponder alle mie interrogazioni la descriverrete puntualmente. Pigliate dunque un foglio e le seste: e sia questa carta bianca l'immensa espansione dell'universo, nella quale voi avete a distribuire ed ordinar le sue parti conforme a che la ragione vi detter. E prima, essendo che senza mio insegnamento voi tenete per fermo la Terra esser collocata in questo universo, per notate un punto a vostro beneplacito, intorno al quale voi intendete ella esser collocata, e contrassegnatelo con qualche carattere.

   SIMP. Sia questo, segnato A, il luogo del globo terrestre.

   SALV. Bene sta. So, secondariamente, che voi sapete benissimo che essa Terra non dentro al corpo solare, n meno a quello contigua, ma per certo spazio distante; e per assegnate al Sole qual altro luogo pi vi piace, remoto dalla Terra a vostro beneplacito e questo ancora contrassegnate.

   SIMP. Ecco fatto: sia il luogo del corpo solare questo, segnato O.

   SALV. Stabiliti questi due, voglio che pensiamo di accomodar il corpo di Venere in tal maniera, che lo stato e movimento suo possa sodisfar a ci che di essi ci mostrano le sensate apparenze; e per riducetevi a memoria quello che, o per i discorsi passati o per vostre proprie osservazioni, avete compreso accadere in tale stella; e poi assegnatele quello stato che vi parr convenirsele.

 

   SIMP. Posto che sieno vere le apparenze narrate da voi, e che ho lette ancora nel libretto delle conclusioni, cio che tale stella non si discosti mai dal Sole oltre a certo determinato intervallo di 40 e tanti gradi, s che ella gi mai non arrivi non solamente all'opposizion del Sole, ma n anco al quadrato, n tampoco all'aspetto sestile; e pi, che ella si mostri in un tempo quasi 40 volte maggiore che in altro tempo, cio grandissima quando, sendo retrograda, va alla congiunzion vespertina del Sole, e piccolissima quando con movimento diretto va alla congiunzion mattutina; e di pi, sendo vero che quando ella appar grandissima, si mostri di figura cornicolata, e quando appar piccolissima, si vegga rotonda perfettamente; sendo, dico, vere cotali apparenze, non veggo che si possa sfuggire di affermare, tale stella raggirarsi in un cerchio intorno al Sole, poich tal cerchio in niuna maniera si pu dire che abbracci e dentro di s contenga la Terra, n meno che sia inferiore al Sole, cio tra esso e la Terra, n anco superior al Sole. Non pu tal cerchio abbracciar la Terra, perch Venere verrebbe talvolta all'opposizion del Sole; non pu esser inferiore, perch Venere circa l'una e l'altra congiunzione co 'l Sole si mostrerebbe falcata; n pu esser superiore, perch si mostrerebbe sempre rotonda, n mai cornicolata. E per per il ricetto di lei segner il cerchio C H intorno al Sole, senza che egli abbracci la Terra.

   SALV. Accomodata Venere, bene che pensiate a Mercurio, il quale, come sapete, trattenendosi sempre intorno al Sole, molto meno da lui si allontana che Venere, per considerate qual luogo convenga assegnargli.

   SIMP. Non dubbio che, immitando egli Venere, accomodatissima stanza sar per lui un minor cerchio dentro a questo di Venere, e pure intorno al Sole, essendo, massime della sua vicinit al Sole, argomento ed indizio assai concludente la vivacit del suo splendore sopra quello di Venere e de gli altri pianeti: potremo dunque con tal fondamento segnare il suo cerchio, notandolo con li caratteri B G.

   SALV. Marte poi dove lo metteremo?

   SIMP. Marte, perch viene all'opposizion del Sole, necessario che co 'l suo cerchio abbracci la Terra: ma veggo ch'e' bisogna per necessit ch'egli abbracci il Sole ancora; imperocch, venendo alla congiunzion co 'l Sole, se e' non gli passasse di sopra, ma gli fusse inferiore, apparirebbe cornicolato, come fa Venere e la Luna; ma egli si mostra sempre rotondo; adunque necessario che egli includa dentro al suo cerchio non meno il Sole che la Terra. E perch mi sovviene che voi abbiate detto che quando esso all'opposizion del Sole si mostra 60 volte maggiore che quando verso la congiunzione, parmi che molto bene si accomoder a queste apparenze un cerchio intorno al centro del Sole e che abbracci la Terra, quale io noto adesso e contrassegno D I: dove Marte nel punto D vicinissimo alla Terra, ed opposto al Sole; ma quando nel punto I, alla congiunzion co 'l Sole, ma lontanissimo dalla Terra. E perch l'istesse apparenze si osservano in Giove ed in Saturno, se ben con assai minor diversit in Giove che in Marte, e con minor ancora in Saturno che in Giove, mi par comprendere che molto acconciamente sodisfaremo anco a questi due pianeti con due cerchi pur intorno al Sole, e questo primo per Giove segnandolo E L, ed un altro superiore per Saturno notato F M.

   SALV. Voi sin qui vi sete portato egregiamente. E perch (come vedete) l'appressamento e discostamento de' tre superiori vien misurato dal doppio della distanza tra la Terra e 'l Sole, questa fa maggior diversit in Marte che in Giove, per essere il cerchio D I di Marte minore del cerchio E L di Giove; e similmente perch questo E L minore del cerchio F M di Saturno, la medesima diversit ancor minore in Saturno che in Giove: e ci puntualmente risponde all'apparenze. Resta ora che pensiate di assegnare il luogo alla Luna.

   SIMP. Seguendo l'istesso metodo, che mi par concludentissimo, poich veggiamo che la Luna viene alla congiunzione ed all'opposizione del Sole, necessario dire che il suo cerchio abbracci la Terra; ma non bisogna gi che egli abbracci il Sole, perch quando ella fusse verso la congiunzione, non si mostrerebbe falcata, ma sempre rotonda e piena di lume; oltre che gi mai non potrebbe ella farci, come spesse volte fa, l'eclisse del Sole, con l'interporsi tra esso e noi. E dunque necessario assegnarle un cerchio intorno alla Terra, qual sarebbe questo N P, s che costituita in P ci apparisca dalla Terra A congiunta co 'l Sole, onde possa talora eclissarlo, e posta in N si vegga opposta al Sole, ed in tale stato possa cadere nell'ombra della Terra ed oscurarsi

   SALV. Ora che faremo, signor Simplicio, delle stelle fisse? Vogliamole por disseminate per gl'immensi abissi dell'universo, in diverse lontananze da qualsivoglia determinato punto, o pur collocate in una superficie sfericamente distesa intorno a un suo centro, s che ciascheduna di loro sia dal medesimo centro egualmente distante?

   SIMP. Pi tosto torrei una strada di mezo, e gli assegnerei un orbe descritto intorno a un determinato centro e compreso dentro a due superficie sferiche, cio una altissima concava e l'altra inferiore convessa tra le quali costituirei l'innumerabil moltitudine delle stelle, ma per in diverse altezze; e questa si potrebbe chiamar la sfera dell'universo, continente dentro di s gli orbi de i pianeti, gi da noi disegnati.

   SALV. Adunque gi aviamo noi, signor Simplicio, sin qui ordinati i corpi mondani giusto secondo la distribuzion del Copernico, e ci si fatto di propria mano vostra: e di pi a tutti avete voi assegnati movimenti proprii, eccettuatone il Sole, la Terra e la sfera stellata, ed a Mercurio con Venere avete attribuito il moto circolare intorno al Sole senza abbracciar la Terra: intorno al medesimo Sole fate muover li tre superiori, Marte, Giove e Saturno, comprendendo la Terra dentro a i cerchi loro; la Luna poi non pu muoversi in altra maniera che intorno alla Terra, senza abbracciar il Sole: e pure in questi moti convenite voi ancora co 'l medesimo Copernico. Restano ora da decidere, tra il Sole, la Terra e la sfera stellata, tre cose: cio la quiete che apparisce esser della Terra; il movimento annuo sotto il zodiaco, che apparisce esser del Sole; e il movimento diurno, che apparisce esser della sfera stellata, con participarlo a tutto il resto dell'universo, eccettuatone la Terra. Ed essendo vero che tutti gli orbi de' pianeti, dico di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, si muovono intorno al Sole, come centro loro, di esso Sole par tanto pi ragionevole che sia la quiete che della Terra, quanto di sfere mobili pi ragionevole che il centro stia fermo che alcun altro luogo da esso centro remoto: alla Terra, dunque, la qual resta costituita in mezo a parti mobili, dico tra Venere e Marte, che l'una fa la sua revoluzione in nove mesi e l'altro in due anni, molto acconciamente si pu attribuire il movimento d'un anno, lasciando la quiete al Sole. E quando ci sia, segue per necessaria conseguenza che anco il moto diurno sia della Terra: imperocch se, stando fermo il Sole, la Terra non si rivolgesse in se stessa, ma solo avesse il movimento annuo intorno al Sole, il nostro anno non sarebbe altro che un giorno ed una notte, cio sei mesi di giorno e sei mesi di notte, com'altra volta s' detto. Vedete poi quanto acconciamente vien levato dall'universo il precipitosissimo moto delle 24 ore, e come le stelle fisse, che sono tanti Soli, conforme al nostro Sole godono una perpetua quiete. Vedete in oltre quanta agevolezza si trovi in questo primo abbozzamento, per render le ragioni di apparenze tanto grandi ne' corpi celesti.

   SAGR. Io la scorgo benissimo; ma s come voi da questa simplicit raccogliete gran probabilit per la verit di cotal sistema, altri forse per l'opposito ne potrebbe far contrarie deduzioni, dubitando, non senza ragione, come, essendo tal costituzione antichissima de' Pittagorici e tanto bene accomodata all'apparenze, abbia poi nel progresso di migliaia d'anni auto cos pochi seguaci, e sia sin da Aristotile medesimo stata rifiutata, e doppo l'istesso Copernico vadia continuando nell'istessa fortuna.

 

SALV. Se voi, signor Sagredo, vi foste alcuna volta abbattuto, s com'io molte e molte volte incontrato mi sono, a sentir quali sorte di scempiezze bastano a render contumace ed impersuasibile il vulgo al prestar l'orecchio, non che l'assenso, a queste novit, credo che assai in voi si diminuirebbe la meraviglia del trovarsi cos pochi seguaci di tale opinione; ma poca stima, per mio parere, si deve fare di cervelli a i quali, per confermargli e fissamente ritenergli nell'immobilit della Terra, concludentissima dimostrazione il vedere come stamani non saranno a desinar in Costantinopoli n stasera a cena nel Giappone, e che son certi che la Terra, come gravissima, non pu montar su sopra il Sole e poi a rompicollo calare a basso. Di questi tali, il numero de' quali infinito, non bisogna tener conto n registrar le loro sciocchezze e cercar di fare acquisto d'uomini nella cui difinizione entra solo il genere e manca la differenza, per avergli per compagni nelle opinioni sottilissime e delicatissime. In oltre, qual guadagno credereste voi di poter mai fare con tutte le dimostrazioni del mondo in cervelli tanto stolidi, che non sono per se stessi bastanti a conoscer le lor cos estreme pazzie? Ma la mia, signor Sagredo, molto differente dalla vostra meraviglia: voi vi maravigliate che cos pochi siano seguaci della opinione de' Pitagorici; ed io stupisco come si sia mai sin qui trovato alcuno che l'abbia abbracciata e seguita, n posso a bastanza ammirare l'eminenza dell'ingegno di quelli che l'hanno ricevuta e stimata vera, ed hanno con la vivacit dell'intelletto loro fatto forza tale a i proprii sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava, a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario. Che le ragioni contro alla vertigine diurna della Terra, gi esaminate da voi, abbiano grandissima apparenza, gi l'abbiamo veduto, e l'averle ricevute per concludentissime i Tolemaici, gli Aristotelici e tutti i lor seguaci, ben grandissimo argomento della loro efficacia; ma quelle esperienze che apertamente contrariano al movimento annuo, son ben di tanto pi apparente repugnanza, che (lo torno a dire) non posso trovar termine all'ammirazion mia, come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragion tanta violenza al senso, che contro a questo ella si sia fatta padrona della loro credulit.

   SAGR. Adunque siamo per avere altri contrasti gagliardi contro a questo movimento annuo ancora?

   SALV. Siamo; e tanto evidenti e sensati, che se senso superiore e pi eccellente de i comuni e naturali  non si accompagnava con la ragione, dubito grandemente che io ancora sarei stato assai pi ritroso contro al sistema Copernicano, di quello che stato non sono doppo che pi chiara lampada che la consueta mi ha fatto lume

   SAGR. Or dunque, signor Salviati, vegnamo, come si dice, alle strette, ch ogni parola che si spende in altro mi par gettata via.

   SALV. Eccomi a servirvi.

 SIMP. Di grazia, signori, permettetemi che io riduca a tranquillit la mia mente, che ora mi ritrovo molto fluttuante per certo particolare pur ora tocco dal signor Salviati, acci che io possa poi, spianate che siano l'onde, pi distintamente ricever le vostre specolazioni: imper che non ben s'imprimano le spezie nello speccio ondeggiante, come il Poeta latino graziosamente ci espresse dicendo: nuper me in littore vidi cum placidum ventis staret mare. ([27])

   SALV. Voi avete molto ben ragione, e per dite i vostri dubbii

   SIMP Voi avete ultimamente spacciati per egualmente d'ingegno ottuso quelli che negano alla Terra il moto diurno, perch non si veggono da quello trasportare in Persia o nel Giappone, e quelli che son contrarianti al moto annuo per la repugnanza che sentono nel dovere ammettere che la vastissima e gravissima mole del globo terrestre possa sollevarsi in alto e quindi calare abasso, come converrebbe che facesse quando intorno al Sole con tal movimento si rigirasse: ed io, non prendendo rossore d'essere annumerato tra questi sciocchi, sento l'istessa repugnanza nel mio cervello, quanto per a questo secondo punto che oppone al moto annuo, e massimamente mentre veggo quanta resistenza faccia all'esser mossa anco per piano, non dir una montagna ma una pietra che piccola parte sia d'una rupe alpestre. Per, non disprezzando affatto simili instanze, vi prego a risolverle, e non solo per me, quanto per altri, a i quali sembrano concludentissime; perch ho per assai difficile che alcuno per semplice che sia, conosca e confessi la sua semplicit, mosso dal solo sentirsi reputare per tale.

   SAGR. Anzi, quanto pi semplice, tanto pi sar egli impersuasibile del suo difetto. E con questa occasione vo considerando come non solamente per sodisfare al signor Simplicio, ma per altro rispetto ancora, non meno importante, bene risolver questa ed altre instanze di simil sorte, poich si vede che non mancano uomini, nella comune filosofia ed in altre scienze versatissimi, che, per mancamento o dell'astronomia o delle matematiche o di qual altra facolt si sia che acuisce l'ingegno alla penetrazion del vero, restano persuasi da discorsi tanto vani: per lo che mi par degna di commiserazione la condizione del povero Copernico, il quale non si pu tener sicuro che la censura delle sue dottrine non possa per avventura cadere in mano di persone, che non sendo abili a restar capaci delle sue ragioni sottilissime e per ci difficili ad esser comprese ma ben di gi persuasi da simili vane apparenze della falsit di quelle, per false e per erronee le vadano predicando. Per lo che, quando non si potessero render capaci di quelle pi astruse, bene procurare che conoscano la nullit di queste altre, dalla qual cognizione venga moderato il giudizio e la condanna della dottrina che ora tengano per erronea. Recher dunque due altre obiezzioni, ma contro al moto diurno, le quali non molto che sentii produrre da persone di gran litteratura, e poi verremo al moto annuo. La prima fu, che quando fusse vero che non il Sole e l'altre stelle si sollevassero sopra l'orizonte orientale, ma che la parte orientale della Terra se gli abbassasse sotto, restando quelle immobili, bisognerebbe che di l a poche ore le montagne situate a levante declinando in gi mediante la conversion del globo terrestre, si riducessero in tale stato, che dove poco fa per ascendere al lor giogo conveniva caminare all'erta, convenisse di poi, per condursi lass, scendere alla china. L'altra fu, che quando il moto diurno fusse della Terra, doverebbe esser tanto veloce, che uno costituito nel fondo di un pozzo non potrebbe se non per un momento di tempo vedere una stella che gli fusse sopra 'l vertice, non la potendo egli vedere se non quel brevissimo tempo nel quale passa 2 o 3 braccia della circonferenza della Terra, ch tanta sar la larghezza del pozzo: tutta via si vede per esperienza che il passaggio apparente di tale stella, nel traversare il pozzo, consuma assai lungo tempo; argomento necessario che la bocca del pozzo non si muove altramente con quella furia che converrebbe alla diurna conversione, e, per consequenza, che la Terra immobile.

   SIMP. Di questi 2 argomenti, il secondo veramente mi pare assai concludente: ma quanto al primo, crederei di potermi da per me stesso disbrigare, mentre considero che l'istesso che il globo terrestre, rivolgendosi intorno al proprio centro porti una montagna verso levante, che se, stando fermo il globo, la montagna, svelta dalla radice, fusse strascicata sopra la Terra; ed il portare il monte sopra la superficie della Terra non veggo che sia differente operazione dal condurre una nave per la superficie del mare: onde, tuttavolta che l'instanza del monte valesse, ne seguirebbe parimente che, continuando la nave il suo viaggio, discostata che ella si fusse da i nostri porti per molti gradi, ci convenisse per andare sopra 'l suo albero non pi salire, ma muoversi per la piana e poi ancora scendere, il che non accade, n io ho mai sentito alcun marinaro, etiam di quelli che hanno circondato tutto 'l globo, che ponga differenza veruna circa tale operazione, n intorno ad alcun altro ministerio che si faccia in nave, per ritrovarsi il vassello pi in questa che in qualsivoglia altra parte.

   SALV. Voi molto ben discorrete: e se all'autore di quella instanza fusse mai caduto in mente di considerare che la sua vicina montagna, postagli a levante, quando il globo terrestre girasse, di l a 2 ore per tal moto si troverebbe condotta col dove ora si trova, verbigrazia, il monte Olimpo o 'l Carmelo, arebbe compreso come dal suo proprio modo di argomentare si costrigneva a credere e confessare che per andare nel vertice di detti monti, de facto conviene sciendere. Questi sono di quei cervelli atti a negar gli antipodi, atteso che non si pu caminare col capo all'ingi e coi piedi attaccati al palco; questi da concetti veri, ed anco perfettamente intesi da loro, non sanno poi dedur soluzioni facilissime a i lor dubbi: voglio dire che benissimo intendono che il gravitare e lo sciendere tendere verso 'l centro del globo terrestre, e che 'l salire il discostarsene; si perdono poi nell'intendere che gli antipodi nostri per sostenersi e caminare non hanno difficolt veruna, perch fanno giusto come noi, cio tengono le piante de' piedi verso 'l centro della Terra e 'l capo verso 'l cielo.

   SAGR. E pur sappiamo, uomini in altre dottrine di subblimi ingegni essersi abbagliati in tali cognizioni; dal che tanto maggiormente vien confermato quello che pur ora dicevo, cio che bene rimuover tutte le obbiezzioni, ancor che debolissime: e per rispondasi pur ancora a quei del pozzo.

   SALV Questo secondo argomento ha bene in apparenza un non so che pi del concludente; tutta via io tengo per fermo che quando si potesse interrogare quell'istesso a chi e' sovvenne, acci meglio si spiegasse con dichiarare qual sia precisamente l'effetto che dovrebbe seguire, e che gli par che non segua, posta la conversion diurna esser della Terra, credo, dico, che egli si avvilupperebbe nell'espor la sua difficolt con le sue conseguenze, forse non meno di quel ch' e' farebbe nello svilupparsene col pensarvi.

   SIMP. S'io debbo dire 'l vero, stimo certo che cos accaderebbe, imper che io ancora di presente mi trovo nella medesima confusione: perch mi pare che l'argomento stringa, quanto alla prima apprensione; ma all'incontro veggo come per nebbia che se il discorso procedesse rettamente, quella immensa rapidit di corso che si dovrebbe scorger nella stella quando il moto fusse della Terra, si doverebbe ancora, anzi molto pi, scorger nella medesima quando il moto fusse suo, dovendo esser molte migliaia di volte pi veloce nella stella che nella Terra. All'incontro poi, l'aversi a perder la vista della stella per il solo trapasso della bocca del pozzo, che sar poi 2 o tre braccia di diametro, mentre il pozzo con la Terra ne trapassano assai pi di 2.000.000 in un'ora, par ben che abbia da esser cosa tanto momentanea, che n anco possa esser compresa; e pur dal fondo del medesimo pozzo per assai lungo spazio di tempo vien ella veduta. Per vengo in desiderio d'esser ridotto in chiaro di questo negozio.

   SALV. Ora mi confermo io maggiormente nel credere la confusione dell'autor dell'instanza, mentre veggo che voi ancora, signor Simplicio, adombrate, n ben possedete, quello che dir vorreste: il che raccolgo io principalmente dal tralasciar voi una distinzione, che un punto principalissimo in questa faccenda. Per ditemi se nel far questa esperienza, dico di questo trapasso di stella sopra la bocca del pozzo, voi fate differenza veruna dall'essere il pozzo pi o men profondo, cio dall'esser quello che osserva pi o men distante dalla bocca; perch non vi ho sentito far caso sopra ci.

   SIMP. Veramente non ci ho applicato il pensiero, ma ben la vostra interrogazione mi sveglia la mente, e mi accenna, tal distinzione dovere esser necessariissima; e gi comincio a comprendere che per determinare il tempo di tal passaggio, la profondit del pozzo pu per avventura arrecar diversit non minore che la larghezza.

   SALV. Anzi pur vo io dubitando che la larghezza non ci abbia che far niente, o pochissimo.

   SIMP. E pur mi pare che dovendo scorrer 10 braccia di larghezza ricerchi dieci volte pi tempo che il trapasso di un braccio: e son sicuro che una barchetta lunga 10 braccia prima mi trapasser innanzi alla vista, che una galera lunga cento.

   SALV. E pur persistiamo ancora in quello inveterato concetto, di non ci muover se non tanto quanto le nostre gambe ci portano. Questo che voi dite, signor Simplicio mio vero quando l'oggetto veduto si muove stando voi fermo a osservarlo; ma se voi sarete nel pozzo quando il pozzo e voi insieme siate portati dalla terrestre conversione non vedete voi che n in un'ora n in mille n in eterno sarete trapassato dalla bocca del pozzo? Quello che in tal caso operi in voi il muoversi o non muoversi la Terra, non pu riconoscersi nella bocca del pozzo, ma in altro oggetto separato e che non partecipi della medesima condizione dico di moto o di quiete.

   SIMP. Tutto sta bene: ma posto che io, stando nel pozzo, sia portato di conserva con esso dal moto diurno, e che la stella da me veduta sia immobile, non essendo l'apertura del pozzo, che sola d il passaggio alla mia vista, pi di tre braccia de i tanti milioni di braccia del resto della superficie terrestre, che la vista m'impedisce, come potr essere il tempo della veduta sensibil parte di quello dell'occultazione?

   SALV. E pur ricadete nel medesimo equivoco: ed in effetto sete bisognoso di chi v'aiuti a uscirne. Non , signor Simplicio, la larghezza del pozzo quella che misura il tempo dell'apparizion della stella, perch cos la vedreste perpetuamente, essendo che perpetuamente la bocca del pozzo d il transito alla vostra vista; ma tal misura si deve prendere dalla quantit del cielo immobile, che per l'apertura del pozzo vi resta visibile.

   SIMP. Ma quello che mi si scuopre del cielo non egli tal parte di tutta la sfera celeste, quale la bocca del pozzo di tutta la terrestre?

   SALV. Voglio che vi rispondiate da voi medesimo; per ditemi, se la bocca del medesimo pozzo sempre la medesima parte della superficie terrena.

   SIMP. senza dubbio la medesima sempre.

   SALV. E la parte del cielo veduta da quello che nel pozzo, ella sempre la medesima quantit di tutta la sfera celeste?

   SIMP. Ora comincio a disottenebrarmi la mente e a intender quello che poco fa mi accennaste, e che la profondit del pozzo ha che fare assai nel presente negozio; perch non dubbio che quanto pi si allontaner l'occhio dalla bocca del pozzo, minor parte del cielo si scoprir, la qual poi, in consequenza, pi presto verr trapassata e persa di vista da colui che dal profondo del pozzo la rimirer

   SALV. Ma vv'egli luogo alcuno nel pozzo dal quale si scoprisse tal parte appunto della celeste sfera, quale la bocca del pozzo della superficie terrena?

   SIMP. Parmi che quando si profondasse il pozzo sino al centro della Terra, forse di l si scoprirebbe una parte di cielo, che sarebbe di lui quale il pozzo della Terra. Ma discostandosi dal centro e salendo verso la superficie, si vien sempre scoprendo parte maggiore di esso cielo.

   SALV. E finalmente, posto l'occhio nel piano della bocca del pozzo, si scuopre la met del cielo o pochissimo meno, per la qual passare (dato che noi fussimo sotto l'equinoziale) ci vuol 12 ore di tempo.

   Gi vi ho disegnato la forma del sistema Copernicano: contro alla verit del quale muove prima fierissimo assalto Marte istesso, il quale, quando fusse vero che variasse tanto le sue distanze dalla Terra che dalla minima alla massima lontananza ci fusse differenza quanto due volte dalla Terra al Sole, sarebbe necessario che quando a noi vicinissimo si mostrasse il suo disco pi di 60 volte maggiore di quello che si mostra quando lontanissimo; tuttavia tal diversit di apparente grandezza non ci si scorge, anzi nella opposizione al Sole, quando vicino alla Terra, non si mostra n anco 4 o 5 volte pi grande che quando, verso la congiunzione, viene occultato sotto i raggi del Sole. Altra e maggior difficult ci fa Venere, che se girando intorno al Sole, come afferma il Copernico, gli fusse ora sopra ed ora sotto, allontanandosi ed appressandosi a noi quanto verrebbe ad esser il diametro del cerchio da lei descritto, quando fusse sotto il Sole e a noi vicinissima, dovrebbe il suo disco mostrarcisi poco meno di 40 volte maggiore che quando superiore al Sole, vicina all'altra sua congiunzione; tutta via la differenza quasi impercettibile. Aggiugnesi un'altra difficult: che quando il corpo di Venere sia per se stesso tenebroso, e solo risplenda, come la Luna, per l'illuminazion del Sole, come par ragionevole, quando ella si ritrova sotto il Sole, dovrebbe mostrarcisi falcata, come la Luna quando parimente ell' vicina al Sole: accidente che in lei non apparisce; per lo che il Copernico pronunzi che ella o fusse lucida per se medesima, o che la sua materia fusse tale, che potesse imbeversi del lume solare e quello trasmettere per tutta la sua profondit, s che potesse mostrarcisi sempre risplendente: ed in questo modo scus il Copernico il non mutar figura in Venere, ma della poco variata grandezza di lei non disse cosa veruna, e di Marte assai meno del suo bisogno, credo per non poter a sua sodisfazion salvare un'apparenza tanto repugnante alla sua posizione: e pur, persuaso da tanti altri rincontri, ci si mantenne, e l'ebbe per vera. Oltre a queste cose, il far che tutti i pianeti, insieme con la Terra, si muovano intorno al Sole, come centro delle lor conversioni, e che la Luna sola perturbi cotale ordine, ed abbia il suo movimento proprio intorno alla Terra, e che insieme insieme ed essa e la Terra e tutta la sfera elementare si muova in un anno intorno al Sole, par che alteri in guisa l'ordine, che lo renda inverisimile e falso. Queste son quelle difficult che mi fanno maravigliare come Aristarco e il Copernico, che non pu esser che non l'abbiano osservate, non le avendo poi potute risolvere, ad ogni modo abbiano per altri mirabili riscontri confidato tanto in quello che la ragione gli dettava, che pur confidentemente abbiano affermato, non poter la struttura dell'universo avere altra forma che la da loro disegnata. Ci sono poi altre gravissime e bellissime difficult, non cos agevoli da esser risolute da gli ingegni mediocri, ma per penetrate e dichiarate dal Copernico, le quali noi rimetteremo pi di sotto, doppo che averemo risposto ad altre opposizioni di altri, che si mostrano contrarie a questa posizione. Ora venendo alle dichiarazioni e risposte alle tre addotte gravissime obiezioni, dico che le due prime non solamente non contrariano al sistema Copernicano, ma grandemente ed assolutamente lo favoriscono; perch e Marte e Venere si mostrano diseguali a se stessi, secondo le proporzioni assegnate, e Venere sotto il Sole si mostra falcata, e va puntualmente mutando sue figure nello stesso modo che fa la Luna.

   SAGR. Ma com' stato questo occulto al Copernico, e manifesto a voi?

   SALV. Queste cose non possono esser comprese se non co 'l senso della vista, il quale da natura non stato conceduto a gli uomini tanto perfetto, che sia potuto arrivare a discerner tali differenze; anzi pur lo strumento stesso del vedere a se medesimo reca impedimento: ma doppo che all'et nostra piaciuto a Dio di concedere all'umano ingegno tanto mirabil invenzion, di poter perfezionar la nostra vista co 'l multiplicarla 4, 6, 10, 20, 30 e 40 volte, infiniti oggetti che, o per la loro lontananza o per la loro estrema piccolezza, ci erano invisibili, si sono co 'l mezo del telescopio resi visibilissimi.

   SAGR. Ma Venere e Marte non sono de gli oggetti invisibili per la lor lontananza o piccolezza, anzi pur gli comprendiamo noi con la semplice vista naturale: perch dunque non distinguiamo noi le differenze delle grandezze e figure loro?

   SALV. In questo ci ha gran parte l'impedimento del nostro occhio stesso, come pur ora vi ho accennato, dal quale gli oggetti risplendenti e lontani non ci vengono rappresentati semplici e schietti; ma ce gli porge inghirlandati di raggi avventizii e stranieri, cos lunghi e folti, che il lor nudo corpicello ci si mostra ingrandito 10, 20, 100 e mille volte pi di quello che ci si rappresenterebbe quando se gli levasse il capellizio radioso non suo.

   SAGR. Ora mi sovviene d'aver letto non so che in questa materia, non so se nelle Lettere Solari o nel Saggiatore del nostro amico comune: ma non sar se non bene, s per ridurlo in memoria a me s per intelligenza del signor Simplicio, che forse non ha viste tali scritture, dichiararci pi distintamente come sta questo negozio, la cui cognizione penso che sia molto necessaria per ben restar capace di quello che ora si tratta.

   SIMP. A me veramente giugne nuovo tutto quello che di presente vien portato dal signor Salviati; ch, per dire il vero, non ho auto curiosit di legger cotesti libri, n ho sin qui prestato molta fede all'occhiale nuovamente introdotto, anzi, seguendo le pedate de gli altri filosofi peripatetici miei consorti, ho creduto esser fallacie e inganni de i cristalli quelle che altri hanno ammirate per operazioni stupende: e per, quando io sia sin qui stato in errore, mi sar caro d'esserne cavato; e allettato dall'altre novit udite da voi, star pi attentamente a sentire il resto.

   SALV. La confidenza che hanno questi tali uomini del proprio loro accorgimento non meno fuor di ragione di quel che sia la poca stima che fanno del giudizio altrui; ed gran cosa che si stimino atti a poter giudicar meglio d'un tale strumento senza averlo mai sperimentato, che quelli che mille e mille esperienze ne hanno fatte e ne fanno ogni giorno. Ma lasciamo, di grazia, questa sorta di pervicaci, che non si possono n anco tassare senza onorargli pi che non meritano: e tornando al nostro proposito, dico che gli oggetti risplendenti, o sia che il loro lume si refranga nella umidit che sopra le pupille, o si refletta ne gli orli delle palpebre, spargendo i suoi raggi reflessi sopra le medesime pupille, o sia pur per altra cagione, si mostrano all'occhio nostro circondati di nuovi raggi, e perci maggiori assai di quello che ci si rappresenterebbero i corpi loro spogliati di tale irradiazione; e questo ingrandimento si fa con maggiore e maggior proporzione secondo che tali oggetti lucidi son minori e minori, in quella guisa appunto che se noi supponessimo che il ricrescimento de' crini risplendenti fusse, verbigrazia, quattro dita, la qual giunta fatta intorno a un cerchio che avesse quattro dita di diametro accrescerebbe nove volte la sua apparente grandezza, ma

   SIMP. Dubito che voi abbiate voluto dir tre volte; perch aggiunto quattro dita di qua e quattro di l al diametro d'un cerchio che sia pur quattro dita, si viene a triplicar la sua quantit, e non a crescerla nove volte.

   SALV. Un poco di geometria, signor Simplicio. vero che 'l diametro cresce tre volte, ma la superficie, che quella della quale noi parliamo, cresce nove volte; perch, signor Simplicio, le superficie de i cerchi son fra di loro come i quadrati de i lor diametri, ed un cerchio che abbia quattro dita di diametro ad un altro che ne abbia dodici ha quella proporzione che ha il quadrato di quattro al quadrato di dodici, cio che ha 16 a 144, e per sar maggior di quello nove volte, e non tre: che sia per avvertimento al signor Simplicio. E seguendo avanti, se noi aggiugneremo la capellatura medesima di quattro dita a un cerchio che avesse due dita di diametro solamente, gi il diametro della ghirlanda sarebbe dieci dita, e la piazza del cerchio all'area del nudo corpicello sarebbe come 100 a 4, ch tali sono i quadrati di 10 e di 2; l'ingrandimento dunque sarebbe di 25 volte tanto: e finalmente le 4 dita di crini aggiunte a un picciol cerchio d'un dito di diametro l'ingrandirebbero 81 volta: e cos continuamente i ricrescimenti si fanno con maggior e maggior proporzione, secondo che gli oggetti reali, che si ricrescono, son minori e minori.

   SAGR. La difficult che ha dato fastidio al signor Simplicio, veramente non l'ha dato a me, ma son bene alcune altre cose delle quali io desidero pi chiara intelligenza; ed in particolare vorrei intendere sopra qual fondamento voi affermate che tale ricrescimento sia sempre eguale in tutti gli oggetti visibili.

   SALV. Gi mi son io in parte dichiarato, mentre ho detto ricrescer solamente gli oggetti lucidi, e non gli oscuri; ora aggiungo il rimanente: che degli oggetti risplendenti quelli che son di luce pi viva, maggior fanno e pi forte la reflessione sopra la nostra pupilla, onde molto pi mostrano d'ingrandirsi che i manco lucidi. E per non mi distender pi lungamente sopra questo particolare, venghiamo a quello che la vera maestra ci insegna. Guardiamo questa sera, quando l'aria sia bene scurita, la stella di Giove; noi la vedremo raggiante assai e molto grande: facciamo poi passar la vista nostra per un cannello, o anco per un piccolo spiraglio che, strignendo il pugno ed accostandocelo all'occhio, lasceremo tra la palma della mano e le dita, o veramente per un foro fatto con un sottile ago in una carta; vedremo il disco del medesimo Giove spogliato de i raggi, ma cos piccolo che ben lo giudicheremo minore anco della sessantesima parte di quello che ci apparisce la sua gran fiaccola veduta con l'occhio libero: potremo doppo riguardare il Cane, stella bellissima e maggior di tutte l'altre fisse, la quale all'occhio libero si rappresenta non gran fatto minor di Giove; ma toltagli poi nel modo detto la capellatura, si vedr il suo disco cos piccolo, che ben non si giudicher la ventesima parte di quel di Giove, anzi chi non di vista perfettissima a gran fatica lo scorger: dal che si pu ragionevolmente concludere che tale stella, come quella che di un lume grandemente pi vivo che quel di Giove, fa la sua irradiazione maggiore che Giove la sua. L'irradiazion poi del Sole e della Luna come nulla, mediante la grandezza loro, la quale occupa per s sola tanto spazio nell'occhio nostro, che non lascia luogo per i raggi avventizii; tal che i dischi loro si veggono tosi e terminati. Potremo assicurarci della medesima verit con un'altra esperienza, da me pi volte fatta; assicurarci, dico, come i corpi splendenti di luce pi vivace si irraggiano assai pi che quelli che sono di luce pi languida. Io ho pi volte veduto Giove e Venere insieme, lontani dal Sole 25 o 30 gradi, ed essendo l'aria assai imbrunita, Venere pareva bene 8 ed anco 10 volte maggior di Giove, mentre per si riguardavono con l'occhio libero; ma guardati poi co 'l telescopio, il disco di Giove si scorgeva veramente maggior quattro e pi volte di quel di Venere, ma la vivacit dello splendor di Venere era incomparabilmente maggiore della luce languidissima di Giove: il che da altro non procedeva che dall'esser Giove lontanissimo dal Sole e da noi, e Venere vicina a noi ed al Sole. Dichiarate queste cose, non sar difficile a intender come possa esser che Marte, quand' all'opposizion del Sole, e per vicino a Terra sette volte e pi che quando verso la congiunzione, appena ci si mostri maggiore 4 o 5 volte in quello stato che in questo, mentre lo doveremmo vedere pi di 50 volte tanto: di che la sola irradiazione causa; ch se noi lo spoglieremo de i raggi avventizii, lo troveremo precisamente ingrandito con la debita proporzione: per levargli poi la chioma, il telescopio l'unico e l'ottimo mezo, il quale, ingrandendo il suo disco 900 o mille volte, ce lo fa veder nudo e terminato come quel della Luna, e differente da se stesso nelle due posizioni secondo la debita proporzione a capello. In Venere poi, che nella sua congiunzion vespertina, quando sotto il Sole, si dovrebbe mostrar quasi 40 volte maggiore che nell'altra congiunzion mattutina, e pur non si vede n anco raddoppiata, accade, oltre all'effetto della irradiazione, ch'ell' falcata, e le sue corna, oltre all'esser sottili, ricevono il lume del Sole obliquamente, e per assai languido, talch, per esser poco e debile, meno ampla e vivace si fa la sua irradiazione che quando si mostra a noi co 'l suo emisferio tutto lucido; ma per il telescopio apertamente ci mostra le sue corna cos terminate e distinte come quelle della Luna, e veggonsi come di un cerchio grandissimo, ed a proporzione maggiori quelle quasi 40 volte del suo medesimo disco, quando superiore al Sole nell'ultima sua apparizion mattutina.

   SAGR. Oh Niccol Copernico, qual gusto sarebbe stato il tuo nel veder con s chiare esperienze confermata questa parte del tuo sistema!

   SALV. S; ma quanto minore la fama della sublimit del suo ingegno appresso a gl'intendenti! mentre si vede, come pur dissi dianzi, aver egli costantemente continuato nell'affermare, scorto dalle ragioni, quello di cui le sensate esperienze mostravano il contrario: che io non posso finir di stupire ch'egli abbia pur costantemente voluto persistere in dir che Venere giri intorno al Sole, ed a noi sia meglio di sei volte pi lontana una volta che un'altra, e pur sempre si mostri eguale a se stessa, quando ella dovrebbe mostrarsi quaranta volte maggiore.

   SAGR. In Giove, in Saturno ed in Mercurio credo pur che si devano veder ancor le differenze delle lor grandezze apparenti puntualmente rispondere alle lor variate lontananze.

   SALV. Ne' due superiori le ho io precisamente osservate quasi ogni anno da ventidua anni in qua: in Mercurio non si pu fare osservazione di momento, per non si lasciar egli vedere se non nelle sue massime digressioni dal Sole, nelle quali le sue distanze dalla Terra sono insensibilmente diseguali e per tali differenze inosservabili, come anco le mutazioni di figure, che assolutamente bisogna che seguano come in Venere; e quando lo vediamo, dovrebbe mostrarsi in figura di mezo cerchio, come fa Venere ancora nelle sue massime digressioni; ma il suo disco tanto piccolo e 'l suo splendore tanto vivace, per esser egli cos vicino al Sole, che non basta la virt del telescopio a radergli il crine, s che egli apparisca tutto tosato. Restaci da rimuover quella che pareva grande sconvenevolezza nel moto della Terra, cio che, volgendosi tutti i pianeti intorno al Sole, ella solamente non solitaria come gli altri, ma in compagnia della Luna, insieme con tutta la sfera elementare, andasse in un anno intorno al Sole, ed insieme insieme si movesse l'istessa Luna ogni mese intorno alla Terra. Qui forza esclamar un'altra volta ed esaltare l'ammirabil perspicacit del Copernico ed insieme compiagner la sua disavventura, poich egli non vive al nostro tempo, quando, per tr via l'apparente assurdit del movimento in conserva della Terra e della Luna, vediamo Giove, quasi un'altra Terra, non in conserva di una Luna, ma accompagnato da quattro Lune, andare intorno al Sole in 12 anni, con tutto quello che pu esser contenuto dentro a gli orbi delle quattro stelle Medicee.

   SAGR. Per qual cagione chiamate voi Lune i quattro pianeti gioviali?

   SALV. Tali si rappresentan elleno a chi stando in Giove le riguardasse. Imperocch esse per se stesse son tenebrose, e dal Sole ricevono il lume, il che manifesto dal suo rimaner eclissate quando entrano nel cono dell'ombra di Giove e perch di esse vien solamente illuminato l'emisferio che riguarda verso il Sole, a noi, che siamo fuor de i loro orbi e pi vicini al Sole, si mostrano sempre tutte lucide; ma a chi fusse in Giove si mostrerebbero tutte luminose quando fussero nelle parti superiori de i lor cerchi, ma nelle parti inferiori, cio tra Giove e 'l Sole, da Giove si scorgerebbon falcate: ed in somma farebbero a i Gioviali le mutazioni stesse di figure che a noi Terrestri fa la Luna. Vedete ora quanto mirabilmente si accordano co 'l sistema Copernicano queste tre prime corde, che da principio parevan s dissonanti. Di qui potr intanto il signor Simplicio vedere con quanta probabilit si possa concludere che non la Terra, ma il Sole, sia nel centro delle conversioni de i pianeti: e poich la Terra vien collocata tra i corpi mondani che indubitatamente si muovono intorno al Sole, cio sopra Mercurio e Venere, e sotto a Saturno, Giove e Marte, come parimente non sar probabilissimo e forse necessario concedere che essa ancora gli vadia intorno?

   SIMP. Questi accidenti son tanto grandi e cospicui, che non possibile che Tolomeo e gli altri suoi seguaci non ne abbiano avuto cognizione, ed avendol auta, pur necessario che abbiano ancor trovata maniera di render di tali e cos sensate apparenze sufficiente ragione, ed anco assai congrua e verisimile, poich per s lungo tempo stata ricevuta da tanti e tanti.

