Full text of "Scritti varii, inediti o rari, raccolti e pubblicati da Benedetto Croce" WebMoving ImagesTextsAudioSoftwareEducationPatron InfoAbout IA Home American Libraries | Canadian Libraries | Universal Library | Project Gutenberg | Children's Library | Biodiversity Heritage Library | Additional Collections Search: All Media Types Wayback Machine Moving Images Animation & Cartoons Arts & Music Computers & Technology Cultural & Academic Films Ephemeral Films Home Movies Movies News & Public Affairs Non-English Videos Open Source Movies Prelinger Archives Spirituality & Religion Sports Videos Videogame Videos Vlogs Youth Media Texts American Libraries Canadian Libraries Universal Library Project Gutenberg Children's Library Biodiversity Heritage Library Additional Collections Audio Audio Books & Poetry Computers & Technology Grateful Dead Live Music Archive Music & Arts Netlabels News & Public Affairs Non-English Audio Open Source Audio Podcasts Radio Programs Spirituality & Religion Software CLASP Education Forums FAQs Advanced Search Anonymous User (login or join us)Upload See other formats Full text of "Scritti varii, inediti o rari, raccolti e pubblicati da Benedetto Croce" ^ntliersttg ci Toronto The Estate of the late Professor J.E. Shaw HANDBOUND AT THE UNIVERSITY OF TORONTO PRESS /4-iA OPERE DI FRANCESCO DE SANCTIS TOMO Vili. VOL. I. X FRANCESCO UE SANCTIS SCRITTI VARII INEDITI O EAKI DI FRANCESCO DE SANCTIS RACCOLTI E PUBBLICATI DA BENEDETTO CROCE VOLI' UE 1. NAPOLI Ditta A. MORANO A Figlio 40, ViaKom», 40 1X98 ^73Z Proprietà letteraria FEB 8 1953 j^ ?>> 827628 Napoli •Stab.Tipo-Stereot F.dl Gennaro & A. Morano, S. Sebastiano 47 TTIJTTTTTITTTTTTTTTTTTTT TTTT TTTTTÌIlTT^TriITrTTTTTIITTTTTTTTrTrTT-TTITTTTTTTT PREFAZIONE Questi due volumi formano un complemento alla raccolta delle opere di Francesco de Sanctis. De- stinati a riempire dei vuoti, grandi o piccoli, e com- prendendo perciò scritti per argomento, tempo, im- portanza ed estensione assai disparati, son riusciti di necessità una specie di miscellanea , coi difetti ed insieme (o almeno, spero) l'attrattiva delle mi- scellanee. La materia di essi è ordinata in quattro catego- rie. Nella prima sono studii e brani di lezioni in- torno al Manzoni, che, nella sostanza se non nella forma, costituiscono una vera monografia sull'argo- mento; ed è questa la parte più organica dei due volumi. Nella seconda , articoli e brani di lezioni del periodo dell' esilio, quando il De Sanctis scrisse sulle riviste piemontesi ed insegnò a Zurigo. Nella terza , discorsi , conferenze ed altri lavori sparsi od inediti dell" ultimo periodo della sua vita , dal 1809 al 1883. Nella quarta , infine , oh' è un' ap- pendice, una serie di piccoli scritti, che hanno quasi tutti un interesse piuttosto biografico che lettera- rio; ai quali sono uniti alcuni lavori di altri in- — VI — torno al De Sanati s, e un saggio bibliografico. In- nanzi a ciascuno degli scritti di queste quattro ca- tegorie, ho dato minuta notizia del tempo e delle circostanze in cui fu composto, e del modo da me tenuto nel pubblicarlo; e qui non accade entrare, sul proposito, in altre spiegazioni (1). Mi sembra invece opportuno accennar sommaria- mente alle cose più notevoli che i due volumi con- tengono e farvi intorno, dove occorra, qualche os- servazione e qualche comento. Come il lettore vedrà, negli studii sul Manzoni dominano queste due indagini: — A quale situazione storica si riattacca il pensiero del Manzoni ? Quali furono gli stadii di svolgimento che quel pensiero percorse? — Risultato della prima indagine è il con- siderare il Manzoni come rappresentante di uno dei principali indirizzi dello spirito europeo dopo la rivoluzione e le guerre napoleoniche. Nella perso- nalità di lui si esprimeva il bisogno di una con- ciliazione tra una parte del vecchio ed una parte del nuovo: egli, cattolico e progressista, illuminato figliuolo del secolo XVIIl , ed insieme tutto com- preso del ravvivato spirito cristiano. Perciò, il Man- zoni appartiene al movimento liberale e moderato, e giustamente il De Sanctis lo pone a capo del gruppo liberale y nella storia letteraria italiana del secolo XIX. Con la seconda indagine si rintraccia il filo che congiunge tra di loro le singole produ- zioni del Manzoni, che appaiono per tal modo come (1) Le note, che accompagnano il volume, quando non sia altri, menti avvertito, son dovute all'editore. Quelle dell'autore, o di altri, ) anno sempre speciali indicazioni distintive. — VII — (tua serie di tentativi e di sforzi per raggiungere un' unica meta : la completa realizzazione artistica della sua concezione etico-religiosa e storica della vita. Il primo tentativo è rappresentato dagl'/nne sacri , nei quali tuttavia si avverte la mancanza di un contenuto prossimo, concreto, storico; ed eb- bero perciò poca efficacia , e 1' autore stesso non ne restò contento e non proseguì per quella via. Agli Inni si congiunge strettamente il Cinque Mag- gio, il cui pensiero fondamentale — la storia umana sottomessa ai disegni imperscrutabili della Prov- videnza, — si ritrova più che altrove nelle ultime strofe, le meno riuscite. G-li studii storici allarga- rono nel Manzoni il senso del reale ; e con le due tragedie egli cercò di ritrarre in due situazioni sto- riche il suo ideale. Ma anche questo secondo ten- tativo può dirsi, nel suo insieme, fallito : in quelle tragedie 1' ideale resta staccato dalla rappresenta- zione, o che si effonda in forma lirica nei Cori, o che si affermi in alcuni personaggi ideali ed un po' astratti, come il Marco del Carmagnola e l'Er- mengarda e l'Adelchi àeW Adelchi. L'incarnazione piena si ebbe, dunque, soltanto nei Promessi sposi, in cui l'ideale manzoniano, uscendo dalla sabiet- tività lirica e dall' isolamento del personaggio ti- pico , diventò una realtà artistica. Se non che, il Manzoni soffriva anch' egli di quella interna lotta tra l'artista e il critico , che il De Sanctis studiò più volte ( vedi la Storta della letteratura , a pro- posito di Dante, del Tasso, etc), cavandone sem- pre ottimo partito per la comprensione psicologica degli artisti e per la critica delle opere. La poetica del Manzoni ìt viziata da un errore, che nasce dal concetto poco esatto ch'egli aveva del mondo della poesia e del mondo della storia. E fu il critico trionfante che gli fece concepire in modo sbagliato le due tragedie, e condannar poi nel Discorso sul romanzo storico il suo capolavoro ; come fu l'arti- sta, ribelle al critico, che gli dettò le strofe vera- mente poetiche del Cinque Maggio, quelle che ri- traggono 1' impressione popolare della figura di Na- poleone , e gli prese risolutamente la mano nei Promessi sposi, in cui son cosi lievi le tracce dan- nose delle sue teoriche estetiche, ed appaiono ap- pena in alcuni personaggi troppo idealizzati , e in qualche brano 'predicatorio ed enfatico, e nelle troppo frequenti ed ampie disquisizioni storiche. Tutte le opere principali del Manzoni vengono , nel corso di queste indagini , analizzate e illu- strate storicamente ed esteticamente ; ma a lungo il De Sanctis si ferma sui Promessi sposi , di cui descrive minutamente la particolare fisonomia, che ne fa un'opera sui generis. In quel romanzo si ha una soluzione originale del problema artistico delle relazioni tra l'ideale e il reale. Del qual problema le soluzioni possono essere varie. Un ideale , per esempio , può restare puramente lirico , e manife- starsi come solitaria aspirazione , esaltazione elo- giativa , satira per 1' assenza di esso , e simile. Egualmente, può contrapporsi alla rappresentazione della vita reale in forma di reazione, diretta o in- diretta, dello spirito che osserva, narra e rappre- senta, come nei drammi e romanzi a tendenza. Può ancora realizzarsi in un mondo tutto d' immagina- zione , con personaggi ed avvenimenti foggiati di un pez;zo , come ad esempio nelle tragedie alfie- — IX — riane , ombre proiettate dall' anima del poeta. E cosi via. Ma nel Manzoni la soluzione è diversa , ed è questa: — l'ideale limita se stesso per diventar realtà e vivere nei fatti. — Il Manzoni non rap- presenta un mondo morale nella sua perfezione im- maginaria o singolare, ma cosi come si riflette nella realtà storica , misto cioè d' elementi estranei che sono le sue imperfezioni , quasi la scoria che ac- compagna l'oro nella sua esistenza naturale. Sulla convenienza e trasparenza dell' espressione scelta dal De Sanctis, «// limite dell' ideale^, si potrà forse disputare ; ma bisogna guardarsi dal fraintenderla nel senso che il Manzoni abbassi il suo ideale o lo accomodi alla mediocrità della vita, imitando i pro- cedimenti soliti dell' umana debolezza, ossia facendo delle transazioni. Qui si tratta — giova insistervi — non della .soluzione di un problema morale, ma di quella di un problema estetico. Il De Sanctis vuol dire che il