   SALV. Voi molto ben discorrete; ma sappiate che il principale scopo de i puri astronomi il render solamente ragione delle apparenze ne i corpi celesti, ed ad esse ed a i movimenti delle stelle adattar tali strutture e composizioni di cerchi, che i moti secondo quelle calcolati rispondano alle medesime apparenze, poco curandosi di ammetter qualche esorbitanza che in fatto, per altri rispetti, avesse del difficile: e l'istesso Copernico scrive, aver egli ne' primi suoi studii restaurata la scienza astronomica sopra le medesime supposizioni di Tolomeo, e in maniera ricorretti i movimenti de i pianeti, che molto aggiustatamente rispondevano i computi all'apparenze e l'apparenze a i calcoli, tuttavia per che si prendeva separatamente pianeta per pianeta; ma soggiugne che nel voler poi comporre insieme tutta la struttura delle fabbriche particolari, ne risultava un mostro ed una chimera composta di membra tra di loro sproporzionatissime e del tutto incompatibili, s che, quantunque si sodisfacesse alla parte dell'astronomo puro calcolatore, non per ci era la sodisfazione e quiete dell'astronomo filosofo. E perch egli molto ben intendeva, che se con assunti falsi in natura si potevan salvar le apparenze celesti, molto meglio ci si sarebbe potuto ottenere dalle vere supposizioni, si messe a ricercar diligentemente se alcuno tra gli antichi uomini segnalati avesse attribuita al mondo altra struttura che la comunemente ricevuta di Tolomeo; e trovando che alcuni Pitagorici avevano in particolare attribuito alla Terra la conversion diurna, ed altri il movimento annuo ancora, cominci a rincontrar con queste due nuove supposizioni le apparenze e le particolarit de i moti de i pianeti, le quali tutte cose egli aveva prontamente alle mani, e vedendo il tutto con mirabil facilit corrisponder con le sue parti, abbracci questa nuova costituzione ed in essa si quiet.

   SIMP. Ma quali esorbitanze sono nella costituzione tolemaica, che maggiori non ne sieno in questa copernicana?

   SALV. Sono in Tolomeo le infermit, e nel Copernico i medicamenti loro. E prima, non chiameranno tutte le sette de i filosofi grande sconvenevolezza che un corpo naturalmente mobile in giro si muova irregolarmente sopra il proprio centro, e regolarmente sopra un altro punto? e pur di tali movimenti difformi sono nella fabbrica di Tolomeo  ma nel Copernico tutti sono equabili intorno al proprio centro. In Tolomeo bisogna assegnare a i corpi celesti movimenti contrarii, e far che tutti si muovano da levante a ponente ed insieme insieme da ponente verso levante; che nel Copernico son tutte le revoluzion celesti per un sol verso, da occidente in oriente. Ma che diremo noi dell'apparente movimento de i pianeti, tanto difforme che non solamente ora vanno veloci ed ora pi tardi, ma talvolta del tutto si fermano, ed anco dopo per molto spazio ritornano in dietro? per la quale apparenza salvare introdusse Tolomeo grandissimi epicicli, adattandone un per uno a ciaschedun pianeta, con alcune regole di moti incongruenti, li quali tutti con un semplicissimo moto della Terra si tolgono via. E non chiamereste voi, signor Simplicio, grandissimo assurdo se nella costruzion di Tolomeo, dove a ciascun pianeta sono assegnati proprii orbi, l'uno superior all'altro, bisognasse bene spesso dire che Marte, costituito sopra la sfera del Sole, calasse tanto che, rompendo l'orbe solare, sotto a quello scendesse, ed alla Terra pi che il corpo solare si avvicinasse, e poco appresso sopra il medesimo smisuratamente si alzasse? e pur questa ed altre esorbitanze dal solo e semplicissimo movimento annuo della Terra vengono medicate.

   SAGR. Queste stazioni, regressi e direzioni, che sempre mi son parse grandi improbabilit, vorrei io meglio intendere come procedano nel sistema Copernicano.

 

 

   SALV. Voi, signor Sagredo, le vedrete proceder talmente, che questa sola coniettura dovrebbe esser bastante, a chi non fusse pi che protervo o indisciplinabile. a farlo prestar l'assenso a tutto il rimanente di tal dottrina. Vi dico dunque che, nulla mutato nel movimento di Saturno di 30 anni in quel di Giove di 12, in quel di Marte di 2, in quel di Venere di 9 mesi, e in quel di Mercurio di 80 giorni incirca, il solo movimento annuo della Terra tra Marte e Venere  cagiona le apparenti inegualit ne' moti di tutte le 5 stelle nominate: e per facile e piena intelligenza del tutto ne voglio descriver la sua figura Per tanto supponete nel centro o esser collocato il Sole, intorno al quale noteremo l'orbe descritto dalla Terra co 'l movimento annuo B G M, ed il cerchio descritto, verbigrazia, da Giove intorno al Sole in 12 anni sia questo b g m, e nella sfera stellata intendiamo il zodiaco y u s; in oltre nell'orbe annuo della Terra prenderemo alcuni archi eguali BC, CD, DE, EF, FG, GH H I, I K, K L, L M, e nel cerchio di Giove noteremo altri archi passati ne' medesimi tempi ne' quali la Terra passa i suoi, che sieno bc, cd, de, ef, fg, gh, hi, ik, kl, lm, che saranno a proporzione ciascheduno minor di quelli notati nell'orbe della Terra, s come il movimento di Giove sotto il zodiaco pi tardo dell'annuo. Supponendo ora, che quando la Terra in B, Giove sia in b, ci apparir a noi nel zodiaco essere in p, tirando la linea retta B b p: intendasi ora la Terra mossa da B in C, e Giove da b in c nell'istesso tempo; ci apparir Giove esser venuto nel zodiaco in q, e mosso direttamente 2 secondo l'ordine de' segni p, q: passando poi la Terra in D, e Giove in d si vedr nel zodiaco in r, e da E Giove arrivato in e apparir nel zodiaco in s, mosso pur sempre direttamente. Ma cominciando poi la Terra a interporsi pi dirittamente tra Giove e 'l Sole, venuta che ella sia in F, e Giove in f, ci apparir in t gi aver cominciato a ritornare apparentemente in dietro sotto il zodiaco; ed in quel tempo che la Terra aver passato l'arco E F, Giove si sar trattenuto dentro a i punti s, t, e mostrandosi a noi quasi fermo e stazionario. Venuta poi la Terra in G, e Giove in g all'opposizion del Sole, si vedr nel zodiaco in u, e grandemente ritornato in dietro per tutto l'arco del zodiaco t U, ancor che egli, seguendo sempre il suo corso uniforme, sia veramente andato innanzi non solo nel suo cerchio, ma nel zodiaco ancora, rispetto al centro di esso zodiaco ed al Sole, in quello collocato; continuando poi e la Terra e Giove i movimenti loro, venuta che sia la Terra in H e Giove in h, si vedr grandemente tornato indietro nel zodiaco per tutto l'arco u x: venuta la Terra in I e Giove in i, nel zodiaco si sar apparentemente mosso per il piccolo spazio x y, ed ivi apparir stazionario. Quando poi conseguentemente la Terra sar venuta in K e Giove in k, nel zodiaco avr passato l'arco y n con moto diretto; e seguendo il corso suo, la Terra da L vedr Giove in l nel punto z: e finalmente Giove in m si vedr dalla Terra M passato in a, con moto pur diretto; e tutta la sua apparente retrogradazione nel zodiaco sar quanto l'arco s y, fatta da Giove mentre che egli nel proprio cerchio passa l'arco e i e la Terra nel suo l'arco E I. E questo che si detto di Giove, intendasi di Saturno e di Marte ancora, ed in Saturno tali regressi esser alquanto pi frequenti che in Giove, per esser il moto suo pi tardo di quel di Giove, s che la Terra in pi breve spazio di tempo lo raggiugne; in Marte poi son pi rari, per essere il moto suo pi veloce che quel di Giove, onde la Terra pi tempo spende in racquistarlo. Quanto poi a Venere ed a Mercurio, i cerchi de i quali son compresi da quel della Terra, appariscono pur le loro stazioni e regressi cagionati non da i moti di quelli, che realmente sien tali, ma dal moto annuo di essa Terra, come acutamente dimostra il Copernico con Apollonio Pergeo, nel libro 5 delle sue Revoluzioni al cap. 35.

   Voi vedete, Signori, con quanta agevolezza e simplicit il moto annuo, quando fusse della Terra, si accomoda a render ragione delle apparenti esorbitanze che si osservano ne i movimenti de i cinque pianeti, Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio, levandole via tutte e riducendole a moti equabili e regolari; e di questo maraviglioso effetto stato Niccol Copernico il primo che ci ha resa manifesta la cagione. Ma di un altro, non men di questo ammirando e che con nodo forse di pi difficile scioglimento strigne l'intelletto umano ad ammetter questa annua conversione e lasciarla al nostro globo terrestre, nuova ed inopinata coniettura ce n'arreca il Sole stesso, il quale mostra di non aver voluto esso solo sfuggir l'attestazione di una conclusione tanto insigne, anzi, come testimonio maggior di ogni eccezione, ci voluto essere a parte. Sentite dunque l'alta e nuova maraviglia.

   Fu il primo scopritore ed osservatore delle macchie solari, s come di tutte l'altre novit celesti, il nostro Academico Linceo; e queste scopers'egli l'anno 1610, trovandosi ancora alla lettura delle Matematiche nello Studio di Padova, e quivi ed in Venezia ne parl con diversi, de i quali alcuni vivono ancora: ed un anno doppo le fece vedere in Roma a molti Signori, come egli asserisce nella prima delle sue Lettere al signor Marco Velsero, Duumviro d'Augusta. Esso fu il primo che, contro alle opinioni de i troppo timidi e troppo gelosi dell'inalterabilit del cielo, afferm tali macchie esser materie che in tempi brevi si producevano e si dissolvevano; che, quanto al luogo, erano contigue al corpo del Sole, e che intorno a quello si rigiravano, o vero, portate dall'istesso globo solare, che in se stesso circa il proprio centro nello spazio quasi di un mese si rivolgesse, finivano loro conversioni: il qual moto giudic sul principio farsi dal Sole intorno ad un asse eretto al piano dell'eclittica, atteso che gli archi descritti da esse macchie sopra il disco del Sole apparivano all'occhio nostro linee rette ed al piano dell'eclittica parallele; le quali per venivano alterate in parte di alcuni movimenti accidentarii, vaganti ed irregolari, a i quali elleno son sottoposte, e per i quali tumultuariamente e senza ordine alcuno si vanno tra di loro mutando di sito, ora accozzandosi molte insieme, ora disseparandosi, ed alcuna in pi dividendosi, e grandemente mutandosi di figure, per lo pi molto stravaganti. E bench tali incostanti mutazioni alterassero in parte il periodico primario corso di esse macchie, non fecero per mutar pensiero all'amico nostro, s che ei credesse che di tali deviazioni fusse alcuna cagione essenziale e ferma, ma continu di credere che tutta l'apparente alterazione derivasse da quelle accidentarie mutazioni; in quella guisa appunto che accaderebbe a chi da lontane regioni osservasse il moto delle nostre nugole, le quali si scorgerebbero muoversi di moto velocissimo, grande e costante, portate dalla vertigine diurna della Terra (quando tal moto fusse suo) in ventiquattr'ore per cerchi paralleli all'equinoziale, ma per alterati in parte da i movimenti accidentarii cagionatigli da i venti, li quali verso diverse parti del mondo casualmente le spingono. Occorse in questo tempo che il signor Velsero gli mand alcune lettere scritte da certo finto Apelle in materia di queste macchie, ricercandolo con instanza che gli volesse liberamente dire il suo parere sopra tali lettere, e di pi significargli qual fusse l'opinion sua circa l'essenza di tali macchie: al che egli sodisfece con tre Lettere, mostrando prima quanto fussero vani i pensieri di Apelle, e scoprendogli secondariamente le proprie opinioni, con predirgli appresso che assolutamente Apelle, consigliatosi meglio col tempo, era per venire nella sua opinione, s come poi segu. E perch parve al nostro Academico (s come parve anco ad altri intelligenti delle cose della natura) d'avere investigato e dimostrato nelle dette tre Lettere se non quanto si poteva dalla curiosit umana desiderare e ricercare, almeno quanto si poteva per umani discorsi conseguire in cotal materia, intermesse per alcun tempo (occupato in altri studii) le continuate osservazioni, e solo per compiacere a qualche amico, faceva seco tal volta alcuna osservazione alla spezzata; sin che incontratosi meco, doppo alcuni anni, essendo noi nella mia villa delle Selve, in una delle solari macchie solitaria, assai grande e densa, invitati anco da una chiarissima e continuata serenit di cielo, si fecero a mia richiesta osservazioni di tutto il transito di quella, appuntando diligentemente sopra la carta i luoghi di giorno in giorno, nell'ora che il Sole si trovava nel meridiano; ed accortici come il viaggio suo non era altrimenti per linea retta, ma alquanto incurvata, venimmo in pensiero di fare altre osservazioni di tempo in tempo: alla quale impresa gagliardamente ci stimul un concetto che repentinamente casc in mente all'ospite mio, e con tali parole mel confer: "Filippo, a gran conseguenza mi par che ci si apra la strada. Imperocch, se l'asse intorno al quale si rivolge il Sole non eretto perpendicolarmente al piano dell'eclittica, ma sopra di quello inclinato, come il pur ora osservato passaggio incurvato mi accenna, tal coniettura avremo degli stati del Sole e della Terra, quale n s ferma n s concludente da verun altro rincontro non ne sin qui stata somministrata". Io, risvegliato da s alta promessa, gli feci instanza acci apertamente mi scoprisse il suo concetto. Ed egli: "Quando il moto annuo sia della Terra per l'eclittica intorno al Sole, e che il Sole sia costituito nel centro di essa eclittica, ed in quello si volga in se stesso non intorno all'asse di essa eclittica (che sarebbe l'asse del movimento annuo della Terra), ma sopra uno inclinato, strane mutazioni converr che a noi si rappresentino ne i movimenti apparenti delle macchie solari, quando ben si ponga tale asse del Sole persister perpetuamente ed immutabilmente nella medesima inclinazione ed in una medesima direzione verso l'istesso punto dell'universo. Imperocch, camminandogli intorno il globo terrestre al moto annuo, primieramente converr che a noi, portati da quello, i passaggi delle macchie ben talvolta appariscano fatti per linee rette, ma questo due volte l'anno solamente, ed in tutti gli altri tempi si mostreranno fatti per archi sensibilmente incurvati. Secondariamente, la curvit di tali archi per una met dell'anno ci apparir inclinata al contrario di quello che si scorger nell'altra met; cio per sei mesi il convesso de gli archi sar verso la parte superiore del disco solare, e per gli altri 6 mesi verso l'inferiore. Terzo, cominciando ad apparire, e, per cos dire, a nascere, all'occhio nostro le macchie dalla parte sinistra del disco solare, ed andando ad occultarsi e a tramontare nella parte destra, i termini orientali, cio delle prime comparite, per sei mesi saranno pi bassi de i termini opposti delle occultazioni, e per altri sei mesi accader per l'opposito, cio che nascendo esse macchie da punti pi elevati e da quelli descendendo, ne i corsi loro verranno ad ascondersi in punti pi bassi, e per due giorni soli di tutto l'anno saranno tali termini, de gli orti e de gli occasi, equilibrati; doppo i quali libramenti cominciando pian piano l'inclinazione de i viaggi delle macchie, e di giorno in giorno facendosi maggiore, in tre mesi giugner alla somma obbliquit, e di l cominciando a diminuirsi, in altrettanto tempo si ridurr all'altro equilibrio. Accader, per la quarta maraviglia, che il giorno della massima obbliquit sar l'istesso che quello del passaggio fatto per linea retta, e nel giorno della librazione apparir l'arco del viaggio pi che mai incurvato: ne gli altri tempi poi, secondo che la pendenza si andr diminuendo e incamminandosi verso l'equilibrio, l'incurvazione de gli archi de i passaggi, per l'opposito, si andr agumentando".

   SAGR. Io, signor Salviati mio, conosco che l'interrompervi il discorso mala creanza; ma non men cattiva stimo che sia il lasciarvi diffonder pi lungamente in parole, mentre elle vengano, come si dice, buttate al vento. Imperocch, a dirla liberamente, io non mi so formar concetto alcuno distinto pur di una delle conclusioni che avete pronunziate: ma perch, apprese cos in generale ed in confuso, mi si rappresentano cose di ammirabili conseguenze, vorrei pure in qualche maniera esserne fatto capace.

   SALV. L'istesso che accade a voi, avvenne a me ancora, mentre con nude parole mi furon portate dal mio ospite; il quale mi agevol poi l'intelligenza col figurarmi il fatto sopra uno strumento materiale, che non fu altro che una semplice sfera, servendosi di alcuni de' suoi cerchi, ma in altro uso di quello al quale comunemente sono ordinati. Ora, in difetto della sfera, supplir con farne disegni in carta, secondo che bisogner. E per rappresentare il primo accidente da me proposto, il quale fu che i passaggi delle macchie due volte l'anno solamente potevano apparir fatti per linee rette, figuriamoci questo punto O esser centro dell'orbe magno, o vogliam dire dell'eclittica, e parimente ancora del globo dell'istesso Sole, del quale, mediante la gran distanza che tra esso e la Terra, possiamo suppor noi terreni di vederne la met; per descriveremo questo cerchio A B C D intorno al medesimo centro O, il quale ci rappresenti il termine estremo che divide e separa l'emisferio del Sole a noi apparente dall'altro occulto. E perch l'occhio nostro, non meno che 'l centro della Terra, s'intende esser nel piano dell'eclittica, nel quale parimente il centro del Sole, per, se ci rappresenteremo il corpo solare esser segato dal detto piano, la sezione all'occhio nostro apparir una linea retta, quale sia la B O D;

 

 

e posta sopra di essa la perpendicolare A O C, sar l'asse di essa eclittica e del moto annuo del globo terrestre. Intendiamo ora il corpo solare (senza mutar centro) rivolgersi in se stesso, non gi intorno all'asse A O C (che l'eretto al piano dell'eclittica), ma intorno ad uno alquanto inclinato, qual sia questo E O I, il quale asse fisso ed immutabile si mantenga perpetuamente nella medesima inclinazione e direzione verso i medesimi punti del firmamento e dell'universo, e perch nelle revoluzioni del solar globo ciaschedun punto della sua superficie (trattone i poli) descrive la circonferenza d'un cerchio, o maggiore o minore secondo ch' e' si ritrova pi o men remoto da essi poli, preso il punto F egualmente distante da quelli, segniamo il diametro F O G, che sar perpendicolare all'asse E I e sar diametro del cerchio massimo descritto intorno a i poli E, I. Posto ora che la Terra, e noi con lei, sia in tal luogo dell'eclittica che l'emisferio del Sole a noi apparente venga terminato dal cerchio A B C D, il quale, passando (come sempre fa) per i poli A, C, passi ancora per li E, I, manifesto che il cerchio massimo il cui diametro F G, sar eretto al cerchio A B C D; al quale perpendicolare il raggio che dall'occhio nostro casca sopra il centro O; onde il medesimo raggio cade nel piano del cerchio il cui diametro F G, e per la sua circonferenza ci apparir una linea retta, e l'istessa che F G: per lo che qualunque volta nel punto F fusse una macchia, venendo poi portata dalla solar conversione, segnerebbe sopra la superficie del Sole la circonferenza di quel cerchio che a noi appare una linea retta. Retto dunque apparir il suo passaggio; e retti ancora appariranno i movimenti di altre macchie le quali nell'istessa revoluzione descrivessero minor cerchi, per esser tutti paralleli al massimo, e l'occhio nostro posto in distanza immensa da quelli. Ora, se voi considererete come, doppo che avr scorso la Terra in sei mesi la met dell'orbe magno e si sar costituita incontro all'emisferio del Sole che ora ci occulto, s che il terminator della parte che allor sar veduta sia l'istesso cerchio A B C D, che pur passer per li poli E, I, intenderete che l'istesso accader de i viaggi delle macchie, cio che tutti appariranno fatti per linee rette: ma perch tale accidente non ha luogo se non quando il terminator passa per i poli E, I, ed esso terminatore di momento in momento, mediante il moto annuo della Terra, si va mutando, per momentaneo il suo passar per i poli fissi E, I, ed in conseguenza momentaneo il tempo dell'apparir diritti i moti di esse macchie. Da questo che sin qui si detto, si viene a comprendere ancora come, essendo l'apparizione e principio del moto delle macchie dalla parte F, procedendo verso G, i passaggi loro sono dalla sinistra, ascendendo verso la destra; ma posta la Terra nella parte diametralmente opposta, la comparsa delle macchie intorno a G sar bene alla sinistra del riguardante, ma il passaggio sar descendente verso la destra F. Figuriamoci ora la Terra esser situata per una quarta lontana dal presente stato, e segniamo in quest'altra figura il terminatore A B C D e l'asse, come prima, A C, per il quale passerebbe il piano del nostro meridiano, nel qual piano sarebbe ancora l'asse della revoluzion del Sole, con i suoi poli, uno verso di noi, cio nell'emisferio apparente, il qual polo rappresenteremo col punto E, e l'altro cader nell'emisferio occulto, e lo noto I. Inclinando dunque l'asse E I con la superior parte E verso noi, il cerchio massimo descritto dalla conversion del Sole sar questo B F D G, la cui met da noi veduta, cio B F D, non pi ci apparir una linea retta, per non esser i poli E, I nella circonferenza A B C D, ma si mostrer incurvata e col suo convesso verso la parte inferiore C, ed manifesto che l'istesso apparir di tutti i cerchi minori paralleli al massimo B F D. Intendesi ancora, che quando la Terra sar diametralmente opposta a questo stato, s che vegga l'altro emisferio del Sole, il quale ora occulto, vedr del medesimo cerchio massimo la parte D G B incurvata col suo convesso verso la parte superiore A; e i corsi delle macchie in queste costituzioni saranno prima per l'arco B F D e poi per l'altro D G B, e le lor prime apparizioni e l'ultime occultazioni, fatte intorno a i punti B, D, saranno equilibrate, e non quelle pi o meno elevate di queste.

 

 

Ma se noi porremo la Terra in tal luogo dell'eclittica, che n il finitore A B C D n il meridiano AC passi per i poli dell'asse E I, come adesso vi mostro disegnando questa terza figura, dove il polo apparente E casca tra l'arco del terminatore A B e la sezione del meridiano A C, il diametro del cerchio massimo sar F O G ed il semicerchio apparente F N G, e l'occulto G S F: quello, incurvato col suo convesso N verso la parte inferiore; e questo, piegato col suo colmo S verso la parte superiore del Sole: gl'ingressi e l'uscite delle macchie, cio i termini F, G, non saranno librati, come i passati B, D, ma l'F pi basso e 'l G pi alto ma ben con minor differenza che nella prima figura; l'arco ancora F N G sar incurvato, ma non tanto quanto il precedente B F D: onde in tal costituzione i passaggi delle macchie saranno ascendenti dalla parte sinistra F verso la destra G, e saranno fatti per linee curve. Ed intendendo la Terra esser collocata nel sito diametralmente opposto, s che l'emisferio del Sole adesso occulto sia il veduto, e dal medesimo finitore A B C D terminato, manifestamente si scorge che il corso delle macchie sar per l'arco G S F, cominciando dal punto sublime G, che pur sar dalla sinistra del riguardante, ed andando a terminare, descendendo verso la destra, nel punto F. Inteso quanto sin qui ho esposto, non credo che resti difficult veruna in comprender come dal passare il terminatore dei solari emisferi per i poli della conversion del Sole o a quelli vicino o lontano, nascono tutte le diversit ne gli apparenti viaggi delle macchie, s che quanto pi essi poli saranno lontani da esso terminatore, tanto pi i detti viaggi saranno incurvati e meno obbliqui onde nella massima lontananza, che quando detti poli sono nella sezion del meridiano, la curvit ridotta al sommo, ma l'obbliquit al minimo, cio all'equilibrio, come dimostra la seconda figura; all'incontro, quando i poli sono nel terminatore, come mostra la prima figura, l'inclinazione massima, ma la curvit minima e ridotta alla rettitudine, partendosi il terminator da i poli, comincia la curvit a farsi sensibile con andar sempre crescendo, e l'obbliquit e inclinazione si va facendo minore.

   Queste sono le stravaganti mutazioni che mi diceva l'ospite mio che sarebbero apparse di tempo in tempo ne i progressi delle macchie solari, tuttavolta che fusse stato vero che il movimento annuo fusse della Terra, e che il Sole, costituito nel centro dell'eclittica, si fusse girato in se stesso sopra un asse non eretto, ma inclinato, al piano di essa eclittica.

   SAGR. Io resto assai ben capace di queste conseguenze, e meglio credo che me l'imprimer nella fantasia nell'andarle riscontrando con accomodar un globo con tale inclinazione, riguardandolo poi da diverse bande. Resta ora che ci diciate quello che di poi segu circa gli eventi delle immaginate conseguenze.

   SALV. Seguinne, che continuando noi per molti e molti mesi a far diligentissime osservazioni, notando con somma accuratezza i passaggi di varie macchie in diversi tempi dell'anno, si trovarono gli eventi puntualmente rispondere alle predizioni.

   SAGR. Signor Simplicio, come questo che dice il signor Salviati sia vero (n gi conviene por dubbio sopra le sue parole), di saldi argomenti e di gran conietture e di fermissime esperienze aranno bisogno i Tolemaici e gli Aristotelici per bilanciare un incontro di tanto peso, e far s che la loro opinione non dia l'ultimo tracollo.

   SIMP. Piano, signor mio, che forse voi non sete ancora dove per avventura vi persuadete d'essere pervenuto: imperocch io, se ben non mi sono interamente impadronito della materia del discorso fatto dal signor Salviati, non trovo che la mia logica, mentre riguardo alla forma, m'insegni che tal maniera d'argomentare m'induca necessit veruna di concludere a favor dell'ipotesi Copernicana, cio della stabilit del Sole nel centro del zodiaco e della mobilit della Terra sotto la di lui circonferenza. Perch, se bene vero che posta la tal conversion del Sole e la tal circuizion della Terra si debban necessariamente scorger nelle macchie solari le tali e tali stravaganze, non per ne sguita che, argomentando per il converso, dallo scorgersi nelle macchie tali stravaganze si debba necessariamente concludere, la Terra muoversi per la circonferenza e 'l Sole esser posto nel centro del zodiaco: imperocch chi m'assicura che simili stravaganze non possano anco esser vedute nel Sole mobile per l'eclittica da gli abitatori della Terra stabile nel centro di quella? Se voi non mi dimostrate prima che di tale apparenza non si possa render ragione quando si faccia mobile il Sole e stabile la Terra, io non mi rimover dalla mia opinione e dal credere che 'l Sole si muova e la Terra stia immobile.

   SAGR. Strenuamente si porta il signor Simplicio, e molto acutamente s'oppone e sostiene la parte d'Aristotile e di Tolomeo; e, s'io debbo dire il vero, mi par che la conversazione del signor Salviati, ancor che sia stata di tempo breve l'abbia addestrato assai nel discorrer concludentemente, effetto che intendo essere stato cagionato in altri ancora. Quanto poi all'investigare e giudicare se delle apparenti esorbitanze ne i movimenti delle macchie solari si possa render competente ragione lasciando la Terra immobile e mantenendo mobile il Sole, aspetter che 'l signor Salviati ci manifesti il suo pensiero; ch ben credibile che egli v'abbia fatto sopra reflessione e ritrattone quanto in tal proposito si pu produrre.

   SALV. Io ci ho pi volte pensato, ed anco discorsone con l'amico ed ospite mio: e circa quello che siano per produrre i filosofi e gli astronomi in mantenimento dell'antico sistema, per una parte siamo sicuri, sicuri dico, che i veri e puri Peripatetici, ridendosi di chi s'impiega in tali, al gusto loro, insipide sciocchezze, spaccieranno tutte queste apparenze per vane illusioni de' cristalli, ed in questa maniera con poca fatica si libereranno dall'obbligo di pensar pi oltre; quanto poi a i filosofi astronomi, doppo aver noi con qualche attenzione specolato ci che si potesse addurre in mezo, non abbiamo investigato ripiego che basti per sodisfare unitamente al corso delle macchie ed al discorso della mente. Io vi esporr quello che ci sovvenuto, e voi ne farete quel capitale che il giudizio vostro vi detter.

   Posto che gli apparenti movimenti delle macchie solari siano quali di sopra si dichiarato, e posta la Terra immobile nel centro dell'eclittica, nella cui circonferenza sia collocato il centro del Sole, necessario che di tutte le diversit che si scorgono in essi movimenti le cagioni riseggano in moti che siano nel corpo solare: il quale primieramente converr che in se stesso si rivolga portando seco le macchie, le quali si supposto, anzi pur dimostrato, essere aderenti alla solar superficie. Bisogner, secondariamente, dire che l'asse della solar conversione non sia parallelo all'asse dell'eclittica, che quanto a dire che non sia eretto perpendicolarmente sopra 'l piano dell'eclittica, perch, se fusse tale, i passaggi di esse macchie ci apparirebber fatti per linee rette e parallele all'eclittica: dunque tale asse inclinato, poich i passaggi per lo pi appariscon fatti per linee curve. Sar, nel terzo luogo, necessario dire che l'inclinazion di questo asse non sia fissa e riguardante di continuo verso il medesimo punto dell'universo, anzi che di momento in momento vadia mutando direzione; perch, quando la pendenza riguardasse continuamente verso l'istesso punto, i passaggi delle macchie non cangerebbero gi mai apparenza, ma, retti o curvi, piegati in su o in gi, ascendenti o descendenti che apparissero una volta, tali apparirebber sempre. forza dunque dire, tale asse esser convertibile, e talora trovarsi nel piano del cerchio estremo terminator dell'emisferio apparente, allora, dico, quando i passaggi delle macchie appariscono fatti per linee rette e pi che mai pendenti, il che accade due volte l'anno; altre volte poi trovarsi nel piano del meridiano del riguardante, in modo tale che l'uno de' suoi poli caschi nel solare emisferio apparente e l'altro nell'occulto, ed amendue lontani da i punti estremi, o vogliam dire da i poli, d'un altro asse del Sole, il quale sia parallelo all'asse dell'eclittica (il qual secondo asse converr necessariamente assegnare al globo del Sole), lontani, dico, tanto quanto importa l'inclinazione dell'asse della revoluzione delle macchie; e di pi, che il polo cadente nell'emisferio apparente una volta sia nella parte superiore e l'altra nell'inferiore, perch del cos accadere necessario argomento ce ne danno i passaggi quando sono equilibrati e nelle lor massime curvit, ora col convesso loro verso la parte inferiore, ed altra volta verso la superiore del disco solare. E perch tali stati si vanno continuamente mutando, facendosi le inclinazioni e le incurvazioni or maggiori ed or minori, e talora riducendosi quelle all'equilibrio perfetto e queste alla perfetta dirittezza, convien necessariamente porre, l'istesso asse della revoluzione mestrua delle macchie avere una sua propria conversione, per la quale i suoi poli descrivano due cerchi intorno a i poli d'un altro asse, il quale per ci conviene (come ho detto) assegnare al Sole, il semidiametro de i quali cerchi risponda alla quantit dell'inclinazione del medesimo asse; ed necessario che il tempo del suo periodo sia d'un anno, avvengach tale il tempo nel quale si restituiscono tutte l'apparenze e diversit ne i passaggi delle macchie: e del farsi la conversione di questo asse sopra i poli dell'altro asse parallelo a quel dell'eclittica, e non intorno ad altri punti, ne son manifesto indizio le massime inclinazioni e le massime incurvazioni, le quali son sempre della medesima grandezza. Talch, finalmente, per mantener la Terra stabile nel centro, sar necessario attribuire al Sole due movimenti intorno al proprio centro, sopra due differenti assi, l'uno de i quali finisca la sua conversione in un anno, e l'altro la sua in manco di un mese: il quale assunto all'intelletto mio si rappresenta molto duro e quasi impossibile; e questo depende dal doversi attribuire all'istesso corpo solare du' altri movimenti intorno alla Terra sopra diversi assi, descrivendo con l'uno l'eclittica in un anno, e con l'altro formando spire o cerchi paralleli all'equinoziale uno per giorno; onde quel terzo movimento, il qual si debbe assegnare al globo del Sole in se stesso (non parlo di quello quasi mestruo che conduce le macchie, ma dico dell'altro che deve trasferir l'asse ed i poli di questo mestruo), non si vede ragion nessuna per la quale ei debba finire il suo periodo pi tosto in un anno, come dependente dal moto annuo per l'eclittica, che in ventiquatt'ore, come dependente dal moto diurno sopra i poli dell'equinoziale. So che questo che dico, al presente assai oscuro, ma vi si far manifesto quando parleremo del terzo moto annuo assegnato dal Copernico alla Terra. Ora, quando questi quattro moti, tanto tra di loro incongruenti (li quali tutti per necessit converrebbe attribuire all'istesso corpo del Sole), si possano ridurre a un solo e semplicissimo, assegnato al Sole sopra un asse non mai alterabile, e che, senza innovar cosa veruna ne i movimenti per tanti altri rincontri assegnati al globo terrestre, si possa cos agevolmente salvar tante stravaganti apparenze ne i movimenti delle macchie solari, par veramente che il partito non sia da recusarsi.

   Questo, signor Simplicio, quanto sin ora sovvenuto all'amico nostro ed a me da potersi produrre, in esplicazion di questa apparenza, da i Copernicani e da i Tolemaici per mantenimento delle loro opinioni. Voi fatene quel capitale che il giudizio vostro vi persuade.

   SIMP. Io mi conosco inabile a potermi intromettere in una decisione tanto importante; e quanto al concetto mio, me ne star neutrale, con isperanza per che sia per venir tempo che, illuminati da pi alte contemplazioni che non sono questi nostri umani discorsi, ci debba essere svelata la mente, e tolta via quella caligine che ora ce la tiene offuscata.

   SAGR. Ottimo e santo il consiglio al quale si attiene il signor Simplicio, e degno d'esser da tutti ricevuto e seguito, come quello che, derivando dalla somma sapienza e suprema autorit, solo pu con sicurezza essere abbracciato. Ma per quanto permesso di penetrare al discorso umano, contenendomi dentro a i termini delle conietture e delle ragioni probabili, dir bene, un poco pi resolutamente che non fa il signor Simplicio, non aver, tra quante sottigliezze io mai mi abbia sentite, incontrato mai cosa di maggior maraviglia al mio intelletto, n che pi strettamente m'abbia allacciata la mente (trattone le pure geometriche ed aritmetiche dimostrazioni), di queste due conietture, prese l'una dalle stazioni e retrogradazioni de i cinque pianeti, e l'altra da queste stravaganze de i movimenti delle macchie solari: e perch mi pare che elleno tanto facilmente e lucidamente rendan la vera cagione di apparenze tanto stravaganti, mostrando come un solo semplice moto, mescolato con tanti altri pur semplici, ma tra di loro differenti, senza introdur difficult alcuna, anzi con levar tutte quelle ch'accompagnano l'altra posizione [] vo meco medesimo concludendo necessariamente bisognare che quelli che restano contumaci contro a questa dottrina, o non abbian sentite o non abbiano intese queste tanto manifestamente concludenti ragioni.

   SALV. Io non gli attribuir titolo n di concludenti n di non concludenti, attesoch, come altre volte ho detto, l'intenzion mia non stata di risolver cosa veruna sopra cos alta quistione, ma solo di proporre quelle ragioni naturali ed astronomiche le quali per l'una e per l'altra posizione possono da me addursi, lasciando ad altri la determinazione: la quale non dovr in ultimo esser ambigua, attesoch, convenendo una delle due costituzioni esser necessariamente vera e l'altra necessariamente falsa, impossibil cosa che (stando per tra i termini delle dottrine umane) le ragioni addotte per la parte vera non si manifestino altrettanto concludenti, quanto le in contrario vane ed inefficaci.

   SAGR. Sar dunque tempo che sentiamo le opposizioni del libretto delle conclusioni o disquisizioni, che il signor Simplicio ha riportato.

   SIMP. Ecco il libro; ed ecco il luogo dove l'autore prima brevemente descrive il sistema mondano conforme alla posizion del Copernico, dicendo: Terram igitur una cum Luna totoque hoc elementari mundo Copernicus, etc. ([28])

   SALV. Fermate un poco, signor Simplicio, ch mi pare che questo autore in questo primo ingresso si dichiari molto poco intelligente della posizione la quale egli intraprende a voler confutare, mentre dice che il Copernico fa che la Terra insieme con la Luna va descrivendo in un anno l'orbe magno, movendosi da oriente verso occidente; cosa che, s come falsa ed impossibile, cos non fu mai profferita da quello; ma ben la fa egli andare al contrario, dico da occidente verso oriente, cio secondo l'ordine de i segni, onde tale apparisce poi esser il moto annuo del Sole, costituito immobile nel centro del zodiaco. Vedete troppa ardita confidenza di uno! mettersi alla confutazione della dottrina di un altro, ed ignorare i suoi primi fondamenti, sopra i quali s'appoggia la maggiore e pi importante parte di tutta la fabrica. Questo un cattivo principio per guadagnarsi credito appresso il lettore. Ma seguitiamo pi avanti.

   SIMP. Esplicato l'universal sistema, comincia a propor sue instanze contro a questo movimento annuo: e le prime son queste, ch' e' profferisce ironicamente ed in derisione del Copernico e de' suoi seguaci, scrivendo che in questa fantastica costituzione del mondo convien dir solennissime sciocchezze; cio che 'l Sole, Venere e Mercurio son sotto alla Terra, e che le materie gravi vanno naturalmente all'in su e le leggiere all'in gi, e che Cristo, nostro Signore e Redentore, sal a gli inferi e scese in cielo, quando s'avvicin al Sole, e che quando Iosu comand al Sole che si fermasse, la Terra si ferm o vero il Sole si mosse al contrario della Terra, e che quando il Sole in Cancro, la Terra scorre per il Capricorno, e che i segni iemali fanno la state e gli estivali il verno, e che non le stelle alla Terra, ma la Terra alle stelle nasce e tramonta, e che l'oriente comincia in occidente e l'occidente in oriente, ed in somma che quasi tutto 'l corso del mondo si travolge.

   SALV. Ogni cosa mi piace, fuor che l'aver mescolati luoghi della Sacra Scrittura, sempre veneranda e tremenda, tra queste puerizie pur troppo scurrili, e volsuto ferire con cose sacrosante chi, per ischerzo e da burla filosofando, non afferma n nega, ma, fatti alcuni presupposti o ipotesi, familiarmente ragiona.

   SIMP. Veramente ha scandalezato me ancora e non poco, e massime co 'l soggiugner poi, che se bene i Copernichisti rispondono, bench assai stravoltamente, a queste e simili altre ragioni, non per potranno sodisfare e rispondere alle cose che seguono.

   SALV. Quest' poi peggio di tutto, perch mostra d'aver cose pi efficaci e concludenti che le autorit delle Sacre Lettere. Ma, di grazia, riveriamo queste, e passiamo a i discorsi naturali ed umani: anzi pure, quando e' non produca tra le ragioni naturali cose di miglior senso che queste sin qui addotte, potremo lasciar da banda tutta questa impresa, perch io sicuramente non son per spender parola in rispondere a inezzie cos scempie; e quello che egli dice, che i Copernichisti rispondono a queste instanze, falsissimo, n si pu credere che uomo alcuno si mettesse a consumar il tempo tanto inutilmente.

   SIMP. Concorro io ancora nell'istesso giudizio: per sentiamo l'altre instanze, che egli arreca per molto pi gagliarde. Ed ecco qui, come voi vedete, egli con calcoli esattissimi conclude, che quando l'orbe magno della Terra, nel quale il Copernico fa che ella scorra in un anno intorno al Sole, fusse come insensibile rispetto all'immensit della sfera stellata, secondo che l'istesso Copernico dice che bisogna porlo, converrebbe di necessit dire e confermare che le stelle fisse fussero per una distanza inimmaginabile lontane da noi, e che le minori di loro fussero pi grandi che non tutto l'istesso orbe magno, ed alcune altre maggiori assai di tutta la sfera di Saturno; moli veramente pur troppo vaste, ed incomprensibili ed incredibili.

   SALV. Io gi ho veduto una cosa simile portata da Ticone contro al Copernico, e non ora che ho scoperta la fallacia, o per dir meglio le fallacie, di questo discorso, fabbricato sopra ipotesi falsissime e sopra un pronunziato del medesimo Copernico preso da i suoi contradittori con una puntualissima strettezza, come fanno quei litiganti che, avendo il torto nel merito principale della causa, si attaccano a una sola paroluzza incidentemente profferita dalla parte, e su quella strepitano senza prender sosta. E per vostra pi chiara intelligenza, avendo il Copernico dichiarato quelle mirabili conseguenze che derivano dal movimento annuo della Terra ne gli altri pianeti, cio le direzioni e retrogradazioni de i tre superiori in particolare, soggiunse che questa apparente mutazione (che pi in Marte che in Giove, per esser Giove pi lontano, e meno ancora in Saturno, per esser pi lontano di Giove, si scorgeva) nelle stelle fisse restava insensibile, per la loro immensa lontananza da noi in comparazion della distanza di Giove o di Saturno. Qui si levano su gli avversarii di questa opinione, e presa quella nominata insensibilit del Copernico come posta da lui per cosa che realmente ed assolutamente sia nulla, e soggiugnendo che una stella fissa anco delle minori pur sensibile poich ella cade sotto il senso della vista, vengono calcolando, con l'intervento di altri falsi assunti, e concludendo, bisognare in dottrina del Copernico ammettere che una stella fissa sia maggiore assai che tutto l'orbe magno. Ora io, per discoprir la vanit di tutto questo progresso, mostrer che dal porre che una stella fissa della sesta grandezza non sia maggior del Sole, si conclude con dimostrazion verace che la distanza di esse stelle fisse da noi viene ad esser tanta, che basta per far che in esse non apparisca notabile il movimento annuo della Terra, che ne i pianeti cagiona s grandi ed osservabili variazioni; ed insieme partitamente mostrer le gran fallacie ne gli assunti de gli avversarii del Copernico.

   E prima, suppongo con l'istesso Copernico, e concordemente con gli avversarii, che il semidiametro dell'orbe magno, ch' la distanza della Terra al Sole, contenga 1208 semidiametri di essa Terra; secondariamente pongo, con l'assenso de i medesimi e con la verit, il diametro apparente del Sole, nella sua mediocre distanza esser circa un mezo grado, cio minuti primi 30, che sono 1800 secondi, cio 108.000 terzi. E perch il diametro apparente d'una stella fissa della prima grandezza non pi di 5 secondi, cio 300 terzi, ed il diametro di una fissa della sesta grandezza 50 terzi (e qui il massimo errore de gli avversarii del Copernico), adunque il diametro del Sole contiene il diametro d'una fissa della sesta grandezza 2160 volte; e per quando si ponesse, una fissa della sesta grandezza esser realmente eguale al Sole, e non maggiore, che il medesimo che dire quando si allontanasse il Sole tanto che il suo diametro si mostrasse una delle 2160 parti di quello che ci si mostra adesso, la distanza sua converrebbe esser 2160 volte maggiore di quello che ora in effetto; che quanto dire che la distanza delle fisse della sesta grandezza sia 2160 semidiametri dell'orbe magno. E perch la distanza del Sole dalla Terra contiene di comune assenso 1208 semidiametri di essa Terra, e la distanza delle fisse (come si detto) 2160 semidiametri dell'orbe magno, adunque molto maggiore (cio quasi il doppio) il semidiametro della Terra in comparazione dell'orbe magno, che 'l semidiametro dell'orbe magno in relazione alla distanza della sfera stellata, e per ci la diversit di aspetto nelle fisse, cagionata dal diametro dell'orbe magno, poco pi osservabile pu esser di quella che si osserva nel Sole, derivante dal semidiametro della Terra.

   SAGR. Questa, per il primo scalino, fa un gran calare.

   SALV. Fallo veramente; poi che una stella fissa della sesta grandezza, che al computo di questo autore bisognava, per mantenimento del detto del Copernico, che fusse grande quanto tutto l'orbe magno, co 'l porla solamente eguale al Sole, il qual Sole minore assai della diecimilionesima parte di esso orbe magno, rende la sfera stellata tanto grande e alta, che basta per rimuovere l'instanza fatta contro esso Copernico.

   SAGR. Fatemi, di grazia, questo computo.

   SALV. Il computo facile e brevissimo. Il diametro del Sole undici semidiametri della Terra, ed il diametro dell'orbe magno contiene, de i medesimi, 2416, per detto comune delle parti; talch il diametro dell'orbe contiene quel del Sole 220 volte prossimamente: e perch le sfere sono tra di loro come i cubi de i lor diametri, facciamo il cubo di 220, che 10.648.000, ed averemo l'orbe magno maggior del Sole dieci milioni seicentoquarant'ottomila volte; al qual orbe magno diceva quest'autore dover essere eguale una stella della sesta grandezza.

   SAGR. L'error dunque di costoro consiste nell'ingannarsi sommamente nel prender il diametro apparente delle stelle fisse.

   SALV. Cotesto l'errore, ma non solo: e veramente io resto grandemente ammirato come tanti astronomi, e pur di gran nome, quali sono Alfagrano, Albategno, Tebizio, e pi modernamente i Ticoni, i Clavii, ed in somma tutti i predecessori al nostro Accademico, si sien cos altamente ingannati nel determinar le grandezze di tutte le stelle, tanto fisse quanto mobili, trattine i dua luminarii, n abbiano posto cura alla irradiazione avventizia, che ingannevolmente le mostra cento e pi volte maggiori che quando si veggono senza crini. E non si pu scusare questa loro inavvertenza perch era in lor potest il vederle a lor piacimento senza i crini, ch basta guardarle nella lor prima apparizion della sera o ultima occultazion dell'aurora; e se non altro, Venere, che pure spesse volte si vede di mezo giorno cos piccola che ben bisogna aguzzar la vista, e che pur poi nella seguente notte comparisce una grandissima fiaccola, gli doveva fare accorti della lor fallacia: che non creder gi che eglino stimassero, il vero disco esser quello che si mostra nelle profonde tenebre, e non quello che si scorge nell'ambiente luminoso, perch i nostri lumi, che veduti la notte di lontano appariscon grandi, e da vicino mostrano la lor vera fiammella terminata e piccola, potevano a sufficienza fargli cauti. Anzi, s'io devo liberamente dire il mio parere, credo assolutamente che nessun di costoro, n anco Ticone stesso, tanto accurato nel maneggiare strumenti astronomici, e che tanto grandi ed esatti, senza rispiarmo di spese grandissime, ne fabbric, si sieno messi mai a voler prendere e misurare l'apparente diametro d'alcuna stella, trattone il Sole e la Luna; ma penso che arbitrariamente, e come si dice a occhio, uno di loro de i pi antichi pronunziasse la cosa esser cos, e che i seguaci poi senza altro riscontro se ne sieno stati al primo detto: ch quando alcuno di loro si fusse applicato al farne qualche riprova, si sarebbe senza dubbio accorto dell'inganno.

   SAGR. Ma se eglino mancavano del telescopio, e voi di gi avete detto che l'amico nostro con tale strumento venuto in cognizione della verit, devono gli altri restare scusati, e non accusati di negligenza.

   SALV. Questo seguirebbe, quando senza 'l telescopio non si potesse ottenere l'intento. vero che tale strumento, co 'l mostrar il disco della stella nudo ed ingrandito cento e mille volte, rende l'operazione pi facile assai, ma si pu anco senza lo strumento conseguir, se ben non cos esattamente, l'istesso; ed io pi volte l'ho fatto, e 'l modo che ho tenuto questo. Ho fatto pendere una cordicella verso qualche stella, ed io mi son servito della Lira, che nasce tra settentrione e greco, e poi con l'appressarmi e slontanarmi da essa corda, traposta tra me e la stella, ho trovato il posto dal quale la grossezza della corda puntualmente mi nasconde la stella; fatto questo, ho preso la lontananza dall'occhio alla corda, che viene a esser un de' lati che comprendon l'angolo che si forma nell'occhio e che insiste sopra la grossezza della corda, e che simile, anzi l'istesso, che l'angolo che nella sfera stellata insiste sopra il diametro della stella, e dalla proporzione della grossezza della corda alla distanza dall'occhio alla corda, con la tavola de gli archi e corde, ho immediatamente trovata la quantit dell'angolo; usando per la solita cautela che si osserva nel prendere angoli cos acuti, di non formare il concorso de' raggi visuali nel centro dell'occhio, dove non vanno se non refratti, ma oltre all'occhio, dove realmente la grandezza della pupilla gli manda a concorrere.

   SAGR. Capisco questa cautela, se ben vi ho un non so che di dubbio; ma quel che mi d pi fastidio che in questa operazione, quando si faccia nelle tenebre della notte, mi par che si misuri il diametro del disco irraggiato, e non il vero e nudo della stella.

   SALV. Signor no, perch la corda nel coprir il nudo corpicello della stella leva via i capelli, che non son suoi ma del nostro occhio, de i quali riman privo subito che se gli nasconde il vero disco; e voi, nel far l'osservazione, vedrete come inaspettatamente vi si cuopre da una sottil cordicella quella assai gran fiaccola che pareva non doversi nascondere se non doppo ostacolo assai maggiore. Per misurar poi esattissimamente e ritrovar quante di tali grossezze di corda entrino nella distanza dell'occhio, piglio non un solo diametro della corda, ma accoppiando molti pezzi della medesima sopra una tavola, s che si tocchino, prendo con un compasso tutto lo spazio occupato da 15 o 20 di loro, e con tal misura misuro la lontananza, gi con altro pi sottil filo presa, dalla corda al concorso de' raggi visuali. E con questa assai esatta operazione trovo, il diametro apparente d'una fissa della prima grandezza, stimato comunemente 2 minuti primi, ed anco 3 minuti prima da Ticone nelle sue Lettere Astronomiche, fac. 167, non esser pi di 5 secondi, che una delle 24 o delle 36 parti di quello che essi han creduto: or vedete sopra che gravi errori son fondate le lor dottrine.

   SAGR. Veggo e comprendo benissimo; ma prima che passar pi oltre, vorrei proporre il dubbio che mi nasce nel ritrovare il concorso de' raggi visuali oltre all'occhio, quando si rimirano oggetti compresi sotto angoli molto acuti. E la difficult mia procede dal parermi che tal concorso possa essere or pi lontano ed or meno, e questo non tanto mediante la maggiore o minor grandezza dell'oggetto che si riguarda, quanto che nel riguardare oggetti dell'istessa grandezza mi pare che 'l concorso de' raggi per certo altro rispetto deva farsi pi e meno remoto dall'occhio.

   SALV. Gi veggo dove tende la perspicacit del signor Sagredo, diligentissimo osservatore delle cose della natura: e farei ben qualsivoglia scommessa, che tra mille che hanno osservato ne' gatti strignersi ed allargarsi assaissimo la pupilla dell'occhio, non ve ne sono due, n forse uno che abbia osservato, un simile effetto farsi dalle pupille de gli uomini nel guardare, mentre il mezo sia molto o poco illuminato, e che nella aperta luce il cerchietto della pupilla si diminuisce assai; s che nel riguardare il disco del Sole si riduce a una piccolezza minore di un grano di panico, che nel mirare oggetti non risplendenti, e dentro a mezo men chiaro, si allarga alla grandezza di una lente o pi; ed in somma questo allargamento e strignimento si diversifica pi assai che in decupla proporzione: dal che manifesto che quando la pupilla dilatata molto, necessario che l'angolo del concorso de' raggi sia pi remoto dall'occhio; il che accade nel riguardare gli oggetti poco luminosi. Dottrina somministratami nuovamente dal signor Sagredo: per la quale, quando si abbia a fare un'osservazione esattissima e di gran conseguenza, venghiamo avvertiti a dover fare l'investigazione di tal concorso nell'atto dell'istessa o di molto simile operazione: ma in questa, per manifestar l'errore de gli astronomi, non vi necessaria tanta accuratezza, perch, quando anco a favor della parte noi supponessimo tal concorso farsi sopra l'istessa pupilla, poco importerebbe, per esser la fallacia loro tanto grande Non so, signor Sagredo, se questo voleva essere il vostro motivo.

   SAGR. Quest' per appunto, ed ho caro che non sia stato irragionevole, come m'assicura l'essermi incontrato con voi; ma ben con questa occasione sentirei volentieri in che modo si possa investigare la distanza del concorso de' raggi visuali.

   SALV. Il modo assai facile, ed tale. Lo piglio due strisce di carta, una nera e l'altra bianca, e fo la nera larga per la met della bianca; attacco poi la bianca in un muro, e lontana da essa fermo l'altra sopra una bacchetta o altro sostegno, in distanza di 15 o 20 braccia: e allontanandomi da questa seconda per altrettanto spazio per la medesima dirittura, chiara cosa che in tal lontananza concorrerebbono le linee rette che, partendosi da i termini della larghezza della bianca, passassero toccando la larghezza dell'altra striscia posta in mezo: onde ne sguita, che quando in tal concorso si ponesse l'occhio, la striscia nera di mezo asconderebbe precisamente la bianca opposta, quando la vista si facesse in un sol punto; ma se noi troveremo che l'estremit della striscia bianca apparisca scoperta, sar necessario argomento che non da un punto solo escono i raggi visuali. E per far che la striscia bianca resti occultata dalla nera, bisogner avvicinar l'occhio: accostatolo, dunque, tanto che la striscia di mezo occupi la remota, e notato quanto bisognato avvicinarsi, sar la quantit di tale avvicinamento misura certa di quanto il vero concorso de' raggi visuali si fa remoto dall'occhio in tale operazione, ed averemo di pi il diametro della pupilla, o vero di quel foro onde escono i raggi visuali; imperocch tal parte sar egli della larghezza della carta nera, qual la distanza dal concorso delle linee che si produssero per l'estremit delle carte al luogo dove stette l'occhio quando prima vedde occultarsi la carta remota dall'intermedia, qual , dico, tal distanza della lontananza tra le due carte. E per, quando volessimo con esquisitezza misurare il diametro apparente d'una stella, fatta l'osservazione nel modo sopradetto, bisognerebbe far paragone del diametro della corda co 'l diametro della pupilla; e trovato verbigrazia, il diametro della corda esser quadruplo di quei della pupilla, e la distanza dell'occhio alla corda esser, per esempio, 30 braccia, diremo il vero concorso delle linee prodotte da i termini del diametro della stella per i termini del diametro della corda andare a concorrer lontane dalla corda 40 braccia: ch cos sar osservata come si deve la proporzione tra la distanza della corda al concorso delle dette linee e la distanza da tal concorso e 'l luogo dell'occhio, che debbe esser la medesima che cade tra 'l diametro della corda e 'l diametro della pupilla.

   SAGR. Ho inteso benissimo, e per sentiamo quel che adduce il signor Simplicio in difesa de gli avversarii del Copernico.

   SIMP. Ancorch quello inconveniente massimo e del tutto incredibile, indotto da questi avversarii del Copernico sia per il discorso del signor Salviati modificato assai, non per mi par tolto via in maniera, che non gli rimanga ancora tanto di vigore che basti per atterrar cotal opinione: perch, se ho ben capito la somma ed ultima conclusione, quando si ponesse le stelle della sesta grandezza esser grandi quanto il Sole (che pur mi par gran cosa a credersi), tuttavia resterebbe vero che l'orbe magno avesse a cagionar nella sfera stellata mutazione e diversit tale qual quella che il semidiametro della Terra produce nel Sole, che pure osservabile; onde, non si scorgendo n una tale n tampoco una minore nelle fisse parmi che per questo il movimento annuo della Terra resti pur desolato e distrutto.

   SALV. Voi ben concludereste signor Simplicio, quando non ci fusse altro da produr per la parte del Copernico; ma molt'altre cose ci restano ancora. E quanto alla replica fatta da voi, nessuna cosa ci osta che noi non possiamo suppor la lontananza delle fisse esser ancor molto maggiore di quello che si fatto; e voi stesso, e chi si sia altro che non voglia derogare alle proposizioni ammesse da i seguaci di Tolomeo, bisogner che ammetta per convenientissima cosa il por la sfera stellata assaissimo maggiore ancora di quello che pur ora abbiamo detto doversi stimare. Imperocch, convenendo tutti gli astronomi che della maggior tardanza delle conversioni de' pianeti ne sia cagione la maggioranza delle loro sfere e che per ci Saturno sia pi tardo di Giove e Giove del Sole, perch quello ha a descriver cerchio maggiore di questo, e questo di quest'altro, etc.; considerando che Saturno, verbigrazia, l'altezza del cui orbe nove volte maggiore che quella del Sole, e che per ci il tempo di una revoluzione di Saturno 30 volte pi lungo che quello di una conversion del Sole; essendo che nella dottrina di Tolomeo una conversion della sfera stellata si finisca in 36.000 anni, dove quella di Saturno si fornisce in 30, e quella del Sole in uno; argumentando con simile proporzione, e dicendo: Se l'orbe di Saturno, per esser 9 volte maggiore dell'orbe del Sole, si rivolge in tempo 30 volte maggiore, per la ragione eversa quanto dover esser grande quell'orbe che si rivolge 36.000 volte pi tardo? si trover, la distanza della sfera stellata dovere esser 10.800 semidiametri dell'orbe magno, che sarebbe 5 volte appunto maggiore di quello che poco fa la calcolammo dovere esser quando una fissa della sesta grandezza fusse quanto il Sole. Or vedete quanto minore ancora dovrebbe, per tal rispetto, esser la diversit cagionata in esse dal movimento annuo della Terra. E quando con simil relazione noi volessimo argumentar la lontananza della sfera stellata da Giove e da Marte, quello ce la darebbe 15.000, e questo 27.000, semidiametri dell'orbe magno, cio ancora maggior, quello 7 e questo 12 volte, che non ce la dava la grandezza della fissa supposta eguale al Sole.

   SIMP. Mi par che a questo si potrebbe rispondere che 'l moto della sfera stellata si doppo Tolomeo osservato non esser cos tardo come esso lo stim; anzi mi pare avere inteso che l'istesso Copernico stato l'osservatore.

   SALV. Voi dite benissimo, ma non producete cosa che favorisca punto la causa de i Tolemaici, li quali non hanno mai recusato il moto de i 36.000 anni nella sfera stellata, perch tanta tardit la facesse troppo vasta ed immensa; ch se tal immensit non era da concedersi in natura, dovevano prima che ora negare una conversione tanto tarda, che non potesse con buona proporzione adattarsi se non ad una sfera di grandezza intollerabile.

   SAGR. Di grazia, signor Salviati, non perdiam pi tempo in proceder per via di tali proporzioni con gente che sono accomodate ad ammetter cose sproporzionatissime, talch assolutamente con loro per questa strada non possibile guadagnar nulla. E qual pi sproporzionata proporzione si pu immaginare di quella che questi tali trapassano ed ammettono, mentre che, scrivendo non ci esser pi conveniente modo di ordinar le celesti sfere che 'l regolarsi con le diversit de' tempi de' periodi loro, mettendo di grado in grado le pi tarde sopra le pi veloci, costituita che hanno altissima la sfera stellata, come tardissima pi di tutte, glie ne costituiscono una superiore, e per ci maggiore, e la fanno muovere in ventiquattr'ore, mentre che la sua inferiore si muove in 36.000 anni? Ma di queste sproporzionalit se ne parl a bastanza il giorno passato.

   SALV. Vorrei, signor Simplicio, che sospesa per un poco l'affezione che voi portate a i seguaci della vostra opinione, mi diceste sinceramente se voi credete che essi nella mente loro comprendano quella grandezza che dipoi giudicano non poter, per la sua immensit, attribuirsi all'universo; perch io, quanto a me, credo di no, e mi pare che, s come nell'apprension de' numeri, come si comincia a passar quelle migliaia di milioni, l'immaginazion si confonde n pu pi formar concetto, cos avvenga ancora nell'apprender grandezze e distanze immense; s che intervenga al discorso effetto simile a quello che accade al senso, che mentre nella notte serena io guardo verso le stelle, giudico al senso la lontananza loro esser di poche miglia, n esser le stelle fisse punto pi remote di Giove o di Saturno, anzi pur n della Luna. Ma, senza pi, considerate le controversie passate tra gli astronomi ed i filosofi peripatetici per cagione della lontananza delle stelle nuove di Cassiopea e del Sagittario, riponendole quelli tra le fisse, e questi credendole pi basse della Luna: tanto impotente il nostro senso a distinguere le distanze grandi dalle grandissime, ancor che queste in fatto siano molte migliaia di volte maggiori di quelle. E finalmente io ti domando, oh uomo sciocco: Comprendi tu con l'immaginazione quella grandezza dell'universo, la quale tu giudichi poi essere troppo vasta? se la comprendi, vorrai tu stimar che la tua apprensione si estenda pi che la potenza divina vorrai tu dir d'immaginarti cose maggiori di quelle che Dio possa operare? ma se non la comprendi, perch vuoi apportar giudizio delle cose da te non capite?

   SIMP. Questi discorsi camminan tutti benissimo, e non si nega che 'l cielo non possa superare di grandezza la nostra immaginazione, come anco l'aver potuto Dio crearlo mille volte maggiore di quello che : ma non deviamo ammettere, nessuna cosa esser stata creata in vano ed esser oziosa nell'universo; ora, mentre che noi veggiamo questo bell'ordine di pianeti, disposti intorno alla Terra in distanze proporzionate al produrre sopra di quella suoi effetti per benefizio nostro, a che fine interpor di poi tra l'orbe supremo di Saturno e la sfera stellata uno spazio vastissimo senza stella alcuna, superfluo e vano? a che fine? per comodo ed utile di chi?

   SALV. Troppo mi par che ci arroghiamo, signor Simplicio, mentre vogliamo che la sola cura di noi sia l'opera adequata ed il termine oltre al quale la divina sapienza e potenza niuna altra cosa faccia o disponga: ma io non vorrei che noi abbreviassimo tanto la sua mano, ma ci contentassimo di esser certi che Iddio e la natura talmente si occupa al governo delle cose umane, che pi applicar non ci si potrebbe quando altra cura non avesse che la sola del genere umano; il che mi pare con un accomodatissimo e nobilissimo esempio poter dichiarare, preso dall'operazione del lume del Sole, il quale, mentre attrae quei vapori o riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come se altro non avesse che fare; anzi nel maturar quel grappolo d'uva, anzi pur quel granello solo, vi si applica che pi efficacemente applicar non vi si potrebbe quando il termine di tutti i suoi affari fusse la sola maturazione di quel grano. Ora, se questo grano riceve dal Sole tutto quello che ricever si pu, n gli viene usurpato un minimo che dal produrre il Sole nell'istesso tempo mille e mill'altri effetti, d'invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel grano, quando e' credesse o chiedesse che nel suo pro solamente si impiegasse l'azione de' raggi solari. Son certo che niente si lascia indietro dalla divina Providenza di quello che si aspetta al governo delle cose umane; ma che non possano essere altre cose nell'universo dependenti dall'infinita sua sapienza, non potrei per me stesso, per quanto mi detta il mio discorso, accomodarmi a crederlo: tuttavia, quando pure il fatto stesse in altra maniera, nessuna renitenza sarebbe in me di credere alle ragioni che da pi alta intelligenza mi venissero addotte. In tanto, quando mi vien detto che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti e la sfera stellata, privo di stelle ed ozioso, come anco superflua tanta immensit, per ricetto delle stelle fisse, che superi ogni nostra apprensione, dico che temerit voler far giudice il nostro debolissimo discorso delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell'universo che non serve per noi.

   SAGR. Dite pure, e credo che direte meglio, che noi non sappiamo che serva per noi: ed io stimo una delle maggiori arroganze, anzi pazzie, che introdur si possano, il dire "Perch'io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, adunque questi son superflui, anzi non sono in natura"; mentre che oh stoltissimo uomo, io non so n anco a quel che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi n saprei d'avere il fele, la milza o i reni, se in molti cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente potrei intender quello che operi in me la milza, quando ella mi fusse levata. Per intender quali cose operi in me questo o quel corpo celeste (gi che tu vuoi che ogni loro operazione sia indrizzata a noi), bisognerebbe per qualche tempo rimuover quel tal corpo, e quell'effetto, ch'io sentissi mancare in me, dire che dependeva da quella stella. Di pi, chi vorr dire che lo spazio che costoro chiamano troppo vasto ed inutile, tra Saturno e le stelle fisse, sia privo d'altri corpi mondani? forse perch non gli vediamo? adunque i quattro pianeti Medicei e i compagni di Saturno vennero in cielo quando noi cominciammo a vedergli, e non prima? e cos le altre innumerabili stelle fisse non vi erano avanti che gli uomini le vedessero? le nebulose erano prima solamente piazzette albicanti, ma poi noi co 'l telescopio l'aviamo fatte diventare drappelli di molte stelle lucide e bellissime? Prosuntuosa, anzi temeraria, ignoranza de gli uomini!

   SALV. Non occorre, signor Sagredo, distendersi pi in queste infruttuose esagerazioni: seguitiamo il nostro instituto, che di esaminare i momenti delle ragioni portate dall'una e dall'altra parte, senza determinar cosa alcuna, rimettendone poi il giudizio a chi ne sa pi di noi. E tornando su i nostri discorsi naturali ed umani, dico che questo grande, piccolo, immenso, minimo, etc., son termini non assoluti, ma relativi, s che la medesima cosa, paragonata a diverse, potr ora chiamarsi immensa, e tal ora insensibile, non che piccola. Stante questo, io domando in relazione a chi la sfera stellata del Copernico si pu chiamare troppo vasta. Questa, per mio parere, non pu paragonarsi n dirsi tale se non in relazione a qualche altra cosa del medesimo genere: or pigliamo la minima del medesimo genere, che sar l'orbe lunare; e se l'orbe stellato si deve sentenziare per troppo vasto rispetto a quel della Luna, ogn'altra grandezza che con simile o maggior proporzione ecceda un'altra del medesimo genere, dover dirsi troppo vasta, ed anco, per questa ragione, negarsi che ella si ritrovi al mondo: e cos gli elefanti e le balene saranno senz'altro chimere e poetiche immaginazioni, perch quelli, come troppo vasti in relazione alle formiche, le quali sono animali terrestri, e quelle rispetto alle spillancole, che sono pesci, e veggonsi di sicuro essere in rerum natura, sarebbono troppo smisurati, perch assolutamente l'elefante e la balena superano la formica e la spillancola con assai maggior proporzione che non fa la sfera stellata quella della Luna, figurandoci noi detta sfera tanto grande quanto basta per accomodarsi al sistema Copernicano. Di pi, quanto grande la sfera di Giove, quanto quella di Saturno, assegnate per recettacolo di una stella sola, e ben piccola, in comparazione di una fissa? certo che se a ciascuna fissa si dovesse consegnar per suo ricetto tal parte dello spazio mondano, bisognerebbe far l'orbe, dove stanzia l'innumerabil moltitudine di quelle, molte e molte migliaia di volte maggiore di quello che basta per il bisogno del Copernico. In oltre, non chiamate voi una stella fissa, piccolissima, dico anco delle pi apparenti, non che di quelle che fuggono la nostra vista? e le chiamiamo cos in comparazione dello spazio circonfuso. Ora, quando tutta la sfera stellata fusse un corpo solo risplendente, chi che non capisca che nello spazio infinito si pu assegnare una distanza tanto grande, dalla quale tale sfera lucida apparisse cos piccola ed anco minore di questo che dalla Terra ci pare adesso una stella fissa? di l dunque giudicheremmo allora piccola quella medesima cosa, che ora di qui chiamiamo smisuratamente grande.

   SAGR. Grandissima mi par l'inezzia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l'universo pi proporzionato alla piccola capacit del loro discorso, che all'immensa, anzi infinita, Sua potenza.

   SIMP. Tutto questo che voi dite va bene; ma quello sopra di che la parte fa instanza, l'avere a concedere che una stella fissa abbia ad esser non pure eguale, ma tanto maggiore del Sole, che pure amendue sono corpi particolari situati dentro all'orbe stellato. E ben parmi che molto a proposito interroghi quest'autore e domandi: "A che fine ed a benefizio di chi sono macchine tanto vaste? prodotte forse per la Terra, cio per un piccolissimo punto? e perch tanto remote, acciocch appariscano tantine e niente assolutamente possano operare in Terra? a che proposito una spropositata immensa voragine tra esse e Saturno? frustratorie sono tutte quelle cose che da ragioni probabili non son sostenute".

   SALV. Dall'interrogazioni che fa quest'uomo mi par che si possa raccorre, che quando si lasci stare il cielo, le stelle e le distanze, della quantit e grandezze ch'egli ha sin ora creduto (bench nissuna comprensibil grandezza egli gi mai non se ne sia sicuramente figurata), ei penetri benissimo e resti capace de i benefizii che da esse provengano sopra la Terra, la quale non pi sia una cosetta minima, n che esse sien pi tanto remote che appariscano cos piccoline, ma tanto grandi quanto basta per potere operare in Terra, e che la distanza tra esse e Saturno sia proporzionata benissimo, e che egli di tutte queste cose abbia molto probabili ragioni, delle quali ne averei volentieri sentito qualcuna; ma il vedere che egli in queste poche parole si confonde e si contraddice, mi fa credere ch' e' sia molto penurioso e scarso di queste probabili ragioni, e che quelle che ei chiama ragioni, sieno pi tosto fallacie, anzi ombre di vane immaginazioni. Imperocch io domando adesso a lui, se questi corpi celesti operano veramente sopra la Terra, e se per tale effetto sono stati prodotti delle tali e tali grandezze, ed in tali e tali distanze disposti, o pure se non hanno che fare con le cose terrene. Se non han che fare con la Terra, sciocchezza grande il voler noi terreni esser arbitri delle grandezze, e regolatori delle loro locali disposizioni, mentre siamo ignorantissimi di tutti i loro affari e interessi: ma se dir che operano e che a questo fine siano indrizzati, viene ad affermare quello che per un altro verso egli medesimo nega ed a laudar quello che pur ora ha dannato, mentre diceva che i corpi celesti, locati in tanta lontananza che dalla Terra appariscan tantini, non possono in lei operar cosa alcuna. Ma, uomo mio, nella sfera stellata, gi stabilita nella distanza che ella si trova e che da voi vien giudicata per ben proporzionata per gl'influssi in queste cose terrene, moltissime stelle appariscono piccolissime, e cento volte tante ve ne sono del tutto a noi invisibili (che un apparire ancor minori che tantine): adunque bisogna che voi (contradicendo a voi medesimo) neghiate ora la loro operazione in Terra; o vero che (contradicendo pure a voi stesso) concediate che l'apparir tantine non detrae della loro operazione; o s veramente (e questa sar pi sincera e modesta concessione) concediate e liberamente confessiate che 'l giudicar nostro circa le loro grandezze e distanze sia una vanit, per non dir prosunzione o temerit.

   SIMP. Veramente veddi ancor io subito, nel legger questo luogo, la contradizion manifesta, nel dir che le stelle, per cos dire, del Copernico, apparendo tanto piccoline, non potrebbero operare in Terra, e non si accorgere d'aver conceduto l'azione sopra la Terra a quelle di Tolomeo e sue, che appariscono non pur tantine, ma sono la maggior parte invisibili.

   SALV. Ma vengo ad un altro punto. Sopra che fondamento dice egli che le stelle appariscano cos piccole? forse perch tali le veggiamo noi? e non sa egli che questo viene dallo strumento che noi adoperiamo in riguardarle, cio dall'occhio nostro? E che ci sia vero, mutando strumento le vedremo maggiori e maggiori, quanto ne piacer: e chi sa che alla Terra, che le rimira senza occhi, elle non si mostrino grandissime e quali realmente elle sono? Ma tempo che, lasciate queste leggerezze, venghiamo a cose di pi momento: e per, avendo io gi dimostrato queste due cose prima, quanto basti por lontano il firmamento s che in lui il diametro dell'orbe magno non faccia maggior diversit di quella che fa l'orbe terrestre nella lontananza del Sole, e poi dimostrato parimente come per far che una stella del firmamento ci apparisca della grandezza che noi la veggiamo, non necessario porla maggiore del Sole, vorrei saper se Ticone o alcuno de' suoi aderenti ha tentato mai di investigare in qualche modo se nella sfera stellata si scorga veruna apparenza per la quale si possa pi resolutamente negare o ammettere il moto annuo della Terra.

   SAGR. Io per loro risponderei di no, n tampoco averne avuto bisogno; gi che il Copernico stesso che dice, tal diversit non vi essere, ed essi, argomentando ad hominem, glie l'ammettono, e sopra questo assunto mostrano l'improbabilit che ne segue, cio che sarebbe necessario far la sfera tanto immensa, che una stella fissa, per apparirci grande come ci apparisce, converrebbe che in realt fusse una mole cos immensa che eccedesse la grandezza di tutto l'orbe magno: cosa che poi, come essi dicono, del tutto incredibile.

   SALV. Io son del medesimo parere, e credo appunto ch'egli argomentino contro all'uomo pi per difesa d'un altro uomo, che per brama di venire in cognizion del vero; e non solamente non credo che alcun di loro si sia applicato al far tal osservazione, ma non son sicuro ancora se alcuno di essi sappia quale diversit dovesse produr nelle fisse il movimento annuo della Terra, quando la sfera stellata non fusse in tanta distanza che in esse tal diversit per la sua piccolezza svanisse: perch il cessare da tal inquisizione e rimettersi al semplice detto del Copernico, pu ben bastare a convincer l'uomo, ma non gi a chiarirsi del fatto, potendo esser che la diversit ci sia, ma non cercata, o, per la sua piccolezza o per mancamento di strumenti esatti, non compresa dal Copernico; che non sarebbe questa la prima cosa che egli, per mancanza di strumenti o per altro difetto, non ha saputa, e pur, fondato sopra altre saldissime conietture, afferm quello a cui parevano contrariare le cose non comprese da lui: ch, come gi si disse, senza il telescopio n Marte poteva comprendersi crescer 60 volte, e Venere 40, pi in quella che in questa positura, anzi le differenze loro appariscono minori assai del vero; tuttavia si poi venuto in certezza, tali mutazioni esservi a capello quali ricercava il sistema copernicano. Or cos sarebbe ben fatto ricercare, con quella esquisitezza che si potesse maggiore, se una tal mutazione che dovrebbe scorgersi nelle fisse, posto il moto annuo della Terra, effettivamente si osservasse; cosa che assolutamente credo non esser sin ora stata fatta da alcuno, e non solamente fatta, ma forse (come ho detto) n anco da molti ben inteso quel che cercar si dovrebbe. N mi muovo a caso a dir cos; perch gi veddi certa scrittura a penna di uno di questi anticopernicani, che diceva, necessariamente dover seguire, quando tal opinion fusse vera, un continuo alzamento ed abbassamento del polo di 6 mesi in 6 mesi, secondo che la Terra in tanto tempo, per tanto spazio quant' il diametro dell'orbe magno, si ritira or verso settentrione or verso austro; e pur gli pareva ragionevole, anzi necessario, che seguendo noi la Terra, quando fussimo verso settentrione, dovessimo avere il polo pi elevato che quando siamo verso il mezo giorno. In questo medesimo errore incorse uno per altro assai intelligente matematico, pur seguace del Copernico, secondo che riferisce Ticone ne' suoi Proginnasmi a fac. 684, il quale diceva aver osservato mutarsi l'altezza polare ed esser diversa la state dal verno: e perch Ticone nega il merito della causa, ma non danna l'ordine, cio nega il vedersi mutazione nell'altezza polare, ma non condanna tale inquisizione come non accomodata a conseguir quel che si cerca, viene a dichiararsi che egli ancora stima, l'altezza polare, variata o non variata di 6 mesi in 6 mesi, esser buona riprova per escludere o introdurre il movimento annuo della Terra.

   SIMP. Veramente, signor Salviati, che a me ancora par che dovesse seguir l'istesso. Imperocch io non credo che voi mi negherete, che se noi camminiamo solamente 60 miglia verso tramontana, il polo ci si alzer un grado, ed accostandosi parimente per altre 60 miglia al settentrione, ci si alzer il polo un altro grado, etc.: ora, se l'accostarsi e di scostarsi 60 miglia solamente fa s notabil mutazione nell'altezze polari, che dover fare il trasportarvi la Terra, e noi insieme, non dir 60 miglia, ma 60 migliaia?

   SALV. Dover fare (se si deve seguir cotesta proporzione) che il polo ci si alzer mille gradi. Vedete, signor Simplicio, quanto pu un'inveterata impressione! Voi, per esservi fissato nella fantasia per tanti anni che il cielo sia quello che si rivolga in ventiquattr'ore, e non la Terra, e che in conseguenza i poli di tal revoluzione siano nel cielo e non nel globo terrestre, non potete n anco per un'ora spogliarvi quest'abito e mascherarvi del contrario, figurandovi che la Terra sia quella che si muova solamente per tanto tempo quanto basta per concepir quello che ne seguirebbe quando questa bugia fusse vera. Se la Terra, signor Simplicio, quella che si muove in se stessa in ventiquattr'ore, in lei sono i poli, in lei l'asse, in lei l'equinoziale, cio il cerchio massimo descritto dal punto egualmente distante da i poli, in lei sono gli infiniti paralleli, maggiori e minori, descritti da i punti della sua superficie pi e meno distanti da i poli; in lei sono tutte queste cose, e non nella sfera stellata, che, per essere immobile, manca di tutte, e solo con l'imaginazione vi si possono figurare, prolungando l'asse della Terra sin l dove terminando segner due punti sopraposti a i nostri poli, ed il piano dell'equinoziale disteso figurer in cielo un cerchio a s corrispondente. Ora, se il vero asse, i veri poli, il vero equinoziale terrestri non si mutano in Terra tuttavolta che voi ancora resterete nel medesimo luogo in Terra, trasportate pure la Terra dove vi piace, che voi gi mai non cangerete abitudine n a i poli n a i cerchi n ad altra cosa terrena; e questo, per esser cotal trasportamento comune a voi ed a tutte le cose terrestri, ed il moto, dove comune, come se non vi fusse: e s come voi non muterete abitudine a i poli terreni (abitudine, dico, s che vi si alzino o vi s'abbassino), cos parimente non la muterete a i poli figurati in cielo, tuttavoltach per poli celesti intenderemo (come gi si definito) quei due punti che dall'asse terrestre, prolungato sin l, vi vengono segnati. vero che si mutano tali punti nel cielo, quando il trasportamento della Terra vien fatto in tal modo, che il suo asse vadia a ferire in altri ed altri punti della sfera celeste immobile; ma non si muta la nostra abitudine ad essi, s che il secondo ci si elevi pi che il primo. Chi vuole che de i punti del firmamento, rispondenti a i poli della Terra, l'uno se gli alzi e l'altro se gli abbassi, bisogna camminare in Terra verso l'uno, allontanandosi dall'altro; ch il trasportar la Terra, e con lei noi medesimi (come ho gi detto), non opera niente.

   SAGR. Concedetemi in grazia, signor Salviati, ch'io spiani assai chiaramente questo negozio con un esempio, se ben grossolano, altrettanto per accomodato a questo proposito. Figuratevi, signor Simplicio, d'essere in una galera, e che stando in poppa abbiate drizzato un quadrante o altro strumento astronomico alla sommit dell'albero del trinchetto, come se voi voleste prender la sua elevazione, la quale fusse, verbigrazia, 40 gradi: non dubbio, che camminando voi per corsa verso l'albero 25 o 30 passi, tornando a drizzare il medesimo strumento alla medesima sommit dell'albero, troverete la sua elevazione esser maggiore, ed esser cresciuta, verbigrazia, 10 gradi; ma se in cambio di camminar i detti 25 o 30 passi verso l'albero, voi, restando fermo in poppa, faceste muover tutta la galera verso quella parte, credereste voi che, mediante il viaggio che ella avesse fatto de i 25 o 30 passi, l'elevazion del trinchetto vi si mostrasse di 10 gradi accresciuta?

   SIMP. Credo ed intendo che ella non si vantaggierebbe n anco un sol capello per il viaggio di mille n di centomila miglia, non che di 30 passi, ma credo bene che, se traguardando la sommit del trinchetto si fusse incontrato una stella fissa ad esser nella medesima dirittura, credo, dico, che tenendo fermo il quadrante, doppo aver navigato verso la stella 60 miglia, la mira batterebbe bene alla punta del trinchetto come prima, ma non gi pi alla stella, la quale mi si sarebbe elevata un grado

   SAGR. Ma voi non credete gi che 'l traguardo non battesse a quel punto della sfera stellata che risponde alla dirittura della sommit del trinchetto?

   SIMP. Questo no, ma il punto sarebbe variato, e rimarrebbe sotto alla stella prima osservata.

   SAGR. Cos sta per appunto. Ma s come quello che in quest'esempio risponde all'elevazion della sommit dell'albero non la stella, ma il punto del firmamento che si trova nella dirittura dell'occhio e della cima dell'albero, cos nel caso esemplificato quello che nel firmamento risponde al polo della Terra, non una stella o altra cosa fissa del firmamento, ma quel punto nel quale va a terminar l'asse terrestre dirittamente prolungato sin l, il qual punto non fisso, ma ubbidisce alle mutazioni che facesse il polo terreno e per Ticone o altri, che avevano portato questa instanza dovevano dire che a tal movimento della Terra quando vero fusse, si dovrebbe conoscere ed osservar qualche diversit nell'alzamento ed abbassamento non del polo, ma di alcuna stella fissa verso quella parte che risponde al nostro polo.

   SIMP. Gi intendo benissimo l'equivoco preso da costoro, ma non per mi si toglie la forza, che mi par grandissima, dell'argomento portato in contrario, quando si riferisca alla mutazion delle stelle, e non pi del polo: atteso che, se il movimento della galera, di 60 miglia solamente, mi fa alzarsi una stella fissa per un grado, come non potr molto pi venirmi una simil mutazione, ed anco maggiore assaissimo, quando la galera si trasportasse verso la medesima stella per tanto spazio quant' il diametro dell'orbe magno, che voi dite esser il doppio di quello che dalla Terra al Sole?

   SAGR. Qui, signor Simplicio, ci un altro equivoco, il quale veramente voi intendete, ma non vi sovviene l'intenderlo; ed io cercher di ricordarvelo. Per ditemi: Se quando, doppo avere aggiustato il quadrante a una stella fissa, e trovato, verbigrazia, la sua elevazione esser 40 gradi, voi, senza muovervi di luogo inclinaste il lato del quadrante, s che la stella rimanesse elevata sopra quella dirittura, direte voi perci la stella aver acquistato maggior elevazione?

   SIMP. Certo no, perch la mutazione si fatta nello strumento, e non nell'osservatore, che abbia mutato luogo movendosi verso quella.

   SAGR. Ma quando voi navigate o camminate sopra la superficie della Terra, direste voi che nel medesimo quadrante non si facesse mutazione alcuna, ma si conservasse sempre la medesima elevazione rispetto al cielo, tuttavolta che voi stesso non l'inclinaste, ma lo lasciaste stare nella prima costituzione?

   SIMP. Lasciate ch'io ci pensi un poco. Direi senz'altro che non la conservasse, per esser, il viaggio ch'io fo, non in piano, ma sopra la circunferenza del globo terrestre, la quale di passo in passo muta inclinazione rispetto al cielo, ed in conseguenza la fa mutare allo strumento che sopra di lei la conserva.

   SAGR. Voi benissimo dite; ed anco intendete, che quanto maggiore e maggiore fusse quel cerchio sopra il quale voi vi moveste, tante pi miglia bisognerebbe camminare per far che quella stella vi si alzasse quel grado di pi, e che finalmente, quando il moto verso la stella fusse per linea retta, pi ancora converrebbe muoversi che per la circonferenza di qualsivoglia grandissimo cerchio.

   SALV. S, perch finalmente la circonferenza del cerchio infinito e una linea retta sono l'istessa cosa.