Manzoni, nella sua concezione artistica, non sostituisce già la realtà antidealistica all' i- deale, o l'ideale alla realtà; ma scopre nella realtà storica quel tanto che risponde all'ideale e gli fa ragione accanto a tutto il resto. Perciò in lui l'i- deale e limitato , quando si confronti la sua con altre concezioni, tipiche ed astratte, in cui la fa- coltà costruttiva procede con piena indipendenza dal mondo storico, e l'ideale si afferma illimitato. Il mondo dei Promessi sposi — scrive il De San- ctis — è un vero organismo storico, « in cui l'ideale vive nei più, alterato, pervertito, invecchiato, pure diversamente graduato, dal più basso al sommo della scala , da Don Abbondio a Federigo Borromeo ». Ni'- \',\ parte storica n^i J^,'n,,,(>, come scriveva il signor Luciano ; e la dimostrazione della discontinuità fra la storia del regno di Gioac- chino e quella del movimento nazionale italiano. ^Murattista — egli dice benissimo — significava in Napoli non un uomo che rappresentava un' idea , ma un uomo che aveva servito Murat. » Al pro- gramma meschino , artificiale e malefico dei mu- rattisti , il De Sanctis contrapponeva quello della schietta italianità e dell' unione col Piemonte. Il corso sulla Poesia cavalleresca è, insieme col Saggio sul Petrarca, frutto della sua attività acca- demica di Zurigo. I giudizii sul Morgante e sul- r Innamorato concordano con quelli ora general- mente accettati. E da considerare ciò che il De San- ctis diceva, quarant' anni addietro, sull'atteggia- mento del Boiardo rispetto alla materia cavallere- sca. Il Rajna ha insistito nell'osservazione, che non •^ punto vero che il poema del Boiardo sia tutto serio ; che anzi « tra il Boiardo e il mondo da lui preso a rappresentare e' è un vero contrasto » ; che — XIX — « se Lodovico non crede al mondo che canta e se ae fa giuoco . non ci crede nemmeno, e all' occa- sione se ne fa giuoco, il suo predecessore e mae- stro... » {Fonti del Furioso, p. 26 e sgg.). Lo stesso contrasto e gli stessi effetti scherzosi erano già ara- messi dal De Sanctis ; ma la spiegazione suonava alquanto diversa ; giacche, pel De Sanctis, la satira ^coppia involontaria nel Boiardo per esser centra - dittorio l'assunto di lui, che volea cantar seriamente quei costumi cavallereschi che neanche per lui, nel fondo del suo sentimento, potevano esser più cosa seria : « onde nasce la lotta tra il fondo e la for- ma, e il ridicolo soverchia la serietà con la quale tengono trattati quei fatti ridicoli ». E qui è la dif- ferenza dall'Ariosto: nel Boiardo la contraddizione i invincibile, essendo tra la serietà con la quale 3gli, il nobile cavaliere, voci guardare la vita ca- , è un' osservazione che faceva già il [)e Sanctis, analizzando gli episodii passionali ario- iteschi, come quelli di Cloridano e Medoro, di Zer- bino ed Isabella, di Olimpia e Bireno, di Brandi- narte e Fiordiligi , nei quali vedeva un accenno — XX — del romanzo moderno. Se al Rajna sembra che ^ per certi rispetti, il Furioso dia la mano alla Ge- rusalemme^ il De Sanctis aveva già detto, per es., che : « Zerbino è il modello di Tancredi : dategli un po' di malinconia e di sentimentalità, ed avrete Tancredi ». Ciò che non sarebbe stato disposto a concedere è che il tuono^ in quelle parti, fosse poi proprio lo stesso di quello del Tasso. — Per termi- nar questi raffronti di somiglianze e divergenze tra le inedite lezioni del De Sanctis e gli studii del Rajna, noterò ancora che, se quest' ultimo afferma che « Messer Ludovico non ha nulla che fare col Cervantes», il De Sanctis invece poneva tra i due una relazione ideale, definendola cosi : «Nell'Ario- sto l'elemento serio e satirico sono fusi insieme: non v' è intenzionalità di satira. Il Cervantes ha degagé i due elementi dell'unità ariostesca: ha op- posto il mondo moderno all'antico: in lui il mondo moderno è il rappresentato: la cavalleria è un sogno del passato, è la fissazione di un matto ». Certo , il considerare il poema ariostesco come una pura opera d'arte, senza determinati fini po- litici o morali di nessuna sorta , è ora un luogo comune ; ma non era cosi quando il De Sanctis fa- ceva quelle sue lezioni. E, della veduta moderna, egli è stato il più acuto espositore ed il più efficace sostenitore (1). Al qual proposito non so tenermi (I) Quanto sia tenace e risorgente l'erronea interpetrazione che il De Sanctis combatteva, è mostrato dal fatto che ancora nel 1877 un valente critico e filologo, il Canello, in una sua recensione de] volume del Rajna, si rifaceva ad interpetrar l'Ariosto con un sim- bolismo politico e morale. " La tragedia della vita italiana gi rifletti nel poema ariostesco. Eia causa della tragedia è l' amore „ (vedi nella Ztitachrift fUr romanitche Philologie. I. 1877, pp. 126-180). — XXI — dall' accennare un fatterello, occorso nel 1875 nel- l'occasione del centenario ariostesco a Ferrara; dove essendosi recato il De Sanctis e trovandosi in una solenne adunanza nella quale anche a lui toccava di parlare, il predecessore di lui sulla cattedra lesse un elaborato discorso mettendo a luce , secondo il rito, i patriottici e reconditi fini dell'Ariosto, l'a- more all'Italia, l'odio agli stranieri, la satira al papato e così via. Il De Sanctis , nel prendere la parola a sua volta, si lasciò scappare: — che, ascol- tando attentamente le molte ed ingegnose cose dette dal suo predecessore, s'era sentita venire irresisti- bile sulle labbra — la domanda del cardinale fppo- li'fol Ingenuo paragone, che non mancò di destare qualche scandalo tra gli ascoltatori. Non dovrebbe esser necessario di discorrere in questa prefazione della forma degli scritti, che ora si pubblicano ; ma , giacche sembra che il senso della forma si sia fatto assai delicato e schifiltoso in Italia (del che bisogna rallegrarsi) , mi affretto a dichiarare che questi volumi si presentano al pub- blico semplicemente come istrumenti di studio e materia di meditazione, non già come raccolta di facili ed amene letture, o di esempii dell'arte del comporre. Una buona parte di essi non sono nean- che scrilU proprii del De Sanctis , ma rendiconti e« riassunti di lezioni e di conferenze ; e gli stu- diosi, anziché imitar 1' esempio di coloro che sot- tilizzano sulle parole e sulle immagini , vorranno piuttosto considerare la robusta costituzione del pen- siero del De Sanctis, resistente anche ai rischi del- l' improvvisazioni orali e delle rapide traduzioni onografiche o abbreviative dei raccoglitori , che — XXII — spesso poi erano dei ragazzi! (L'Imbriani, per es., quando raccoglieva le lezioni sulla Poesia cavalle- resca, aveva diciotto anni). Oh, se si sottomettes- sero a simil cimento le lezioni e i discorsi di molti celebrati professori ed oratori nostri contemporanei, che cosa credete voi che ne resterebbe? — Quanto agli scritti proprii del De Sanctis, quelli degli ul- timi tempi sono spesso trascurati nella lingua e il disegno non vi appare sempre netto : il confronto, per esempio , fra i quattro capitoli del Manzoni e i due saggi sulla Clelia e sulla Fedra riesce certo a vantaggio di questi ultimi , scritti una ventina d' anni prima. E vero anche, che, in questi ultimi, si trattano argomenti ben più facili. Degli studii sul Manzoni io sono stato costretto ad aggravare la poca compiutezza formale , con 1' aggiungervi una coda di lezioni , anzi di brani di lezioni, che riguardano bensì alcuni punti in essi non toccati o non svolti , ma non giovano certo all' armonia letteraria dell' insieme. Pure , quando non si può fare altrimenti, la forma deve cedere il luogo alla sostanza. Si potrà notare, tra questi scritti di varii tempi, qualche lieve varietà di giudizio, come già abbia- mo accennato a proposito del Discorso sul romanzo storico del Manzoni e di alcuni caratteri dei Pro- messi sposi. Ma si badi che, tranne in qualche caso rarissimo, la varietà è di solito soltanto apparente, ossia può essere un fenomeno subiettivo del let- tore superficiale! Molto meno si troveranno nel De Sanctis contraddizioni , come leggermente corrono ad affermare i critici forse per 1' abito acquistato nel giudicare scrittori davvero incoerenti. Le sue — XXIII — pretese contraddizioni sono, tutt' al più, o impro- prietà di espressioni, o mancanza di passaggi e di determinazioni , o trascuranza nel richiamare ciò che egli aveva detto in altre occasioni, connetten- dolo anche formalmente con ciò che osservava di nuovo sui medesimi argomenti. E son difetti fre- quenti dei pensatori, che badano più alle cose che non a presentare le proprie composizioni letterarie in tenuta irreprensibile, e si dirigono mentalmen- te a chi è pronto e disposto a rifare il processo del loro pensiero. Nello scritto sulle Ricordanze del Settembrini sono accennati i difetti dell'opera, con la delica- tezza che si conveniva nell'occasione di un proemio ad un'opera postuma del martire