   SAGR. Oh questo non intendo io, n credo che l'intenda anco il signor Simplicio; e bisogna che ci sia sotto qualche misterio ascosto, perch sappiamo che il signor Salviati non parla mai a caso, n mette in campo paradosso che non riesca in qualche concetto non punto triviale: per a luogo e tempo vi ricorder la dichiarazion di questo esser la linea retta l'istesso che la circonferenza del cerchio infinito, ch per adesso non voglio che interrompiamo il discorso che aviam per le mani. E tornando al caso, metto in considerazione al signor Simplicio come l'accostamento e discostamento che fa la Terra a quella stella fissa che vicina al polo, si fa come per una linea retta, che il diametro dell'orbe magno; talch il voler regolare l'alzamento ed abbassamento della stella polare co 'l moto per tal diametro come pe 'l moto sopra il cerchio piccolissimo della Terra, gran segno di poca intelligenza.

   SIMP. Ma pur restiamo ancora nelle medesime difficult, gi che n anco quella poca diversit che esser vi dovrebbe, si scorge esservi; e se questa nulla, nullo ancora bisogna confessar che sia il moto annuo per l'orbe magno, attribuito alla Terra.

   SAGR. Or qui lascio seguire al signor Salviati: il quale mi par che non trapassava per nullo l'alzamento o abbassamento della stella polare o di altra delle fisse, ancorch non compreso da alcuno, e dall'istesso Copernico posto non dir per nullo, ma per inosservabile per la sua piccolezza.

   SALV. Gi ho detto di sopra, che non credo che alcuno si sia messo ad osservare se ne i diversi tempi dell'anno si scorga mutazione alcuna nelle fisse, che possa dependere dal movimento annuo della Terra; e soggiunto di pi, che ho dubbio se forse alcuno abbia bene inteso, quali sieno le mutazioni, e tra quali stelle debbano apparire: per bene che andiamo con diligenza esaminando questo punto. L'aver trovato scritto solamente in genere, non si dovere ammettere il movimento annuo della Terra nell'orbe magno, perch non ha del verisimile che per esso non si vedesse alcuna apparente mutazione nelle stelle fisse, e il non sentir poi dire quali dovessero esser in particolare cotali apparenti mutazioni ed in quali stelle, mi fa molto ragionevolmente stimare che costoro che su quel generico pronunziato si fermano, non abbiano inteso, n anco forse cercato di intendere, come cammini il negozio di queste mutazioni, n che cose siano quelle che dicono che veder si dovrebbero; ed a cos giudicare mi muove il sapere, che il movimento annuo attribuito dal Copernico alla Terra quando debba farsi sensibile nella sfera stellata, non rispetto a tutte le stelle egualmente ha da farsi apparente mutazione, ma tale apparenza in alcune deve farsi maggiore, in altre minore, in altre ancor minore, e finalmente in altre assolutamente nulla, per grandissimo che si ponesse il cerchio di questo moto annuo. Le mutazioni poi, che veder si dovrebbero, sono di due generi: l'uno il mutar esse stelle l'apparente grandezza, e l'altro il variar altezze nel meridiano, che si tira poi in conseguenza il mutar gli orti e gli occasi, e le distanze dal vertice, etc.

   SAGR. Mi par di vedermi apparecchiare una matassa di questi rivolgimenti, che Dio voglia ch'io me ne sia per poter distrigar mai; perch, a confessare il mio difetto al signor Salviati, io ci ho tal volta pensato, n mai ne ho potuto ritrovare il bandolo, e non dico tanto di questo che appartiene alle stelle fisse, quanto di un'altra pi terribil faccenda, che voi mi avete fatta sovvenire co 'l ricordar queste altezze meridiane, latitudini ortive e distanze dal vertice, etc.: e 'l mio ravvolgimento di cervello nasce da quello ch'io vi dir adesso. Il Copernico pone la sfera stellata immobile, ed il Sole nel centro di essa, parimente immobile; adunque ogni mutazione che a noi apparisca farsi nel Sole o nelle stelle fisse, necessario che sia della Terra, cio nostra: ma il Sole si alza e si abbassa nel nostro meridiano per un arco grandissimo, quasi di 47 gradi, e per archi ancora maggiori e maggiori varia le sue larghezze ortive ed occidue ne gli orizonti obliqui: or come pu mai la Terra inclinarsi e rilevarsi tanto notabilmente al Sole, e nulla alle stelle fisse, o per s poco che sia cosa impercettibile? Questo quel nodo che non possuto mai passare al mio pettine; e se voi me lo scioglierete, vi stimer pi che un Alessandro.

   SALV. Queste sono difficult degne dell'ingegno del signor Sagredo: ed tale il dubbio, che sino l'istesso Copernico diffid quasi di poterlo dichiarare in maniera che lo rendesse intelligibile, il che si vede s dal confessare egli stesso la sua oscurit, s dal rimettersi due volte in due diverse maniere per dichiararlo: ed io ingenuamente confesso di non avere capita la sua spiegatura se non doppo che con altro diverso modo, assai piano e chiaro, lo resi intelligibile, ma non per senza una lunga e laboriosa applicazion di mente.

   SIMP. Aristotile vedde la difficult medesima e se ne serv per redarguir alcuni antichi i quali volevano che la Terra fusse un pianeta: contro a i quali argomenta, che se ci fusse, converrebbe che essa parimente, come gli altri pianeti, avesse pi di un movimento, dal che ne seguirebbe questa variazione ne gli orti ed occasi delle stelle fisse, e nell'altezze meridiane parimente. E poich ei promosse la difficult e non la risolvette, forza che ella sia, se non d'impossibile, almeno di difficile scioglimento.

   SALV. La grandezza e forza dell'annodamento rende lo scioglimento pi bello e ammirando; ma io non ve lo prometto per oggi, e vi prego a dispensarmi sino a domani, e per ora andremo considerando e dichiarando quelle mutazioni e diversit che per il movimento annuo dovriano scorgersi nelle stelle fisse, s come pur ora dicevamo, nell'esplicazion delle quali vengono a proporsi alcuni punti preparatorii per lo scioglimento della massima difficult. Ora, ripigliando i due movimenti attribuiti alla Terra (e dico due, perch il terzo non altrimenti un moto, come a suo luogo dichiarer), cio l'annuo ed il diurno, quello si deve intendere fatto dal centro della Terra nella circonferenza dell'orbe magno, cio di un cerchio massimo descritto nel piano dell'eclittica, fissa ed immutabile; l'altro, cio il diurno, fatto dal globo della Terra in se stesso circa il proprio centro e proprio asse, non eretto, ma inclinato al piano dell'eclittica, con inclinazione di gradi 23 e mezo in circa, la quale inclinazione si mantiene per tutto l'anno e, quello che sommamente si deve notare, si conserva sempre verso la medesima parte del cielo, talmentech l'asse del moto diurno si mantien perpetuamente parallelo a se stesso: s che, se noi ci immagineremo tale asse prolungato sino alle stelle fisse, mentre che il centro della Terra circonda in un anno tutta l'eclittica, l'istesso asse descrive la superficie di un cilindro obliquo, che ha per una delle sue basi il detto cerchio annuo, e per l'altra un simil cerchio imaginariamente descritto dalla sua estremit, o vogliamo dir polo, tra le stelle fisse; ed tal cilindro obliquo al piano dell'eclittica secondo l'inclinazion dell'asse che lo descrive, che aviamo detto esser gradi 23 e mezo, la quale, conservandosi perpetuamente l'istessa (se non quanto in molte migliaia di anni fa qualche piccolissima mutazione, che al presente negozio niente importa), fa che 'l globo terrestre n pi s'inclina gi mai n si solleva, ma immutabile si conserva: dal che ne sguita che, per quanto appartiene alle mutazioni da osservarsi nelle fisse, dependenti dal solo movimento annuo, l'istesso accader a qualsivoglia punto della superficie terrena, che all'istesso centro della Terra; e per nelle presenti esplicazioni ci serviremo del centro, come di qualsivoglia punto della superficie. E per pi facile intelligenza del tutto, ne disegneremo le figure lineari: e prima segniamo nel piano dell'eclittica il cerchio ANBO, ed intendiamo i punti A, B essere gli estremi verso borea e verso austro, cio il principio di Cancro e di Capricorno, ed il diametro A B prolunghiamolo indeterminatamente per D e C verso la sfera stellata:

 

 

dico ora, primieramente, che niuna delle stelle fisse poste nell'eclittica, per qualsivoglia mutazion fatta dalla Terra per esso piano dell'eclittica, varier mai elevazione, ma sempre si scorger nella medesima superficie; ma bene se gli avviciner ed allontaner la Terra per tanto spazio quanto il diametro dell'orbe magno. Il che sensatamente si vede nella figura: imperocch, sia la Terra nel punto A o sia in B, sempre la stella G si vede per la medesima linea A B C; ma bene la lontananza B C si fatta minore della C A per tutto il diametro B A: il pi dunque che si possa scorgere nella stella C, ed in qualsivoglia altra posta nell'eclittica, la accresciuta o diminuita apparente grandezza, per l'avvicinamento o allontanamento della Terra.

   SAGR. Fermate un poco, in cortesia, perch sento non so che scrupolo che mi d fastidio, ed questo. Che la stella C venga veduta per la medesima linea A B C tanto quando la Terra sia in A quanto se ella sia in B, l'intendo benissimo; come anco di pi capisco che l'istesso avverrebbe da tutti i punti della linea A B, mentre che la Terra passasse da A in B per essa linea; ma passandovi, come si suppone per l'arco A N B, manifesta cosa che quando ella sar nel punto N, ed in qualunque altro fuori che li due A, B, non pi per la linea A B, ma per altre ed altre, si scorger: talch se il mostrarsi sotto diverse linee deve cagionar apparente mutazione, qualche diversit converr che si scorga. Anzi pi dir, con quella libert filosofica che tra i filosofi amici debbe esser permessa, parermi che voi, contrariando a voi stesso, neghiate ora quello che pur oggi ci avete, con nostra maraviglia, dichiarato esser cosa verissima e grande: dico di quello che accade ne i pianeti ed in particolare ne i tre superiori, che ritrovandosi continuamente nell'eclittica o a quella vicinissimi, non solamente si mostrano ora a noi propinqui ed ora remotissimi ma tanto, nei regolati lor movimenti, difformi, che talvolta immobili, e tal ora, per molti gradi, retrogradi, ci si rappresentano; e tutto non per altra cagione, che per il movimento annuo della Terra.

   SALV. Ancorch per mille riscontri io sia stato fatto certo dell'accortezza del signor Sagredo, pur ho voluto con quest'altro cimento assicurarmi maggiormente di quanto io possa promettermi dell'ingegno suo; e tutto per util mio, ch quando le mie proposizioni potranno star salde al martello o alla coppella del suo giudizio, potr star sicuro che elle sien di lega buona a tutto paragone. Dico per tanto, che a bello studio avevo dissimulata cotesta obiezzione, ma non per con animo di ingannarvi e di persuadervi alcuna falsit, come sarebbe potuto accadere quando l'instanza da me dissimulata, e da voi trapassata, fusse stata tale in effetto quale in apparenza si mostra, cio veramente gagliarda e concludente; ma ella non tale, anzi dubito io adesso che voi, per tentar me, finghiate di non conoscer la sua nullit. Ma voglio in questo particolare esser pi malizioso di voi, co 'l cavarvi a forza di bocca quello che artifiziosamente volevi nasconderci: e per ditemi, che cosa quella onde voi conoscete la stazione e retrogradazione de' pianeti derivante dal moto annuo, e che cos grande che pure almeno qualche vestigio di simile effetto dovrebbe vedersi nelle stelle dell'eclittica.

   SAGR. Due quesiti contien questa vostra domanda, a i quali convien ch'io risponda: il primo riguarda l'imputazione, che mi date, di simulatore; l'altro di quello che possa apparir nelle stelle, etc. Quanto al primo, dir con vostra pace che non vero ch'io abbia simulato di non intender la nullit di quella instanza; e per assicurarvi di ci, vi dic'ora che benissimo capisco tal nullit.

   SALV. Ma non capisco gi io come possa essere che voi non parlaste simulatamente, quando dicevi di non intender quella tal fallacia, la quale confessate ora di intender benissimo.

   SAGR. La confessione stessa d'intenderla pu assicurarvi ch'io non simulavo, mentre dicevo di non l'intendere; perch quando io avessi voluto e volessi simulare, chi potria tenermi ch'io non continuassi nella medesima simulazione, negando tuttavia di intender la fallacia? Dico dunque che non l'intendevo allora, ma che ben la capisco al presente, merc dell'avermi voi destato l'intelletto, prima co 'l dirmi risolutamente che ella non nulla, e poi co 'l cominciare a interrogarmi cos alla larga, che cosa fusse quella per la quale io conosceva la stazione e retrogradazione de' pianeti: e perch questo si conosce dalla conferenza che si fa di essi con le stelle fisse, in relazion delle quali si veggono variare lor movimenti or verso occidente ed or verso oriente e tal ora restar come immobili, e perch sopra la sfera stellata non ve n' altra immensamente pi remota, ed a noi visibile, con la quale possiamo conferir le nostre stelle fisse, per vestigio niuno possiamo noi scorger nelle fisse, che risponda a quello che ci apparisce ne' pianeti. Questo penso io che sia quel tanto che voi mi volevi cavar di bocca.

   SALV. Questo , con la giunta da vantaggio della vostra sottilissima arguzia. E se io con un piccol motto vi apersi la mente, voi con un altro fate sovvenire a me, non esser del tutto impossibile che qualche cosa in qualche tempo si trovasse osservabile tra le fisse, per la quale comprender si potesse in chi risegga l'annua conversione, talch esse ancora, non men de i pianeti e del Sole stesso, volesser comparire in giudizio a render testimonianza di tal moto a favor della Terra: perch'io non credo che le stelle siano sparse in una sferica superficie, egualmente distanti da un centro, ma stimo che le loro lontananze da noi siano talmente varie, che alcune ve ne possano esser 2 e 3 volte pi remote di alcune altre; talch, quando si trovasse co 'l telescopio qualche piccolissima stella vicinissima ad alcuna delle maggiori, e che per quella fusse altissima, potrebbe accadere che qualche sensibil mutazione succedesse tra di loro, rispondente a quella de i pianeti superiori. E tanto sia detto per ora circa il particolare delle stelle poste nell'eclittica: venghiamo ora alle fisse poste fuora dell'eclittica, ed intendiamo un cerchio massimo eretto al piano di quella, e sia, per esempio, un cerchio che nella sfera stellata risponda al coluro de' solstizii, e segniamolo C E H, che verr insieme ad esser un meridiano, ed in esso pigliamo una stella fuori dell'eclittica, qual sarebbe la E. Or questa al movimento della Terra varier bene elevazione; perch dalla Terra in A sar veduta secondo il raggio A E, con l'elevazione dell'angolo E A C; ma dalla Terra posta in B si vedr ella per il raggio B E, con elevazione dell'angolo E B C, maggiore dell'altro E A C, per esser quello esterno, e questo interno ed opposto, nel triangolo EAB: vedrassi dunque mutata la distanza della stella E dall'eclittica; ed anco la sua altezza nel meridiano sar fatta maggiore nello stato B che nel luogo A, secondo che l'angolo E B C supera l'angolo E A C, che la quantit dell'angolo A E B: imperocch, essendo del triangolo E A B prolungato il lato A B in C, l'esteriore angolo E B C (per esser eguale alli due interiori ed opposti E, A) supera esso A per la quantit dell'angolo E. E se noi piglieremo un'altra stella nel medesimo meridiano, pi remota dall'eclittica, qual sarebbe, verbigrazia, la stella H, maggiore anco sar in essa la diversit dall'esser vista dalli due luoghi A, B, secondo che l'angolo A H B si fa maggiore dell'altro E il quale angolo ander sempre crescendo, secondo che la stella osservata

 

 

pi sar lontana dall'eclittica, sin che finalmente la massima mutazione apparir in quella stella che fusse posta nell'istesso polo dell'eclittica come, per totale intelligenza, potremo dimostrar cos: Sia il diametro dell'orbe magno A B, il cui centro G, ed intendasi prolungato sino alla sfera stellata ne i punti D, C; e sia dal centro G eretto l'asse dell'eclittica G F sino alla medesima sfera, nella quale s'intenda descritto un meridiano D F C, che sar eretto al piano dell'eclittica; e presi nell'arco FC qualsivoglino punti H, E, come luoghi di stelle fisse, congiungansi le linee F A, F B, A H, H G, H B, A E, G E, B E, s che l'angolo della diversit o voglin dire la parallasse della stella posta nel polo F sia A F B, quello della stella posta in H sia l'angolo A H B, e della stella in E sia l'angolo A E B: dico l'angolo della diversit della stella polare F essere il massimo, e de gli altri il pi vicino al massimo esser maggiore del pi remoto, cio l'angolo F esser maggiore dell'angolo H, e questo maggiore dell'angolo E. Intendasi intorno al triangolo F A B descritto un cerchio; e perch l'angolo F acuto (per esser la sua base A B minore del diametro D C del mezo cerchio D F C), sar posto nella porzione maggiore del circoscritto cerchio tagliata dalla base A B; e perch essa A B divisa in mezo ed ad angoli retti dalla F G, sar il centro del cerchio circoscritto nella linea F G: sia il punto I. E perch delle linee tirate dal punto G, che non centro, sino alla circonferenza del cerchio circoscritto, la massima quella che passa per il centro, sar la G F maggiore di ogn'altra che dal punto G si tiri sino alla circonferenza del medesimo cerchio; e per tal circonferenza taglier la linea G H (che eguale alla linea G F), e tagliando la G H taglier ancora la A H: taglila in L, e congiungasi la linea L B: saranno dunque li due angoli A F B, A L B eguali, per esser nella medesima porzione del cerchio circoscritto: ma A L B, esterno, maggiore dell'interno H: adunque l'angolo F maggiore dell'angolo H. E con l'istesso metodo dimostreremo, l'angolo H esser maggiore dell'angolo E, perch del cerchio descritto intorno al triangolo A H B il centro nella perpendicolare G F, al quale la linea G H pi vicina della G E, e per la circonferenza di esso taglia la G E ed anco la A E: onde manifesto il proposito. Concludiamo per tanto, che la diversit di apparenza (la quale con termine proprio dell'arte potremo chiamar parallasse delle stelle fisse) maggiore e minore secondo che le stelle osservate sono pi o meno vicine al polo dell'eclittica; s che finalmente delle stelle che sono nell'eclittica stessa, tal diversit si riduce a nulla.

 

Quanto poi all'avvicinarsi o allontanarsi per tal moto la Terra alle stelle, a quelle che sono nell'eclittica si avvicina ella e si discosta per quanto tutto il diametro dell'orbe magno, come pur ora vedemmo; ma alle stelle intorno al polo dell'eclittica tale accostamento o allontanamento quasi nullo, ed all'altre questa diversit si fa maggiore secondo che elle sono pi vicine all'eclittica. Possiamo, nel terzo luogo, intendere, come quella diversit d'aspetto si fa maggiore o minore, secondo che la stella osservata fusse a noi pi vicina o pi remota; perch, se noi segneremo un altro meridiano men lontano dalla Terra, qual sarebbe questo D F I, una stella posta in F e veduta per il medesimo raggio A F E, stante la Terra in A, quando poi si osservasse dalla Terra in B, si scorgerebbe secondo il raggio B F, e farebbe l'angolo della diversit, cio B F A, maggiore dell'altro primo A E B, essendo esteriore del triangolo BFE.

   SAGR. Con gran gusto, ed anco profitto, ho sentito il vostro discorso; e per assicurarmi s'io ben l'abbia capito, dir la somma delle conclusioni sotto brevi parole. Parmi che voi ci abbiate spiegato, due sorte di diverse apparenze esser quelle che mediante il moto annuo della Terra possiamo noi osservare nelle stelle fisse: l'una delle lor variate grandezze apparenti, secondo che noi, portati dalla Terra, a quelle ci avviciniamo o ci allontaniamo; l'altra (che pur depende dal medesimo allontanamento o avvicinamento) il mostrarcisi nel medesimo meridiano ora pi elevate ed ora meno. Di pi, voi ci dite (ed io benissimo l'intendo) che l'una e l'altra di tali mutazioni non si fa egualmente in tutte le stelle, ma in altre maggiore ed in altre minore ed in altre niente. L'appressamento e discostamento per il quale la medesima stella ci debba apparire or pi grande ed or pi piccola, insensibile e quasi nullo nelle stelle vicine al polo dell'eclittica, ma massimo nelle stelle poste in essa eclittica, mediocre nelle intermedie; il contrario accade dell'altra diversit, cio che nullo l'alzamento o abbassamento nelle stelle poste nell'eclittica, massimo nelle circonvicine al polo di essa eclittica, mediocre nelle intermedie. Oltre di ci, amendue queste diversit sono pi sensibili nelle stelle che fussero pi vicine, nelle pi lontane son sensibili meno, e finalmente nelle estremamente lontane svanirebbero. Questo quanto alla parte mia; resta ora, per quel ch'io mi avviso, di sodisfare al signor Simplicio, il quale non credo che facilmente si accomoder a passar come cose insensibili cotali diversit, derivanti da un movimento della Terra tanto vasto e da una mutazione che trasporti la Terra in luoghi tra di loro distanti per due volte tanto quanto da noi al Sole.

   SIMP. In vero io, liberamente parlando, sento gran repugnanza nell'avere a conceder, la distanza delle fisse dovere esser tanta che in esse le dichiarate diversit devano esser del tutto impercettibili.

   SALV. Non vi gettate del tutto al disperato, signor Simplicio, ch forse ci ancora qualche temperamento per le vostre difficult. E prima, che l'apparente grandezza delle stelle non si vegga alterar sensibilmente, non vi deve parer punto improbabile, mentre che voi vedete l'estimativa de gli uomini in cotal fatto tanto altamente ingannarsi, e massime nel riguardare oggetti risplendenti: e voi stesso rimirando, verbigrazia, una torcia accesa dalla distanza di 200 passi, nell'appressarvisi ella 3 o 4 braccia, credereste di accorgervene, perch maggiore vi si mostrasse? Io per me non me ne accorgerei sicuramente, quando ben mi se n'avvicinasse 20 0 30: anzi tal volta mi sono incontrato a vedere un simil lume in una tal lontananza, n sapermi risolvere se e' veniva verso me o pur si allontanava, mentre egli realmente mi si avvicinava. Ma che? se il medesimo appressamento e allontanamento (dico del doppio della distanza dal Sole a noi) nella stella di Saturno quasi totalmente impercettibile, ed in Giove poco osservabile, che dover essere nelle stelle fisse, che non credo che voi foste renitente a porle pi lontane il doppio di Saturno? In Marte, che per avvicinarsi a noi

   SIMP. Vossignoria non si affatichi pi in questo particolare, ch gi resto capace, poter benissimo accadere quanto si detto circa la non alterata apparente grandezza delle stelle fisse; ma che diremo dell'altra difficult, che nasce da non si scorger variazione alcuna nella mutazion di aspetto?

   SALV. Diremo cosa per avventura da potervi quietare anco in questa parte. E per venire alle brevi, non sareste voi sodisfatto quando realmente si scorgesser nelle stelle quelle mutazioni che vi par necessario che scorger vi si dovessero quando il movimento annuo fusse della Terra?

   SIMP. Sarei senza dubbio, per quanto appartiene a questo particolare.

   SALV. Vorrei che voi diceste, che quando una tal diversit si scorgesse, niuna cosa resterebbe pi che potesse render dubbia la mobilit della Terra, atteso che a cotal apparenza nissun altro ripiego assegnar si potrebbe. Ma quando bene anco ci sensibilmente non apparisse, non per la mobilit si rimuove, n la immobilit necessariamente si conclude, potendo esser (come afferma il Copernico) che l'immensa lontananza della sfera stellata renda inosservabili cotali minime apparenze; le quali, come gi si detto, pu esser che sin ora non sieno state n anco ricercate, o, se pur ricercate, non ricercate nella maniera che si deve, cio con quella esattezza che a cos minute puntualit sarebbe necessaria; la quale esattezza difficile a conseguirsi, s per difetto de gli strumenti astronomici, suggetti a molte alterazioni, s ancora per colpa di quelli che gli maneggiano con minor diligenza di quello che sarebbe necessario. Argomento necessariamente concludente di quanto poco sia da fidarsi di tali osservazioni, siane la diversit che noi troviamo tra gli astronomi nell'assegnare i luoghi, non dir delle stelle nuove e delle comete, ma delle stelle fisse medesime, sino anco all'altezze polari, nelle quali il pi delle volte per molti minuti si trovano tra di loro discordanti. E per vero dire, chi vuole in un quadrante o sestante, che al pi aver il lato di 3 o 4 braccia di lunghezza, assicurarsi nell'incidenza del perpendicolo o nel taglio della diottra di non si ingannare di dua o tre minuti, che nella sua circonferenza non saranno maggiori della larghezza di un grano di miglio? oltre all'esser quasi impossibile che lo strumento sia con assoluta giustezza fabbricato e conservato. Tolomeo mostra diffidenza di un strumento armillare fabbricato dall'istesso Archimede per prender l'ingresso del Sole nell'equinoziale.

   SIMP. Ma se gli strumenti son cos sospetti e le osservazioni tanto dubbiose, come potremo noi gi mai costituirci in sicurezza e liberarci dalle fallacie? Io avevo sentito predicare gran cose de gli strumenti di Ticone, fatti con immense spese, e della sua singolar diligenza nelle osservazioni.

   SALV Tutto questo vi ammetto; ma n quelli n questa bastano per assicurarci in un negozio di tanta importanza. Io voglio che ci serviamo di strumenti maggiori assai assai di quelli di Ticone, esattissimi e fatti con pochissima spesa il lato de i quali sia di 4, 6, 20, 30 e 50 miglia, s che un grado sia largo un miglio, un minuto primo 50 braccia, un secondo poco meno di un braccio: ed in somma gli potremo avere, senza spender nulla, di qual grandezza pi ci piacer. Io, stando in una mia villa vicino a Firenze, osservai manifestamente l'arrivo e la partita del Sole dal solstizio estivo, mentre che una sera nel suo tramontare si addop a una rupe delle montagne di Pietrapana, lontana circa 60 miglia lasciando di s scoperto un sottil filo verso tramontana, la cui larghezza non era la centesima parte del suo diametro, e la seguente sera in simil occaso mostr pur di s scoperta una simil parte, ma notabilmente pi sottile, argomento necessario dell'aver egli cominciato a discostarsi dal tropico ed il regresso del Sole dalla prima alla seconda osservazione non import sicuramente un minuto secondo nell'orizonte: l'osservazione poi fatta con telescopio esquisito, e che multiplica il disco del Sole pi di mille volte, riesce facile e insieme dilettevole. Ora, con simili strumenti voglio che facciamo le nostre osservazioni nelle stelle fisse, servendoci di alcuna di quelle nelle quali la mutazione dovrebbe esser pi cospicua, quali sono, come gi si dichiarato, le pi remote dall'eclittica, tra le quali la Lira, stella grandissima e vicina al polo dell'eclittica, sarebbe molto opportuna ne i paesi assai settentrionali, operando nella maniera che dir appresso, ma co 'l servirmi di altra stella; e gi meco medesimo ho appostato un luogo assai accomodato per tale osservazione. Il luogo un'aperta pianura, sopra la quale si alza verso tramontana una montagna molto eminente, nel vertice della quale fabbricata una piccola chiesetta, situata da occidente verso oriente, s che la schiena del suo coperto pu segare ad angoli retti il meridiano di qualche abitazione posta nella pianura. Voglio fermare una travetta parallela alla detta schiena o colmo del tetto, e da esso distante un braccio in circa: fermata questa, cercher nel piano il luogo dal quale una delle stelle del Carro, nel passar per il meridiano, venga ascondendosi doppo la trave gi collocata; o vero, quando la trave non fusse tanto grossa che bastasse ad occultar la stella, trover il posto di dove si vegga la medesima trave tagliare in mezo il disco di essa stella, effetto che con telescopio esquisito si discerne esquisitamente: e se nel luogo di dove tale accidente si scorger fusse qualche abitazione, sar tanto pi comodo, quando che no, far piantare un palo ben fermo in terra, con nota stabile per indice dove si debba ricostituir l'occhio qualunque volta si voglia reiterar l'osservazione: la prima delle quali osservazioni far intorno al solstizio estivo, per continuar poi di mese in mese o quando pi mi piacer, sino all'altro solstizio; con la quale osservazione si potr scoprir l'alzamento ed abbassamento della stella, per piccolo che egli sia. E se in tal operazione succeder il poter comprender mutazione alcuna, quale e quanto acquisto si far in astronomia? poich con tal mezo, oltre all'assicurarci del moto annuo, potremo venire in cognizione della grandezza e lontananza della medesima stella.

   SAGR. Io comprendo benissimo tutto il progresso, e parmi l'operazione tanto facile e accomodata al bisogno, che molto ragionevolmente si potrebbe credere che dall'istesso Copernico o da altro astronomo fusse stata messa in atto.

   SALV. A me par tutto l'opposito, perch non ha del verisimile che, se alcuno l'avesse sperimentata, non avesse fatto menzione dell'esito, se succedeva in favore di questa o di quella opinione; oltre che n per questo n per altro fine si trova che alcuno si sia valso di tal modo di osservare, il quale anco, senza telescopio esatto, malamente si potrebbe effettuare.

   SAGR. Resto interamente quieto di quanto dite. Ma gi che ci avanza gran tempo a notte, se voi desiderate ch'io possa trapassarla con quiete, non vi sia grave esplicarci quei problemi, la dichiarazione de i quali poco fa domandaste di poter differire a dimane; rendeteci in grazia il gi conceduto indulto, e lasciati tutti gli altri ragionamenti da banda, venite dichiarandoci come, posti i movimenti che il Copernico attribuisce alla Terra, e ritenendo immobile il Sole e le stelle fisse, ne possano seguire quei medesimi accidenti circa gli alzamenti ed abbassamenti del Sole, circa le mutazioni delle stagioni e le disequalit de i giorni e delle notti etc., nel medesimo modo appunto che nel sistema Tolemaico assai facilmente si apprendono.

   SALV Non si deve n si pu negare cosa che sia ricercata dal signor Sagredo: e la proroga da me domandata non era ad altro effetto, che per aver tempo di riordinarmi nella fantasia quelle premesse che servono per una larga ed aperta dichiarazione del modo col quale i nominati accidenti seguono tanto nella posizione copernicana quanto nella tolemaica, anzi con assai maggiore agevolezza e semplicit in quella che in questa; onde manifestamente si comprenda quella ipotesi altrettanto esser facile ad effettuarsi dalla natura, quanto difficile ad esser compresa dall'intelletto. Tuttavia spero, con servirmi d'altra spiegatura che dell'usata dal Copernico, rendere anco la sua apprensione assai meno oscura; per lo che fare proporr alcune supposizioni per s note e manifeste, e saranno le seguenti:

   Prima. Posto che la Terra, corpo sferico, si volga circa 'l proprio asse e poli, ciaschedun punto segnato nella sua superficie descrive la circonferenza di un cerchio, maggiore o minore secondo che il punto segnato sar pi o meno lontano da i poli; e di questi cerchi, massimo quello che vien disegnato da un punto egualmente lontano da essi poli: e tutti questi cerchi sono tra di loro paralleli; e paralleli li chiameremo.

   Seconda. Essendo la Terra di figura sferica e di sustanza opaca, vien continuamente illuminata dal Sole secondo la met della sua superficie, restando l'altra met tenebrosa: ed essendo il termine che distingue la parte illuminata dalla tenebrosa un cerchio massimo, lo chiameremo cerchio terminator della luce.

   Terzo. Quando il cerchio terminator della luce passasse per i poli della Terra, taglierebbe (essendo cerchio massimo) tutti i paralleli in parti eguali; ma non passando per i poli, gli taglier tutti in parti diseguali, trattone il solo cerchio di mezo, che, per esser massimo, vien pur segato in parti eguali.

   Quarta. Volgendosi la Terra intorno a i proprii poli, le quantit de i giorni e delle notti vengono determinate da gli archi de i paralleli segati dal cerchio terminator della luce; e l'arco che resta nell'emisferio illuminato prescrive la lunghezza del giorno, e il rimanente la quantit della notte.

   Proposte queste cose, per pi chiara intelligenza di quello che resta da dirsi verremo a descriverne una figura: e prima segneremo la circonferenza di un cerchio, che ci rappresenter quella dell'orbe magno, descritta nel piano dell'eclittica, e questa divideremo in quattro parti eguali con li due diametri, Capricorno, Granchio, Libra e Ariete, che nell'istesso tempo ci rappresenteranno i quattro punti cardinali, cio li due solstizii e li due equinozii; e nel centro di tal cerchio noteremo il Sole O, fisso ed immobile. Segnamo ora circa i quattro punti Capricorno, Granchio, Libra e Ariete, come centri, quattro cerchi eguali, li quali ci rappresentino la Terra, in essi in diversi tempi costituita, la quale co 'l suo centro nello spazio di un anno cammini per tutta la circonferenza Capricorno Ariete Granchio e Libra, muovendosi da occidente verso oriente, cio secondo l'ordine de' segni. Gi manifesto che mentre la Terra sia in Capricorno, il Sole apparir in Granchio, e movendosi la Terra per l'arco Capricorno e Ariete, il Sole apparir muoversi per l'arco Granchio e Libra, ed in somma scorrere il zodiaco secondo l'ordine de i segni nello spazio di un anno; e con questo primo assunto vien senza controversia sodisfatto all'apparente movimento annuo del Sole sotto l'eclittica.

 

   Ora venendo all'altro movimento, cio al diurno della Terra in se stessa, bisogna stabilire i suoi poli ed il suo asse il quale si ha da intendere esser non eretto a perpendicolo sopra il piano dell'eclittica, cio non parallelo all'asse dell'orbe magno, ma declinante dall'angolo retto gradi 23 e mezo in circa, co 'l suo polo boreale verso l'asse dell'orbe magno, stante il centro della Terra nel punto solstiziale di Capricorno. Intendendo dunque il globo terrestre avere il suo centro nel punto Capricorno, segneremo i poli ed il suo asse A B, inclinato dal perpendicolo sopra 'l diametro Capricorno e Granchio gradi 23 e mezo, s che l'angolo A Capricorno e Granchio venga ad essere il complimento di una quarta, cio gradi 66 e mezo, e tale inclinazione bisogna intendere esser immutabile; ed il polo superiore A intenderemo essere il boreale, e l'altro B l'australe. Immaginandoci ora la Terra rivolgersi in se stessa circa l'asse A B in ore ventiquattro, pur da occidente verso oriente, verranno da tutti i punti notati nella sua superficie descritti cerchi tra di loro paralleli: segneremo, in questo primo posto della Terra, il massimo C D e li due da esso lontani gradi 23 e mezo, E F sopra e G N sotto, e gli altri due estremi I K, L M, lontani per simile intervallo da i poli A, B; e s come aviamo notati questi cinque, cos ne possiamo intendere altri innumerabili, paralleli a questi, descritti da gl'innumerabili punti della terrestre superficie. Intendiamo ora la Terra co 'l moto annuo del suo centro trasferirsi ne gli altri luoghi gi notati, ma passarvi con tal legge: che il proprio asse A B non solamente non muti inclinazione sopra il piano dell'eclittica, ma non varii anco gi mai direzzione, s che, mantenendosi sempre parallelo a se stesso, riguardi continuamente verso le medesime parti dell'universo o vogliamo dire del firmamento, dove se noi l'intendessimo prolungato, verrebbe co 'l suo altissimo termine a disegnare un cerchio parallelo ed eguale all'orbe magno Libra Capricorno Ariete e Granchio, come base superiore di un cilindro descritto da se medesimo nel moto annuo sopra l'inferior base Libra Capricorno Ariete e Granchio: e per, stante questa immutabilit d'inclinazione, segneremo quest'altre tre figure intorno a i centri Ariete, Granchio e Libra, simili in tutto e per tutto alla descritta prima intorno al centro Capricorno.

   Consideriamo adesso la prima figura della Terra: nella quale, per esser l'asse A B declinante dal perpendicolo sopra il diametro Capricorno Granchio gradi 23 e mezo verso il Sole O, ed essendo l'arco A I pur gradi 23 e mezo, l'illuminazion del Sole illustrer l'emisferio del globo terrestre esposto verso il Sole (del quale qui se ne vede la met), diviso dalla parte tenebrosa per il terminator della luce I M; dal quale il parallelo C D, per esser cerchio massimo, verr diviso in parti eguali, ma gli altri tutti in parti diseguali, essendo che il terminator della luce I M non passa per i lor poli A, B; ed il parallelo I K, insieme con tutti gli altri descritti dentro di esso e pi vicini al polo A, resteranno interi nella parte illuminata, come, all'incontro, gli opposti verso il polo B, contenuti dentro al parallelo L M, resteranno nelle tenebre. Oltre a ci, per esser l'arco A I eguale all'arco F D e l'arco A F comune, saranno li due I K F, A F D eguali, e ciascheduno una quarta; e perch tutto l'arco I F M mezo cerchio, sar l'arco M F una quarta, ed eguale all'altra F K I: e per il Sole O sar, in questo stato della Terra, verticale a chi fusse nel punto F. Ma per la revoluzione diurna intorno all'asse stabile A B tutti i punti del parallelo E F passano per il medesimo punto F; e per in tal giorno il Sole nel mezo d sar verticale a tutti gli abitatori del parallelo E F, e gli sembrer descriver nel suo moto apparente il cerchio che noi chiamiamo il tropico di Cancro; ma a gli abitatori di tutti i paralleli che sono sopra 'l parallelo E F, verso il polo boreale A, il Sole declina dal lor vertice verso austro; ed all'incontro, tutti gli abitatori de i paralleli che sono sotto l'E F, verso l'equinoziale C D e 'l polo austrino B, il Sole meridiano elevato oltre al lor vertice verso 'l polo boreale A. Vedesi appresso, come di tutti i paralleli il solo massimo C D tagliato in parti eguali dal terminator della luce I M; ma gli altri, che sono sotto e sopra il detto massimo, son tutti tagliati in parti diseguali: e de i superiori, gli archi semidiurni, che sono quelli della parte della superficie terrestre illustrata dal Sole, son maggiori de i seminotturni, che restano nelle tenebre; ed il contrario accade de i rimanenti, che sono sotto il massimo C D verso il polo B, de i quali gli archi semidiurni son minori de i seminotturni. Vedesi ancora manifestamente, che le differenze di essi archi si vanno agumentando secondo che i paralleli son pi vicini a i poli, sin tanto che il parallelo I K resta tutto intero nella parte illuminata, e gli abitatori di esso hanno un giorno di ventiquattr'ore senza notte, ed all'incontro il parallelo L M, restando tutto nelle tenebre, ha una notte di ventiquattr'ore senza giorno.

   Venghiamo ora alla terza figura della Terra, posta co 'l suo centro nel punto Granchio, di dove il Sole apparisce essere nel primo punto di Capricorno: gi manifestamente si vede, come per non aver l'asse A B mutata inclinazione, ma per essersi conservato parallelo a se stesso, l'aspetto e situazion della Terra l'istesso a capello che quel della prima figura, salvo che quell'emisferio che nella prima era illuminato dal Sole, in questa resta nelle tenebre, e viene illuminato quello che nel primo posto era tenebroso; onde quello che accadeva prima circa le differenze de i giorni e delle notti, circa l'esser quelli maggiori o minori di queste, ora accade il contrario. E prima si vede, che dove nella prima figura il cerchio I K era tutto nella luce, ora tutto nelle tenebre, e l'opposto L M ora tutto nella luce, che prima era tutto tenebroso: dei paralleli tra 'l cerchio massimo C D e 'l polo A, sono ora gli archi semidiurni minori de i seminotturni che prima erano il contrario: de gli altri parimente verso il polo B, sono ora gli archi semidiurni maggiori de i seminotturni, l'opposto di che accadeva nell'altro stato della Terra: vedesi ora il Sole fatto verticale a gli abitatori del tropico G N, ed essersi abbassato verso austro a quelli del parallelo E F per tutto l'arco E C G, cio gradi 47, ed essere in somma passato dall'uno all'altro tropico traversando l'equinoziale, con alzarsi ed abbassarsi ne' meridiani il detto spazio di gradi 47: e tutta questa mutazione deriva non dall'inclinarsi o elevarsi la Terra, ma all'incontro dal non si inclinare o elevar gi mai, ed in somma dal conservarsi ella sempre nella medesima costituzione rispetto all'universo, solo co 'l circondare il Sole, situato nel mezo dell'istesso piano nel quale circolarmente se gli muove ella intorno co 'l movimento annuo. E qui da notare un accidente maraviglioso, che , che s come il conservar l'asse della Terra la medesima direzione verso l'universo, o vogliamo dire verso la sfera altissima delle stelle fisse, fa che il Sole ci appare elevarsi ed inclinarsi per tanto spazio, cio per gradi 47, e niente inclinarsi o elevarsi le stelle fisse, cos all'incontro, quando il medesimo asse della Terra si mantenesse continuamente con la medesima inclinazione verso il Sole, o vogliam dire verso l'asse del zodiaco, nissuna mutazione apparirebbe farsi nel Sole circa l'alzarsi e abbassarsi, onde gli abitatori dell'istesso luogo sempre avrebbero le medesime diversit de i giorni e delle notti e la medesima costituzione di stagioni, cio altri sempre inverno, altri sempre state, altri primavera etc., ma all'incontro grandissima apparirebbe la mutazione nelle stelle fisse circa l'elevarsi ed inclinarsi a noi, che importerebbe i medesimi 47 gradi. Per intelligenza di che, torniamo a considerar lo stato della Terra nella prima figura, dove si vede l'asse A B co 'l polo superiore A inclinare verso il Sole; ma nella terza figura, avendo il medesimo asse conservata l'istessa direzione verso la sfera altissima, co 'l mantenersi parallelo a se stesso, non pi inclina verso 'l Sole co 'l polo superiore A, ma all'incontro reclina dal primiero stato gradi 47 ed inclina verso la parte opposta: s che, per restituir la medesima inclinazione dell'istesso polo A verso 'l Sole, bisognerebbe, co 'l girar il globo terrestre secondo la circonferenza A C B D, trasportarlo verso E i medesimi 47 gradi; e per tanti gradi qualsivoglia stella fissa osservata nel meridiano apparirebbe essersi elevata o inclinata.

   Venghiamo adesso all'esplicazione di quel che resta, e consideriamo la Terra collocata nella quarta figura, cio co 'l suo centro nel punto primo della Libra, onde il Sole apparir nel principio dell'Ariete: e perch l'asse della Terra, che nella prima figura s'intende esser inclinato sopra il diametro Capricorno Granchio, e per esser nel medesimo piano che, segando il piano dell'orbe magno secondo la linea Capricorno Granchio, a quello fusse eretto perpendicolare, trasportato nella quarta figura, e mantenuto, come sempre si detto, parallelo a se stesso, verr ad esser in un piano pur eretto alla superficie dell'orbe magno e parallelo al piano che ad angoli retti sega la medesima superficie secondo 'l diametro Capricorno Granchio, e per la linea che dal centro del Sole va al centro della Terra, quale la O Libra, sar perpendicolare all'asse B A: ma la medesima linea che dal centro del Sole va al centro della Terra sempre perpendicolare ancora al cerchio terminator della luce: per questo medesimo cerchio passer per i poli A, B nella quarta figura, e nel suo piano sar l'asse A B. Ma il cerchio massimo passando per i poli de i paralleli, gli divide tutti in parti eguali; adunque gli archi I K, E F, C D, G N, L M saranno tutti mezi cerchi, e l'emisferio illuminato sar questo che riguarda verso noi e 'l Sole, e 'l terminator della luce sar l'istesso cerchio A C B D, e stante la Terra in questo luogo, far l'equinozio a tutti li suoi abitatori. E 'l medesimo accade nella seconda figura, dove la Terra, avendo l'emisferio suo illuminato verso il Sole, mostra a noi l'altro oscuro con li suoi archi notturni, che pur son tutti mezi cerchi; ed in conseguenza qui ancora si fa l'equinozio. E finalmente, essendo che la linea prodotta dal centro del Sole al centro della Terra perpendicolare all'asse A B, al quale parimente eretto il cerchio massimo de i paralleli C D, passer la medesima linea O Libra necessariamente per l'istesso piano del parallelo C D, segando la sua circonferenza nel mezo dell'arco diurno C D; e per il Sole sar verticale a quello che in tal segamento si trovasse: ma vi passano, portati dalla diurna conversion della Terra, tutti gli abitatori di tal parallelo: adunque tutti questi in tal giorno averanno il Sole meridiano sopra il vertice loro, ed il Sole intanto a tutti gli abitatori della Terra apparir descrivere il massimo parallelo, detto equinoziale. In oltre, essendo che, stante la Terra in amendue i punti solstiziali, de i cerchi polari I K, L M l'uno resta intero nella luce e l'altro nelle tenebre, ma quando la Terra ne i punti equinoziali, la met de i medesimi cerchi polari si trovano nella luce, restando il rimanente nelle tenebre; non dover esser difficile a intendersi, come passando la Terra, verbigrazia, dal Granchio (dove il parallelo I K tutto nelle tenebre) nel Leone, cominci una parte del parallelo I K verso il punto I a entrar nella luce, e che il terminator della luce I M cominci a ritirarsi verso i poli A, B, segando il cerchio A C B D non pi in I, M, ma in due altri punti cadenti tra i termini I, A, M, B, de gli archi I A, M B onde gli abitatori del cerchio I K comincino a goder del lume, e gli altri abitatori del cerchio L M a sentir della notte. Ed ecco, con due semplicissimi movimenti, fatti dentro a tempi proporzionati alle grandezze loro e tra s non contrarianti, anzi fatti, come tutti gli altri de' corpi mondani mobili, da occidente verso oriente, assegnati al globo terrestre, rese adequate ragioni di tutte quelle medesime apparenze per le quali salvare con la stabilit della Terra necessario (renunziando a quella simmetria che si vede tra le velocit e le grandezze de i mobili) attribuire ad una sfera vastissima sopra tutte le altre una celerit incomprensibile, mentre le altre minori sfere si muovono lentissimamente, e pi far tal moto contrario al movimento di quelle, e, per accrescere l'improbabilit, far che da quella superiore sfera sieno, contro alla propria inclinazione, rapite tutte le inferiori. E qui rimetto al vostro parere il giudicar quello che abbia pi del verisimile.

   SAGR. A me, per quello che appartiene al mio senso, si rappresenta non piccola differenza tra la semplicit e facilit dell'operare effetti con i mezi assegnati in questa nuova constituzione, e la multiplicit confusione e difficult che si trova nell'antica e comunemente ricevuta; ch quando secondo questa multiplicit fusse ordinato questo universo, bisognerebbe in filosofia rimuover molti assiomi comunemente ricevuti da tutti i filosofi, come che la natura non multiplica le cose senza necessit, e che ella si serve de' mezi pi facili e semplici nel produrre i suoi effetti, e che ella non fa niente indarno, ed altri simili. Io confesso non aver sentita cosa pi ammirabile di questa, n posso credere che intelletto umano abbia mai penetrato in pi sottile speculazione. Non so quello che ne paia al signor Simplicio.

   SIMP. Queste (se io devo dire il parer mio con libert) mi paiono di quelle sottigliezze geometriche, le quali Aristotile riprende in Platone, mentre l'accusa che per troppo studio della geometria si scostava dal saldo filosofare: ed io ho conosciuti e sentiti grandissimi filosofi peripatetici sconsigliar suoi discepoli dallo studio delle matematiche, come quelle che rendono l'intelletto cavilloso ed inabile al ben filosofare; instituto diametralmente contra a quello di Platone, che non ammetteva alla filosofia se non chi prima [si] fusse impossessato della geometria.

   SALV. Applaudo al consiglio di questi vostri Peripatetici, di distorre i loro scolari dallo studio della geometria, perch non ci arte alcuna pi accomodata per scoprir le fallacie loro; ma vedete quanto cotesti sien differenti da i filosofi matematici, li quali assai pi volentieri trattano con quelli che ben son informati della comune filosofia peripatetica, che con quelli che mancano di tal notizia, li quali, per tal mancamento, non posson far parallelo tra dottrina e dottrina. Ma posto questo da banda, ditemi, di grazia, quali stravaganze o troppo sforzate sottigliezze vi rendon meno applausibile questa copernicana costituzione.

   SIMP. Io invero non l'ho interamente capita, forse perch non ho n anco ben in pronto le ragioni che de i medesimi effetti vengon prodotte da Tolomeo, dico di quelle stazioni, retrogradazioni, accostamenti e allontanamenti de' pianeti, accrescimenti e scorciamenti de' giorni, mutazioni delle stagioni, etc.: ma, lasciate le conseguenze che dependono dalle prime supposizioni, sento nelle supposizioni stesse non piccole difficult: le quali supposizioni quando vengon atterrate, si tiran dietro la rovina di tutta la fabbrica. Ora, perch tutta la machina del Copernico mi par che si fondi sopra instabili fondamenti, poich si appoggia su la mobilit della Terra, quando questa sia rimossa, non accade passare ad altre disputazioni; e per rimuover questa parmi che l'assioma d'Aristotile sia sufficientissimo, che di un corpo semplice un solo moto semplice possa esser naturale; ma qui alla Terra, corpo semplice, vengono assegnati 3, se non 4, movimenti, e tra di loro molto differenti; poich, oltre al moto retto, come grave, verso il centro, che non se gli pu negare, se gli attribuisce un moto circolare in un gran cerchio intorno al Sole in un anno, ed una vertigine in se stessa in ventiquattr'ore, e, quello poi che pi esorbitante e che forse per ci voi lo tacevi, un'altra vertigine intorno al proprio centro, contraria alla prima delle ventiquattr'ore, e che si compie in un anno. A questo l'intelletto mio sente repugnanza grandissima.

   SALV. Quanto al moto in gi, gi s' concluso non esser altrimenti del globo terrestre, che mai di tal movimento non s' mosso n gi mai s' per muovere; ma (se pure ) delle parti, per riunirsi al suo tutto. Quanto poi al movimento annuo ed al diurno, questi, essendo fatti per il medesimo verso, sono benissimo compatibili, in quella maniera che se noi lasciassimo andare una palla gi per una superficie declive, ella, nello scendere per quella spontaneamente girer in se stessa. Quanto poi al terzo moto attribuitole dai Copernico in se stessa in un anno, solamente per conservare il suo asse inclinato e diretto verso la medesima parte del firmamento, vi dir cosa degna di grandissima considerazione; cio, che tantum abest  che (bench fatto al contrario dell'altro annuo) in esso sia repugnanza o difficult alcuna che egli naturalissimamente e senza veruna causa motrice compete a qualsivoglia corpo sospeso e librato, il quale, se sar portato in giro per la circonferenza di un cerchio, immediate per se stesso acquista una conversione circa 'l proprio centro, contraria a quella che lo porta intorno, e tale in velocit, che amendue finiscono una conversione nell'istesso tempo precisamente. Potrete veder questa mirabile ed accomodata al nostro proposito esperienza, mettendo in un catino d'acqua una palla che vi galleggi, e tenendo il vaso in mano: se vi andrete rivolgendo sopra le piante de' piedi, vedrete immediatamente cominciar la palla a rivolgersi in se stessa con moto contrario a quel del catino, e finir la sua revoluzione quando finir quella del vaso. Ora, che altro la Terra che un globo pensile e librato in aria tenue e cedente, il quale, portato in giro in un anno per la circonferenza di un gran cerchio, ben deve acquistar senz`altro motore una vertigine circa 'l proprio centro, annua e contraria all'altro movimento pur annuo? Voi vedrete quest'effetto ma se poi andrete pi accuratamente considerando, vi accorgerete quest'esser non cosa reale, ma una semplice apparenza, e quello che vi assembra un rivolgersi in se stesso, essere un non si muovere ed un conservarsi del tutto immutabile rispetto a tutto quello che fuor di voi e del vaso resta immobile: perch, se in quella palla segnerete qualche nota, e considererete verso qual parte del muro della stanza dove sete, o della campagna o del cielo, ella riguarda, vedrete tal nota, nel rivolgimento del vaso e vostro, riguardar sempre verso quella medesima parte, ma paragonandola al vaso ed a voi stesso, che sete mobili, ben apparir ella andar mutando direzione, e con movimento contrario al vostro e del vaso andar ricercando tutti i punti del giro di quello; talch con maggior verit si pu dire che voi ed il vaso giriate intorno alla palla immobile, che ch'essa si volga drento al vaso. In tal guisa la Terra, sospesa e librata nella circonferenza dell'orbe magno, e situata in tal modo che una delle sue note, qual sarebbe per esempio il suo polo boreale, riguardi verso una tale stella o altra parte del firmamento, verso la medesima si mantien sempre diretta, bench portata co 'l moto annuo per la circonferenza di esso orbe magno. Questo solo bastante a far cessare la maraviglia e rimuovere ogni difficult: ma che dir il signor Simplicio se a questa non indigenza di causa cooperante aggiugneremo una mirabile virt intrinseca del globo terrestre, di riguardar con sue determinate parti verso determinate parti del firmamento? Parlo della virt magnetica, participata costantissimamente da qualsivoglia pezzo di calamita. E se ogni minima particella di tal pietra ha in s tal virt, chi vorr dubitare, la medesima pi altamente risedere in tutto questo globo terreno, abbondante di tal materia, e che forse egli stesso, quanto alla sua interna e primaria sustanza, altro non che un'immensa mole di calamita?

   SIMP. Adunque voi sete di quelli che aderiscono alla magnetica filosofia di Guglielmo?

   SALV. Sono per certo, e credo d'aver per compagni tutti quelli che attentamente avranno letto il suo libro e riscontrate le sue esperienze; n sarei fuor di speranza che quello che intervenuto a me in questo caso, potesse accadere a voi ancora, tuttavolta che una curiosit simile alla mia ed un conoscere che infinite cose restano in natura incognite a gl'intelletti umani, con liberarvi dalla schiavitudine di questo o di quel particolare scrittore delle cose naturali, allentasse il freno al vostro discorso e rammorbidisse la contumacia e renitenza del vostro senso, s che ei non negasse tal ora di dare orecchio a voci non pi sentite. Ma (siami permesso d'usar questo termine) la pusillanimit de gl'ingegni comuni giunta a segno, che non solamente alla cieca fanno dono, anzi tributo, del proprio assenso a tutto quello che trovano scritto da quelli autori che nella prima infanzia de' loro studii gli furono accreditati da i lor precettori, ma recusano di ascoltare, non che di esaminare, qual si sia nuova proposizione o problema, bench non solamente non sia stato confutato, ma n pure esaminato n considerato, da i loro autori: de' quali uno questo, di investigare qual sia la vera, propria, primaria, interna e general materia e sustanza di questo nostro globo terrestre; che, bench n ad Aristotile n ad altri, prima che al Gilberto, sia caduto in mente di pensare se possa esser calamita, non che n Aristotile n altri abbiano confutata una tale opinione, tuttavia mi son io incontrato in molti che al primo motto di questo, quasi cavallo che adombri, si sono ritirati in dietro e sfuggito di trattarne, spacciando un tal concetto per una vana chimera, anzi per una solenne pazzia; e forse il libro del Gilberto non mi sarebbe venuto nelle mani, se un filosofo peripatetico di gran nome, credo per assicurar la sua libreria dal contagio, non me n'avesse fatto dono.

   SIMP. Io, che liberamente confesso essere stato uno de gl'ingegni comuni, e solamente da questi pochi giorni in qua, che mi stato conceduto d'intervenire a i ragionamenti vostri, conosco di essermi alquanto sequestrato dalle strade trite e popolari, non per mi sento per ancora sollevato tanto, che le scabrosit di questa nuova fantastica opinione non mi sembrino molto ardue e difficili da superarsi.

   SALV. Se quello che scrive il Gilberti vero, non opinione, ma suggetto di scienza; non cosa nuova, ma antichissima quanto la Terra stessa; n potr (essendo vera) esser aspra n difficile, ma piana ed agevolissima; ed io, quando vi piaccia, vi far toccar con mano come voi da per voi stesso vi fate ombra, ed avete in orrore cosa che nulla tiene in s di spaventoso, quasi piccolo fanciullo che ha paura della tregenda senza sapere di lei altro che il nome, come quella che oltre al nome non nulla.

   SIMP. Avr piacere d'esser illuminato e tratto d'errore.

   SALV. Rispondetemi dunque alle domande ch'io vi far. E prima, ditemi se voi credete che questo nostro globo, che noi abitiamo e nominiamo Terra, consti di una sola e semplice materia, o pur sia un aggregato di materie diverse tra di loro.

   SIMP. Io lo veggo composto di sustanze e corpi molto diversi; e prima, per le maggiori parti componenti, veggo l'acqua e la terra, sommamente tra di loro differenti.

   SALV. Lasciamo da parte per ora i mari e l'altr'acque, e consideriamo le parti solide; e ditemi s'elle vi paiono tutte una cosa stessa, o pur cose diverse.

   SIMP. Quanto all'apparenza, io le veggo diverse, trovandosi grandissime campagne di infeconda arena, ed altre di terreni fecondi e fruttiferi; veggonsi infinite montagne sterili ed alpestri, ripiene di duri sassi e pietre di diversissime sorte, come porfidi, alabastri, diaspri e mille e mill'altre sorte di marmi; ci sono le miniere vastissime de i metalli di tante spezie, ed in somma tante diversit di materie, che un giorno intero non basterebbe a numerarle solamente.

   SALV. Ora, di tutte queste diverse materie, credete voi che nel compor questa gran massa concorrano porzioni eguali, o pur che tra tutte ce ne sia una parte che di gran lunga superi le altre e sia come materia e sustanza principale della vasta mole?

   SIMP. Credo che le pietre, i marmi, i metalli, le gemme e l'altre tante materie diverse, sieno appunto come gioie ed ornamenti esteriori e superficiali del primario globo, che in mole penso che smisuratamente superi tutte quest'altre cose.

   SALV. E questa principale e vasta mole, della quale le nominate cose son quasi escrescenze ed ornamenti, di che materia credete che sia composta?

   SIMP. Penso che sia il semplice, o meno impuro, elemento della terra.

   SALV. Ma per terra che cosa intendete voi? forse questa ch' sparsa per le campagne, la quale si rompe con le vanghe e con gli aratri, dove si seminano i grani e si piantano i frutti, e dove spontaneamente nascono boscaglie grandissime, e che in somma l'abitazione di tutti gli animali e la matrice di tutti i vegetabili?

   SIMP. Cotesta direi io che fusse la primaria sustanza di questo nostro globo.

   SALV. Oh questo non pare a me che sia ben detto perch questa terra, che si rompe, si semina, e che fruttifera una parte, e ben sottile, della superficie del globo, la quale non si profonda salvo che per breve spazio, in comparazione della distanza sino al centro: e l'esperienza ci mostra che non molto si cava al basso, che si trovano materie diverse assai da questa esterior corteccia, pi sode e non buone alle produzioni de i vegetabili; oltre che le parti pi interne, come premute da gravissimi pesi che a loro soprastanno, credibile che siano costipate e dure quanto qualsivoglia durissimo scoglio. Aggiugnete a questo, che indarno sarebbe stata contribuita la fecondit a quelle materie che gi mai non erano per produr frutto, ma per restare eternamente sepolte ne' profondi e tenebrosi abissi della Terra.

   SIMP. E chi ci assicura che le parti pi interne e vicine al centro siano infeconde? forse hanno esse ancora le lor produzioni di cose ignote a noi.

   SALV. Voi, quanto qualsisia altri, potreste di ci esser certo, come quello che ben potete comprendere, che se i corpi integranti dell'universo son prodotti solo per benefizio del genere umano, questo sopra tutti gli altri deve esser destinato a i soli comodi di noi abitatori suoi: ma qual benefizio potremo ritrarre da materie talmente a noi recondite e remote, che gi mai non siamo per farcele trattabili? Non pu dunque l'interna sustanza di questo nostro globo essere una materia frangibile dissipabile e nulla coerente, come questa superficiale che noi chiamiamo terra; ma convien che sia corpo densissimo e solidissimo, ed in somma una durissima pietra. E se ella pur debbe esser tale, qual ragione vi ha da far pi renitente al creder che ella sia una calamita, che un porfido, un diaspro o altro marmo duro? Forse quando il Gilberto avesse scritto che questo globo interiormente fatto di pietra serena o di calcidonio, il paradosso vi sarebbe parso meno esorbitante?

   SIMP. Che le parti di questo globo pi interne siano pi compresse, e per ci pi costipate e solide, e pi e pi tali secondo che elle si profondan pi, lo concedo, e lo concede anco Aristotile; ma che elle degenerino, e sieno altro che terra della medesima sorta che questa delle parti superficiali, non sento cosa che mi necessiti a concederlo.

   SALV. Io non ho intrapreso questo ragionamento a fine di concludervi demostrativamente che la primaria e real sustanza di questo nostro globo sia calamita, ma solamente per mostrarvi, niuna ragione ritrovarsi per la quale altri deva esser pi renitente a conceder che ei sia di calamita, che di qualche altra materia. E voi, se andrete ben considerando troverete, non esser improbabile che un solo puro ed arbitrario nome abbia mossi gli uomini a creder che ei sia di terra; e questo l'essersi serviti comunemente da principio di questo nome terra per significar tanto quella materia che si ara e si semina, quanto per nominar questo nostro globo la denominazion del quale se si fusse presa dalla pietra, come non meno poteva prendersi da quella che dalla terra, il dir che la sustanza primaria di esso fusse pietra non arebbe sicuramente trovato renitenza o contradizione in alcuno: e questo ha tanto pi del probabile, quanto io tengo per fermo, che quando si potesse scortecciar questo gran globo, levandone un suolo grosso mille o duamila braccia, e separar poi le pietre dalla terra, molto e molto maggior sarebbe il cumulo de i sassi, che quello del terreno fecondo. Delle ragioni poi che concludentemente provino, de facto, questo nostro globo esser di calamita, io non ve ne ho prodotte nessuna, n questo tempo di produrle, e massimo che con vostra comodit le potrete vedere nel Gilberto; solo, per inanimirvi a leggerlo, vi voglio esporre con certa mia similitudine il progresso che egli tiene nel suo filosofare. So che voi sapete benissimo quanto la cognizione de gli accidenti conferisca alla investigazione della sustanza ed essenza delle cose: per voglio che usiate diligenza di ben informarvi di molti accidenti e propriet che singolarmente si trovano nella calamita, e non in altra pietra n in altro corpo, come sarebbe, per esempio, dell'attrarre il ferro, del conferirgli, solo con la sua presenza, la medesima virt, di comunicargli parimente propriet di riguardar verso i poli, s come una tale ritiene ella in se medesima; ed oltre a questa, fate di veder per prova come in lei risiede virt di conferire all'ago magnetico non solamente il drizzarsi sotto un meridiano verso i poli con moto orizontale (propriet gi pi tempo fa conosciuta), ma un nuovamente osservato accidente di declinare (stando bilanciato sotto il meridiano gi segnato sopra una sferetta di calamita), declinar dico, sino a' determinati segni pi e meno, secondo che tal ago si terr pi o meno vicino al polo, sin che sopra l'istesso polo si pianta eretto a perpendicolo, dove che sopra le parti di mezo sta parallelo all'asse. Di pi, proccurate di far prova, come risedendo la virt di attrarre il ferro vigorosa assai pi verso i poli che circa le parti di mezo, tal forza notabilmente pi gagliarda nell'uno che nell'altro polo, e questo in tutti i pezzi di calamita, il polo pi gagliardo de' quali quello che riguarda verso austro. Notate appresso, che in una piccola calamita questo polo australe, e pi valoroso dell'altro, diventa pi debile qualunque volta e' deva sostenere il ferro alla presenza del polo boreale di un'altra calamita assai maggiore. e per non far lungo discorso, assicuratevi con l'esperienza di queste ed altre molte propriet descritte dal Gilberto, le quali tutte sono talmente proprie della calamita, che nessuna di loro compete a veruna altra materia. Ditemi ora, signor Simplicio: quando vi fussero proposti mille pezzi di diverse materie, ma ciascheduno coperto e rinvolto in un panno sotto il quale ei si occultasse, e vi fusse domandato che, senza scoprirgli, voi faceste opera d'indovinare da segni esteriori la materia di ciascheduno, e che, nel tentare, voi vi incontraste in uno il quale mostrasse apertamente di aver tutte le propriet da voi gi conosciute risedere nella sola calamita e non in veruna altra materia, che giudizio fareste voi dell'essenza di tal corpo? direste voi che potesse essere un pezo d'ebano o di alabastro o di stagno?

   SIMP. Direi, senza punto dubitare, che fusse un pezzo di calamita.

   SALV. Quando ci sia, dite pur risolutamente che sotto questa coverta e scorza, di terra, di pietre, di metalli, di acqua etc., si nasconde una gran calamita, poich intorno ad essa si riconoscono, da chi di osservargli si prende cura, tutti quei medesimi accidenti che ad un verace e scoperto globo di calamita competer si scorgono: ch quando altro non si vedesse che quello dell'ago declinatorio, che, portato intorno alla Terra, pi e pi s'inclina con l'avvicinarsi al polo boreale, e meno declina verso l'equinoziale, sotto il quale si riduce finalmente all'equilibrio, dovrebbe bastare a persuadere ogni pi renitente giudizio. Taccio quell'altro mirabile effetto che sensatamente si vede in tutti i pezzi di calamita: de i quali a noi, abitatori dell'emisferio boreale, il polo meridionale di essa calamita pi gagliardo dell'altro, e la differenza si scorge maggiore quanto pi altri si allontana dall'equinoziale; e sotto l'equinoziale amendue le parti sono di forze eguali, ma notabilmente pi deboli; ma nelle regioni meridionali, lontano dall'equinoziale, si cangia natura, e quella parte che a noi era pi debile, acquista vigore sopra l'altra: e tutto questo confronta con quello che veggiamo farsi da un piccol pezzetto di calamita alla presenza di un grande, la virt del quale, prevalendo al minore, se lo rende obbediente, e secondo ch'e' si terr di qua o di l dall'equinoziale della grande, fa le mutazioni medesime che ho detto farsi da ogni calamita portata di qua o di l dall'equinozial della Terra.

   SAGR. Io rimasi persuaso alla prima lettura del libro del Gilberto; ed avendo incontrato un pezzo di calamita eccellentissima, feci per lungo tempo molte osservazioni, e tutte degne d'estrema meraviglia; ma sopra a tutte a me pare stupenda quella dell'accrescergli tanto la facult del sostenere un ferro, con l'armarla nel modo che 'l medesimo autore insegna: ed io, con armare quel mio pezzo, gli multiplicai la forza in ottupla proporzione, e dove disarmata non sosteneva appena nove once di ferro, armata ne sosteneva pi di sei libbre e forse voi arete veduto questo medesimo pezzo nella Galleria del Serenissimo Gran Duca vostro (al quale io la cedetti), sostenente due ancorette di ferro.

   SALV. Io molte volte la veddi, e con gran meraviglia, sin che altro assai maggior stupore mi porse un piccolo pezzetto che si ritrova in mano del nostro Accademico; il quale, non essendo pi che once sei di peso, n sostenendo disarmato altro che once dua appena, armato ne sostiene 160 s che viene a regger 80 volte pi armato che disarmato, ed a regger peso 26 volte maggiore del suo proprio: maraviglia assai maggiore di quello che aveva potuto incontrare il Gilberti, che scrive non aver potuto incontrar calamita che arrivi a sostenere il quadruplo del proprio peso.

   SAGR. Gran campo di filosofare mi par che porga questa pietra a gl'intelletti umani: ed io l'ho ben mille volte meco medesimo specolato, come possa esser che ella porga a quel ferro, che l'arma, forza tanto superiore alla sua propria, e finalmente non trovo cosa che mi quieti; n molto costrutto cavo da quel che circa questo particolare scrive il Gilberto. Non so se l'istesso avvenga a voi.

   SALV. Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa maneggiata da infiniti ingegni sublimi, n da alcuno avvertita; parmi anco degno di grandissima laude per le molte nuove e vere osservazioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori mendaci e vani, che scrivono non sol quel che sanno, ma tutto quello che senton dire dal vulgo sciocco, senza cercare di assicurarsene con esperienza, forse per non diminuire i lor libri: quello che avrei desiderato nel Gilberti, che fusse stato un poco maggior matematico, ed in particolare ben fondato nella geometria, la pratica della quale l'avrebbe reso men risoluto nell'accettare per concludenti dimostrazioni quelle ragioni ch'ei produce per vere cause delle vere conclusioni da s osservate; le quali ragioni (liberamente parlando) non annodano e stringono con quella forza che indubitabilmente debbon fare quelle che di conclusioni naturali, necessarie ed eterne si possono addurre: e io non dubito che co 'l progresso del tempo si abbia a perfezionar questa nuova scienza, con altre nuove osservazioni, e pi con vere e necessarie dimostrazioni. N per ci deve diminuirsi la gloria del primo osservatore, n io stimo meno, anzi ammiro pi assai, il primo inventor della lira (bench creder si debba che lo strumento fusse rozissimamente fabbricato, e pi rozamente sonato), che cent'altri artisti che nei i conseguenti secoli tal professione ridussero a grand'esquisitezza: e parmi che molto ragionevolmente l'antichit annumerasse tra gli Dei i primi inventori dell'arti nobili, gi che noi veggiamo il comune de gl'ingegni umani esser di tanta poca curiosit, e cos poco curanti delle cose pellegrine e gentili, che nel vederle e sentirle esercitar da professori esquisitamente non per ci si muovono a desiderar d'apprenderle; or pensate se cervelli di questa sorta si sariano giamai applicati a volere investigar la fabbrica della lira o all'invenzion della musica, allettati dal sibilo de i nervi secchi di una testuggine o dalle percosse di quattro martelli. L'applicarsi a grandi invenzioni, mosso da piccolissimi principii, e giudicar sotto una prima e puerile apparenza potersi contenere arti maravigliose, non da ingegni dozinali, ma son concetti e pensieri, di spiriti sopraumani. Ora, rispondendo alla vostra domanda, dico che io ancora lungamente ho pensato per ritrovar qual possa essere la cagione di questa cos tenace e potente congiunzione che noi veggiamo farsi tra l'un ferro, che arma la calamita, e l'altro che a quello si congiugne: e prima mi sono assicurato che la virt e forza della pietra non si agumenta punto per essere armata, per ci che n attrae da maggior distanza, n meno sostiene pi validamente un ferro tra 'l quale e l'armadura s'interponga una sottilissima carta, sino a una foglia d'oro battuto; anzi con tale interposizione pi ferro sostiene l'ignuda che l'armata: non ci dunque mutazione nella virt, e pure ci innovazione nell'effetto: e perch necessario che di nuovo effetto nuova sia la cagione, ricercando qual novit si introduca nell'atto del sostener con l'armadura, altra mutazione non si scorge che nel diverso toccamento, ch dove prima ferro toccava calamita, ora ferro tocca ferro; adunque bisogna necessariamente concludere, i diversi toccamenti esser causa della diversit de gli effetti. La diversit poi tra i contatti, non veggo che possa derivar da altro che dall'esser la sustanza del ferro di parti pi sottili, pi pure e pi costipate, che quelle della calamita, che son pi grosse, men pure e pi rare; dal che ne segue, che le superficie de' due ferri che s'hanno da toccare, mentre sieno esquisitamente spianate forbite e lustrate, tanto esattamente si congiungono, che tutti gl'infiniti punti dell'una si incontrano con gl'infiniti dell'altra, s che i filamenti (per cos dire) che collegano i due ferri, sono molti pi di quelli che collegano calamita con ferro, per esser la sustanza della calamita pi porosa e men sincera, che fa che non tutti i punti e filamenti della superficie del ferro trovino nella superficie della calamita riscontri con chi unirsi. Che poi la sustanza del ferro (e massimo del ben purificato, qual l'acciaio finissimo) sia di parti grandemente pi dense sottili e pure che la materia della calamita, si vede dal potersi ridurre il suo taglio ad una sottigliezza estrema, qual il taglio del rasoio, alla quale mai non si condurrebbe a gran segno quel d'un pezzo di calamita. L'impurit poi della calamita, e l'esser mescolata con altre qualit di pietre, prima sensatamente si scorge dal colore di alcune macchiette, per lo pi biancheggianti, e poi dal presentargli un ago pendente da un filo, il quale sopra tali pietruzze non si pu posare, ma, attratto dalle parti circonfuse, par che sfugga quelle e salti sopra la calamita contigua ad esse; e come alcune di tali parti eterogenee son per la grandezza loro molto visibili cos possiamo credere altre in gran copia, per la lor piccolezza incospicue, esserne disseminate per tutta la massa. Confermasi quanto io dico (cio che la moltitudine de' toccamenti che si fanno tra ferro e ferro causa del tanto saldo congiugnimento) da una esperienza: la qual , che se noi presenteremo l'aguzza punta d'un ago all'armatura della calamita, non pi validamente se gli attaccher che alla medesima ignuda; il che da altro non pu derivare che dall'esser i due toccamenti eguali, cio amendue di un sol punto. Ma che pi? prendasi un ago e pongasi sopra la calamita s che una delle sue estremit sporga al.quanto infuori, ed a quella si appresenti un chiodo, al quale subito l'ago si attaccher, in maniera che ritirando in dietro il chiodo, l'ago si ridurr sospeso, ed attaccato con le sua estremit alla calamita ed al ferro, e ritirando ancora pi il chiodo, staccher l'ago dalla calamita, se per la cruna dell'ago sar unita al chiodo e la punta alla calamita, ma se la cruna sar verso la calamita, nel rimuovere il chiodo l'ago rester attaccato con la calamita, e questo (per mio giudizio) non per altro, se non che, per esser l'ago pi grosso verso la cruna, tocca in molti pi punti che non fa l'acutissima punta.

   SAGR. Tutto il discorso mi parso molto concludente, e quest'esperienze dell'ago me lo rendon di poco inferiore a una dimostrazion matematica: ed ingenuamente confesso di non avere in tutta la filosofia magnetica sentito o letto altrettanto, che con simil efficacia renda ragione di alcun altro de' suoi tanti maravigliosi accidenti; de i quali se avessimo le cause con tanta chiarezza spiegate, non so qual pi suave cibo potesse desiderare l'intelletto nostro.

   SALV. Nell'investigar le ragioni delle conclusioni a noi ignote, bisogna aver ventura d'indirizzar da principio il discorso verso la strada del vero; per la quale quando altri si incammina, agevolmente accade che s'incontrino altre ed altre proposizioni conosciute per vere, o per discorsi o per esperienze, dalla certezza delle quali la verit della nostra acquisti forza ed evidenza, come appunto accaduto a me del presente problema: del quale volendo io con qualche altro riscontro assicurarmi se la ragione da me investigata fusse vera, cio che la sustanza della calamita fusse veramente assai men continuata che quella del ferro o dell'acciaio, feci, da quei maestri che lavorano nella Galleria del Gran Duca mio Signore, spianare una faccia di quel medesimo pezzo di calamita che gi fu vostro, e poi quanto pi fu possibile pulire e lustrare; dove con mio contento toccai con mano quel ch'io cercavo. Imperocch si scopersero molte macchie di color diverso dal resto, ma splendide e lustre quanto qualsivoglia pi densa pietra dura; il resto del campo era pulito, ma al tatto solamente, non essendo punto lustrante, anzi come da caligine annebbiato: e questa era la sustanza della calamita; e la splendida, di altre pietre mescolate tra quella, s come sensatamente si conosceva dall'accostar la faccia spianata sopra limatura di ferro, la quale in gran copia saltava alla calamita, ma n pure una sola stilla alle dette macchie; le quali erano molte; alcune, grandi quanto la quarta parte di un'ugna; altre, alquanto minori; moltissime poi le piccole, e le appena visibili, quasi che innumerabili. Onde io mi assicurai, verissimo essere stato il mio concetto, quando prima giudicai dover la sustanza della calamita esser non fissa e serrata, ma porosa o per meglio dire spugnosa, ma con questa differenza, che dove la spugna nelle sue cavit e cellule contiene aria o acqua, la calamita ha le sue ripiene di pietra durissima e grave, come ci dimostra l'esquisito lustro che esse ricevono: onde, come da principio dissi, applicando la superficie del ferro alla superficie della calamita, le minime particelle del ferro, bench continuatissime forse pi di quelle di qualsivoglia altro corpo (s come ci mostra il lustrarsi egli pi di qualsivoglia altra materia), non tutte, anzi poche, incontrano sincera calamita, ed essendo pochi i contatti, debile l'attaccamento; ma perch l'armadura della calamita, oltre al toccar gran parte della sua superficie, si veste anco della virt delle parti vicine ancorch non tocche, essendo esattamente spianata quella sua faccia alla quale si applica l'altra, pur similmente bene spianata, del ferro da esser sostenuto, il toccamento si fa di innumerabili minime particelle, se non forse de gl'infiniti punti di amendue le superficie, per lo che l'attaccamento ne riesce gagliardissimo. Questa osservazione, di spianar le superficie de i ferri che si hanno a toccare, non fu avvertita dal Gilberti; anzi egli fa i ferri colmi, s che piccolo il lor contatto, onde avviene che minor assai sia la tenacit con la quale essi ferri si attaccano.

   SAGR. Resto dall'assegnata ragione, come dissi pur ora, poco meno appagato che se ella fusse una pura dimostrazion geometrica; e perch si tratta di problema fisico, stimo che anco il signor Simplicio si trover sodisfatto, per quanto comporta la scienza naturale, nella quale ei sa che non si deve ricercar la geometrica evidenza.

   SIMP. Parmi veramente che il signor Salviati con bel circuito di parole abbia s chiaramente spiegata la causa di quest'effetto, che qualsivoglia mediocre ingegno, ancorch non scienziato, ne potrebbe restar capace: ma noi, contenendoci dentro a' termini dell'arte, riduchiamo la causa di questi e simili altri effetti naturali alla simpatia, che certa convenienza e scambievole appetito che nasce tra le cose che sono tra di loro simiglianti di qualit; s come, all'incontro, quell'odio e nimicizia, per la quale altre cose naturalmente si fuggono e si hanno in orrore, noi addimandiamo antipatia.

   SAGR. E cos con questi due nomi si vengono a render ragioni di un numero grande di accidenti ed effetti, che noi veggiamo, non senza maraviglia, prodursi in natura. Ma questo modo di filosofare mi par che abbia gran simpatia con certa maniera di dipignere che aveva un amico mio, il quale sopra la tela scriveva con gesso: "Qui voglio che sia il fonte, con Diana e sue ninfe; qua, alcuni levrieri: in questo canto voglio che sia un cacciatore, con testa di cervio; il resto, campagna, bosco e collinette"; il rimanente poi lasciava con colori figurare al pittore: e cos si persuadeva d'aver egli stesso dipinto il caso d'Atteone, non ci avendo messo di suo altro che i nomi. Ma dove ci siamo condotti con s lunga digressione, contro alle nostre gi stabilite costituzioni? Quasi mi uscito di mente qual fusse la materia che trattavamo allora che deviammo in questo magnetico discorso; e pure avevo per la mente non so che da dire in quel proposito.

   SALV Eramo su 'l dimostrare, quel terzo moto attribuito dal Copernico alla Terra non esser altrimenti un movimento, ma una quiete, ed un mantenersi immutabilmente diretta con sue determinate parti verso le medesime e determinate parti dell'universo, cio un conservar perpetuamente l'asse della sua diurna revoluzione parallelo a se stesso e riguardante verso tali stelle fisse: il qual costantissimo stato dicevamo competer naturalmente ad ogni corpo librato e sospeso in un mezo fluido e cedente, che, bench portato in volta, non mutava direzione rispetto alle cose esterne, ma pareva solamente girare in se stesso rispetto a quello che lo portava ed al vaso nel quale era portato. Aggiugnemmo poi, a questo semplice e naturale accidente, la virt magnetica, per la quale il globo terrestre tanto pi saldamente poteva contenersi immutabile, etc.

   SAGR. Gi mi sovvien del tutto: e quel che allor mi passava per la mente, e che volevo produrre, era certa considerazione intorno alla difficult e instanza del signor Simplicio, la quale egli promoveva contro alla mobilit della Terra, presa dalla multiplicit de' moti, impossibile ad attribuirsi ad un corpo semplice, del quale, in dottrina d'Aristotile, un solo e semplice movimento pu esser naturale, e quello ch'io volevo mettere in considerazione, era appunto la calamita, alla quale noi sensatamente veggiamo competer naturalmente tre movimenti: l'uno, verso il centro della Terra, come grave; il secondo il moto circolare orizontale, per il quale restituisce e conserva il suo asse verso determinate parti dell'universo; il terzo questo, nuovamente scoperto dal Gilberto, d'inclinar il suo asse, stante nel piano di un meridiano, verso la superficie della Terra, e questo pi e meno secondo che ella sar distante dall'equinoziale, sotto 'l quale resta parallelo all'asse della Terra. Oltre a questi tre, non forse improbabile che possa averne un quarto, di rigirarsi intorno al proprio asse, qualunque volta ella fusse librata e sospesa in aria o altro mezo fluido e cedente, s che tutti gli esterni ed accidentarii impedimenti fussero tolti via; ed a questo pensiero mostra di applaudere ancora l'istesso Gilberto. Talch, signor Simplicio, vedete quanto resti titubante l'assioma d'Aristotile.

   SIMP. Questo non solo non va a ferire il pronunziato, ma n pure drizzato alla sua volta, avvenga che egli parli d'un corpo semplice e di quello che ad esso possa naturalmente convenire, e voi opponete ci che avviene ad un misto; n dite cosa nuova in dottrina d'Aristotile, perch egli ancora concede a i misti moto composto etc.

   SAGR. Fermate un poco, signor Simplicio, e rispondetemi all'interrogazioni ch'io vi far. Voi dite che la calamita non corpo semplice, ma un misto: ora io vi domando quali sono i corpi semplici che si mescolano nel compor la calamita.

   SIMP. Io non vi sapr dire gl'ingredienti n la dose precisamente, ma basta che sono corpi elementari.

   SAGR. Tanto basta a me ancora. E di questi corpi semplici elementari quali sono i moti loro naturali?

   SIMP. Sono i due semplici retti, sursum et deorsum.

   SAGR. Ditemi appresso: credete voi che 'l moto che rester naturale di tal corpo misto debba essere uno che possa risultare dal componimento de i due moti semplici naturali de i corpi semplici componenti, o pur che possa esser anco un moto impossibile a comporsi di quelli?

   SIMP. Credo che si mover del moto risultante dal componimento de' moti de' corpi semplici componenti, e che d'un moto impossibile a comporsi di questi impossibil sia che si possa muovere.

   SAGR. Ma, signor Simplicio, con due moti retti semplici voi non comporrete mai un moto circolare, quali sono li due o i tre circolari diversi che ha la calamita. Vedete dunque in quali angustie conducono i mal fondati principii, o, per dir meglio, le mal tirate consequenze da principii buoni: che adesso sete costretto a dire che la calamita sia un misto composto di sustanze elementari e di celesti, se volete mantenere che 'l moto retto sia solo de gli elementi, e 'l circolare de' corpi celesti. Per, se volete pi sicuramente filosofare dite che de' corpi integranti dell'universo, quelli che son per natura mobili, si muovon tutti circolarmente, e che per la calamita, come parte della verace primaria ed integral sustanza del nostro globo, ritien della medesima natura; ed accorgetevi con questa fallacia, che voi chiamate corpo misto la calamita, e corpo semplice il globo terrestre, il quale si vede sensatamente esser centomila volte pi composto poich, oltre il contenere mille e mille materie tra s diversissime, contien egli gran copia di questa che voi chiamate mista, dico della calamita. Questo mi pare il medesimo, che se altri chiamasse il pane corpo misto, e corpo semplice l'ogliopotrida, nella quale entrasse anco non piccola quantit di pane, oltre a cento diversi companatici. Mirabil cosa mi sembra invero, tra l'altre, questa de i Peripatetici, li quali concedono (n posson negarlo) che il nostro globo terrestre sia de facto un composto di infinite materie diverse, concedono appresso, de i corpi composti il moto dovere esser composto; i moti che si posson comporre sono il retto e 'l circolare, atteso che i due retti, per esser contrarii, sono incompatibili tra di loro; affermano, l'elemento puro della terra non si ritrovare, confessano che ella non si mossa gi mai di verun movimento locale: e poi voglion porre in natura quel corpo che non si trova, e farlo mobile di quel moto che mai non ha egli esercitato n mai per esercitare; ed a quel corpo che ed stato sempre, negano quel moto che prima concedettero dovergli naturalmente convenire.