illustre. La vita di quelle memorie è vita di superficie — dice il De Sanctis — ; e non hanno importanza obiettiva per lo storico e per 1' uomo di Stato ; e non tutto vi è eguale. Ma, anche a considerarle semplicemente, come egli vuole, quale opera d'arte, a me sembra che sieno lodate un po' troppo , specie là dove si accenna a paragonarle, e quasi a preferirle, alle Mte ■igioni. Il carissimo libriccino del Pellico ha del- . opera d' arte 1' unità del concetto e dell' ispira- zione : r opera dello scrittore napoletano è sparpa- gliata e indeterminata , oscillante fra 1' aneddoto puramente esteriore e la sforzata considerazione po- litico-morale, fra il bozzettino e la storia a grandi linee. Rappresentare il dolore e il male come un mistero della Provvidenza , e a fronte di questo mistero, porre le consolazioni della religione e del- imana pietà ; ecco il motivo dell' opera del Pel- lico, che s' impadronisce del lettore , e lo trascina — XXIV e commuove, quali che ne sieno le particolari con- vinzioni politiche o religiose. Ma i nobili sentimenti e ì gagliardi propositi del prigioniero dei Borboni non ricevono nell' animo di lui un' impronta arti- stica originale ; la bellezza della vita non dà luogo alla bellezza dell' arte. E farei un po' di tara an- che agli elogi della prosa del Settembrini , nella quale vi è assai , o m' inganno , di vezzo ed arti- fizio letterario. Per altro, il De Sanctis stesso nota che in quelle Ricordanze talora «il letterato guasta 1' uomo ». Neil' ultima parte, ossia nell' appendice, son da notare in ispecie .i due discorsi di ajìertura e di clausura, letti nella sua scuola di prima del 1848: iieir uno dei quali si mostra 1' evoluzione del suo pensiero verso i più larghi cieli di quelle teorie filosofiche sulla letteratura che superavano il puri- smo e il romanticismo e che dovevano alla lor voltf esser dal De Sanctis superate in ciò che avevanc d' astratto o d' arbitrario ; e nell' altro appare gii quel concetto ampio della scuola, che egli poi do- veva più volte esprimere , ed anche nell' articoh pubblicato su\r Antologia del 1872 e nel bel di scorso politico di Trani del 1883, entrambi qui raa colti. I versi intitolati la Prigione e i brani de dramma il Torquato Tasso ci trasportano dalla scuc la al carcere di Castel dell'Uovo, dove il De San ctis stette rinchiuso nel 1850 e 1851. Se vi è de ficiente la virtù poetica , riusciranno interessanl per la situazione stessa in cui furono composti; pei pensieri che contengono. Nel piccolo gruzzo letto di lettere, farà sorridere la prima del 1841 tra il leopardiano , il romantico e il pedantesco — XXV — e si noterauno anche alcune letterine famigliari \ in cui si rivela il suo cuore e la sua semplicità , . alcune altre di argomento politico , quelle al suo editore Morano che ci danno ragguagli sulla com- posizione di parecchi suoi lavori, e le lettere del- l' economista Cherbuliez e del letterato Gaspary, a lui dirette. I contributi biografici e bibliografici , messi in ultimo, non saranno forse inutili per chi vorrà scri- vere una buona biografia del De Sanctis che finora manca , e pel futuro curatore di una nuova, ordi- nata e definitiva edizione di tutte le opere. In- tanto , col volume delle lezioni sulla Letteratuì^a italiana del secolo XIX, e con questi due, che si pubblicano ora, si è cercato di ovviare alle man- canze più gravi ed ai bisogni più urgenti , e di dare un qualche compimento, come si è detto, alla raccolta delle opere del De Sanctis, eh' è in com- •rcio (1). Besina, agosto 1897. Benedetto Croce il) Parecchie delle cose stampate in questi due volami, e che io «vevo ricercato a lungo e vanamente, mi sono state fornite dalTa- mico Qerabdo Laurini, al quale ini professo grmtissimo per questo ed altri aiuti datimi nel corso della stampa. Il Laurini è di quelli che conservano per la memoria del De Sanctiìi un culto , che bod ^ solo di parole. I. M A N Z O N I STL'DII E LEZIONI :i iJ L i xLLTrii;itiiiiinnrrrrnrr;txtnnximtirirriiriiinmmtiiinn:tir [Nella prefazione al volume sulla Letteratura italiana n-l secolo XIX, I>. Vili, fu fatto breve cenno del corso sul Manzoni che il De-S. tenne nell'Università di Napoli nell'anno scolastico 1871-72. La prima le- gione ebbe luogo il 2y gennaio 1872 ; e il De-S. trattò in essa delle condizioni politiche e sociali di Europa al principio del secolo XIX, B del sorgere del romanticismo e delle nuove idee letterarie in con- trapposizione a quelle del secolo XVIII, per mostrare in tal modo l'ambiente donde uscirono gl'Inni sacri del giovane Manzoni. Nella seconda studiò i primi accenni dell' ideale manzoniano , cosi negli Inni come nel personaggio di Adelchi; e nella terza, sotto il mede- simo punto di vista, la figura di Ermengarda. La quarta lezione fu ;oi)sacrata all' esame del Cinque Maggio; la quinta e sesta, al Conte a Carmagnola; la settima, al coro sulla Battaglia di Muclodio; l'ot- tava, alla tragedia Adelchi, e in ispecie al primo coro di essa. Con la nona lezione il De-S. entrò in un esame minuto dei Promessi Sposi. Le prime otto lezioni furono pubblicate sul giornale napoletano la lAljrrtà (in venti numeri dell'anno IV, 1872, compresi tra il n. 31 tlel 31 gennaio, e il n. 89 del 29 marzo), raccolte dal discepolo del De-.S , Francesco Torraca. Avendo allora proprio la Libertà cessate I» le sue pubblicazioni, il Torraca prese a scrivere i ria.ssunti delle le- doni .sul Pungolo, (aprile e maggio 1872). Contemporaneamente, un litro uditore delle lezioni del De-S., del quale ci duole d'ignorare il nome, cominciò a raccoglierle per un altro gi'^rnale intitolato V Era "'« (quattordici numeri, compresi fra il n.98 dell'anno II. 9 aprile • il n. 151; 1 giugno, che riguardano le sole lezioni sui Promessi Ma. nell'anno stesso in ctii trattava del Manzoni nel suo corso del- l'Università di Napoli, e nell'anno seguente, il De-S. venne pubbli- sando sulla Xtwra Antologia quattro lunghi articoli sul Manzoni, che furono prodotti dallo stesso lavorio di pensiero che aveva prodotto le lezioni, e in buona parte possono considerarsi come un riassunto di queste. I quattro articoli sono: Il mondo epico-lirico di A- M., nel fascicolo di febbraio, La poetica del M., in quello di ottobre 1872, La materia dei Promessi Sposi e i Promessi Sposi, nei fascicoli di ot- tobre e dicembre 1873. Salvo alcune trasposizioni e parecchie omis- sioni , il primo di questi articoli corrisponde , in certo modo , alle prime quattro lezioni; il secondo alle cinque seguenti, e gli altri due alla serie delle lezioni sui Promessi Sposi. Questi quattro articoli non sono stati mai raccolti insieme, benché il primo venisse ineluso nei Nuovi saggi critici e in parte rifuso nelle ultime pagine della Storia della letteratura, e il terzo e quarto messi ad accompagnamento dei Promessi Sposi nell'edizione diamante del Barbera (1888). In quanto alle lezioni, solo una di esse, la quarta, relativa al Cinque Maggio, fu ristampata, prima dal Torraca sulla Bassegna di Roma, e poi in opuscolo dal Mandalari (editore A. Morano, 1884; 2» ediz., 1894). In questo volume si raccolgono per la prima volta i quattro studii formanti come una monografia sul Manzopi, e in appendice ad essi una serie di frammenti delle lezioni: alcuni scelti dai sunti pubbli- cati sulla Liberiti , ed altri da quelli dell' Era novella. I frammenti scelti o trattano argomenti di cui non si tratta negli studii, o svol- gono più ampiamente ciò che in questi è accennato di volo. Per compiutezza bibliografica, notiamo che il De-S. discorse del- l' ode manzoniana Marzo 1821 in una prolusione letta a Zurigo e pubblicata nei Saggi Critici, e che sul carattere di Don Abbondio tenne poi una conferenza al Circolo Filologico di Firenze la sera del 25 novembre 1873. Di questa conferenza fu pubblicato un sunto sul giornale la Nazione del 3 dicembre di quell'anno ; e lo stesso sunto fu ristampato dal Mandalari nella Piccola Rivista di Roma (a I, n. 1, gennaio 1892), e ripubblicato nel giornale letterario napoletano il Fortunio, a. V, n. 14, 31 maggio 1892, e poi nel Corriere di Napoli, a. XXII, n. 180, 11-12 marzo 1893. Ma non si ristampa qui e per es- sere la conferenza, o almeno il sunto, poco felice, e perchè non ag- giungerebbe nulla a ciò che si dice sul carattere di Don Abbondio negli studii, e nel lungo frammento delle lezioni che riproduciamo. Per le relazioni del De-S. col Manzoni , vedi un aneddoto nella commemorazione del De Meis, nel voi. In memoria, pp. 117-118]. IL MONDO EPICO-LIKICO DEL MANZONL Il 1815 e una data memorabile come quella del Concilio i Trento. Segna la manifestazione di una reazione, non solo olitica, ma filosofica e letteraria, iniziata già negli spiriti, ome se ne vedono le ombre ne' Sepolcri di Foscolo e Fin* lemonte. La reazione fu così violenta e rapida come la ri- soluzione. Invano Bonaparte tentò di arrestarla , facendo Ielle