   SALV. Di grazia, signor Sagredo, non ci affatichiam pi in questi particolari, e massime che voi sapete che il fin nostro non stato di determinar risolutamente o accettar per vera questa o quella opinione, ma solo di propor per nostro gusto quelle ragioni e risposte che per l'una e per l'altra parte si possono addurre; e il signor Simplicio risponde questo in riscatto de' suoi Peripatetici: per lasciamone il giudizio in pendente, e la determinazione in mano di chi ne sa pi di noi. E perch mi pare che assai a lungo si sia in questi tre giorni discorso circa il sistema dell'universo, sar ormai tempo che venghiamo all'accidente massimo, dal quale presero origine i nostri ragionamenti; parlo del flusso e reflusso del mare, la cagione del quale pare che assai probabilmente si possa referire a i movimenti della Terra: ma ci, quando vi piaccia, riserberemo al seguente giorno. In tanto, per non me lo scordare, voglio dirvi certo particolare, al quale non vorrei che il Gilberto avesse prestato orecchio; dico dell'ammettere che quando una piccola sferetta di calamita potesse esattamente librarsi, ella fusse per girare in se stessa: perch nissuna ragione vi per la quale ella ci far dovesse. Imperocch, se tutto il globo terrestre ha da natura di volgersi intorno al proprio centro in ventiquattr'ore, e ci aver debbono ancora tutte le sue parti, dico di girare insieme co 'l suo tutto, intorno al centro di quello in ventiquattr'ore, gi effettivamente l'hann'elleno mentre, stando sopra la Terra, vanno insieme con essa in volta; e l'assegnar loro un rivolgimento intorno al proprio centro sarebbe un attribuirgli un secondo movimento, molto diverso dal primo, perch cos ne averebbero due, cio il rivolgersi in ventiquattr'ore intorno al centro del suo tutto, ed il girare intorno al suo proprio: or questo secondo arbitrario, n vi ragione alcuna d'introdurlo. Se nello staccarsi un pezzo di calamita da tutta la massa naturale se gli togliesse il seguirla, come faceva mentre gli era congiunto, s che cos restasse privo del rigirare intorno al centro universale del globo terrestre, potrebbe per avventura con qualche maggior probabilit credere alcuno che quello fusse per appropriarsi una nuova vertigine circa 'l suo particolar centro; ma se esso, non meno separato che congiunto, continua pur tuttavia il suo primo eterno e natural corso, a che volere addossargliene un altro nuovo?

   SAGR. Intendo benissimo, e ci mi fa sovvenire d'un discorso assai simile a questo, nell'esser vano, posto da certi scrittori di sfera, e credo, se ben mi ricordo, tra gli altri dal Sacrobosco: il quale, per dimostrar come l'elemento dell'acqua si figura, insieme con la Terra, di superficie sferica, onde di amendue si costituisce questo nostro globo, scrive di ci esser concludente argomento il veder le minute particelle dell'acqua figurarsi in forma rotonda, come nelle gocciole nella rugiada e sopra le foglie di molte erbe giornalmente si vede, e perch, conforme al trito assioma "La medesima ragione del tutto che delle parti", appetendo le parti cotal figura, necessario che la medesima sia propria di tutto l'elemento. Ed invero mi par cosa assai sconcia che questi tali non si accorgano di una pur troppo patente leggerezza, e non considerino che quando il discorso loro fusse retto, converrebbe che non solo le minute stille, ma che qualsivoglia maggior quantit d'acqua, separata da tutto l'elemento, si riducesse in una palla, il che non si vede altrimenti: ma ben si pu veder co 'l senso, e intender con l'intelletto, che amando l'elemento dell'acqua di figurarsi in forma sferica intorno al comun centro di gravit, al quale tendono tutti i gravi (che il centro del globo terrestre), in ci vien egli seguito da tutte le sue parti, conforme all'assioma, s che tutte le superficie de i mari, de i laghi, de gli stagni, ed in somma di tutte le parti dell'acque contenute dentro a vasi, si distendono in figura sferica, ma di quella sfera che per centro ha il centro del globo terrestre, e non fanno sfere particolari di lor medesime.

   SALV. L'errore veramente puerile, e quando non fusse d'altri che del Sacrobosco, facilmente glie lo ammetterei; ma l'averlo a perdonare anco a suoi comentatori ed ad altri grand'uomini, e sino a Tolomeo stesso, non posso farlo senza qualche rossore per la reputazion loro. Ma tempo di pigliar licenza, send'or mai l'ora tarda, per esser domani al solito per l'ultima conclusione di tutti i passati ragionamenti.

Giornata Quarta

 

   SAGR. Non so se il ritorno vostro a i soliti ragionamenti sia realmente stato pi tardo del consueto, o pur se 'l desiderio di sentire i pensieri del signor Salviati intorno a materia tanto curiosa me l'abbia fatto parer tale. Mi sono per una grossa ora trattenuto alla finestra, aspettando di momento in momento di vedere spuntar la gondola, che avevo mandato a levarvi.

   SALV. Credo veramente che l'imaginazion vostra, pi che la nostra tardanza, abbia allungato il tempo; e per non lo prolungar pi, sar bene che, senza interporre altre parole, venghiamo al fatto, e mostriamo come la natura ha permesso (o sia che la cosa in rei veritate stia cos, o pur per ischerzo e quasi per pigliarsi giuoco de' nostri ghiribizzi), ha, dico, permesso, che i movimenti, per ogni altro rispetto che per sodisfare al flusso e reflusso del mare attribuiti gran tempo fa alla Terra, si trovino ora tanto aggiustatamente servire alla causa di quello, e come vicendevolmente il medesimo flusso e reflusso comparisca a confermare la terrestre mobilit: gli indizii della quale sin ora si son presi dalle apparenze celesti, essendo che delle cose che accaggiono in Terra, nessuna era potente a stabilir pi questa che quella sentenza, s come a lungo abbiamo gi esaminato, con mostrare che tutti gli accidenti terreni, per i quali comunemente si tiene la stabilit della Terra e mobilit del Sole e del firmamento, devono apparire a noi farsi sotto le medesime sembianze posta la mobilit della Terra e fermezza di quelli; il solo elemento dell'acqua, come quello che vastissimo e che non annesso e concatenato al globo terrestre, come sono tutte l'altre sue parti solide, anzi che per la sua fluidezza resta in parte sui iuris e libero, rimane, tra le cose sullunari, nel quale noi possiamo riconoscere qualche vestigio ed indizio di quel che faccia la Terra in quanto al moto o alla quiete. Io, doppo aver pi e pi volte meco medesimo esaminati gli effetti ed accidenti, parte veduti e parte intesi da altri, che ne i movimenti dell'acque si osservano, e pi lette e sentite le gran vanit prodotte da molti per cause di tali accidenti, mi son quasi sentito non leggiermente tirare ad ammettere queste due conclusioni (fatti per i presupposti necessari): che quando il globo terrestre sia immobile, non si possa naturalmente fare il flusso e reflusso del mare; e che quando al medesimo globo si conferiscano i movimenti gi assegnatili, necessario che il mare soggiaccia al flusso e reflusso, conforme a tutto quello che in esso viene osservato.

   SAGR. La proposizione grandissima, s per se stessa, s per quello ch'ella si tira in conseguenza; onde io tanto pi attentamente ne star a sentire la dichiarazione e confermazione.

   SALV. Perch nelle questioni naturali, delle quali questa, che abbiamo alle mani, ne una, la cognizione de gli effetti quella che ci conduce all'investigazione e ritrovamento delle cause, e senza quella il nostro sarebbe un camminare alla cieca, anzi pi incerto, poich non sapremmo dove riuscir ci volessimo, che i ciechi almeno sanno dove e' vorrebber pervenire; per innanzi a tutte l'altre cose necessaria la cognizione de gli effetti de' quali ricerchiamo le cagioni: de' quali effetti voi, signor Sagredo, e pi abbondantemente e pi sicuramente dovete esser informato che io non sono, come quello che, oltre all'esser nato e per lungo tempo dimorato in Venezia, dove i flussi e reflussi sono molto notabili per la lor grandezza, avete ancora navigato in Soria, e, come ingegno svegliato e curioso, dovete aver fatte molte osservazioni; dove che a me, che solamente ho potuto osservare per qualche tempo, bench breve, quello che accade qui in quest'estremit del golfo Adriatico e nel nostro mar di sotto, intorno alle spiagge del Tirreno, conviene di molte cose starmene alle relazioni di altri, le quali, essendo per lo pi non ben concordi, e per conseguenza assai incerte, confusione pi tosto che confermazione possono arrecare alle nostre specolazioni. Tuttavia da quelle che aviamo sicure, e che son anco le principali, parmi di poter pervenire al ritrovamento delle vere cause e primarie; non mi arrogando di potere addur tutte le ragioni proprie ed adequate di quelli effetti che mi giugnesser nuovi, e che in conseguenza io non potessi avervi pensato sopra. E quello che io son per dire, lo propongo solamente come una chiave che apra la porta di una strada non mai pi calpestata da altri, con ferma speranza che ingegni pi specolativi del mio siano per allargarsi e penetrar pi oltre assai di quello che avr fatto io in questa mia prima scoperta: ed ancor che in altri mari, da noi remoti, possano accadere de gli accidenti che nel nostro Mediterraneo non accaggiono, non per questo rester di esser vera la ragione e la causa ch'io produrr, tuttavoltach ella si verifichi e pienamente sodisfaccia a gli accidenti che seguono nel mar nostro; perch finalmente una sola ha da esser la vera e primaria causa de gli effetti che son del medesimo genere. Dir dunque l'istoria de gli effetti ch'io so esser veri, e assegneronne la cagione da me creduta vera; e voi altri, signori, ne produrrete de gli altri noti a voi, oltre a i miei, e poi faremo prova se la causa da me addotta possa a quelli ancora sodisfare.

   Dico dunque, tre esser i periodi che si osservano ne i flussi e reflussi dell'acque marine. Il primo e principale questo grande e notissimo, cio il diurno, secondo il quale con intervalli di alcune ore l'acque si alzano e si abbassano; e questi intervalli sono per lo pi nel Mediterraneo di 6 in 6 ore in circa, cio per 6 ore alzano e per altre 6 abbassano. Il secondo periodo mestruo, e par che tragga origine dal moto della Luna; non che ella introduca altri movimenti, ma solamente altera la grandezza de i gi detti, con differenza notabile secondo che ella sar piena o scema o alla quadratura co 'l Sole. Il terzo periodo annuo, e mostra depender dal Sole, alterando pur solamente i movimenti diurni, con rendergli, ne' tempi de' solstizii, diversi, quanto alla grandezza, da quel che sono ne gli equinozii.

   Parleremo prima del periodo diurno, come quello che il principale, e sopra 'l quale par che secondariamente esercitino loro azione la Luna e 'l Sole, con loro mestrue ed annue alterazioni. Tre diversit si osservano in queste mutazioni orarie: imperocch in alcuni luoghi le acque si alzano ed abbassano, senza far moto progressivo; in altri, senza alzarsi n abbassarsi, si muovono or verso levante ed or ricorrono verso ponente; ed in altri variano l'altezze e variano il corso ancora, come accade qui in Venezia, dove l'acque entrando alzano, e nell'uscire abbassano: e questo fanno all'estremit delle lunghezze de i golfi che si distendono da occidente in oriente e terminano in ispiagge, sopra le quali l'acqua nell'alzarsi ha campo di potersi spargere; che quando il corso gli fusse intercetto da montagne o argini molto rilevati, quivi si alzerebbero ed abbasserebbero senza moto progressivo. Corrono poi e ricorrono, senza mutare altezza, nelle parti di mezzo, come accade notabilissimamente nel Faro di Messina tra Scilla e Cariddi, dove le correnti, per la strettezza del canale, sono velocissime, ma ne i mari pi aperti e intorno all'isole di mezo, come sono le Baleariche, la Corsica, la Sardigna, l'Elba, la Sicilia verso la parte di Affrica, Malta Candia etc., le mutazioni di altezza sono piccolissime, ma ben notabili le correnti, e massime dove il mare tra l'isole, o tra esse e 'l continente, si ristrigne.

   Ora, questi soli effetti veraci e certi, quando altro non si vedesse, parmi che assai probabilmente persuadano, a chiunque voglia star dentro a i termini naturali, a conceder la mobilit della Terra; imperocch ritener fermo il vaso del Mediterraneo, e far che l'acqua, che in esso si contiene, faccia questo che fa, supera la mia immaginazione, e forse quella di ogn'altro che oltre alla scorza s'interner in tale specolazione.

   SIMP. Questi accidenti, signor Salviati, non cominciano adesso; sono antichissimi, e stati osservati da infiniti, e molti si sono ingegnati di renderne chi una e chi un'altra ragione; e non molte miglia lontano di qui un gran Peripatetico, che ne adduce una causa nuovamente espiscata da certo testo di Aristotile, non bene avvertito da' suoi interpreti, dal qual testo ei raccoglie, la vera causa di questi movimenti non derivar d'altronde che dalle diverse profondit de' mari: imperocch l'acque delle pi alte profondit, essendo maggiori in copia, e per ci pi gravi, discacciano l'acque de' minor fondi, le quali poi, sollevate, voglion descendere; e da questo continuo combattimento deriva il flusso e reflusso. Quelli poi che referiscon ci alla Luna, son molti, dicendo che ella ha particolar dominio sopra l'acqua: ed ultimamente certo prelato ha pubblicato un trattatello, dove dice che la Luna, vagando per il cielo, attrae e solleva verso di s un cumolo d'acqua, il quale la va continuamente seguitando, s che il mare alto sempre in quella parte che soggiace alla Luna; e perch quando essa sotto l'orizonte, pur tuttavia ritorna l'alzamento, dice che non si pu dir altro, per salvar tal effetto, se non che la Luna non solo ritiene in s naturalmente questa facult, ma in questo caso ha possanza di conferirla a quel grado del zodiaco, che gli opposto. Altri, come credo che sappiate, dicono pur che la Luna ha possanza, co 'l suo temperato calore, di rarefar l'acqua, la quale, rarefatta, viene a sollevarsi. Non ci mancato anco chi

   SAGR. Di grazia, signor Simplicio, non ce ne riferite pi, ch non mi pare che metta conto di consumare il tempo nel referirle, n meno le parole per confutarle; e voi, quando ad alcuna di queste o simili leggerezze prestaste l'assenso, fareste torto al vostro giudizio, che pur lo conosciamo per molto purgato.

   SALV. Io, che sono un poco pi flemmatico di voi, signor Sagredo, spender pur cinquanta parole in grazia del signor Simplicio, se forse egli stimasse, nelle cose da lui raccontate ritrovarsi qualche probabilit. Dico per tanto: L'acque, signor Simplicio, che hanno pi alta la loro superficie esteriore, discacciano quelle che gli sono inferiori e pi basse; ma ci non fanno gi le pi alte di profondit; e le pi alte, scacciate che hanno le pi basse, in breve si quietano e si librano. Bisogna che questo vostro Peripatetico creda che tutti i laghi del mondo che stanno in quiete, e tutti i mari dove il flusso e reflusso insensibile, abbiano i letti loro egualissimi; ed io era s semplice, che mi persuadevo che, quando altro scandaglio non ci fusse, l'isole, che sopravanzano sopra l'acque, fussero assai manifesto indizio dell'inegualit de i fondi. A quel prelato potreste dire che la Luna scorre ogni giorno sopra tutto 'l Mediterraneo, n per si sollevano le acque salvo che nelle sue estremit orientali e qui a noi in Venezia. A quelli del calor temperato, potente a far rigonfiar l'acqua, dite che pongano il fuoco sotto di una caldaia piena d'acqua, e che vi tengan dentro la man destra sin che l'acqua per il caldo si sollevi un sol dito, e poi la cavino, e scrivano del rigonfiamento del mare; o dimandategli almeno che vi insegnino come fa la Luna a rarefar certa parte dell'acque e non il rimanente, come dir queste qui di Venezia, e non quelle d'Ancona, di Napoli o di Genova. forza dire che gl'ingegni poetici sieno di due spezie: alcuni, destri ed atti ad inventar le favole; ed altri, disposti ed accomodati a crederle.

   SIMP. Io non penso che alcuno creda le favole mentre che per tali le conosce: e delle opinioni intorno alle cagioni del flusso e reflusso, che son molte, perch so che di un effetto una sola la cagione primaria e vera, intendo benissimo e son sicuro che una sola al pi potrebbe esser vera, ma tutto il resto so che son favolose e false; e forse anco la vera non tra quelle che sin ora son state prodotte: anzi cos credo esser veramente, perch gran cosa sarebbe che 'l vero potesse aver s poco di luce, che nulla apparisse tra le tenebre di tanti falsi. Ma dir bene, con quella libert che tra noi permessa, che l'introdurre il moto della Terra e farlo cagione del flusso e reflusso mi sembra sin ora un concetto non men favoloso di quanti altri io me n'abbia sentiti; e quando non mi fusser porte ragioni pi conformi alle cose naturali, senza veruna repugnanza passerei a credere, questo essere un effetto sopra naturale, e per ci miracoloso e imperscrutabile da gl'intelletti umani, come infiniti altri ce ne sono, dependenti immediatamente dalla mano onnipotente di Dio.

   SALV. Voi discorrete molto prudentemente, e conforme anco alla dottrina d'Aristotile, che sapete come nel principio delle sue Quistioni Meccaniche attribuisce a miracolo le cose delle quali le cagioni sono occulte: ma che la causa vera del flusso e reflusso sia delle impenetrabili, non credo che ne abbiate indizio maggiore che il vedere come, tra tutte quelle che sin qui sono state prodotte per vere cagioni, nessuna ve ne con la quale, per qualunque artifizio si adoperi, si possa rappresentar da noi un simile effetto; attesoch n con lume di Luna o di Sole, n con caldi temperati, n con diverse profondit, mai non si far artifiziosamente correre e ricorrere, alzarsi ed abbassarsi, in un luogo s ed in altri no, l'acqua contenuta in un vaso immobile. Ma se co 'l far muovere il vaso, senza artifizio nessuno, anzi semplicissimamente, io vi posso rappresentar puntualmente tutte quelle mutazioni che si osservano nell'acque marine, perch volete voi ricusar questa cagione e ricorrere al miracolo?

   SIMP. Voglio ricorrere al miracolo se voi con altre cause naturali che co 'l moto de i vasi dell'acque marine non me ne rimovete, perch so che tali vasi non si muovono, essendo che tutto l'intero globo terrestre naturalmente immobile.

   SALV. Ma non credete voi che il globo terrestre potesse sopranaturalmente, cio per l'assoluta potenza di Dio, farsi mobile?

   SIMP. E chi ne dubita?

   SALV. Adunque, signor Simplicio, gi che per fare il flusso e reflusso del mare ci bisogno d'introdurre il miracolo, facciamo miracolosamente muover la Terra, al moto della quale si muova poi naturalmente il mare: e questa operazione sar anco tanto pi semplice, e dir naturale, tra le miracolose, quanto il far muovere in giro un globo, de' quali ne veggiamo tanti altri muoversi, men difficile che 'l fare andar innanzi e in dietro, dove pi velocemente e dove meno, alzarsi ed abbassarsi, dove pi e dove meno e dove niente, una immensa mole d'acqua, e tutte queste diversit farle nell'istesso vaso che la contiene, oltre che questi son molti miracoli diversi, e quello un solo. Ed aggiugnete di pi, che 'l miracolo del far muover l'acqua se ne tira un altro in conseguenza, che il ritener ferma la Terra contro a gli impulsi dell'acqua, potenti a farla vacillare or verso questa ed or verso quella parte, quando miracolosamente non venga ritenuta.

   SAGR. Di grazia, signor Simplicio, sospendiam per un poco il nostro giudizio circa il sentenziar per vana la nuova opinione che ci vuol esplicare il signor Salviati, e non la mettiamo cos presto in mazzo con le vecchie ridicolose: e quanto al miracolo, ricorriamovi parimente doppo che avremo sentito i discorsi contenuti dentro a i termini naturali; se ben, per dire il mio senso, a me si rappresentano miracolose tutte l'opere della natura e di Dio.

   SALV. Ed io stimo il medesimo; n il dire che la cagion naturale del flusso e reflusso sia il movimento della Terra toglie che questa sia operazion miracolosa. Ora, ripigliando il nostro ragionamento, replico e raffermo, esser sin ora ignoto come possa essere che l'acque contenute dentro al nostro seno Mediterraneo facciano quei movimenti che far se gli veggono, tuttavoltach l'istesso seno e vaso contenente resti immobile; e quello che fa la difficult, e rende questa materia inestricabile, sono le cose che dir appresso, e che giornalmente si osservano. Per notate.

   Siamo qui in Venezia, dove ora sono l'acque basse ed il mar quieto e l'aria tranquilla: comincia l'acqua ad alzarsi ed in termine di 5 o 6 ore ricresce dieci palmi e pi: tale alzamento non fatto dalla prima acqua, che si sia rarefatta, ma fatto per acqua nuovamente venutaci, acqua della medesima sorte che era la prima, della medesima salsedine, della medesima densit, del medesimo peso: i navilii, signor Simplicio, vi galleggiano come nella prima, senza demergersi un capello di pi; un barile di questa seconda non pesa un sol grano pi n meno che altrettanta quantit dell'altra; ritiene la medesima freddezza, non punto alterata: in somma acqua nuovamente e visibilmente entrata per i tagli e bocche del Lio. Trovatemi ora voi come e donde ell' qua venuta. Son forse qui intorno voragini o meati nel fondo del mare, per le quali la Terra attragga e rinfonda l'acqua, respirando quasi immensa e smisurata balena? Ma se questo , come nello spazio di 6 ore non si alza l'acqua parimente in Ancona, in Ragugia, in Corf, dove il ricrescimento piccolissimo e forse inosservabile? chi ritrover modo di infondere nuova acqua in un vaso immobile, e far che solamente in una determinata parte di esso ella si alzi ed altrove no? Direte forse, questa nuova acqua venirgli prestata dall'Oceano, porgendogliela per lo stretto di Gibelterra? questo non torr le difficolt gi dette, ed arrecheranne delle maggiori. E prima, ditemi qual deva essere il corso di quell'acqua, che, entrando per lo stretto, si conduca in 6 ore sino all'estreme spiagge del Mediterraneo, in distanza di due e tremila miglia, e che il medesimo spazio ripassi in altrettanto tempo nel suo ritorno? che faranno i navilii sparsi pe 'l mare? che quelli che fussero nello stretto, in un precipizio continuo di un'immensa copia di acque, che, entrando per un canale largo non pi di 8 miglia, abbia a dare il transito a tant'acqua che in 6 ore allaghi uno spazio di centinaia di miglia per larghezza e migliaia per lunghezza? qual tigre, qual falcone, corse o vol mai con tanta velocit? con velocit, dico, da far 400 e pi miglia per ora. Sono (n si nega) le correnti per la lunghezza del Golfo, ma cos lente che i vasselli da remi le superano, se ben non senza scapito del loro viaggiare. In oltre, se quest'acqua viene per lo stretto, resta pur l'altra difficolt, cio come si conduca ad alzar qui tanto, in parti cos remote, senza prima alzar per simile o maggiore altezza nelle parti pi propinque. In somma non credo che n ostinazione n sottigliezza d'ingegno possa ritrovar mai ripiego a queste difficolt, n in conseguenza sostener contro di esse la stabilit della Terra, contenendosi dentro a i termini naturali.

   SAGR. Di questo resto io sin ora benissimo capace, e sto con avidit attendendo di sentire in qual modo queste maraviglie possono seguire senza intoppo da i moti gi assegnati alla Terra.

   SALV. Come questi effetti abbiano a venire in conseguenza de i movimenti che naturalmente convengano alla Terra, necessario che non solamente non trovino repugnanza o intoppo, ma che seguano facilmente, e non solo che seguano con facilit, ma con necessit, s che impossibil sia il succedere in altra maniera; ch tale la propriet e condizione delle cose naturali e vere. Stabilita dunque l'impossibilit del poter render ragione de i movimenti che si scorgono nell'acque, ed insieme mantenere l'immobilit del vaso che le contiene, passiamo a vedere se la mobilit del contenente possa ella produrre l'effetto condizionato nella maniera che si osserva seguire.

   Due sorte di movimenti posson conferirsi ad un vaso, per li quali l'acqua, che in esso fusse contenuta, acquistasse facult di scorrere in esso or verso l'una or verso l'altra estremit, e quivi ora alzarsi ed ora abbassarsi. Il primo sarebbe quando or l'una or l'altra di esse estremit si abbassasse, perch allora l'acqua, scorrendo verso la parte inclinata, vicendevolmente ora in questa ed ora in quella s'alzerebbe ed abbasserebbe. Ma perch questo alzarsi ed abbassarsi non altro che discostarsi ed avvicinarsi al centro della Terra, tal sorta di movimento non pu attribuirsi alle concavit della medesima Terra, che sono i vasi contenenti l'acque, le parti de' quali vasi, per qualunque moto che si attribuisse al globo terrestre, n si possono avvicinare n allontanare dal centro di quello. L'altra sorta di movimento quando il vaso si muovesse (senza punto inclinarsi) di moto progressivo, non uniforme, ma che cangiasse velocit, con accelerarsi talvolta ed altra volta ritardarsi: dalla qual difformit seguirebbe che l'acqua, contenuta s nel vaso, ma non fissamente annessa, come l'altre sue parti solide, anzi, per la sua fluidezza, quasi separata e libera e non obbligata a secondar tutte le mutazioni del suo continente, nel ritardarsi il vaso, ella, ritenendo parte dell'impeto gi concepito, scorrerebbe verso la parte precedente, dove di necessit verrebbe ad alzarsi; ed all'incontro, quando sopraggiugnesse al vaso nuova velocit, ella, con ritener parte della sua tardit, restando alquanto indietro, prima che abituarsi al nuovo impeto resterebbe verso la parte susseguente, dove alquanto verrebbe ad alzarsi: i quali effetti possiamo pi apertamente dichiarare e manifestare al senso con l'esempio di una di queste barche le quali continuamente vengono da Lizzafusina, piene d'acqua dolce per uso della citt. Figuriamoci dunque una tal barca venirsene con mediocre velocit per la Laguna, portando placidamente l'acqua della quale ella sia piena, ma che poi, o per dare in secco o per altro impedimento che le sia opposto, venga notabilmente ritardata; non perci l'acqua contenuta perder, al pari della barca, l'impeto gi concepito, ma, conservandoselo, scorrer avanti verso la prua, dove notabilmente si alzer, abbassandosi dalla poppa: ma se, per l'opposito, all'istessa barca nel mezo del suo placido corso verr con notabile agumento aggiunta nuova velocit, l'acqua contenuta, prima di abituarsene, restando nella sua lentezza, rimarr indietro, cio verso la poppa, dove in conseguenza si sollever, abbassandosi dalla prua. Questo effetto indubitato e chiaro, e puossi a tutte l'ore esperimentare; nel quale voglio che notiamo per adesso tre particolari. Il primo , che per fare alzar l'acqua in una dell'estremit del vaso, non ci bisogno di nuova acqua, n che ella vi corra partendosi dall'altra estremit. Il secondo , che l'acqua di mezo non si alza n abbassa notabilmente, se gi il corso della barca non fusse velocissimo, e l'urto o altro ritegno che la ritenesse, gagliardissimo e repentino, nel qual caso potrebbe anco tutta l'acqua non pure scorrer avanti, ma per la maggior parte saltar fuor della barca; e l'istesso anco farebbe quando, mentre ella lentamente camminasse, improvvisamente gli sopraggiugnesse un impeto violentissimo: ma quando ad un suo moto quieto sopraggiunga mediocre ritardamento o incitazione, le parti di mezo (come ho detto) inosservabilmente si alzano e si abbassano; e le altre parti, secondo che son pi vicine al mezo, meno si alzano, e pi le pi lontane. Il terzo , che dove le parti intorno al mezo poca mutazione fanno nell'alzarsi ed abbassarsi rispetto all'acque delle parti estreme, all'incontro scorron molto innanzi e in dietro, in comparazion dell'estreme. Ora, signori miei, quello che fa la barca rispetto all'acqua contenuta da essa, e quello che fa l'acqua contenuta rispetto alla barca, sua contenente, l'istesso a capello che quel che fa il vaso Mediterraneo rispetto l'acque da esso contenute, e che fanno l'acque contenute rispetto al vaso Mediterraneo, lor contenente. Sguita ora che dimostriamo, come ed in qual maniera sia vero che il Mediterraneo e tutti gli altri seni, ed in somma tutte le parti della Terra, si muovano di moto notabilmente difforme, bench movimento nessuno che regolare ed uniforme non sia, venga a tutto l'istesso globo assegnato.

   SIMP. Questo, nel primo aspetto, a me che non sono n matematico n astronomo, ha sembianza di un gran paradosso; e quando sia vero che, sendo il movimento del tutto regolare, quel delle parti, restando sempre congiunte al suo tutto, possa essere irregolare, il paradosso distrugger l'assioma che afferma, eandem esse rationem totius et partium.

   SALV. Io dimostrer il mio paradosso, ed a voi, signor Simplicio, lascer il carico di difender l'assioma da esso, o di mettergli d'accordo; e la mia dimostrazione sar breve e facilissima, dependente dalle cose lungamente trattate ne i nostri passati ragionamenti, senza indur n pure una minima sillaba in grazia del flusso e reflusso.

   Due aviamo detto essere i moti attribuiti al globo terrestre: il primo, annuo, fatto dal suo centro per la circonferenza dell'orbe magno sotto l'ecclittica secondo l'ordine de' segni, cio da occidente verso oriente; l'altro, fatto dall'istesso globo, rivolgendosi intorno al proprio centro in ventiquattr'ore, e questo parimente da occidente verso oriente, bench circa un asse alquanto inclinato e non equidistante a quello della conversione annua. Dalla composizione di questi due movimenti, ciascheduno per se stesso uniforme, dico resultare un moto difforme nelle parti della Terra: il che, acci pi facilmente s'intenda, dichiarer facendone la figura. E prima, intorno al centro A descriver la circonferenza dell'orbe magno B C, nella quale preso qualsivoglia punto B, circa esso, come centro, descriveremo questo minor cerchio DEFG, rappresentante il globo terrestre;

 

 

il quale intenderemo discorrer per tutta la circonferenza dell'orbe magno co 'l suo centro B da ponente verso levante, cio dalla parte B verso C: ed oltre a ci intenderemo il globo terrestre volgersi intorno al proprio centro B, pur da ponente verso levante, cio secondo la successione de i punti D, E, F, G, nello spazio di ventiquattr'ore. Ma qui doviamo attentamente notare, come rigirandosi un cerchio intorno al proprio centro, qualsivoglia parte di esso convien muoversi in diversi tempi di moti contrarii: il che manifesto considerando che mentre le parti della circonferenza intorno al punto D si muovono verso la sinistra, cio verso E, le opposte, che sono intorno all'F, acquistano verso la destra, cio verso G, talch quando le parti D saranno in F, il moto loro sar contrario a quello che era prima, quando era in D; in oltre, nell'istesso tempo che le parti E descendono, per cos dire, verso F, le G ascendono verso D. Stante dunque tal contrariet di moti nelle parti della superficie terrestre, mentre che ella si rigira intorno al proprio centro, forza che, nell'accoppiar questo moto diurno con l'altro annuo, risulti un moto assoluto per le parti di essa superficie terrestre ora accelerato assai ed ora altrettanto ritardato: il che manifesto considerando prima la parte intorno a D, il cui moto assoluto sar velocissimo, come quello che nasce da due moti fatti verso la medesima banda, cio verso la sinistra; il primo de' quali parte del moto annuo, comune a tutte le parti del globo, l'altro dell'istesso punto D, portato pur verso la sinistra dalla vertigine diurna; talch in questo caso il moto diurno accresce ed accelera il moto annuo; l'opposito di che accade alla parte opposta F, la quale, mentre dal comune moto annuo portata, insieme con tutto il globo, verso la sinistra, vien dalla conversion diurna portata ancor verso la destra, talch il moto diurno viene a detrarre all'annuo, per lo che il movimento assoluto, resultante dal componimento di amendue, ne riman ritardato assai: intorno poi a i punti E, G il moto assoluto viene a restare come eguale al semplice annuo, avvenga che il diurno niente o poco gli accresce o gli detrae, per non tendere n a sinistra n a destra, ma in gi ed in su. Concludiamo per tanto, che s come vero che il moto di tutto il globo e di ciascuna delle sue parti sarebbe equabile ed uniforme quando elle si movessero d'un moto solo, o fusse il semplice annuo o fusse il solo diurno, cos necessario che, mescolandosi tali due moti insieme, ne risultino per le parti di esso globo movimenti difformi, ora accelerati ed ora ritardati mediante gli additamenti o suttrazioni della conversion diurna alla circolazione annua Onde se vero (come verissimo, e l'esperienza ne dimostra) che l'accelerazione e ritardamento del moto del vaso faccia correre e ricorrere nella sua lunghezza, alzarsi ed abbassarsi nelle sue estremit, l'acqua da esso contenuta, chi vorr por difficult nel concedere che tale effetto possa, anzi pur debba di necessit accadere all'acque marine, contenute dentro a i vasi loro, soggetti a cotali alterazioni, e massime in quelli che per lunghezza si distendono da ponente verso levante, che il verso per il quale si fa il movimento di essi vasi? Or questa sia la potissima e primaria causa del flusso e reflusso, senza il quale nulla seguirebbe di tale effetto. Ma perch multiplici e varii sono gli accidenti particolari che in diversi luoghi e tempi si osservano, i quali forza che da altre diverse cause concomitanti dependano, se ben tutte devono aver connessione con la primaria, per fa di mestiero andar proponendo ed esaminando i diversi accidenti che di tali diversi effetti possano esser cagioni.

   Il primo de' quali , che qualunque volta l'acqua, merc d'un notabile ritardamento o accelerazione di moto del vaso suo contenente, avr acquistata cagione di scorrere verso questa o quella estremit, e si sar alzata nell'una ed abbassata nell'altra, non per rester in tale stato, quando ben cessasse la cagion primaria, ma, in virt del proprio peso e naturale inclinazione di livellarsi e librarsi, torner per se stessa con velocit in dietro; e, come grave e fluida, non solo si mover verso l'equilibrio, ma, promossa dal proprio impeto, lo trapasser, alzandosi nella parte dove prima era pi bassa; n qui ancora si fermer, ma di nuovo ritornando in dietro, con pi reiterate reciprocazioni di scorrimenti ci dar segno come ella non vuole da una concepita velocit di moto ridursi subito alla privazion di quello ed allo stato di quiete, ma successivamente ci si vuole mancando a poco a poco, lentamente ridurre: in quel modo appunto che vediamo alcun peso pendente da una corda, doppo essere stato una volta rimosso dal suo stato di quiete, cio dal perpendicolo, per se medesimo ricondurvisi e quietarvisi, ma non prima che molte volte l'avr di qua e di l, con sue vicendevoli corse e ricorse, trapassato.

   Il secondo accidente da notarsi , che le pur ora dichiarate reciprocazioni di movimento vengon fatte e replicate con maggiore o minor frequenza, cio sotto pi brevi o pi lunghi tempi, secondo le diverse lunghezze de' vasi contenenti l'acque; s che negli spazii pi brevi le reciprocazioni son pi frequenti, e pi rare ne' pi lunghi: come appunto nel medesimo esempio de' corpi pendoli si veggono le reciprocazioni di quelli che sono appesi a pi lunghe corde esser men frequenti che quelle de i pendenti da fili pi corti.

   E qui, per il terzo notabile, vien da sapersi, che non solamente la maggiore o minor lunghezza del vaso cagione di far che l'acqua sotto diversi tempi faccia le sue reciprocazioni, ma la maggiore o minor profondit opera l'istesso; ed accade che dell'acque contenute in ricetti di eguali lunghezze, ma di diseguali profondit, quella che sar pi profonda faccia le sue librazioni sotto tempi pi brevi, e men frequenti siano le reciprocazioni dell'acque men profonde.

   Quarto, vengon degni d'esser notati e diligentemente osservati due effetti che fa l'acqua in tali suoi libramenti. L'uno l'alzarsi ed abbassarsi alternatamente verso questa e quella estremit; l'altro il muoversi e scorrere, per cos dire orizontalmente, innanzi e in dietro: li quali due moti differenti differentemente riseggono in diverse parti dell'acqua. Imperocch le sue parti estreme son quelle che sommamente si alzano e si abbassano; quelle di mezo niente assolutamente si muovon in su o in gi; dell'altre, di grado in grado quelle che son pi vicine a gli estremi si alzano ed abbassano proporzionatamente pi delle pi remote: ma, per l'opposito, dell'altro movimento progressivo innanzi e 'n dietro assai si muovono, andando e ritornando, le parti di mezo, e nulla acquistano l'acque che si trovano nell'ultime estremit, se non se in quanto nell'alzarsi elleno superassero gli argini e traboccassero fuor del suo primo alveo e ricetto; ma dove l'intoppo de gli argini che le raffrenano, solamente si alzano e si abbassano; n per restan l'acque di mezo di scorrer innanzi e indietro, il che fanno anco proporzionatamente l'altre parti, scorrendo pi o meno secondo che si trovan locate pi remote o vicine al mezo.

   Il quinto particolare accidente dovr tanto pi attentamente esser considerato, quanto che a noi impossibile il rappresentarne con esperienza e pratica il suo effetto; e l'accidente questo. Ne i vasi fatti da noi per arte, e mossi, come le soprannominate barche, or pi ed or meno velocemente, l'accelerazione e ritardamento vien sempre partecipato nell'istesso modo da tutto il vaso e da ciascheduna sua parte: s che, mentre, verbigrazia, la barca si raffrena dal moto, non pi si ritarda la parte precedente che la susseguente, ma egualmente tutte partecipano del medesimo ritardamento; e l'istesso avviene dell'accelerazione, cio che, contribuendo alla barca nuova causa di maggior velocit, nell'istesso modo si accelera la prora e la poppa. Ma ne' vasi immensi quali sono i letti lunghissimi de' mari, bench essi ancora altro non siano che alcune cavit fatte nella solidit del globo terrestre, tuttavia mirabilmente avviene che gli estremi di quelli non unitamente, egualmente e ne

gl'istessi momenti di tempo, accreschino e scemino il lor moto; ma, accade che quando l'una delle sue estremit si trova avere, in virt del componimento de i due moti diurno ed annuo, ritardata grandemente la sua velocit, l'altra estremit si ritrovi ancora affetta e congiunta con moto velocissimo: il che, per pi facile intelligenza, dichiareremo ripigliando la figura pur ora disegnata. Nella quale se intenderemo un tratto di mare esser lungo, verbigrazia, una quarta, qual l'arco B C, perch le parti B sono, come di sopra si dichiar, in moto velocissimo, per l'unione de' due movimenti diurno ed annuo verso la medesima banda, ma la parte C allora si ritrova in moto ritardato, come quello che privo della progressione dependente dal moto diurno: se intenderemo, dico, un seno di mare lungo quant' l'arco B C, gi vedremo come gli

 

estremi suoi si muovono nell'istesso tempo con molta disegualit. E sommamente differenti sarebbero le velocit d'un tratto di mare lungo mezo cerchio e posto nello stato dell'arco B C D, avvengach l'estremit B si troverebbe in moto velocissimo, l'altra D sarebbe in moto tardissimo, e le parti di mezo verso C sarebbero in moto mediocre: e secondo che essi tratti di mare saranno pi brevi, participeranno meno di questo stravagante accidente, di ritrovarsi in alcune ore del giorno con le parti loro diversamente affette da velocit e tardit di moto. S che se, come nel primo caso, veggiamo per esperienza l'accelerazione e 'l ritardamento, bench participati egualmente da tutte le parti del vaso contenente, esser pur cagione all'acqua contenuta di scorrer innanzi e 'n dietro, che dovremo stimare che accader debba in un vaso cos mirabilmente disposto che molto disegualmente venga contribuita alle sue parti ritardanza di moto ed accelerazione? Certo che noi dir non possiamo altro, se non che maggiore e pi maravigliosa cagione di commozioni nell'acqua, e pi strane, ritrovar si debbano. E bench impossibil possa parer a molti che in machine e vasi artifiziali noi possiamo esperimentare gli effetti di un tale accidente, nulla dimeno non per del tutto impossibile; ed io ho la costruzione d'una machina, nella quale particolarmente si pu scorgere l'effetto di queste meravigliose composizioni di movimenti. Ma per quanto appartiene alla presente materia, basta quello che sin qui potete aver compreso con l'immaginazione.

   SAGR. Io, per la parte mia, molto ben capisco, questo maraviglioso accidente doversi necessariamente ritrovare ne i seni de i mari, e massime in quelli che per gran distanze si distendono da occidente in oriente, cio secondo il corso de i movimenti del globo terrestre; e come che ei sia in certo modo inescogitabile e senza esempio tra i movimenti possibili a farsi da noi, cos non mi diffficile a credere che da esso possano derivar effetti non imitabili con nostre artificiali esperienze.