concessioni e cercando nelle idee medie una conci lia- ione. Il movimento impresso giunse a tale, che tutti gli attori della rivoluzione furono mescolati in una comune conilanna : Giacobini e Girondini , Robespierre e Danton . Marat e Napoleone. Il terrore bianco successe al rosso. \'enne su un nuovo vocabolario , filosofico , letterario e politico. I due nemici erano lo scetticismo e il materialismo, e vi sorse contro Io spiritualismo, portato sino al misticismo r idealismo. Al dritto di natura si oppose il dritto di- '. alla sovranità popolare la legittimità, a' dritti indivi- duali lo stato , alla libertà 1' autorità o V ordine. Il Medio ritorno a galla, glorificato come la culla dello spirito .rno: fu corso e ricorso dal pensiero in tutti i suoi in- dirizzi. Il Cristianesimo, bei-saglio dianzi di tutti gli strali, divenne il centro di ogni investigazione filosofica e la ban- diera di ogni progresso sociale e civile: i classici furono per istrazio chiamati pagani , e le dottrine liberali furono qualificate pretto paganesimo. Gli ordini monastici furono dichiarati benefattori della civiltà; e il papato, potente fat- tore di libertà e di progresso. Mutarono i criterii dell'arte. Ci fu un'arte pagana e un'arte cristiana, di cui fu cercata la più alta espressione nel gotico, nelle ombre, ne' misteri, nel vago e nell' indefinito, in un di là che fu chiamato V idea- le, in un' aspirazione all' infinito, non capace di soddisfazio- ne, perciò malinconica. La noalinconia fu battezzata e detta qualità cristiana: il sensualismo, il materialismo, il plastico divenne il carattere dell'arte pagana; sorse il genere eri- stiano e romantico in opposizione al genere classico. Reli- gione, fede, cristianesimo, l'ideale, l'infinito; lo spirito, il trono e l'altare, la pace e l'ordine, furono le prime parole del nuovo secolo. La contraddizione era spiccata. A Voltai- re, a Rousseau, a Diderot, succedevano Chateaubriand, Staél, Lamartine, Victor Hugo, Lamennais. E proprio nel 18L5 uscivano in luce gì' Inni sacri del giovane Manzoni. Storia, letteratura, filosofia, critica, arte, dritta, tutto prose quei colore. Avevamo un neo-guelfismo; il ISIedio Evo si drizzava minaccioso e vendicativo contilo tutto il Rinascimento. E non era già un movimento fattizio e artificiale, soste- nuto da penne salai-iate, promos.^o dalle polizie, suscitato da interessi temporanei. Era un serio movimento dello spirito, secondo le eterne leggi della storia, al quale partecipavano gì' ingegni più eminenti e liberi del nuovo secolo. Movimen- to esagerato, senza dubbio, ne' suoi inizii, perche mirava non solo a spiegare , ma a glorificare il passato , a cancellare dalla storia i secoli, a proporre come modello il Medio Evo. Ma l'una esagerazione chiamava l'altra. La dea Ragione e la comunione de' beni aveano per risposta l' apoteosi del car- nefice e la legittimità dell' Inquisizione. Ma r esagerazione fu di corta durata, e la reazione falli ne' suoi tentativi di ricomposizione radicale. Avea contro di sé nuovi interessi, venuti su con la rivoluzione: interessi economici, morali e intellettuali. D'altra parte, il nuovo oj-- dine di coso favoriva pure la monarchia, che avea contri- buito a promuoverlo. Non era interesse dei principi i-istau- rare le maestranze, le libertà municipali, le classi privile- ^'iate, tutte quelle foree collettive sparite nel vortice rivo- luzionai'io, nelle quali essi vedevano un freno al loro potere assoluto. Rimase, dunque, in piedi quasi dappertutto e quasi intero l'assetto economico e sociale consacrato da' nuovi co- dici, e si radicarono più i nuovi principii sui quali era t'on- dato. La reazione , eh' era in manifesta contraddizione con tutte le idee moderne , non potè durare. Sopravvennero a jioca distanza i moti di Spagna , di ^Sapoli , di Torino , di Parigi. Grecia e Belgio conquistavano la loro autonomia. Il sentimento nazionale si svegliava insieme col sentimento liberale. E il secolo XVIII ripigliava il suo cammino coi suoi dritti individuali, co' suoi principii di eguaglianza, con la sua carta dell' ottantanove. La reazione per vivere in questo ambiente fu costretta di venire a patti, di trasfor- marsi, pigliare idee e linguaggio modei-no: non fu più rea- zione o semplice rCv^taurazione , ma transazione o concilia- zione. O piuttosto: quel movimento, che avea aria di reazione, iati i primi bollori, era in fondo la stessa rivoluzione, che, ammaestrata dall'esperienza, moderava e disciplinava sé stessa. I disinganni, le rovine, tanti eccessi, un ideale cosi paro, cosi confidente, profanato al primo contatto col ideale, rto questo dovea fare una grande impressione sugli spiriti lenderli meditativi. La reazione era il passato ancora vivo nelle moltitudini , assalito con una violenza che tirava in suo favore anche gì' indifferenti, e che ora rialzava il capo con superbia di vincitore. L' esperienza ammaestrò che il passato non si distrugge con un decreto, e che si richie- dono secoli per distruggere l'opera di secoli. K ammaestrò pure che la forza allora edifica solidamente, (juando sia pre- ceduta dalla persuasione, secondo quel motto di Campanella che le Unyue precedono le spade. Evidentea)ente la rivo- luzione avea errato, e.««agerando le sue idee e le sue foi*ze, ed ora si rimetteva in via con minor passione, ma con un *;enso più corretto del rtvili^ . .•.niiìil.-m.ld nln iu>)l-'i v.-u.n/a che neir entusiasmo. Che cosa era dunque quei inovirueuto del secolo XIX ? Era lo stesso movimento del secolo XVIII, che dallo stato spontaneo e istintivo passava nello stato di riflessione, e rettificava le posizioni, riduceva le esagera- zioni, acquistava il senso della natura e del limite, una co- scienza politica. F>a lo spirito nuovo che giuno^eva a più chiara coscienza di sé, e prendeva il suo posto nella storia. Chateaubriand, Lamartine, Victor Hugo, Lamennais, Manzoni, Grossi, Pellico erano liberali non meno di Voltaire e Rous- seau , di Alfieri e Foscolo. Sono anch' essi eredi del secolo XV III, il loro programma è sempre 1' ottantanove, il et-edo è sempre libertà, patria, uguaglianza, dritti dell' uomo. La forma più accentuata della reazione era il ritorno delle idee cattoliche. Il sentimento religioso, troppo offeso, offende a sua volta, e si vendica ; pure non può sottrarsi alle strette della rivoluzione. Risorge , ma impressionato dello spirito nuovo, col programma del secolo XVIII. Ciò a cui mirano i neocattolici, non è il negare quel programma, come fanno i puri reazionarii , co' Gesuiti in testa , ma conciliarlo col sentimento religioso , e dimostrare che anzi quello è ap- punto il programma del Cristianesimo , contemplato nella purezza delle sue origini. È la vecchia tesi di Paolo Sarpi, ripigliata e sostenuta con maggior vigore di parola e di scienza. Notabile è soprattutto quello che ne scrisse il Man- zoni nella Morale cattolica in confutazione del Sismondi. La rivoluzione è costretta a rispettare il sentimento reli- gioso, a discutere il Cristianesimo, a riconoscere la sua im- portanza e la sua missione nella storia ; ma, d' altra parte, il Cristianesimo ha lìisogno per suo passaporto del secolo XVIII, e usa quel linguaggio e quelle idee , e odi parlare di una democrazia cristiana e di un Cristo democratico, a quel modo che i liberali trasferiscono a significato politico parole scritturali, come l'apostolato delle idee, il martirio patriottico, la religione del dovere, la missione sociale. La rivoluzione scettica e materialistica prende per sua bandiera Dio e Popolo , e la religione dommatica e ascetica lascia — 9 — le altezze del soprannaturale, e s' impregna di umanismo e di naturalismo, si avvicina alla scienza, prende forma filo- sofica, si fa valere come morale e come poesia. È lo spirito nuovo, che accoglie in sé gli elementi vecchi, ma trasfor- mandoli e assimilandoli a sé; e in quel lavoro trasforma anche sé stesso, si realizza ancora più. Questo è il senso del gran movimento uscito dalla reazione del secolo XIX , di una reazione mutata subito in conciliazione. E la sua forma po- litica e la Monarchia per la grazia di Dio e la volontà del popolo. La base teorica di questa conciliazione è un nuovo con- cetto della verità , rappresentata come un divenire ideale , cioè a dire secondo le leggi dell' intelligenza o dello spirito. Il corso ideale non fu più sovrapposto alla storia , ma fu uno con quella , ciò che Vico avea detto conversione dei vero col certo. Il qual concetto, da una parte, ridonava ai fatti una importanza che era loro contrastata da Cartesio in qua. li allogava, li legittimava, dava a quelli un signi- ficato e uno scopo, creava la filosofia della storia: d'altra parte, realizzava il divino, togliendolo alle astrattezze misti- che del soprannaturale e umanizzandolo. Il concetto adun- que era in fondo radicalmente rivoluzionario, in opposizione ricisa col Medio