   SALV. Dichiarate queste cose, tempo che venghiamo a esaminare i particolari accidenti, e loro diversit, che ne' flussi e reflussi dell'acque per esperienza si osservano. E prima, non dovremo aver difficult nell'intendere, onde accaggia che ne i laghi, stagni, ed anco ne i mari piccoli, non sia notabil flusso e reflusso: il che ha due concludentissime ragioni. L'una , che, per la brevit del vaso, nell'acquistare egli in diverse ore del giorno diversi gradi di velocit, con poca differenza vengano acquistati da tutte le sue parti; ma tanto le precedenti quanto le susseguenti, cio l'orientali e l'occidentali, quasi nell'istesso modo si accelerano e si ritardano; facendosi, di pi, tale alterazione a poco a poco, e non con l'opporre un repentino intoppo e ritardamento o una subitanea e grande accelerazione al movimento del vaso contenente, ed esso e tutte le sue parti vengon lentamente ed egualmente impressionandosi de i medesimi gradi di velocit: dalla quale uniformit ne sguita che anco l'acqua contenuta, con poca contumacia e renitenza riceva le medesime impressioni, e per conseguenza molto oscuramente dia segno d'alzarsi o abbassarsi, scorrendo verso questa o verso l'altra estremit; il quale effetto si vede ancora manifestamente ne' piccoli vasi artifiziali, ne i quali l'acqua contenuta si va impressionando de gl'istessi gradi di velocit, tuttavoltach l'accelerazione o ritardamento si faccia con lenta ed uniforme proporzione. Ma ne i seni de i mari che per grande spazio si distendono da levante a ponente, assai pi notabile e difforme l'accelerazione o 'l ritardamento, mentre una delle sue estremit si trover in un moto assai ritardato, e l'altra sar ancora di moto velocissimo. La seconda causa la reciproca librazion dell'acqua, proveniente dall'impeto che ella pure avesse concepito dal moto del suo continente, la qual librazione ha, come si notato, le sue vibrazioni molto frequenti ne i vasi piccoli: dal che ne risulta che risedendo ne i movimenti terrestri cagione di contribuire all'acque movimento solo di dodici in dodici ore, poi che una volta sola il giorno sommamente si ritarda e sommamente si accelera il movimento de i vasi contenenti, nientedimeno l'altra seconda cagione, dependente dalla gravit dell'acqua, che cerca ridursi all'equilibrio, e, secondo la brevit del vaso, ha le sue reciprocazioni o di un'ora o di due o di tre etc., questa mescolandosi con la prima, che anco per s ne i vasi piccoli resta piccolissima, la vien del tutto a render insensibile; imperocch, non si essendo ancora finita di imprimer la commozione procedente dalla cagion primaria, che ha i periodi di 12 ore, sopravvien, contrariando, l'altra secondaria, dependente dal proprio peso dell'acqua, la quale, secondo la cortezza e profondit del vaso, ha il tempo delle sue vibrazioni di 1, 2, 3 o 4 ore, etc., e, contrariando alla prima, la perturba e rimuove, senza lasciarla giugnere al sommo n al mezo del suo movimento. E da tal contrapposizione resta annichilata in tutto, o molto oscurata, l'evidenza del flusso e reflusso. Lascio stare l'alterazion continua dell'aria, la quale, inquietando l'acqua, non ci lascerebbe venire in certezza d'un piccolissimo ricrescimento o abbassamento di mezo dito o di minor quantit, che potesse realmente risedere ne i seni e ricetti di acque non pi lunghi di un grado o due.

   Vengo, nel secondo luogo, a sciorre il dubbio, come, non risedendo nel primario principio cagione di commuover l'acque se non di 12 in 12 ore, cio una volta per la somma velocit di moto e l'altra per la massima tardit, nulladimeno apparisce comunemente il periodo de i flussi e reflussi esser di sei in sei ore. Al che si risponde che tale determinazione non si pu in verun modo avere dalla cagion primaria solamente, ma vi bisogna inserire le secondarie, cio la lunghezza maggiore o minore de i vasi, e la maggiore o minor profondit dell'acque in essi contenute: le quali cagioni, se ben non hanno azione veruna ne i movimenti dell'acque, essendo tale azione della sola cagion primaria, senza la quale nulla seguirebbe de' flussi e reflussi, tuttavia l'hanno principalissima nel terminar i tempi delle reciprocazioni, e cos potente, che la cagion primaria convien che gli resti soggetta. Non dunque il periodo delle 6 ore pi proprio o naturale di quelli d'altri intervalli di tempi, ma ben forse il pi osservato, per esser quello che compete al nostro Mediterraneo, che solo per lunghi secoli fu praticabile; ancor che n tal periodo si osserva in tutte le sue parti, atteso che in alcuni luoghi pi ristretti, qual l'Ellesponto e l'Egeo, i periodi son assai pi brevi, ed anco tra di loro molto differenti; per la qual variet e sue cagioni, incomprensibili ad Aristotile, dicono alcuni che, dopo l'averla egli lungamente osservata sopra alcuni scogli di Negroponte, tratto dalla disperazione si precipitasse in mare e spontaneamente s'annegasse.

   Avremo, nel terzo luogo, molto spedita la ragione, onde avvenga che alcun mare, bench lunghissimo, qual il Mar Rosso, nulladimeno quasi del tutto esente da i flussi e reflussi. La qual cosa accade, perch la sua lunghezza non si distende dall'oriente verso l'occidente, anzi traversa da sirocco verso maestro: ma essendo i movimenti della Terra da occidente in oriente, gli impulsi dell'acque vanno sempre a ferire ne i meridiani, e non si muovono di parallelo in parallelo; onde ne i mari che traversalmente si distendono verso i poli, e che per l'altro verso sono angusti, non resta cagione di flussi e reflussi se non per la participazione di altro mare co 'l quale comunicassero, che fusse soggetto a movimenti grandi.

   Intenderemo, nel quarto luogo, molto facilmente la ragione, perch i flussi e reflussi siano massimi, quanto all'alzarsi ed abbassarsi le acque, ne gli estremi de' golfi, e minimi nelle parti di mezo: come la quotidiana esperienza ne mostra qui in Venezia, posta nell'estremit dell'Adriatico, dove comunemente tal diversit importa 5 o 6 piedi; ma ne i luoghi del Mediterraneo distanti da gli estremi tal mutazione piccolissima, come nell'isole di Corsica e Sardigna e nelle spiaggie di Roma e di Livorno, dove non passa mezo piede. Intenderemo anco come, all'incontro, dove gli alzamenti ed abbassamenti son piccoli, i corsi ed i ricorsi son grandi. Agevol cosa, dico, l'intender la cagion di questi accidenti, poich di essi ne aviamo riscontri manifesti in ogni sorte di vasi artifizialmente da noi fabbricati, ne i quali i medesimi effetti si veggono naturalmente seguire dal muovergli noi con movimento difforme, cio ora accelerato ed ora ritardato.

   In oltre, considerando, nel quinto luogo, come la medesima quantit d'acqua, mossa, bench lentamente, per un alveo spazioso, nel dover poi passare per luogo ristretto, per necessit scorre con impeto grande, non avremo difficult d'intendere la causa delle gran correnti che si fanno nello stretto canale che separa la Calabria dalla Sicilia; poich tutta l'acqua che dall'ampiezza dell'isola e dal golfo Jonico vien sostenuta nella parte del mare orientale, bench in quello per la sua ampiezza lentamente descenda verso occidente, tuttavia nel ristrignersi nel bosforo tra Scilla e Cariddi rapidamente cala e fa grandissima agitazione: simile alla quale, e molto maggiore, s'intende esser tra l'Affrica e la grand'isola di S. Lorenzo, mentre le acque de i due vasti mari Indico ed Etiopico, che la mettono in mezo, devono scorrendo, ristrignersi in minor canale, tra essa e la costa d'Etiopia. Grandissime conviene che sieno le correnti nello Stretto di Magalianes, che comunica gli oceani vastissimi Etiopico e del Sur.

   Sguita adesso, nel 6 luogo, che per render ragion di alcuni pi reconditi ed inopinabili accidenti che in questa materia si osservano, andiamo facendo un'altra importante considerazione sopra le due principali cagioni de i flussi e reflussi, componendole poi e mescolandole insieme. La prima e pi semplice delle quali (come pi volte si detto) la determinata accelerazione e ritardamento delle parti della Terra, dalla quale arebbon l'acque un determinato periodo di scorrere verso levante e ritornar verso ponente dentro al tempo di ventiquattr'ore. L'altra quella che depende dalla propria gravit dell'acqua, che, commossa una volta dalla causa primaria, cerca poi di ridursi all'equilibrio con iterate reciprocazioni, le quali non sono determinate da un tempo solo e prefisso, ma hanno tante diversit di tempi quante sono le diverse lunghezze e profondit de i ricetti e seni de i mari; e per quanto depende da questo secondo principio, scorrerebbero e ritornerebbero altre in un'ora, altre in 2, in 4, in 6, in 8, in 10 etc. Ora, se noi cominceremo a congiugner la cagion primaria che ha stabilmente il suo periodo di 12 in 12 ore, con alcuna delle secondarie che avesse il suo periodo, verbigrazia, di 5 in 5, accader che in alcuni tempi la cagion primaria e la secondaria si accordino a far gli impulsi amendue verso la medesima parte, ed in questo congiugnimento, e per cos dire unanime cospirazione, i flussi saranno grandi: in altri tempi accadendo che l'impulso primario venga in un certo modo a contrariare a quello che porterebbe il periodo secondario, ed in cotal raffronto togliendo l'uno de' principii quello che l'altro ne darebbe, si debiliteranno i moti dell'acque, e ridurrassi il mare in uno stato assai quieto e quasi immobile: ed altre volte, secondo che i due medesimi principii n del tutto si contrarieranno n del tutto andranno uniformi, si faranno altre mutazioni circa l'accrescimento e diminuzion de' flussi e reflussi. Pu anco accadere che due mari assai grandi e comunicanti per qualche angusto canale s'incontrino ad aver, mediante la mistione de i due principii di moto, l'uno causa di flusso nel tempo che l'altro abbia causa di movimento contrario; nel qual caso nel canale dove essi mari comunicano, si fanno agitazioni straordinarie, con movimenti opposti e vortici e bollimenti pericolosissimi, de i quali se ne hanno continue relazioni ed esperienze in fatto. Da tali discordi movimenti, dependenti non solamente dalle diverse positure e lunghezze, ma grandemente ancora dalle diverse profondit de i mari comunicanti, nasceranno in alcuni tempi varie commozioni nell'acque, sregolate ed inosservabili, le ragioni delle quali hanno assai perturbato e tuttavia perturbano i marinari, mentre le incontrano senza vedere che n impeto di venti o altra grave alterazion dell'aria ne possa esser cagione. Della qual perturbazion d'aria debbiamo in altri accidenti far gran conto, e prenderla come terza cagione ed accidentaria, potente a grandemente alterare l'osservazione de gli effetti dependenti dalle primarie e pi essenziali cagioni. E non dubbio che continuando a soffiar venti impetuosi, per esempio, da levante, sosterranno l'acque, proibendoli il reflusso, onde, sopraggiugnendo all'ore determinate la seconda replica, e poi la terza, del flusso, rigonfieranno molto e cos, sostenute per alcuni giorni dalla forza del vento, si alzano pi del solito, facendo straordinarie inondazioni.

   Dobbiamo ancora (e sar come il settimo problema) avere avvertenza d'un'altra cagione di movimento, dependente dalla copia grande dell'acque de i fiumi che vanno a scaricarsi ne' mari non molto vasti: dove ne i canali o bosfori che con tali mari comunicano, l'acqua si vede scorrer sempre per l'istesso verso, come accade nel Bosforo Tracio sotto Costantinopoli, dove l'acqua scorre sempre dal Mar Negro verso la Propontide. Imperocch in esso Mar Negro, per la sua brevit, di poca efiicacia sono le cause principali del flusso e reflusso; ma all'incontro, scaricandosi in esso grandissimi fiumi, nel dover passare e sgorgar tanto profluvio d'acque per lo stretto, quivi il corso assai notabile e sempre verso mezo giorno. Dove, di pi, deviamo avvertire che tale stretto e canale, bench assai angusto, non sottoposto alle perturbazioni come lo stretto di Scilla e Cariddi: imperocch quello ha il Mar Negro sopra verso tramontana e la Propontide e l'Egeo co 'l Mediterraneo postogli, bench per lungo tratto, verso mezogiorno; ma gi, come abbiamo notato, i mari quanto si voglino lunghi da tramontana verso mezogiorno non soggiacciono a i flussi e reflussi: ma perch lo stretto di Sicilia traposto tra le parti del Mediterraneo distese per gran distanze da ponente a levante, cio secondo la corrente de' flussi e reflussi, per in questo le agitazioni son molto grandi: e maggiori sarebbero tra le Colonne, quando lo stretto di Gibilterra s'aprisse meno; e grandissime riferiscono esser quelle dello stretto di Magalianes.

   Questo quanto per ora mi sovviene di poter dirvi intorno alle cause di questo primo periodo diurno del flusso e reflusso e suoi varii accidenti, dove se hanno da propor cosa alcuna, potranno farlo, per passar poi a gli altri due periodi, mestruo ed annuo.

   SIMP. Non mi par che si possa negare che il discorso fatto da voi proceda molto probabilmente, argumentando, come noi dichiamo, ex suppositione, cio posto che la Terra si muova de i due movimenti attribuitigli dal Copernico: ma quando si escludano tali movimenti, il tutto resta vano ed invalido; l'esclusion poi di tale ipotesi ci viene dall'istesso vostro discorso assai manifestamente additata. Voi con la supposizion de i due movimenti terrestri rendete ragione del flusso e reflusso, ed all'incontro, circolarmente discorrendo, dal flusso e reflusso traete l'indizio e la confermazione di quei medesimi movimenti: e passando a pi specifico discorso, dite che l'acqua per esser corpo fluido, e non tenacemente annesso alla Terra, non costretta ad ubbidir puntualmente ad ogni suo movimento, dal che inducete poi il suo flusso e reflusso. Io su le vostre stesse pedate arguisco in contrario, e dico: L'aria assai pi tenue e fluida dell'acqua, e meno annessa alla superficie terrena, alla quale l'acqua, se non per altro per la sua gravit, co 'l premergli sopra assai pi che l'aria leggierissima, aderisce; adunque molto meno dovrebbe l'aria secondar i movimenti della Terra; e per quando la Terra si movesse in quella maniera, noi, abitatori di quella e da lei con simile velocit portati, dovremmo perpetuamente sentir un vento da levante, che con intollerabil forza ci ferisse: e del cos dover seguire l'esperienza ci fa cotidianamente avvertiti; ch se nel correr la posta solamente con velocit di 8 o 10 miglia per ora, nell'aria tranquilla, l'incontrarla noi con la faccia ci rassembra un vento che non leggiermente ci percuota, che dovrebbe fare il nostro rapido corso di 800 o 1000 miglia per ora, contro l'aria libera da tal moto? tuttavia nulla di tale accidente sentiamo noi.

   SALV. A questa instanza, che ha assai dell'apparente, rispondo che vero che l'aria pi tenue e pi leggiera, e per la sua leggerezza meno aderente alla Terra, che l'acqua, tanto pi grave e corpulenta; ma poi falsa la conseguenza che voi deducete da queste condizioni, cio che per tal sua leggerezza tenuit e minore aderenza alla Terra ella dovesse esentarsi pi dell'acqua dal secondare i movimenti terrestri, onde a noi, che totalmente gli partecipiamo, tal sua inobbedienza si facesse sensibile e manifesta: anzi accade tutto l'opposito. Imperocch, se voi ben vi ricordate, la causa del flusso e reflusso dell'acqua, assegnata da noi, consiste nel non secondar l'acqua la disegualit del moto del suo vaso, ma ritener l'impeto concepito per avanti, senza diminuirlo o crescerlo con quella precisa misura che si accresce o diminuisce nel suo vaso: perch dunque nella conservazione e mantenimento dell'impeto concepito prima consiste l'inobbedienza ad un nuovo agumento o diminuzion di moto, quel mobile che sar pi atto a tal conservazione, sar anco pi accomodato a dimostrar l'effetto che a tal conservazione viene in conseguenza. Ora, quanto sia l'acqua disposta a mantenere una concepita agitazione, bench cessi la causa che l'impresse, l'esperienza de i mari altamente commossi da venti impetuosi ce lo dimostra, l'onde de i quali, bench tranquillata l'aria e cessato il vento, per lungo tempo restano in moto, come leggiadramente cant il Poeta sacro: "Qual l'alto Egeo" etc.: ed il continuar in tal guisa nella commozione depende dalla gravit dell'acqua, imperocch, come altra volta s' detto, i corpi leggieri son ben pi facili ad esser mossi che i pi gravi, ma son ben tanto meno atti a conservar il moto impressoli, cessante la causa movente onde l'aria, come in se stessa tenuissima e leggierissima, agevolissimamente mobile da qualsivoglia minima forza, ma anco inettissima a conservare il moto, cessante il motore. Per quanto all'aria che circonda il globo terrestre, direi che, per la sua aderenza, non meno che l'acqua venga portata in giro, e massime quella parte che contenuta da i vasi, i quali vasi sono le pianure circondate da i monti; e questa tal porzione possiamo noi molto pi ragionevolmente affermare che sia portata in volta, rapita dall'asprezza della Terra, che la superiore, rapita dal moto celeste, come asserite voi Peripatetici.

   Quanto sin qui ho detto mi pare assai competente risposta all'instanza del signor Simplicio; tuttavia voglio con nuova obbiezione e con nuova risposta, fondata sopra una mirabile esperienza, soprabbondantemente dar sodisfazione ad esso, e confermare al signor Sagredo la mobilit del globo terrestre. Ho detto, l'aria, ed in particolare quella parte di lei che non si eleva sopra la sommit delle pi alte montagne, esser dall'asprezza della terrestre superficie portata in giro; dal che pare che in conseguenza ne venga, che quando la superficie della Terra non fusse ineguale, ma tersa e pulita, non resterebbe cagione per tirarsi in compagnia l'aria, o almeno per condurla con tanta uniformit. Ora, la superficie di questo nostro globo non tutta scabrosa ed aspera, ma vi sono grandissime piazze ben lisce, cio le superficie di mari amplissimi, le quali, sendo anco lontanissime da i gioghi de i monti che le circondino, non par che possano aver facult di condur seco l'aria sopreminente; e non la conducendo, si dovrebbe in quei luoghi sentir quello che in conseguenza ne viene.

   SIMP. Questa medesima difficult volevo io ancora promuovere, la qual mi pare esser di grand'efficacia.

   SALV. Voi parlate benissimo: di maniera che, signor Simplicio, dal non si sentir nell'aria quello che in conseguenza accaderebbe quando questo nostro globo andasse in volta, voi argumentate la sua immobilit. Ma quando questo, che vi par che per necessaria conseguenza sentir si dovesse, in fatto e per esperienza si sentisse, l'accettereste voi per indizio ed argomento assai gagliardo per la mobilit del medesimo globo?

   SIMP. In questo caso non bisogna parlar con me solo, perch quando ci accadesse, e che a me ne fusse occulta la causa, forse ad altri potrebbe esser nota.

   SALV. Talch con esso voi non si pu mai guadagnare, ma sempre si sta su 'l perdere, e per sarebbe meglio non giocare; tuttavia, per non piantare il terzo, seguir avanti. Dicevamo pur ora, e con qualche aggiunta replico, che l'aria, come corpo tenue e fluido e non saldamente congiunto alla Terra, pareva che non avesse necessit d'obbedire al suo moto, se non in quanto l'asprezza della superficie terrestre ne rapisce e seco porta una parte a s contigua, che di non molto intervallo sopravanza le maggiori altezze delle montagne: la qual porzion d'aria tanto meno dovr esser renitente alla conversion terrestre, quanto che ella ripiena di vapori fumi ed esalazioni, materie tutte participanti delle qualit terrene, e per conseguenza atte nate per lor natura a i medesimi movimenti. Ma dove mancassero le cause del moto, cio dove la superficie del globo avesse grandi spazii piani e meno vi fusse della mistione de i vapori terreni, quivi cesserebbe in parte la causa per la quale l'aria ambiente dovesse totalmente obbedire al rapimento della conversion terrestre; s che in tali luoghi, mentre che la Terra si volge verso oriente, si devrebbe sentir continuamente un vento che ci ferisse spirando da levante verso ponente, e tale spiramento devrebbe farsi pi sensibile dove la vertigine del globo fusse pi veloce; il che sarebbe ne i luoghi pi remoti da i poli e vicini al cerchio massimo della diurna conversione. Ma gi de facto l'esperienza applaude molto a questo filosofico discorso: poich ne gli ampi mari e nelle lor parti lontane da terra e sottoposte alla zona torrida, cio comprese da i tropici, dove anco l'evaporazioni terrestri mancano, si sente una perpetua aura muovere da oriente, con tenor tanto costante, che le navi merc di quella prosperamente se ne vanno all'Indie Occidentali, e dalle medesime, sciogliendo da i lidi messicani, solcano con 'l medesimo favor il Mar Pacifico verso l'Indie, orientali a noi, ma occidentali a loro, dove che, per l'opposito, le navigazioni di l verso oriente son difficili ed incerte, n si possono in maniera alcuna far per le medesime strade, ma bisogna costeggiar pi verso terra per trovare altri venti, per cos dire, accidentarii e tumultuarii, cagionati da altri principii, s come noi abitanti tra terra ferma continuamente sentiamo per prova: delle quali generazioni di venti molte e diverse son le cagioni, che al presente non accade produrre; e questi venti accidentarii son quelli che indifferentemente spirano da tutte le parti della Terra, e che perturbano i mari remoti dall'equinoziale e circondati dalla superficie aspra della Terra, che tanto quanto a dire sottoposti a quelle perturbazioni d'aria che confondono quella primaria espirazione, la quale, quando mancassero questi impedimenti accidentarii, si devrebbe perpetuamente sentire, e massime sopra mare. Or vedete, come gli effetti dell'acqua e dell'aria par che maravigliosamente s'accordino con l'osservazioni celesti a confermar la mobilit nel nostro globo terrestre.

   SAGR. Voglio pur io ancora, per ultimo sigillo, dirvi un particolare, che mi par che vi sia incognito, e che pur viene in confermazion della medesima conclusione. Voi, signor Salviati, avete prodotto quell'accidente che trovano i naviganti dentro a i tropici, dico quella costanza perpetua del vento che gli vien da levante, del quale io ho relazione da chi pi volte ha fatto quel viaggio; e di pi (ch' cosa notabile) intendo che li marinari non lo chiamano vento, ma con altro nome che ora non mi sovviene, preso forse dal suo tenore tanto fermo e costante, che, quando l'hanno incontrato, legano le sarte e l'altre corde delle vele, e senza mai pi aver bisogno di toccarle, ancora dormendo, con sicurezza posson far lor cammino. Ora, questa aura perpetua stata conosciuta per tale dal suo continuo spirare senza interrompimenti; ch quando da altri venti fusse interrotta, non sarebbe stata conosciuta per effetto singolare e differente da gli altri: dal che voglio inferire che potrebbe esser che anche il mar nostro Mediterraneo fusse partecipe d'un tale accidente, ma non osservato, come quello che frequentemente vien alterato da altri venti sopravegnenti. E questo dico io non senza gran fondamento, anzi con molto probabili conietture, le quali mi vengono da quello che ho avuto occasione d'intender mediante il viaggio che feci in Soria, andando consolo della Nazione in Aleppo: e quest', che tenendosi particolar registro e memoria de i giorni delle partenze e de gli arrivi delle navi ne i porti di Alessandria, d'Alessandretta e qui di Venezia, nel riscontrarne molti e molti, il che feci per mia curiosit, trovai che ragguagliatamente i ritorni in qua, cio le navigazioni da levante verso ponente, per il Mediterraneo si fanno in manco tempo che le contrarie, a ragion di 25 per cento; talch si vede che sottosopra i venti da levante son pi potenti che quei da ponente.

   SALV. Ho caro d'aver saputo questo particolare, che arreca non piccola confermazione per la mobilit della Terra. E se bene si potrebbe dire che l'acqua tutta del Mediterraneo cali perpetuamente verso lo Stretto, come quella che debbe andare a scaricar nell'Oceano l'acque de i tanti fiumi che dentro vi sgorgano, non credo che tal corrente possa esser tanta che per s sola bastasse a far s notabil differenza: il che anco manifesto dal vedersi nel Faro ricorrer l'acqua non meno verso levante che correr verso ponente.

   SAGR. Io, che non ho, come il signor Simplicio, stimolo di sodisfare ad altri che a me stesso, resto da quanto si detto appagato circa questa prima parte; per, signor Salviati, quando vi sia comodo di seguir pi, sono apparecchiato ad ascoltarvi.

   SALV. Far quanto mi comandate; ma vorrei pur sentire anco il parer del signor Simplicio, dal giudizio del quale posso argumentar quanto io mi potessi prometter, circa questi miei discorsi, dalle scuole peripatetiche, se mai gli pervenissero all'orecchie.

   SIMP. Non voglio che 'l mio parer vi vaglia o serva per coniettura de' giudizi d'altri, perch, come pi volte ho detto, io son de' minimi in questa sorte di studii, e tal cosa sovverr a quelli che si sono internati ne gli ultimi penetrali della filosofia, che non pu sovvenire a me, che l'ho (come si dice) salutata a pena dalla soglia: tuttavia, per parer vivo, dir che de gli effetti raccontati da voi, ed in particolare in quest'ultimo, mi pare che senza la mobilit della Terra se ne possa rendere assai suffiziente ragione con la mobilit del cielo solamente, senza introdur novit veruna, fuor che il converso di quella che voi stesso producete in campo. stato ricevuto dalle scuole peripatetiche, l'elemento del fuoco ed anco gran parte dell'aria esser portati in giro, secondo la conversion diurna, da oriente verso occidente dal contatto del concavo dell'orbe lunare, come da vaso lor contenente. Ora, senza discostarmi dalle vostre vestigie, voglio che determiniamo, la quantit dell'aria participante di tal moto abbassarsi sin presso alle sommit delle pi alte montagne, e che anco sino in Terra arriverebbe, quando gli ostacoli delle medesime montagne non l'impedissero: che corrisponde a quello che dite voi, cio che s come voi affermate, l'aria circondata da i gioghi de i monti esser portata in giro dall'asprezza della Terra mobile, noi per il converso diciamo, l'elemento dell'aria tutto esser portato in volta dal moto del cielo, trattone quella parte che soggiace a i gioghi, che viene impedita dall'asprezza della Terra immobile; e dove voi dicevi, che quando tale asprezza si togliesse, si torrebbe anco all'aria l'esser rapita, noi possiam dire che rimossa la medesima asprezza, l'aria tutta continuerebbe suo movimento: onde, perch le superficie de gli ampli mari sono lisce e terse, sopra di quelle si continua il moto dell'aura, che perpetuamente spira da levante; e questo si fa pi sentire nelle parti sottoposte all'equinoziale e dentro a i tropici, dove il moto del cielo pi veloce. E s come tal movimento celeste potente a portar seco tutta l'aria libera, cos possiamo molto ragionevolmente dire che contribuisca il medesimo moto all'acqua mobile, per esser fluida e non attaccata all'immobilit della Terra; e tanto pi possiamo noi ci affermare con confidenza, quanto, per vostra confessione, tal movimento deve esser pochissimo, rispetto alla causa sua efficiente, la quale, circondando in un giorno naturale tutto 'l globo terrestre, passa molte centinaia di miglia per ora, e massime verso l'equinoziale, dove che nelle correnti del mare aperto di pochissime miglia per ora. E cos le navigazioni verso occidente verranno ad esser comode e spedite non solamente merc dell'aura perpetua orientale, ma del corso ancora dell'acque; dal qual corso potr anco per avventura procedere il flusso e reflusso, mediante le diverse posture de i lidi terrestri, ne i quali andando a percuoter l'acqua, pu anco ritornare in dietro con movimento contrario, s come l'esperienza ci mostra del corso de i fiumi, che secondo che l'acqua, nella disegualit delle rive, incontra qualche parte che sporga in fuori o che di sotto faccia qualche seno, qui l'acqua si raggira, e si vede notabilmente ritornare in dietro. Per questo mi pare che de i medesimi effetti da i quali voi argomentate la mobilit della Terra, e la medesima adducete per cagione di quelli, si possa allegar causa concludente abbastanza, ritenendo la Terra stabile e restituendo la mobilit al cielo.

   SALV. Non si pu negare che il vostro discorso non sia ingegnoso ed abbia assai del probabile; dico per, probabile in apparenza, ma non gi in esistenza e realt. Egli ha due parti: nella prima rende ragione del moto continuo dell'aura orientale, ed anco di un simil moto nell'acqua; nella seconda vuol anco dal medesimo fonte attigner la causa del flusso e reflusso. La prima parte ha (come ho detto) qualche sembianza di probabilit, ma per sommamente minore di quella che noi prendiamo dal moto terrestre; la seconda del tutto non solo improbabile, ma assolutamente impossibile e falsa. E venendo alla prima, dove si dice che 'l concavo lunare rapisce l'elemento del fuoco e tutta l'aria sino alla sommit delle pi alte montagne, dico, prima, che v' dubbio se ci sia l'elemento del fuoco, ma posto che ci sia si dubita grandemente dell'orbe della Luna, come anco di tutti gli altri, cio se ci siano tali corpi solidi e vastissimi o pure se oltre all'aria si estenda una continuata espansione di una sustanza assai pi tenue e pura della nostra aria per la quale vadiano vagando i pianeti, come or mai comincia ad esser tenuto anco da buona parte de i medesimi filosofi: ma sia in questo o in quel modo, non ci ragione per la quale il fuoco da un semplice contatto d'una superficie, che per voi si stima esser tersissima e liscia, possa esser, secondo tutta la sua profondit, portato in volta di un moto alieno dalla sua naturale inclinazione, come diffusamente stato provato e con sensate esperienze dimostrato dal Saggiatore; oltre all'altra improbabilit del trasfondersi tal moto dal fuoco sottilissimo per l'aria assai pi densa, e da questa anco poi nell'acqua. Ma che un corpo di superficie aspra e montuosa, nel volgersi in se stesso, conduca seco l'aria a s contigua e nella quale vanno percotendo le sue prominenze, non pur probabile, ma necessario, e si pu tuttavia vederne l'esperienza, bench, senza vederla, non credo che sia intelletto che ci ponga dubbio. Quanto all'altra parte, posto che dal moto del cielo fosse condotta l'aria ed anco l'acqua non per tal moto avrebbe che far nulla co 'l flusso e reflusso. Imperocch, essendo che da una causa una ed uniforme non pu seguire altro che un effetto solo ed uniforme, quello che nell'acqua si devrebbe scorgere, sarebbe un corso continuato ed uniforme da levante verso ponente, ed in quel mare solamente che, ritornando in se stesso, circonda tutto 'l globo; ma ne i mari terminati, come il Mediterraneo, racchiuso da oriente, non vi potrebbe esser tal moto, perch se l'acqua sua potesse esser cacciata dal corso del cielo verso occidente, son molti secoli che sarebbe restato asciutto: oltre che la nostra acqua non corre solamente verso occidente, ma ritorna in dietro verso levante, e con periodi ordinati. E se ben voi dite, con l'esempio de i fiumi, che bench il corso del mare fusse originariamente il solo da oriente in occidente, tuttavia la diversa postura de i lidi pu far ringurgitare parte dell'acqua in dietro, ci vi concedo; ma bisogna, signor Simplicio mio, che voi avvertiate, che dove l'acqua per tal cagione ritorna in dietro, vi ritorna perpetuamente, e dove ella corre a dirittura, vi corre sempre nell'istesso modo, ch cos vi mostra l'esempio de i fiumi, ma nel caso del flusso e reflusso, bisogna trovare e produr ragione di far che nell'istesso luogo ora corra per un verso ed ora per l'opposito, effetti che, essendo contrarii e difformi, voi non potrete mai dedurre da una causa uniforme e costante. E questo con che s'atterra questa posizione del moto contribuito al mare dal movimento diurno del cielo, abbatte ancora quella di chi volesse ammetter il moto solo diurno della Terra, e credesse con quello solo poter render ragione del flusso e reflusso; del qual effetto, perch difforme, bisogna necessariissimamente che difforme ed alterabile sia la cagione.

   SIMP. Io non ho che replicare, n del mio proprio, per la debolezza del mio ingegno, n di quel d'altri, per la novit dell'opinione; ma crederei bene, che quando la si spargesse per le scuole, non mancherebbero filosofi che la saprebbero impugnare.

   SAGR. Aspetteremo dunque una tale occasione: e noi tra tanto, se cos vi piace, signor Salviati, procederemo avanti.

   SALV. Tutto quello che sin qui si detto, appartiene al periodo diurno del flusso e reflusso, del quale prima si dimostrata in genere la cagion primaria ed universale, senza la quale nulla di tale effetto seguirebbe; di poi, passando a gli accidenti particolari, varii ed in certo modo sregolati, che in esso si osservano, si son trattate le cause secondarie e concomitanti, onde essi dependono. Seguono ora gli altri due periodi, mestruo ed annuo, li quali non arrecano accidenti nuovi e diversi, oltre a i gi considerati nel periodo diurno, ma operano ne i medesimi con rendergli maggiori e minori in diverse parti del mese lunare ed in diversi tempi dell'anno solare, quasi che e la Luna e il Sole entrino a parte nell'opera e nella produzion di tali effetti: cosa che totalmente repugna al mio intelletto, il quale, vedendo come questo de i mari un movimento locale e sensato, fatto in una mole immensa d'acqua, non pu arrecarsi a sottoscrivere a lumi, a caldi temperati, a predominii per qualit occulte ed a simili vane immaginazioni, le quali tantum abest che siano o possano esser cause del flusso, che per l'opposito il flusso causa di quelle, cio di farle venire ne i cervelli atti pi alla loquacit ed ostentazione, che alla specolazione ed investigazione dell'opere pi segrete di natura, li quali prima che ridursi a profferir quella savia ingenua e modesta parola Non lo so, scorrono a lasciarsi uscir di bocca, ed anco della penna, qual si voglia grande esorbitanza. Ed il veder solamente che la medesima Luna e 'l medesimo Sole non operano, co 'l lor lume, co 'l moto, co 'l caldo grande o col temperato, nei minori ricetti d'acqua, anzi, che a volerla per caldo far sollevare bisogna ridurla poco meno che al bollire, ed in somma non poter noi artifiziosamente immitar in verun modo i movimenti del flusso, salvo che co 'l moto del vaso, non dovrebbe egli assicurare ogn'uno, tutte l'altre cose prodotte per cause di tale effetto esser vane fantasie e del tutto aliene dal vero? Dico per tanto, che se vero che di un effetto una sola sia la cagion primaria, e che tra la causa e l'effetto sia una ferma e costante connessione, necessaria cosa che qualunque volta si vegga alterazione ferma e costante nell'effetto, ferma e costante alterazione sia nella causa: e perch le alterazioni che accaggiono a i flussi e reflussi in diverse parti dell'anno e del mese hanno lor periodi fermi e costanti, forza dire che regolata alterazione ne i medesimi tempi accaggia nella cagion primaria de i flussi e reflussi. L'alterazione poi che si trova ne i detti tempi ne i flussi e reflussi, non consiste in altro che nella lor grandezza, cio nell'alzarsi ed abbassarsi pi o meno le acque, e nel correr con impeto maggiore o minore; adunque necessario che quello che cagion primaria del flusso e reflusso, ne i detti tempi determinati accresca o diminuisca la sua forza. Ma gi si concluso, la disegualit e difformit del moto de i vasi contenenti l'acqua esser causa primaria de i flussi e reflussi; adunque bisogna che tal difformit di tempo in tempo corrispondentemente si difformi pi, cio si faccia maggiore e minore. Ora convien che ci ricordiamo come la difformit, cio la diversa velocit di moto de i vasi, cio delle parti della superficie terrestre, depende dal muoversi loro del movimento composto resultante dall'accoppiamento de i due moti annuo e diurno proprii dell'intero globo terrestre; de i quali la vertigine diurna, co 'l suo ora aggiugnere ed or detrarre al movimento annuo, quella che produce la difformit nel moto composto; talch ne gli additamenti e suttrazioni che fa la vertigine diurna al moto annuo, consiste l'originaria cagione del moto difforme dei vasi, ed in conseguenza del flusso e reflusso: in guisa tale, che quando questi additamenti e suttrazioni si facesser sempre con la medesima proporzione verso 'l moto annuo, continuerebbe ben la causa del flusso e reflusso, ma per di farsi perpetuamente nell'istesso modo. Ma noi abbiam bisogno di trovar la cagione del farsi i medesimi flussi e reflussi, in diversi tempi, maggiori e minori; adunque bisogna (se vogliamo ritener l'identit della causa) ritrovar alterazione in questi additamenti e suttrazioni, che gli faccia pi e meno potenti nel produr quelli effetti che da loro dependono. Ma tal potenza ed impotenza non veggo che si possa indurre se non co 'l fare i medesimi additamenti e suttrazioni or maggiori ed or minori, s che l'accelerazione e 'l ritardamento del moto composto si faccia or con maggiore ed or con minor proporzione.

   SAGR. Io mi sento molto placidamente guidar per mano; e bench'io non trovi intoppi per la strada, tuttavia, a guisa di cieco, non veggo dove la vostra scorta mi conduca, n so immaginarmi dove tal viaggio abbia a terminare.

   SALV. Ancorch gran differenza sia tra 'l mio lento filosofare e il vostro velocissimo discorso, tuttavia in questo particolare, che ora abbiamo alle mani, non voglio maravigliarmi che la perspicacit del vostro ingegno resti ancora offuscata dalla caligine alta ed oscura che ci nasconde il termine al quale noi camminiamo: e cessa la mia maraviglia nel rimembrarmi quant'ore, quanti giorni, e pi quante notti, abbia io trapassate in questa specolazione, e quante volte, disperato di poterne venire a capo, abbia, per consolazion di me medesimo, fatto forza di persuadermi, a guisa dell'infelice Orlando, che potesse non esser vero quello che tuttavia la testimonianza di tanti uomini degni di fede mi rappresentava innanzi a gli occhi. Non vi maravigliate dunque se questa volta, contro al vostro consueto, non prevedete il segno; e se pur vi maravigliate, credo che la riuscita, per quanto posso giudicare assai inopinata, vi far cessar la maraviglia.

   SAGR. Ringrazio dunque Iddio dell'avere Egli ovviato, che tal disperazione non traesse voi all'esito che si favoleggia del misero Orlando, n a quello che forse non men favolosamente s'intende d'Aristotile, acciocch n io n altri restasse privo del ritrovamento di cosa tanto recondita quanto desiderata. Pregovi dunque che, quanto prima si possa, satolliate la mia famelica avidit.

   SALV. Eccomi a sodisfarvi. Eramo ridotti a ritrovare in qual maniera gli additamenti e suttrazioni della vertigine terrestre sopra 'l moto annuo potessero farsi or con maggiore ed or con minore proporzione, la qual diversit, e non altra cosa, poteva assegnarsi per cagion delle alterazioni mestrue ed annue che si veggono nella grandezza de i flussi e reflussi. Considero adesso come questa proporzione de gli additamenti e suttrazioni della vertigine diurna e del moto annuo pu farsi maggiore e minore in tre maniere. L'una co 'l crescere e diminuire la velocit del moto annuo, ritenendo gli additamenti e suttrazioni, fatte dalla vertigine diurna, nella medesima grandezza; perch, per essere il moto annuo circa tre volte maggiore, cio pi veloce, del moto diurno  (considerato anco nel cerchio massimo), se noi di nuovo l'accresceremo minore alterazione gli arrecheranno le giunte o suttrazioni del moto diurno; ma, per l'opposito, facendolo pi tardo, verr con proporzion maggiore alterato dal medesimo moto diurno; in quel modo che l'accrescere o detrarre quattro gradi di velocit a quello che si muove con venti gradi, altera meno il suo corso che non farebbero i medesimi quattro gradi aggiunti o detratti a uno che si movesse solamente con 10 gradi. La seconda maniera sarebbe con far maggiori o minori gli additamenti e le suttrazioni. ritenendo il moto annuo nell'istessa velocit: il che tanto facile da intendersi, quanto manifesto che una velocit, verbigrazia, di 20 gradi pi si altera con l'aggiunta o suttrazione di 10 gradi, che con la giunta o suttrazione di 4. La terza maniera sarebbe quando queste due si congiugnessero insieme, diminuendo il moto annuo e crescendo le giunte e suttrazioni diurne. Sin qui, come voi vedete, non stato difficile il pervenire, ma ben egli stato a me laborioso il ritrovare in qual maniera ci possa effettuarsi in natura. Pur finalmente trovo che ella mirabilmente se ne serve, e con modi quasi inopinabili: dico mirabili ed inopinabili a noi, ma non a lei, la quale anco le cose all'intelletto nostro d'infinito stupore opera ella con somma facilit e semplicit; e quello che a noi difficilissimo a intendersi, a quella agevolissimo a farsi. Passando ora pi avanti, ed avendo dimostrato come la proporzione tra gli additamenti e suttrazioni della vertigine e 'l moto annuo si pu far maggiore e minore in due maniere (e dico in due, perch la terza vien composta delle due prime), aggiungo che la natura di amendue si serve, e di pi soggiungo, che quando ella si servisse di una sola, bisognerebbe tor via una delle due alterazioni periodiche: cesserebbe quella del periodo mestruo, se 'l movimento annuo non si alterasse; e quando le giunte e suttrazioni della vertigine diurna si mantenesser continuamente eguali mancherebbero le alterazioni del periodo annuo.

   SAGR. Adunque l'alterazione mestrua de' flussi e reflussi depende dall'alterazion del moto annuo della Terra? e l'alterazione annua de' medesimi flussi e reflussi deriva da gli additamenti e suttrazioni della vertigine diurna? Ora mi ritrovo io pi confuso che mai, e pi fuori di speranza d'avere a poter restar capace come stia questo intralciamento, pi intrigato, al mio parere, del nodo Gordiano; ed invidio il signor Simplicio, dal cui silenzio argomento che ei resti capace del tutto, e libero da quella confusione che grandemente a me ingombra la fantasia.

   SIMP. Credo veramente, signor Sagredo, che voi vi ritroviate confuso, e credo di sapere anco la causa della vostra confusione; la quale, per mio avviso, nasce, che delle cose portate da poco in qua dal signor Salviati, parte ne intendete e parte no. anche vero ch'io mi trovo fuori di confusione, ma non per quella causa che voi credete, cio perch io resti capace del tutto, anzi ci mi avviene dal contrario, cio dal non capir nulla; e la confusione nella pluralit delle cose, e non nel niente.

   SAGR. Vedete, signor Salviati, come alcune sbrigliatelle che si son date ne i giorni passati al signor Simplicio, l'hanno reso mansueto, e di saltatore cangiato in una chinea. Ma, di grazia, senza pi indugio cavateci amendue di travaglio.