Evo e lo scolasticismo , quantunque appa- risse una reazione a ciò che di troppo esclusivo e assoluto era nel secolo XVIII. Sicché quel movimento in apparenza reazionario doveva condurre a un nuovo sviluppo della ri- voluzione su di una base più solida e razionale. Il primo periodo del movimento fu detto romantico in opposizione al classicismo. Ebbe per contenuto il Cristiane- simo e il Medio Evo, come le vere fonti della vita moderna, il suo tempo eroico , mitico e poetico. Il Rinascimento fu iamato paganesimo, e queli' età che il Rinascimento chia- mava barbarie, risorse cinta di novella aureola. Parve agli uomini di rivedere dopo lunga assenza Dio e i santi e la igine e que' cavalieri vestiti di ferro e i tempii e le torri i crociati. Le forme bibliche oscurarono i colori classici ; — io- li gotico, il vaporoso, l' indefinito, il sentimentale li»|uet'eeei'o le Immagini , riempirono di ombre e di visioni le fantasie. Cronisti e trovatori furono disseppelliti; l'Europa ricostruiva pietosamente le sue memorie, e vi s' internava, vi s' imme- desimava, ricreava quelle immagini e quei sentimenti. Cia- scun popolo si riannodava alle sue tradizioni, vi cercava i titoli della sua esistenza e del suo posto nel mondo, la le- gittimità delle sue aspirazioni. Alle antichità greche e ro- mane successero le antichità nazionali, penetrate e collegate da uno spirito superiore e vivificatore, dallo spirito catto- lico. Si svegliava l' immaginazione , animata dall' orgoglio nazionale e da un entusiasmo religioso spinto sino al misti- cismo, e usciva dal lungo torpore più vivace il genio della metafisica e dell' arte. Risorgevano l' alta filosofia e 1' alta poesia. Lirica e musica , poemi filosofici e storici erano le voci di questo ricorso. Ivi cerchi invano il candore e hi semplicità dello spirito religioso; è un passato rifatto e tra- sformato da immaginazione moderna, nella quale ha lasciato i suoi vestigi il secolo XVIII. Non ci sono più le passioni ardenti e astiose di quel secolo, ma ci sono le sue idee, la libertà , la democrazia, il progresso, ricoverate sotto il munto della Vergine , alitate dallo Spirito Santo. La rivoluzione vinta non minaccia più ; lascia il sarcasmo, 1" ironia, 1' ingiu- ria, e, trasformatasi in apostolato evangelico, prende abito umile e supplichevole, e fa suo il pergamo, tira dalla sua Cristo e la Bibbia, diviene 1' Ultima parola di un Credente. La Divina Commedia è capovolta. Non è l'umano che s'in- dia, è il divino che si umanizza. Il divino rinasce, ma senti che già innanzi è nato Bruno, Campanella e Vico. Nel 1815, quando la reazione era già molto avanzala ne- gl' intelletti , si che la lega de' principi si cliiamava Santa Alleanza , e si uccideva in nome della Santa Fede , fra il rumore di que'grandi avvenimenti, usciva in luce un libricci- no, a cui nessuno badò, intitolato Inni, t'oscolo chiudeva il suo secolo co' Carmi; Manzoni apriva il suo con gV Inni. Parevano due mondi opposti. Lì era 1' Lmanità senza l'ani- — li- ma e senza Dio. Qui, dopo lungo obbliodi secoli, ricompa- riva il cielo. // Natale, La Passione, La Pentecoste erana le prime voci del nuovo secolo. Natali, Marie e Gresù ce ne erano infiniti nella vecchia letteratura, materia insipida di canzoni e sonetti , tutti dimenticati. Mancata ex'a l' ispira- zione da cui uscirono gì' inni della Chiesa, i canti religiosi di Dante e del Petrarca, e i quadri e i templi e le statue de' n9stri antichi artisti. Su quella sacra materia avea sof- fiato il Seicento e 1' Arcadia , insino a che disparve sotto r ironia e il sarcasmo del secolo XVIII. Ora la poesia fa- ceva anche lei il suo concordato. Ricompariva quella vec- chia materia, ringiovanita da nuova ispirazione. Onde veniva all'Italia quella nuova ispirazione? Dissero d' oltremonte. Narrarono che il giovine Manzoni, partito d' Italia tutto pieno di Alfieri , fosse venuto di Parigi ro- mantico e cattolico, capitato in quei circoli intedescati, che facevano opposizione ali* impero, o piuttosto alla rivoluzione, e proclamavano la legittimità e il diritto divino. Parve al giovine vedere mondo nuovo , e gì' Inni uscirono da quel primo entusiasmo religioso.che accompagnava a Roma il Papa reduce, ispirava ad Alessandro la federazione cristiana, pro- metteva agli uomini stanchi un'era nuova di pace. La gio- vine generazione sorgeva tra queste illusioni ; e mentre il •chio Foscolo fantasticava un paradiso delle Grazie, alle- lizzando con colori antichi cose moderne, Manzoni rico- : ulva l'idealo di un paradiso cristiano, e lo riconciliava ••on lo spirito moderao. Il medesimo fu di Cesare Beccaria. Anche lui era stato Parigi, e n'era venuto volteriano ed enciclopedista. Da Parigi veniva la rivoluzione, da Parigi veniva la reiizione. 1/ Italia era uscita dalla sua solitudine intellettuale ed era 1 séguito, riceveva l' impulso. Il centro più vivace di quel moto europeo in Italia era sempre Milano , dov' erano più vicini e più potenti gì' influssi francesi e germanici. Là si inaugurava nel Caffè il secolo XVIII. E là s' inaugurava 1 Conriliafore il secolo XIX. Manzoni succedeva a Bec- — 12 — caria, e i Verri e i Baretti del nuovo secolo erano i Pelli- co, i Berchet, i Grossi, i D'Azeglio. Il fenomeno non era solo italiano , era europeo. Fin dal secolo scorso cominciata era una più stretta comunanza in- tellettuale nella colta Europa, aiutando a ciò anche le guerre napoleoniche. L' imperatore portava in Germania le idee francesi e riportava le idee tedesche a Parigi. Il nemico galoppava dietro al suo cavallo. Parigi diveniva un centro attivo di scambii intellettuali, di esportazione e d' importa- zione. Le idee locali , manifatturate a Parigi , prendevano faccia europea. In quel centro vivace di formazione e di diftusione l'ammiratore di Altieri, l'amico di Goethe, di Cousin e di Fauriel, s'iniziava alla vita europea, prendea r aria del nuovo secolo. Ma r uomo nuovo , clie si andava in lui formando , non cancellava l'antico; anzi vi s'inquadrava. Rimaneva l'erede di Beccaria, il figlio del secolo XVIII, 1' ammiratore d' Al- fieri. Il sentimento religioso non operò in lui come reazione, o negazione , cacciando violentemente dal suo seno le con- vinzioni e i sentimenti antichi : anzi consacrò quelle con- vinzioni e quei sentimenti, ponendoli sotto la protezione del cielo. Il nuovo cattolicismo aveva i suoi furori, le sue ven- dette , le sue esagerazioni. Il romanticismo era una vei'a reazione, perciò esclusivo ed esagerato. Quanta passione in quei romantici ! Respingevano il paganesimo, e riabilitavano il Medio Evo. Rifiutavano la mitologia classica, e preconiz- zavano una mitologia nordica. Volevano la libertà dell'arte, e negavano la libertà di coscienza. Rigettavano il plastico e il semplice delle forme classiche, e vi sostituivano il go- tico, il fantastico, 1' indefinito e il lugubre. Surrogavano il fattizio e il convenzionale dell" imitazione classica con imi- tazioni fattizie e convenzionali di peggior gusto. E per fa- stidio del bello classico idolatravano il brutto. A una super- stizione tenea dietro l'altra. Ciò eh' era legittimo e naturale in Shakespeare e in Calderon, diveniva strano, gros.solano, — 13 — ;i;'tificiale in tanta distanza di tempi, in tanta differenza di eoncepii'e e di sentire. Manzoni in tutte queste violenze d'idee e di stile non vede altro se non un contenuto religioso redivivo sulla terra, Cristo smarrito e ritrovato al di denti'O di noi. La sua anima giovanile , già piena di un mondo morale , 1 cui nobili ae- conti odi suonare ne' A ersi per la morte di Carlo Imbonati, acfcglie que' sentimenti religiosi come compimento e corona di quello. Ritorna la Provvidenza sulla terra, ricomparisce il miracolo nella storia , rifioriscono la speranza e la pre- ghiera, il cuore si raddolcisce , si apre a sentimenti miti ; su' disinganni e sulle discordie mondane spira un alito di perdono e di pace. Questo è il paradiso cristiano, vagheg- giato negl' Inni. Senti che lo spirito nuovo in quel ritorno delle idee religiose non abdica , e penetra in quelle idee e se le assimila , e vi cerca e vi trova sé stesso. Perchè la base ideale di quegl'/wne e sostanzialmente democratica ; è r idea del secolo battezzata sotto il nome d' idea cristiana, l'eguaglianza degli uomini tutti fratelli di Cristo, la ripro- vazione degli oppressori e la glorificazione degli oppressi; è la famosa triade, libertà, uguaglianza, fratellanza, vangeliz- zata: è il Cristianesimo ricondotto alla sua idealità e armo- nizzato con lo spirito moderno. Onde nasce un mondo idea- le , riconciliato e concorde , ove si acquetano le dissonanze del reale e i dolori della terra. Ivi è il Signore , che nel suo dolore pensò a tutti i figli di Eva; ivi è Maria, nel cui seno regale la femminetta depone la sua spregiata la- grima : ivi è lo Spirito , che scende aura consolatrice nei languidi pensieri dell' infelice ; ivi è il regno della pace , che il mondo irride , ma che non può rapire. Il nunzio di "Hio non si volge alle vegliate poi-te de' potenti, ma ai pa- >i'i ignoti al duro mondo. La madre compose il figliuolo in poveri panni, nell' umil presepio. Il povero, sollevando lo ciglia al cielo che e suo, volge in giubilo i lamenti, pen- ndo a cui somiglia. La schiava non sospira più, baciando 1 pargoli , non mira invidiando il seno che nutre i liberi. ~ 14 — Lo Spirito scende placabile, propizio ai suoi cultori, propizio a ehi r ignora. Il fanciuUetto nella veglia bruna chiama Maria, il navigante nella tempesta ricorre a Maria. (Ili uo- mini sono nati all' amore, nati alla scuola del cielo. Questo mondo ideale contiene in sé il mondo morale, come r aveva concepito il pensiero moderno. È il mondo della libertà e dell'eguaglianza, tolto a' filosofi e rivendicato alla Bibbia , alla rivelazione cristiana. Certo , la realtà non era d'accordo con questo ideale, clii pensi cosa era allora la Santa Fede e la Santa Alleanza. Ma il poeta era la nuova generazione, pura di passioni giacobine e sanfediste, avida di pace dopo si lunga lotta, aperta alle illusioni, facile ai rosei ideali. Dopo cosi violente espansioni nel mondo esterno, lo spirito si raccoglieva in sé, diveniva contemplativo e re- ligioso, si creava nella sua solitudine un mondo ideale. Ivi realizzava quella società che vagheggiavano Beccaria e Fi- langieri con una fede robusta, fiaccata dall' esperienza ; ivi trovava Dio accanto al fanciuUetto , alla femminetta , alla schiava, al povero, all'oppresso; ivi costruiva quel regno della libertà e dell' eguaglianza , di cui ogni vestigio, dopo tante illusioni e speranze, era scompar-so sulla terra. Il mondo religioso, ridotto vacua esteriorità, riacquistava un contenu- to, riconduceva nelle sue forme l'antico ideale oscurato nella coscienza, e, spogliatasi la sua rigidità dommatica e dottri- nale, brillava come arte e come morale. Questa era la nuova ispirazione, alta sulle passioni contemporanee, che rifaceva una poesia a' Natali, a' Gesù e alle Marie. Ciò che fa impressione sul poeta non è la santità e il misterioso del dogma. Non riceve il soprannaturale con rac- coglimento, con semplicità di credente. Il miracolo non lo esalta , non l' ispira. Lo annunzia e passa. Una delle cose più mirabili della tradizione cristiana è T adempimento delle profezie. Il poeta si contenta di dire : Da cui pre-mise, è nato ; Donde era atteso, usi ì. — 15 — L' ispirazione non esce dal suo cuore, non dalla sua fede : «•«ce dalla sua immairinazione. Non è un credo, e un motivo artistico. La mira è a trasportare il soprannaturale nelTim- niairinazione e, se posso dir cosi, a naturalizzarlo. Diresti che innanzi al giovine poeta ci sia il ghigno d'Alfieri e di Fo- scolo , e che non si attenti di presentare a' contemporanei le disusate immagini se non pomposamente decorate. L' idea (li un Redentore divino è una delle più commoventi per i cuori semplici. Il poeta si sforza di renderla concepibile e rairionevole, e ne cava il magnifico paragone del masso (1). Il sentimento rimane sperduto tra quelle onde di un' immagi- nazione concitata. Niente è più contrario al genere roman- tico. L' inno , poesia essenzialmente religiosa , è la materia propria dell' infinito e del soprannaturale , la congiunzione (leir anima con Dio, l'esaltazione spirituale in regioni acces- sibili più al sentimento che all' immaginazione. Il suo ca- rattere è la schiettezza e l' ingenuità. Non essendo più pos- sibile quella verginità della fede che rende incomparabili cri' inni ecclesiastici, i moderni hanno cercato supplirvi con gli effetti musicali, gittando nelle loro contemplazioni quel non so che vago e intimo, che fu detto sentimento roman- tico. Ma il nostro poeta rimane classico nelle sue forme : vi si sente ancora la scuola di Vincenzo Monti. Invano si arrampica tra le nubi del Sinai; non si regge, ha bisogno di toccar terra: il suo spirito non riceve se non ciò che è ciliare e plastico: le sue forme sono descrittive, oratorie e letterarie, pur vigorose e piene di effetto, perchè animate da immaginazione fresca e in materia nuova. Degli angioli e de' pastori cosi parla la Bibbia : Ecoe Angelus Domini fit jvrfa ilìos, et cìaritas Dei nircumfulsit ilìos. Et sn- I 'iito facta est cum angelo muìtitudo militiae ccelestis ìau- I ffnnfium Dei/m et dicentium ; Gloria in alfisximis Deo. il) I comentatori notano che di questo paragone il Manzoni tolse il concetto dall' inno ecclesiastico In dfdientione eccltuiaf , o da un luogo di Virgilio. Questo dee parer troppo semplice a una imma2:inazione mo- derna. Il poeta vi profonde i suoi più bei colori , ne cava tre strofe pittoresche; l'ultima strofa annunzia una imma- ginazione piacevolmente eccitata , che fa intorno all' argo- mento gli ultimi ricami. Ti nasce l' impressione di una bella apparizione, che sorprende e solletica la vista, com' è a ve- der certe fiammelle ne' fuochi artificiali , e non t' invita a raccoglimento, come quella frase, nella sua santa semplicità così piena di energia : claritas Dei circumfuìsit illos. Questa emozione, che cerca il suo appagamento nelle combinazioni esteriori di quei fatti soprannaturali, e non ha radice nelle prime e dirette impressioni del sentimento religioso, rivela un calore tutto d'immaginazione, un sentimento puramente artistico , com' è negli scrittori neocattolici di quel tempo. Di qui nasce quell' apparato rettorico, che talora vi prende il sentimento , specialmente nell' Inno della Passione o nel- r altro della Risurrezione. E sarebbe insopportabile se a volta a volta quella corrente di esclamazioni e interroga- zioni non fosse rotta dalla rappresentazione di quel mondt) morale , espresso in immagini e pensieri nuovi e semplici , che è la vera base poetica degl' Inni, il ponte che lega le antiche tradizioni co' sentimenti contemporanei. Questo ci rende così attraente il Natale e l' Inno a Maria, e comunica alla Pentecoste eloquenza e grandezza morale (1). (1) Questo punto è esemplificato così nella Lez. I: " La parte vera degli Inni , quella in cui si rivela il poeta , ancor giovane , si ha dove egli lascia il soprannaturale e tocca la terra, e vi rappresenta le impressioni umane dinnanzi alle idee religiose. Il sentimento de- mocratico esalta il poeta e lo rende semplice ed efficace, quando rappresenta il cielo come la difesa degl' infelici. " Sentite la nuova poesia che nasce ; sentite in questi versi co- lui che descriverà la madre di Cecilia in mezzo ali» peste: La mira madre in poveri Panni il figliuol compose, E neir umil presepio Soavemente il pose. — 17 — in questa licostru/ione di un mondo celeste si sviluppa ma lirica alta sulle collere e sulle cupidigie mondane, che a la sua prospettiva nell' altra vita. Il momento dramma- ,co di questa lirica è la morte , e la sua forma ordinaria *• Addio forme descrittive , addio paragoni I Eccovi il sentimento eir eguaglianza umana in un piccol tratto rimasto immortale : A tutti i figli d'Eva Nel suo dolor pensò. ' Quanta verità in questi versi: Nelle paure della veglia bruna Te noma il fanciulletto ; a Te. tremante. Quando ingrossa ruggendo la fortuna, Ricorre il navigante. Guardate se si può meglio rappresentare 1' anima della femmi- letta, abbandonata dagli uomini, che cerca aiuto alla Vergine : La femminetta nel tuo sen regale La sua spregiata lacrima depone, E a Te, beata, della sua immortale Alma gli affanni espone. Sentite il reale, sentite il terreno mostrarsi nella pienezza della éde verso quel soprannaturale descritto innanzi. Ci può essere niente i piti vero di questi versi ? Ter te sollevi il povero Al ciel eh' è suo le ciglia ; Volga i lamenti in giubilo, Pensando a cui somiglia. " Ecco la parte viva degli Inni. Quando il poeta vuol gettarsi nel soprannaturale, diventa oratorio e talora retorico ; quando si accosta fclla terra , le sue forme sono semplici ed eloquenti. E voi da ciò '■.Ttiftc l'indizio zhe quest'uomo non è nato per rappresentare l' i- (ome concetto dell'intelletto; e che, quando troverà un campo "to e determinato, svilupperà tutta la sua potenza. . Sahctis — Manzoni e tcritti vnrii. - — 18 — è la preghiera , alzamento delF anima a Dio. Questo vivo sentimento del soprannaturale che alita sul corso agitato degli avvenimenti, e ti somiglia il convento eminente sulle città e castella, dove cercava pace 1' uomo travagliato e lo- goro da passioni terrestri , è appunto la lirica del Medio Evo, è Beatrice e Laura, visioni e fantasmi nella vita ter- rena, divenute vere persone poetiche nell'altro mondo. Figlia di questo mondo mistico è 1' Ermengarda, creatura appena abbozzata, più simile a fantasma che a persona, intorno alla quale rugge la tempesta, mossa per lei, mentr' ella si leva su, con gli occhi al cielo. Niente potea meglio ritrarre quel mondo feroce e