   SALV. Far forza quanto potr alla mia dura espressiva, alla cui ottusit supplir l'acutezza del vostro ingegno. Due sono gli accidenti de' quali doviamo investigar le cagioni: il primo riguarda le diversit che accascano ne' flussi e reflussi nel periodo mestruo; e l'altro appartiene al periodo annuo: prima parleremo del mestruo, poi tratteremo dell'annuo; e tutto convien che risolviamo secondo i fondamenti e ipotesi gi stabilite, senza introdur novit alcuna, n in astronomia n nell'universo, in grazia de i flussi e reflussi ma dimostriamo che di tutti i diversi accidenti che in essi si scorgono, le cause riseggono nelle cose gi conosciute, e ricevute per vere ed indubitate. Dico per tanto, cosa vera, naturale, anzi necessaria, essere che un medesimo mobile, fatto muovere in giro dalla medesima virt movente, in pi lungo tempo faccia suo corso per un cerchio maggiore che per un minore; e questa verit ricevuta da tutti, e confermata da tutte l'esperienze, delle quali ne produrremo alcuna. Ne gli oriuoli da ruote, ed in particolare ne i grandi, per temperare il tempo accomodano i loro artefici certa asta volubile orizontalmente, e nelle sue estremit attaccano due pesi di piombo; e quando il tempo andasse troppo tardo, co 'l solo avvicinare alquanto i detti piombi al centro dell'asta, rendono le sue vibrazioni pi frequenti; ed all'incontro, per ritardarlo, basta ritirare i medesimi pesi pi verso l'estremit, perch cos le vibrazioni si fanno pi rade, ed in conseguenza gl'intervalli dell'ore si allungano. Qui la virt movente la medesima, cio il contrappeso, i mobili sono i medesimi piombi e le vibrazioni loro son pi frequenti quando sono pi vicini al centro, cio quando si muovono per minori cerchi. Sospendansi pesi equali da corde diseguali, e rimossi dal perpendicolo lascinsi in libert; vedremo gli appesi a corde pi brevi fare lor vibrazioni sotto pi brevi tempi, come quelli che si muovono per cerchi minori. Ma pi: attacchisi un tal peso a una corda la quale cavalchi un chiodo fermato nel palco, e voi tenete l'altro capo della corda in mano, ed avendo data l'andata al pendente peso, mentre ei va facendo sue vibrazioni, tirate il capo della corda che avete in mano, s che il peso si vadia alzando; vedrete nel suo sollevarsi crescer la frequenza delle sue vibrazioni, come quelle che si vanno facendo continuamente per cerchi minori. E qui voglio che notiate due particolari, degni d'esser saputi. Uno , che le vibrazioni di un tal pendolo si fanno con tal necessit sotto tali determinati tempi, che del tutto impossibile il fargliele far sotto altri tempi, salvo che con allungargli o abbreviargli la corda; del che potete anco di presente con l'esperienza accertarvi, legando un sasso a uno spago e tenendo l'altro capo in mano, tentando se mai, per qualunque artifizio si usi, vi possa succedere di farlo andare in qua ed in l sotto altro che un determinato tempo, fuor che con allungare o scorciar lo spago, che assolutamente vedrete essere impossibile. L'altro particolare, veramente maraviglioso, che il medesimo pendolo fa le sue vibrazioni con l'istessa frequenza, o pochissimo e quasi insensibilmente differente, sien elleno fatte per archi grandissimi o per piccolissimi dell'istessa circonferenza. Dico che se noi rimoveremo il pendolo dal perpendicolo uno, due o tre gradi solamente, o pure lo rimuoveremo 70, 80, ed anco sino a una quarta intera, lasciato in sua libert far nell'uno e nell'altro caso le sue vibrazioni con la medesima frequenza tanto le prime, dove ha da muoversi per un arco di 4 o 6 gradi, quanto le seconde, dove ha da passare archi di 160 o pi gradi: il che pi manifestamente si vedr con sospender due pesi egali da due fili egualmente lunghi, rimovendone poi dal perpendicolo uno per piccola distanza e l'altro per grandissima, li quali, posti in libert, andranno e torneranno sotto gl'istessi tempi, quello per archi assai piccoli, e questo per grandissimi.

Dal che ne sguita la conclusione d'un problema bellissimo: che che, data una quarta di cerchio (ne segner qui in terra un poco di figura), qual sarebbe questa A B, eretta all'orizonte s che insista su 'l piano toccando nel punto B, e fatto un arco con una tavola ben pulita e liscia dalla parte concava, piegandola secondo la curvit della circonferenza A D B, s che una palla ben rotonda e tersa vi possa liberamente scorrer dentro (la cassa di un vaglio accomodata a tale esperienza), dico che posta la palla in qualsivoglia luogo, o vicino o lontano dall'infimo termine B, come sarebbe mettendola nel punto C o vero qui in D o in E, e lasciata in libert, in tempi eguali o insensibilmente differenti arriver al termine B, partendosi dal C o dal D o dall'E o da qualsivoglia altro luogo: accidente veramente maraviglioso. Aggiugnete un altro accidente, non men bello di questo: che che anco per tutte le corde tirate dal punto B a i punti C, D, E ed a qualunque altro, non solamente preso nella quarta B A, ma in tutta la circonferenza del cerchio intero, il mobile stesso scender in tempi assolutamente eguali; talch in tanto tempo scender per tutto 'l diametro eretto a perpendicolo sopra il punto B, in quanto scender per la B C, quando bene ella suttendesse a un sol grado o a minore arco. Aggiugnete l'altra meraviglia, qual che i moti de i cadenti fatti per gli archi della quarta A B si fanno in tempi pi brevi che quelli che si fanno per le corde de i medesimi archi: talch il moto velocissimo e fatto nel tempo brevissimo da un mobile per arrivare dal punto A al termine B sar quello che si far non per la linea retta A B (ancor che sia la brevissima di tutte quelle che tirar si possono tra i punti A, B), ma per la circonferenza A D B, e preso anco qualsivoglia punto nel medesimo arco, qual sia, verbigrazia, il punto D, e tirate due corde A D, D B, il mobile, partendosi dal punto A, in manco tempo giugner al B venendo per le due corde A D, D B, che per la sola A B

ma brevissimo sopra tutti i tempi sar quello della caduta per l'arco A D B: e gli stessi accidenti intendansi di tutti gli altri archi minori, presi dall'infimo termine B in su.

   SAGR. Non pi, non pi, ch voi mi ingombrate s di maraviglia, ed in tante bande mi distraete la mente, ch'io dubito che piccola parte sar quella che mi rester libera e sincera per applicarla alla materia principale che si tratta, e che pur troppo per se stessa oscura e diffficile. Vi pregher bene che vogliate favorirmi, spedita che aviamo la specolazione de i flussi e reflussi, di esser altri giorni ancora a onorar questa mia e vostra casa, ed a discorrere sopra tanti altri problemi che aviamo lasciati in pendente, e che forse non son men curiosi e belli di questo che si trattato ne i passati giorni e che oggi dovr terminarsi.

   SALV. Sar a servirvi, ma pi di una e di due sessioni bisogner che facciamo, se, oltre all'altre quistioni riserbate a trattarsi appartatamente, vorremo aggiugnerci le tante attenenti al moto locale, tanto de i mobili naturali quanto de i proietti, materia diffusamente trattata dal nostro Accademico Linceo. Ma tornando al nostro primo proposito, dove eravamo su il dichiarare come de i mobili circolarmente da virt motrice, che continuamente si conservi la medesima, i tempi delle circolazioni erano prefissi e determinati, ed impossibili a farsi pi lunghi o pi brevi avendone dati esempi e portate esperienze sensate e fattibili da noi, possiamo la medesima verit confermare con le esperienze de i movimenti celesti de i pianeti, ne i quali si vede mantener l'istessa regola: che quelli che si muovono per cerchi maggiori, pi tempo consumano in passargli. Speditissima osservazione di questo abbiamo da i pianeti Medicei, che in tempi brevi fanno lor revoluzioni intorno a Giove. Talch non da metter dubbio, anzi possiamo tener per fermo e sicuro, che quando, per esempio, la Luna, seguitando di esser mossa dalla medesima facolt movente, fusse ritirata a poco a poco in cerchi minori ella acquisterebbe disposizione di abbreviare i tempi de i suoi periodi, conforme a quel pendolo del quale, nel corso delle sue vibrazioni, andavamo abbreviando la corda, cio scorciando il semidiametro delle circonferenze da lui passate. Sappiate ora che questo, che della Luna ho portato per esempio, avviene e si verifica essenzialmente in fatto. Rammemoriamoci che gi fu concluso da noi, insieme co 'l Copernico, non esser possibile separar la Luna dalla Terra, intorno alla quale, senza controversia, si muove in un mese: ricordiamoci parimente che il globo terrestre, accompagnato pur sempre dalla Luna, va per la circonferenza dell'orbe magno intorno al Sole in un anno, nel qual tempo la Luna si rivolge intorno alla Terra quasi 13 volte; dal qual rivolgimento sguita che essa Luna talor si trovi vicina al Sole, cio quando tra 'l Sole e la Terra, e talora assai pi lontana, che quando la Terra riman tra la Luna e il Sole: vicina, in somma, nel tempo della sua congiunzione e novilunio; lontana, nel plenilunio ed opposizione, e la massima lontananza e la massima vicinit differiscono per quanto grande il diametro dell'orbe lunare. Ora, se vero che la virt che muove la Terra e la Luna intorno al Sole si mantenga sempre del medesimo vigore; e se vero che il medesimo mobile, mosso dalla medesima virt, ma in cerchi diseguali, in tempi pi brevi passi archi simili de i cerchi minori; bisogna necessariamente dire che la Luna quando in minor distanza dal Sole, cio nel tempo della congiunzione, archi maggiori passi dell'orbe magno, che quando in maggior lontananza, cio nell'opposizione e plenilunio: e questa lunare inegualit convien che sia participata dalla Terra ancora. Imperocch, se noi intenderemo una linea retta prodotta dal centro del Sole per il centro del globo terrestre, e prolungata sino all'orbe lunare, questa sar il semidiametro dell'orbe magno, nel quale la Terra, quando fusse sola, si moverebbe uniformemente; ma se nel medesimo semidiametro collocheremo un altro corpo da esser portato, ponendolo una volta tra la Terra e il Sole, ed un'altra volta oltre alla Terra in maggior lontananza dal Sole, forza che in questo secondo caso il moto comune di amendue secondo la circonferenza dell'orbe magno, mediante la lontananza della Luna, riesca alquanto pi tardo che nell'altro caso, quando la Luna tra la Terra e 'l Sole, cio in minor distanza: talch in questo fatto accade giusto quel che avviene nel tempo dell'oriuolo rappresentandoci la Luna quel piombo che s'attacca or pi lontano dal centro, per far le vibrazioni dell'asta men frequenti, ed ora pi vicino, per farle pi spesse. Di qui pu esser manifesto, come il movimento annuo della Terra nell'orbe magno e sotto l'eclittica non uniforme, e come la sua difformit deriva dalla Luna ed ha suoi periodi e restituzioni mestrue. E perch si era concluso, le alterazioni periodiche, mestrue ed annue, de i flussi e reflussi non poter derivare da altra cagione che dall'alterata proporzione tra il moto annuo e gli additamenti e suttrazioni della vertigine diurna; e tale alterazione poteva farsi in due modi, cio con l'alterare il moto annuo, ritenendo ferma la quantit de gli additamenti, o co 'l mutar la grandeza di questi, mantenendo l'uniformit del moto annuo; gi abbiamo ritrovato il primo di questi due modi fondato sopra la difformit del moto annuo, dependente dalla Luna e che ha i suoi periodi mestrui: dunque necessario che per tal cagione i flussi e reflussi abbiano un periodo mestruo, dentro al quale si facciano maggiori e minori. Ora vedete come la causa del periodo mestruo risiede nel moto annuo, ed insieme vedete ci che ha che far la Luna in questo negozio, e come ella ci entra a parte senza aver che fare niente n con mari n con acque.

   SAGR. Se a uno che non avesse cognizione di veruna sorte di scale fusse mostrata una torre altissima, e domandatogli se gli desse l'animo d'arrivare alla sua suprema altezza credo assolutamente che direbbe di no, non comprendendo che in altro modo che co 'l volare vi si potesse pervenire ma mostrandosegli una pietra non pi alta di mezo braccio ed interrogandolo se sopra quella credessi di poter montare, son certo che risponderebbe di s, ed anco non negherebbe che non una sola, ma 10, 20 e 100 volte, agevolmente salir vi potrebbe: per lo che, quando se gli mostrassero le scale co 'l mezo delle quali, con l'agevolezza da lui conceduta, si poteva pervenire col dove poco fa aveva affermato esser impossibile di arrivare, credo che, ridendo di se stesso, confesserebbe il suo poco avvedimento. Voi, signor Salviati, mi avete di grado in grado tanto soavemente guidato, che non senza meraviglia mi trovo giunto con minima fatica a quell'altezza dove io credeva non potersi arrivare; ben vero che, per esser stata la scala buia, non mi sono accorto d'essermi avvicinato n pervenuto alla cima se non dopo che, uscendo all'aria luminosa, ho scoperto gran mare e gran campagna: e come nel salire un grado non fatica veruna, cos ad una ad una delle vostre proposizioni mi son parse tanto chiare, che, sopraggiugnendomi poco o nulla di nuovo, piccolo o nulla mi sembrava essere il guadagno; onde tanto maggiormente si accresce in me la maraviglia per l'inopinata riuscita di questo discorso, che mi ha scorto all'intelligenza di cosa ch'io stimava inesplicabile. Una difficult mi rimane solamente, dalla quale desidero di esser liberato; e questa , che se 'l movimento della Terra insieme con quel della Luna sotto 'l zodiaco sono irregolari, dovrebbe tale irregolarit essere stata osservata e notata da gli astronomi, il che non so che sia seguito; per voi, che pi di me sete di queste materie informato, liberatemi dal dubbio, e ditemi come sta il fatto.

   SALV. Molto ragionevolmente dubitate: ed io all'instanza rispondendo, dico che bench l'astronomia nel corso di molti secoli abbia fatto gran progressi, nell'investigar la constituzione e i movimenti de i corpi celesti, non per ella sin qui arrivata a segno tale, che moltissime cose non restino indecise, e forse ancora molt'altre occulte. da credere che i primi osservatori del cielo non conoscessero altro che un moto comune a tutte le stelle, quale questo diurno: creder bene che in pochi giorni si accorgessero che la Luna era incostante nel tener compagnia all'altre stelle, ma che scorressero ben poi molti anni prima che si distinguessero tutti i pianeti; ed in particolare penso che Saturno, per la sua tardit, e Mercurio, per il vedersi di rado, fussero de gli ultimi ad esser conosciuti per vagabondi ed erranti. Molti pi anni da credere che passassero avanti che fussero osservate le stazioni e retrogradazioni de i tre superiori, come anco gli accostamenti e discostamenti dalla Terra, occasioni necessarie dell'introdur gli eccentrici e gli epicicli, cose incognite sino ad Aristotile, gi che ei non ne fa menzione. Mercurio e Venere con le loro ammirande apparizioni quanto hanno tenuto sospesi gli astronomi nel risolversi, non che altro, circa il sito loro? Talch qual sia l'ordine solamente de i corpi mondani e la integrale struttura delle parti dell'universo da noi conosciute, stata dubbia sino al tempo del Copernico, il quale ci ha finalmente additata la vera costituzione ed il vero sistema secondo il quale esse parti sono ordinate; s che noi siamo certi che Mercurio, Venere e gli altri pianeti si volgono intorno al Sole, e che la Luna si volge intorno alla Terra. Ma come poi ciascun pianeta si governi nel suo rivolgimento particolare e come stia precisamente la struttura dell'orbe suo, che quella che vulgarmente si chiama la sua teorica, non possiamo noi per ancora indubitatamente risolvere: testimonio ce ne sia Marte, che tanto travaglia i moderni astronomi; ed alla Luna stessa sono state assegnate variate teoriche, dopo l'averla il medesimo Copernico mutata assai da quella di Tolomeo. E per descender pi al nostro particolare, cio al moto apparente del Sole e della Luna, di quello stato osservato certa grande inegualit, per la quale in tempi assai differenti e' passa li due mezi cerchi dell'eclittica, divisi da i punti de gli equinozii; nel passar l'uno de i quali egli consuma circa a nove giorni di pi che nel passar l'altro, differenza, come vedete, molto grande e notabile. Ma se nel passare archi piccoli, quali sarebbono, per esempio, i 12 segni, e' mantenga un moto regolarissimo, o pure proceda con passi or pi veloci alquanto ed or pi lenti, come necessario che segua quando il movimento annuo sia solo in apparenza del Sole, ma in realt della Terra accompagnata dalla Luna, ci non stato sin qui osservato, n forse ricercato. Della Luna poi, le cui restituzioni sono state investigate principalmente in grazia de gli eclissi, per i quali basta aver esatta cognizione del moto suo intorno alla Terra non si parimente con intera curiosit ricercato qual sia il suo progresso per gli archi particolari del zodiaco. Che dunque la Terra e la Luna nello scorrer per il zodiaco, cio per la circonferenza dell'orbe magno, si accelerino alquanto ne' novilunii e si ritardino ne' plenilunii, non deve mettersi in dubbio perch tal inegualit non si sia manifestata: il che per due ragioni accaduto; prima, perch non stata ricercata; secondariamente poi, perch ella pu essere non molto grande. N molto grande fa di bisogno che ella sia per produr l'effetto che si vede nell'alterazione delle grandezze de i flussi e reflussi, perch non solamente tali alterazioni, ma gli stessi flussi e reflussi, son piccola cosa rispetto alla grandezza de' suggetti in cui si esercitano, ancor che rispetto a noi ed alla nostra piccolezza sembrino cose grandi. Imperocch l'aggiugnere o scemare un grado di velocit dove ne sono naturalmente 700 o 1000, non si pu chiamar grande alterazione n in chi lo conferisce n in chi lo riceve: l'acqua del mar nostro, portata dalla vertigine diurna, fa circa 700 miglia per ora (che il moto comune alla Terra ed ad essa, e per impercettibile a noi); quello che nelle correnti ci si fa sensibile, non di un miglio per ora (parlo nel mare aperto, e non ne gli stretti), e questo quello che altera il movimento primo, naturale e magno: e tale alterazione assai rispetto a noi ed a i navilii, perch a un vassello che dalla forza de i remi ha di fare nell'acqua stagnante, verbigrazia, 3 miglia per ora, in quella tal corrente dall'averla in favore all'averla contro importer il doppio del vaggio; differenza notabilissima nel moto della barca, ma piccolissima nel movimento del mare, che viene alterato per la sua settecentesima parte. L'istesso dico dell'alzarsi ed abbassarsi uno due o tre piedi, ed a pena quattro o cinque nell'estremit del seno lungo due mila o pi miglia e dove sono profondit di centinaia di piedi: questa alterazione assai meno, che se, in una delle barche che conducon l'acqua dolce, essa acqua, nell'arrestarsi la barca, s'alzasse alla prua quant' la grossezza d'un foglio. Concludo per tanto, piccolissime alterazioni rispetto all'immensa grandezza e somma velocit de i mari esser bastanti per fare in essi mutazioni grandi in relazione alla piccolezza nostra e di nostri accidenti.

   SAGR. Rimango pienamente sodisfatto quanto a questa parte; resta da dichiararci come quelli additamenti e suttrazioni derivanti dalla vertigine diurna si facciano or maggiori ed or minori; dalla quale alterazione ci accennaste che dependeva il periodo annuo de gli accrescimenti e diminuzioni de' flussi e reflussi.

   SALV. Far ogni possibile sforzo per lasciarmi intendere; ma la difficolt dell'accidente stesso, e la grand'astrazion di mente che ci vuol per capirlo, mi sgomentano. La disegualit de gli additamenti e suttrazioni che la vertigine diurna fa sopra 'l moto annuo, depende dall'inclinazion dell'asse del moto diurno sopra 'l piano dell'orbe magno o vogliamo dire dell'eclittica, mediante la quale inclinazione l'equinoziale sega essa eclittica, restando sopra di lei inclinato ed obbliquo secondo la medesima inclinazion dell'asse: e la quantit de gli additamenti viene a importar quanto tutto il diametro di esso equinoziale, stante il centro della Terra ne i punti solstiziali; ma fuor di quelli importa mano e manco, secondo che esso centro si va avvicinando a i punti degli equinozii, dove tali additamenti son minori che in tutti gli altri luoghi. Questo il tutto, ma involto in quella oscurit, che voi vedete.

   SAGR. Anzi pure in quella ch'io non veggo, perch sin ora non comprendo nulla.

   SALV. Gi l'ho io predetto: tuttavia proveremo se co 'l disegnarne un poco di figura si potesse guadagnar qualche lume, se bene meglio sarebbe il rappresentarla con corpi solidi che con semplici disegni; pure ci aiuteremo con la prospettiva e con gli scorci. Segnamo dunque, come di sopra, la circonferenza dell'orbe magno, nella quale intendasi il punto A essere uno de i solstiziali, ed il diametro A P la comun sezione del coluro de' solstizi e del piano dell'orbe magno o vogliam dire dell'eclittica, ed in esso punto A esser locato il centro del globo terrestre, l'asse del quale C A B, inclinato sopra il piano dell'orbe magno, cade nel piano del detto coluro, che passa per amendue gli assi dell'equinoziale e dell'eclittica; e per minor confusione segneremo il solo cerchio equinoziale, notandolo con questi caratteri DGEF, del quale la comun sezione col piano dell'orbe magno sia la linea D E, s che la met di esso equinoziale D F E rimarr inclinata sotto il piano dell'orbe magno, e l'altra met D G E elevata sopra.

 

Intendasi ora, la revoluzione di esso equinoziale farsi secondo la conseguenza de i punti D, G, E, F, ed il moto del centro da A verso E: e perch, stante il centro della Terra in A, l'asse C B (che eretto al diametro dell'equinoziale D E) cade, come si detto, nel coluro de' solstizii, la comun sezione del quale e dell'orbe magno il diametro P A, sar essa linea P A perpendicolare alla medesima D E, per esser il coluro eretto all'orbe magno, e per essa D E sar la tangente dell'orbe magno nel punto A, talch in questo stato il moto del centro per l'arco A E, che di un grado per giorno, pochissimo differisce, anzi come se fusse fatto per la tangente D A E. E perch per la vertigine diurna il punto D portato per G in E accresce al moto del centro, mosso quasi per la medesima linea D E, tanto quanto tutto il diametro D E, ed all'incontro altrettanto diminuisce movendosi per l'altro mezo cerchio E F D, saranno gli additamenti e suttrazioni in questo luogo, cio nel tempo del solstizio, misurati da tutto il diametro D E.

   Passiamo ora a vedere se ne i tempi de gli equinozii e' siano della medesima grandezza, e trasportando il centro della Terra nel punto I, lontano per una quarta dal punto A, intendiamo il medesimo equinoziale G E F D, la sua comun sezione con l'orbe magno D E, l'asse con la medesima inclinazione C B; ma la tangente dell'orbe magno nel punto I non sar pi la D E, ma un'altra che la segher ad angoli retti, e sia questa notata H I L, secondo la quale verr ad essere incamminato il moto del centro I, procedente per la circonferenza dell'orbe magno. Ora in questo stato gli additamenti e suttrazioni non si misurano pi nel diametro D E, come prima si fece, perch, non si distendendo tal diametro secondo la linea del moto annuo H L, anzi segandola ad angoli retti, niente promuovono o detraggono essi termini D, E; ma gli additamenti e suttrazioni s'hanno a prendere da quel diametro che cade nel piano eretto al piano dell'orbe magno e che lo sega secondo la linea H L, il qual diametro sar adesso questo G F: ed il moto addiettivo, per cos dire, sar il fatto dal punto G per il mezzo cerchio G E F, e l'ablativo sar il restante, fatto per l'altro mezo cerchio F D G. Ora questo diametro, per non esser nella medesima linea H L del moto annuo, anzi perch la sega, come si vede, nel punto I, restando il termine G elevato sopra ed F depresso sotto il piano dell'orbe magno, non determina gli additamenti e suttrazioni secondo tutta la sua lunghezza; ma devesi la quantit di quelli prendere dalla parte della linea H L che rimane intercetta tra le perpendicolari tirate sopra di lei da i termini G, F, quali sono queste due G S, F V: s che la misura de gli additamenti la linea S V, minore della G F o vero della D E, che fu la misura de gli additamenti nel solstizio A. Secondo poi che si costituir il centro della Terra in altri punti del quadrante A I, tirando le tangenti in essi punti e le perpendicolari sopra esse cadenti da i termini de i diametri dell'equinoziale segnati da i piani eretti per esse tangenti al piano dell'orbe magno, le parti di esse tangenti (che saranno sempre minori verso gli equinozii e maggiori verso i solstizii) ci daranno le quantit de gli additamenti e suttrazioni. Quanto poi differischino i minimi additamenti da i massimi, facile a sapersi, perch tra essi la differenza medesima che tra tutto l'asse o diametro della sfera e la parte di esso che resta tra i cerchi polari, la quale minor di tutto 'l diametro la duodecima parte prossimamente, intendendo per de gli additamenti e suttrazioni fatte nell'equinoziale; ma negli altri paralleli son minori, secondo che i lor diametri si vanno diminuendo.

   Questo quanto io posso dirvi in questa materia e quanto per avventura pu comprendersi sotto una nostra cognizione, la quale, come ben sapete, non si pu aver se non di quelle conclusioni che son ferme e costanti, quali sono i tre periodi in genere de' flussi e reflussi, come quelli che dependono da cause invariabili, une ed eterne. Ma perch con queste cagion primarie ed universali si mescolano poi le secondarie e particolari, potenti a far molte alterazioni, e sono, queste secondarie, parte inosservabili ed incostanti, qual , per esempio, l'alterazion de i venti, e parte, bench determinate e ferme, non per osservate per la loro multiplicit come sono le lunghezze de i seni, le loro diverse inclinazioni verso questa o quella parte, le tante e tanto diverse profondit dell'acque; chi potr, se non forse doppo lunghissime osservazioni e ben sicure relazioni, formarne istorie cos spedite, che possano servir come ipotesi e supposizioni sicure a chi volesse con le lor combinazioni render ragioni adequate di tutte le apparenze, e dir anomalie e particolari diflormit, che ne i movimenti dell'acque possono scorgersi? Io mi contenter d'avere avvertito come le cause accidentarie sono in natura, e son potenti a produr molte alterazioni: le minute osservazioni le lascer fare a quelli che praticano diversi mari; e solo, per chiusa di questo nostro discorso, metter in considerazione come i tempi precisi de i flussi e reflussi non solamente vengono alterati dalle lunghezze de i seni e dalle profondit varie, ma notabile alterazione ancora penso io che possa provenire dalla conferenza di diversi tratti di mari, differenti in grandezza ed in positura o vogliam dire inclinazione: qual diversit cade appunto qui nel golfo Adriatico, minore assai del resto del Mediterraneo, e posto in tanta diversa inclinazione, che dove quello ha il suo termine che lo serra dalla parte orientale, che sono le rive della Soria, questo racchiuso dalla parte pi occidentale; e perch nelle estremit sono assai maggiori i flussi e reflussi, anzi quivi solamente sono grandissimi gli alzamenti ed abbassamenti, molto verisimilmente pu accadere che i tempi de i flussi in Venezia si facciano ne i reflussi dell'altro mare, il quale, come molto maggiore e pi direttamente disteso da occidente in oriente, viene in certo modo ad aver dominio sopra l'Adriatico; e per non sarebbe da maravigliarsi quando gli eflfetti dependenti dalle cagioni primarie non si verificassero ne i tempi debiti, e rispondenti a i periodi, nell'Adriatico ma s bene nel resto del Mediterraneo. Ma queste particolarit ricercano lunghe osservazioni, le quali n io ho sin qui fatte, n meno son per poterle fare per l'avvenire.

   SAGR. Assai mi par che voi abbiate fatto in aprirci il primo ingresso a cos alta specolazione: della quale quando altro non ci aveste arrecato che quella prima general proposizione, che a me par che non patisca replica alcuna, dove molto concludentemente si dichiara, che stando fermi i vasi contenenti le acque marine, impossibil sarebbe, secondo il comun corso di natura, che in esse seguissero quei movimenti che seguir veggiamo, e che, all'incontro, posti i movimenti per altri rispetti attribuiti dal Copernico al globo terrestre, debbano necessariamente seguire simili alterazioni ne i mari, quando, dico, altro non ci fusse, questo solo mi par che superi di tanto intervallo le vanit introdotte da tanti altri, che il ripensar solamente a quelle mi muove nausea; e molto mi maraviglio che tra uomini di sublime ingegno, che pur ve ne sono stati non pochi, non sia ad alcuno cascato in mente la incompatibilit che tra il reciproco moto dell'acqua contenuta e la immobilit del vaso contenente, la quale repugnanza ora mi par tanto manifesta.

   SALV. Pi da maravigliarsi, che essendo pur caduto in pensiero ad alcuni di referir la causa de i flussi e reflussi al moto della Terra, onde in ci hanno mostrato perspicacit maggiore della comune, nello strigner poi il negozio non abbiano afferrato nulla, per non avere avvertito che non basta un semplice moto ed uniforme, quale , verbigrazia, il semplice diurno del globo terrestre, ma si ricerca un movimento ineguale, ora accelerato ed ora ritardato; perch quando il moto de i vasi sia uniforme, l'acque contenute si abitueranno a quello, n mai faranno mutazione alcuna. Il dire anco (come si referisce d'uno antico matematico) che il moto della Terra, incontrandosi col moto dell'orbe lunare, cagiona, per tal contrasto, il flusso e reflusso, resta totalmente vano, non solo perch non vien dichiarato n si vede come ci debba seguire, ma si scorge la falsit manifesta, atteso che la conversione della Terra non contraria al moto della Luna, ma per il medesimo verso: talch il detto e imaginato sin qui da gli altri resta, al parer mio, del tutto invalido. Ma tra tutti gli uomini grandi che sopra tal mirabile effetto di natura hanno filosofato, pi mi meraviglio del Keplero che di altri, il quale, d'ingegno libero ed acuto, e che aveva in mano i moti attribuiti alla Terra, abbia poi dato orecchio ed assenso a predominii della Luna sopra l'acqua, ed a propriet occulte, e simili fanciullezze.

   SAGR. Io son d'opinione che a questi pi specolativi sia avvenuto quello che di presente accade a me ancora, cio il non potere intendere il viluppo de i tre periodi, annuo, mestruo e diurno, e come le cause loro mostrino di dependere dal Sole e dalla Luna, senza che n il Sole n la Luna abbiano che far nulla con l'acqua; negozio, per piena intelligenza del quale a me fa di mestiero una pi fissa e lunga applicazione di mente, la quale sin ora dalla novit e dalla difficult mi resta assai offuscata: ma non dispero, col tornar da me stesso, in solitudine e silenzio, a ruminar quello che non ben digesto mi rimane nella fantasia, d'esser per farmene possessore. Aviamo dunque da i discorsi di questi 4 giorni grandi attestazioni a favor del sistema Copernicano; tra le quali queste tre, prese, la prima, dalle stazioni e retrogradazioni de i pianeti e da i loro accostamenti e allontanamenti dalla Terra, la seconda dalla revoluzion del Sole in se stesso e da quello che nelle sue macchie si osserva, la terza da i flussi e reflussi del mare, si mostrano assai concludenti.

   SALV. Ci si potrebbe forse in breve aggiugner la quarta, e per avventura anco la quinta: la quarta, dico, presa dalle stelle fisse, mentre in loro per esattissime osservazioni apparissero quelle minime mutazioni che il Copernico pone per insensibili. Surge di presente una quinta novit, dalla quale si possa arguir mobilit nel globo terrestre, mediante quello che sottilissimamente va scoprendo l'Illustrissimo signor Cesare della nobilissima famiglia de i Marsilii di Bologna, pur Accademico Linceo, il quale in una dottissima scrittura va esponendo come ha osservato una continua mutazione, bench tardissima, nella linea meridiana; della quale scrittura, da me ultimamente con stupore veduta, spero che dover farne copia a tutti gli studiosi delle maraviglie della natura.

   SAGR. Non questa la prima volta che io ho inteso parlar dell'esquisita dottrina di questo Signore, e di quanto egli si mostri ansioso protettor di tutti i litterati; e se questa o altra sua opera uscir in luce, gi possiamo esser sicuri che sia per esser cosa insigne.

   SALV. Ora, perch tempo di por fine a i nostri discorsi, mi resta a pregarvi, che se nel riandar pi posatamente le cose da me arrecate incontraste delle difficult o dubbii non ben resoluti, scusiate il mio difetto, s per la novit del pensiero, s per la debolezza del mio ingegno, s per la grandezza del suggetto, e s finalmente perch io non pretendo n ho preteso da altri quell'assenso ch'io medesimo non presto a questa fantasia, la quale molto agevolmente potrei ammetter per una vanissima chimera e per un solennissimo paradosso: e voi, signor Sagredo, se ben ne i discorsi avuti avete molte volte con grand'applauso mostrato di rimaner appagato d'alcuno de' miei pensieri, ci stimo io che sia provenuto, in parte, pi dalla novit che dalla certezza di quelli, ma pi assai dalla vostra cortesia, che ha creduto e voluto co 'l suo assenso arrecarmi quel gusto che naturalmente sogliamo prendere dall'approvazione e laude delle cose proprie. E come a voi mi ha obbligato la vostra gentilezza, cos m' piaciuta l'ingenuit del signor Simplicio; anzi la sua costanza nel sostener con tanta forza e tanto intrepidamente la dottrina del suo maestro, me gli ha reso affezionatissimo: e come a Vossignoria, signor Sagredo, rendo grazie del cortesissimo affetto, cos al signor Simplicio chieggio perdono se tal volta co 'l mio troppo ardito e resoluto parlare l'ho alterato, e sia certo che ci non ho io fatto mosso da sinistro affetto, ma solo per dargli maggior occasione di portar in mezo pensieri alti, onde io potessi rendermi pi scienziato.

   SIMP. Non occorre che voi arrechiate queste scuse, che son superflue, e massime a me, che, sendo consueto a ritrovarmi tra circoli e pubbliche dispute, ho cento volte sentito i disputanti non solamente riscaldarsi e tra di loro alterarsi ma prorompere ancora in parole ingiuriose, e talora trascorrere assai vicini al venire a i fatti. Quanto poi a i discorsi avuti, ed in particolare in quest'ultimo intorno alla ragione del flusso e reflusso del mare, io veramente non ne resto interamente capace; ma per quella qual si sia assai tenue idea che me ne son formata, confesso, il vostro pensiero parermi bene pi ingegnoso di quanti altri io me n'abbia sentiti, ma non per lo stimo verace e concludente: anzi, ritenendo sempre avanti a gli occhi della mente una saldissima dottrina, che gi da persona dottissima ed eminentissima appresi ed alla quale forza quietarsi, so che amendue voi, interrogati se Iddio con la Sua infinita potenza e sapienza poteva conferire all'elemento dell'acqua il reciproco movimento, che in esso scorgiamo, in altro modo che co 'l far muovere il vaso contenente, so, dico, che risponderete, avere egli potuto e saputo ci fare in molti modi, ed anco dall'intelletto nostro inescogitabili. Onde io immediatamente vi concludo che, stante questo, soverchia arditezza sarebbe se altri volesse limitare e coartare la divina potenza e sapienza ad una sua fantasia particolare.

   SALV. Mirabile e veramente angelica dottrina: alla quale molto concordemente risponde quell'altra, pur divina, la quale, mentre ci concede il disputare intorno alla costituzione del mondo, ci soggiugne (forse acci che l'esercizio delle menti umane non si tronchi o anneghittisca) che non siamo per ritrovare l'opera fabbricata dalle Sue mani. Vaglia dunque l'esercizio permessoci ed ordinatoci da Dio per riconoscere e tanto maggiormente ammirare la grandeza Sua, quanto meno ci troviamo idonei a penetrare i profondi abissi della Sua infinita sapienza.

   SAGR. E questa potr esser l'ultima chiusa de i nostri ragionamenti quatriduani: dopo i quali se piacer al signor Salviati prendersi qualche intervallo di riposo, conviene che dalla nostra curiosit gli sia conceduto, con condizione per che, quando gli sia meno incomodo, torni a sodisfare al desiderio, in particolare mio, circa i problemi lasciati indietro, e da me registrati per proporgli in una o due altre sessioni, conforme al convenuto; e sopra tutto star con estrema avidit aspettando di sentire gli elementi della nuova scienza del nostro Accademico intorno a i moti locali, naturale e violento. Ed in tanto potremo, secondo il solito, andare a gustare per un'ora de' nostri freschi nella gondola che ci aspetta.

 


[1] Il moto annuo della Terra costringe i copernicani ad asserire [anche] la rotazione diurna; altrimenti sarebbe rivolto continuamente verso il Sole lo stesso emisfero della Terra, e l'altro sarebbe sempre in ombra.

[2] Che questa rotazione della Terra sia impossibile, lo dimostriamo come segue.

[3] Poste queste premesse ne consegue necessariamente che, muovendosi la Terra di moto circolare, tutte le cose dall'aria ad essa, ecc. Se poi immaginiamo che queste palle siano di ugual peso, grandezza, gravit, e le lasciamo cadere dal concavo lunare, ammesso che il moto di discesa abbia la stessa velocit del moto di rotazione (cosa che in realt non , perch la palla A ecc.) arriveranno al suolo (per fare una grossa concessione agli avversari) in almeno sei giorni: nel qual tempo sei volte intorno alla Terra, ecc.

[4] Se dall'esterno, Dio stesso che lo produce con un miracolo continuo? O forse un angelo? O l'aria? E questa invero la spiegazione di molti. Ma contro queste argomentazioni

[5] Insorgono questioni seconde difficilissime, anzi inestricabili.

[6] Quel principio interno accidente o sostanza: se accidente, qual ? Poich finora sembra non si conosca nessuna qualit che muova in cerchio di moto locale.

[7] La quale, anche se esistesse, come potrebbe trovarsi in cose tanto contrarie? Nel fuoco come nell'acqua? Nell'aria come nella terra? Nei viventi come negli esseri inanimati?

[8] Se sostieni la seconda ipotesi (ossia se asserisci che tale principio una sostanza), allora esso o materia o composto di materia e forma; ma a quest'ipotesi si oppongono di nuovo tante diverse nature, quali sono gli uccelli, le lumache, i sassi, le frecce, le nevi, i fumi, le grandini, i pesci, ecc., cose che tutte, bench differenti per specie e per genere, sarebbero mosse circolarmente dalla loro natura, essendo per le loro nature, diversissime.

[9] Se la Terra, per volont di Dio, fosse in quiete, le altre cose ruoterebbero o no? Se no, falso che ruotino per natura; se s, si tornerebbe alle questioni prime; e invero sarebbe ben strano che, anche volendolo, il gabbiano non potesse trattenersi sopra un pesciolino, l'allodola sopra il suo nido, e il corvo sopra una lumaca o sopra un sasso.

[10] Inoltre, come avviene che cose tanto diverse si muovano soltanto da occidente a oriente, parallele all'equatore? E che si muovano sempre, senza mai fermarsi?

[11] Perch tanto pi velocemente quanto pi sono alte, e tanto pi lentamente quanto pi sono basse?

[12] Perch le cose pi prossime all'equinoziale si muovono in un cerchio maggiore, e quelle pi lontane in un cerchio minore?

[13] Perch una stessa palla sotto l'equinoziale si rivolgerebbe intorno al centro della terra in un cerchio massimo, con velocit incredibile, e sotto il polo invece ruoterebbe intorno al proprio centro, con rotazione nulla, e con lentezza massima?

[14] Perch una stessa cosa, ad esempio una palla di piombo, se avr ruotato una volta intorno alla Terra descrivendo un cerchio massimo, non continuer a rivolgersi ovunque, intorno ad essa, secondo un cerchio massimo, ma, portata fuori dell'equinoziale, si muover in cerchi minori?

[15] Se il moto circolare naturale ai corpi gravi e ai leggeri, come si potr definire quello in linea retta? Se infatti lo si definir naturale, come potr esser tale anche il moto circolare, differendo in specie dal retto? Se lo si definir violento, come accade che un razzo, volando verso l'alto, muova il capo scintillante in su invece che in giro?

[16] Perch il centro di una sfera in caduta libera all'equatore descrive una spira nel suo piano, mentre alle altre latitudini descrive una spira in una superficie conica? Perch cadendo al polo discende nell'asse (terrestre) descrivendo circolarmente una linea su una superficie cilindrica?

[17] Se tutta la terra, insieme con l'acqua, fosse annientata, dalle nubi non cadrebbero grandine o pioggia, ma per natura si muoverebbero soltanto in cerchio; n alcun fuoco o corpo igneo salirebbe, poich probabilmente a loro giudizio in alto non c' fuoco.

[18] Alle quali conclusioni si oppongono tuttavia l'esperienza e la ragione.

[19] Una pietra posta nel centro, o salir per congiungersi alla Terra in qualche punto, oppure no: in questo secondo caso falso che le parti, per il semplice fatto di esserne separate, si muovano verso il tutto; quanto al primo caso vi si oppone ogni ragione ed esperienza, e in tal caso i gravi non riposerebbero nel loro centro di gravit. Analogamente, se una pietra lasciata libera cadr nel centro, si separer del tutto, contro Copernico; che rimanga sospesa, contrario ad ogni esperienza; vediamo infatti archi interi crollare.

[20] Non si avvede di fare il cerchio annuo minore o l'orbe della Terra molto maggiore del giusto.

[21] E in primo luogo, se si accetta l'opinione del Copernico, pare si metta in grave pericolo, se pure non si distrugge del tutto, il criterio della filosofia naturale.

[22] Insieme con la Terra si muove l'aria che la circonda, e tuttavia noi non sentiremmo il suo moto, bench pi veloce e pi rapido di qualunque impetuosissimo vento, ma anzi lo considereremmo una somma calma, se non vi si aggiungesse un altro moto. Quando mai si potrebbe dire che i sensi s'ingannano, se questo non un inganno dei sensi?

[23] Inoltre noi stessi siamo portati in giro dalla circolazione della Terra, ecc.

[24] Secondo quest'opinione necessario che noi diffidiamo dei nostri sensi, in quanto del tutto fallaci o ottusi nel giudicare le cose sensibili, anche quelle a noi pi prossime; che verit possiamo dunque sperare da una facolt cos soggetta a errore?

[25] pi difficile accrescere l'accidente oltre la norma del soggetto, che aumentare il soggetto senza l'accidente: dunque pi verosimile quel che fa Copernico, accrescendo l'orbe delle stelle fisse senza conferirgli il moto, che quel che fa Tolomeo, che accresce con velocit immensa il moto delle fisse.

[26] Nel punto del regresso intercorre quiete.

[27] Al lido ora mi vidi, placido essendo il mare di venti

[28] Copernico [trasport] la Terra, insieme con la Luna e tutto questo mondo elementare...