scon- volto della barbane , con le sue chiese e i suoi conventi , co' suoi angioli e i suoi santi. Nello sfondo del quadro vedi sempre su quelle agitazioni barbariche Ermengarda, la tra- sfigurazione della morte , quasi un risvegliarsi dell' anima alla vera vita. Questo sentimento della vanità delle cose terrestri , omnia vanitas , nel maggiore eccitamento degli odii umani, questo paradiso di pace e di obblio che ti fluttua sul capo ne' ruggiti di età ferine, è la più bella concezione della poesia in questo misticismo redivivo. L' antagonismo è ancora più drammatico, perchè si agita nell' animo stessa della morente, dove le rimembranze del tempo felice nutro- no r ultimo avanio degli ardori terrestri , e generano uno strazio raddolcito dalla preghiera e dalla speranza. Rinasco la malinconia, quella soavità nello strazio, quel cielo nella terra, quel paradiso nell'inferno, di cui si vede un preludio appena indicato e senza carattere ne' versi amabili del Pin- demonte. Qui la malinconia ha il suo carattere, è il natu- rale effluvio di tutto un mondo poetico. Ed è di una chia- rezza italiana, avendo la sua base non in quel vago de' sen- timenti e dei desiderii, che fu detto romanticismo, e di cui vedi le fluttuazioni e le ombre nelle melodie del Lamartin»*, ma in un concetto ben determinato del nuovo mondo poe- tico, in (juel lievito del terrestre anche tra le gioie celesti. Ermengarda morente, nella cui immaginazione si volve come — 19 — in fantasma la regina cinta la chioma di gemme, amata e imante, è non meno interessante di Laura, che desidera in •ielo V amato e il suo bel velo. È un terrestre sparente, a (]uel modo che Ermengarda medesima è una creatui*a spa- rente che ti vive innanzi nel momento appunto che muore. È uno sparire come un bel tramonto di sole, nunzio al co- lono di più sereno di. E quel dì più sereno visto in lonta- lanza inviluppa la figura del suo manto di porpora senza poter cancellare dalla mesta faccia le memorie della terra. A.nzi la poesia è li , in quelle memorie , in quel terrestre he si pone e si afferma nel momento del suo sparire. E *iu'ebbe uno strazio, accompagnato con la disperazione e la l>estemmia, se intomo alla morente non aleggiassero le im- agini di una seconda vita. Questo antagonismo cosi dram- matico i nostri antichi rendevano sensibile con quella loro battaglia dell' angiolo buono e del cattivo intorno al letto Iella morte. È un grottesco che cercava allora di rivenir u, come elemento romantico. Ma il fantastico è stato sem- pre reietto da un poeta cos'i misurato, e, sotto pretensioni romantiche, plastico come un classico e preciso come un mo- derno. Qui è il coro, celesti voci di sacre suore, che prega per la morente e accenna alle sue ansie , a' suoi terrestri rdori, con un riserbo e un pudore verginale; la frase con- tenuta liba appena gli oggetti, e pare un casto velo su quelle memorie. L'amore terrestre nelle labbra del coro riceve una prima trasfigurazione, la sua consacrazione; lo senti sparire a poco a poco secondo che la preghiera va innanzi, insino a che neir immagine del tramonto hai la compiuta fusione di tutti gli elementi, e la morente, e le sacre Vergini, e il Cielo sono una sola anima, una sola armonia (1). (Questo mondo lirico e sostanzialmente epico, anzi è la vera epit'a, quel veder le cose umane dal di sopra, con l'occhio dell' altro mondo. Nelle poesie eroiche ci vuole 1' Eroe; ma (1) Vedi sul carattere di Ermengarda i brani delle lezioni II e III in appendice, n. 1. — 20 — neir epica il vero oi'oe è di là dalla storia, innanzi al quale ogni eroismo terreno è ombra e polvere. L'infinito ricopre della sua vasta ombra ogni grandezza. Questo concetto rende altamente originale il Cinque Maggio , composizione epica in forme liriche. Molti credono che 1' ultima parte ci stia, come appiccata, quasi appendice, di cui si potrebbe far sen za. Altri , facendone una quistione di quantità , la trovane troppo lunga. E non vedono che quella parte non è un pro- dotto arbitrario e sopravvenuto nell'immaginazione, ma l'ap- parenza ultima e quasi la corruscazione del concetto , di ciò che è vita intima di tutto il racconto. In effetti, in questo mondo epico, l'individuo o l'eroe, grande che ei sia, e sia pure Napoleone, non è che un'orma del Creatore, un istru- mento fatale. La gloria terrena , posto pure che sia vera gloria, non è in cielo che silenzio e tenebre. Sul mondane rumore sta la pace di Dio. È lui che atterra e suscita, che affanna e consola. La sua mano avvia l'uomo pe' floridi sen- tieri della speranza. Risorge il Deus ex inachina , il con- cetto biblico dell" uomo e dell' umanità. La storia è la vo- lontà imperscrutabile di Dio. Così vuole. A noi non restii che adorare il mistero o il miracolo: chinar la fronte. Meno comprendiamo gli avvenimenti, e più siamo percossi di ma- raviglia, più sentiamo Dio, l'incomprensibile. La storia, an- che di ieri, si muta in leggenda, acquista fisonomia epica. Napoleone è un gran miracolo, un'orma più vasta di Dio. A che fine? per quale missione? L'ignoriamo. È il secreto di Dio. Cosi volle. Rimane della storia la parte ])opolare o leggendaria, quella che più colpisce l'immaginazione, le bat- taglie, lo vicende assidue, gli avvenimenti straordinari!, le grandi catastrofi, le mii'acolose conversioni. Il motivo epico nasce non dall' altezza e moralità de' fini , ma dalla gran- dezza e potenza del genio, dallo sviluppo di una forza eroica e quasi soprannaturale, che pur non ti dà spiegazione ade- guata di quei fatti mirabili e ti lascia intravedere una forza superiore, nelle cui mani è il destino dei regni e degli eroi, he tu senti come alito per entro a tutta la storia , insino che (la ultimo se ne sviluppa e pare nella sua verità: l^uel Dio che atterra e suscita, Che affanna e che consohi, Sulla deserta coltrice Accanto a lui posò. (Quello dunque che sembra appendice , o cosa appiccatie- ia, è intimamente connesso con tutto V insieme, anzi è lo tesso concetto o spirito della composizione. Un mio dotto mico mi dicea: «Quanto mi piace il Cinque Maggio \ non i vorrei la coda ». E quella coda è dessa il Cinque Mag- io, la sua vita interiore. Pure, quando leggo Bossuet, ricevo una impressione so- mne e religiosa. Invano cerco questa impi'essione qui. Sento he la poesia non è li, e che li e la cornice e non il quadro, A cornice è una illuminazione artistica di metafore, di apo- trofi, di concetti biblici, una bell'opera d'immaginazione, a cui non esce un serio sentimento del divino. Il quadro la storia di un genio rifatta dal genio. E l' interesse non nella cornice, è nel quadro. l)opo un magnifico preludio, a grande orchestra, che t'in- loduce di balzo nelle più elevate regioni dell' arte, ingi*an- endo le proporzioni di là dal vero, che pur paiono natu- ali in tanta e cosi subita concitazione di fantasia, viene la toria dell' Eroe in nove strofe, di cui ciascuna per la va- tita della prospettiva è un piccolo mondo, e te ne giunge na impressione come da una piramide. A ciascuna strofa » statua muta di prospetto, ed è sempre colossale. L'occhio rotondo e rapido dell' ispirazione divora gli spazii, aggrup- a gli anni, fonde gli avvenimenti, ti dà l' illusione dell' in- niio. Le proporzioni ti si allargano per un lavoro tutto di rospettiva nella maggior chiarezza e j?emplieità dell' espres- ione. Le immagini, le impressioni, i sentimenti, le forme, ra quella vastità di orizzonti, ingrandiscono anche loro, ac- uistano audacia di colori e di dluionsioni. Trovi conden- 22 sata in tratti epici, in antitesi gigantesche, in raffronti in- aspettati, in sintesi originali, la vita del grande uomo. Ti è innanzi nelle sue azioni di guerra, nella sua intimità, nelle sue vicissitudini, nella sua potenza, nella sua caduta, nelle sue memorie : possente lavoro di concentrazione, dove pre- cipitano gli avvenimenti e i secoli come incalzati e attratti da una forza superiore in quegli sdruccioli impazienti, acca- vallantisi, appena frenati dalle rime. Qui è la grandezza monumentale di questa poesia (1). Tale è questo mondo epico-lirico, sbucciato tra le mag- giori violenze della reazione, purificato e sublimato dal Man- zoni , riconciliato col mondo moderno , penetrato delle im- pressioni e delle tendenze contemporanee, contenuto roman- tico in forma classica, ispirato più dalla Bibbia che dal Medio Evo, dove r ideale più inaccessibile alla immaginazione par fuori con una precisione ed evidenza di contorni , con una misura di sentimenti, con un senso del terrestre così inti- mo e pregno di difetto , che rivelano nel giovine idealista la più viva e profonda coscienza del reale, uno spirito nel suo entusiasmo e nelle sue sintesi positivo, storico, finamente analitico. Da questa temperanza di elementi dovea uscir fuori il suo capolavoro, i Promessi sposi, cioè a dire, questo suo mondo epico-lirico calato in tutta la varietà e ricchezza della vita. (1) (Questo giudizio è svolto più ampiamente nella lezione sul Cin- que Maggio, in Appendice, § 2. II. LA POETICA DEL MANZONI Il mondo epico-lirico di Alessandro Manzoni, determinaio certamente dall'ambiente morale e letterario in cui si tro- vava, è un prodotto spontaneo della sua immaginazione. Lì Sentro c'è un nuovo mondo e un nuovo uomo, divenuto il suo tipo, il suo ideale, ch'egli si sfoi-za di realizzare ne' suoi lavori posteriori. Le sue tragedie storiche, il suo romanzo storico, sono questo s^tesso ideale calato nella storia. Ma qui si sviluppa nel poeta una coscienza critica. A quel tempo gli studii storici e gli studii critici andavano di pari passo col più esagerato spiritualismo. Era reazione filosofica etteraria e storica. La Str/ria generale delia letteratura di Federico Schlegel e il Corso di letteratura drammatica del fratello Augusto Guglielmo facevano la più viva impressione sugli spiriti. Vi si vedevano i giudizii letterarii capovolti, e mes.si giù quegli autori che per il passato erano i più ripu- tati : Alfieri con tutti gli antichi tragici italiani, e Corn.^ille, Racine, Crebillon, Voltaire, lo stesso Molière, Metastasio, Goldoni. Sorgeva una nuova pleiade letteraria fino a quel punto ignota o spregiata, Lope de Vega, Calderon, Shakes- peare, Guarino e Carlo Gozzi. Un mutamento così radicale ne' concetti e ne' criterii trovava una grande resistenza in Francia e in Italia, dove regnavano senza contrasto le forme cla.ssiche: le discussioni più vive erano intomo alla trage- dia. A (juesto rinnovamento letterario-filosofico partecipava — 24 — ]a storia. La scuola italiana, dal Machiavelli al Romagnosi, avea già le sue tradizioni, le sue opinioni stabilite. Una nuo- va scuola, inaugurata da Carlo Troja , metteva in discus- sione quei dogmi , confutava le dottrino meglio accertate. Il giovane Alessandro Manzoni era con questa. Si die tutto agli studii storici , consultando le fonti primitive e imme- diate con animo libero da preconcetti e da immaginazioni. E insieme rifece la sua educazione lettei*aria , si pose in comunione intima con Goethe, con Fauriel, iniziò in Italia la nuova critica. Il gran peccato del secolo decimottavo era di aver profanata la storia, travisando i fatti, assoggettando la verità storica alle passioni politiche. E il gran peccatore era Alfieri, che avea nelle tragedie fatto così disonesto stra- zio della storia, generalizzando gli avv^enimenti e collocando i personaggi fuori del tempo e del luogo. Da queste opinioni, da queste tendenze uscì una poetica, che ebbe una certa influenza sulla sua attività artistica, come si può raccogliere da' suoi discorsi storici e critici, notabili per finezza d'analisi e per grazia di esposizione. La gran lite, dicevo, era intorno alla tragedia. E chi vuol vedere come Manzoni concepì la tragedia, vegga prima come l'aveva concepita Alfieri. Quando Alfieri compone la tragedia ha innanzi un tipo, mettiamo il tipo della madre, del tiranno, del ribelle, del patriotta. A lui poco importa, se questo tipo sia conforme, e sino a qual punto, con la storia ; prende il nome, prende i fatti in grosso, come li trova, senza esame e investigazione propria, poi lavora lui, lavora d'immaginazione, mira a rac- cogliere nel personaggio tutte le qualità che possono rappre- sentare nella sua ultima potenza quell'ideale che gli fluttua nella mente. Cosa nasce da questa maniera di formazione? Il punto di pai'tenza non ò il reale, la storia, ma un tipo intellettivo riscaldato dall'immaginazione. Perciò la composizione e di sua natura intellettuale o tipica ; cioè a dire, i fatti non vi si succedono come sono stati nella vita e nella storia, ma sono ordinati logicamente e predisposti ad un fine così come un filosofo disporrebbe le sue idee : hai come tante proposizioni ben connesse, ordinate sotto una proposizione generale, che è il risultato, il quod erat demonstrandum. Da quest'ordine più intellettuale e logico che storico, na- sce da una parte mutilazione, dall'altra esagerazione ; perchè l'autore, mentre taglia alcune parti, che giudica estranee al uo concetto, altre le stira per alzarle fino al suo tipo. E tale è anche il meccanismo. Le famose unità vi sono anche esagerate, si va diritto e rapido, è un corso d'idee e Don è un corso di cose. E perchè il personaggio è ideale, cioè fuori della vita «x)mune, un eroe, un Iddio, parla dal tripode, a guisa di di- vinità dell'Olimpo, in tono solenne e concitato, possibilmente lontano dal linguaggio e dall'accento ordinario della vita. A questa forma assoluta e a.stratta contrapponeva la nuova critica il dramma, dalle forme larghe e libere, venute fuori da un processo generativo spontaneo, anzi che da combina- ioni intellettuali. Su questa base edificò Manzoni la sua tra- gedia storica. Manzoni non prende per base della sua tragedia una idea, ■ma il fatto storico, come è realmente avvenuto, e non si ittenta a mutarlo o alterarlo nelle sue circostanze essenziali, anzi si studia di riproduri*e la sua fisonomia fino ne' menomi particolari. Perciò, propedeutico alia sua tragedia è uno stu- dio diretto e personale del periodo storico a cui quella si riferisce; e non si contenta di pigliare la storia nelle tra- dizioni e nelle opinioni ricevute, ma fa lui nuove ricerche sopra fonti primitive, giungendo a nuove conclusioni. Prima che si manifesti il poeta, c'è lo storico originale, paziente e compiuto nelle indagini, acuto ne' giudizi!, stringente nella polemica, con molto spirito, con molto buon senso, come si rivela nei discorsi storici che accompagnano le sue tragedie, scritti con un brio e con una naturalezza, una precisione e un andamento analitico che, nel più schietto stampo italiano, ricordano i modelli più stimati della prosa Crancese. Quando di mezao a' suoi studii storici gli esce una conclu- sione nuova e interessante, ecco comparisce il poeta, eccogli innanzi l'idea e la materia della tragedia storica. La sua idea non è anteriore e superiore alla storia, come in Alfieri, ma è il risultato di ricerche serie e positive. La sua materia non è una costruzione intellettuale, subordinata a certi con- cetti e a certi tipi, ma è pura storia, riprodotta con la più scrupolosa esattezza. Perciò, mutata la base, mutato è il meccanismo, o il metodo^ com'egli dice, e ne segue una tra- gedia che è proprio il contrapposto della tragedia alfierìana. La composizione non è un nesso logico di fatti convergenti alla rappresentazione di un ideale, ma è la successione degli avvenimenti, come te la dà la storia: successione non pe- dantescamente cronologica si che l'insieme sia un tessuto di scene scucite e accozzate insieme arbitrariamente, e senza alcuna ragione intrinseca, come sosteneva Zaiotti, il Castel- vetro di quel tempo, ma ordinata con una misura o pro- poi-zione interiore, che induceva il poeta a pigliarsi certe licenze^ com'egli le chiama. E, in verità, non bisogna imma- ginarsi che il metodo di Alfieri o il metodo di Manzoni fossero eseguiti con tale assoluta esattezza da condurre al- l'assurdo. Altra è la teoria, altra è la pratica. E se il critico, generalizzando, ti dà determinazioni fisse e rigide, se il pe- dante vi si tiene stretto a spese del buon senso e della ve- rità poetica, l'artista vi si muove liberamente ed ama meglio pigliarsi le sue licenze, che contraddire al suo senso intimo. Manzoni dunque, mentre non perde mai di vista il filo cro- nologico, pur situa e sviluppa i fatti in modo che ti ri- manga sempre presente il tutto, e non sperda la tua atten- zione nelle parti : v' è in quella succe<'sione una misura o armonia interiore. E non solo ci è una misura , ma un fine, perchè li dentro ci è una idea storica, frutto di lun- ghi studii, e i fatti sono situati e sviluppati in modo ade- guati a quell'idea, si che tu non vegga un puro gioco del caso, ma una storia ragionevole nella maggior libertà e va- rietà degli accidenti. La ragionevolezza di Alfieri è un fatto — 27 — .ncipalmente logico, come fosse una successione d'idee •essaria e assoluta a modo di un sillogismo, senza alcun petto alla realtà degli avvenimenti, ch'egli adopera come istrumento de' suoi concetti, sopprimendo, esagerando, mu- tando, e ficcandovi dentro le invenzioni della sua immagi- nazione. La ragionevolezza di Manzoni è la storia in tutta la libertà de' suoi movimenti, mantenuta nella sua integrità, pur guardata da uno spirito intelligente, che può misurarla, perchè sa comprenderla. L'idea di Alfieri è l'idea sua, a cui servono gli avvenimenti. L'idea di Manzoni è quale ri- sulta dagli avvenimenti, non generalizzata, non astratta da quelli, ma colta lì in mezzo, nell' esercizio della vita, tra gli accidenti e la varietà e spesso le contraddizioni della storia. Perciò Alfieri ci può dare una composizione breve, rapida, calda, diritta, chiusa facilmente in limiti angusti di tempo e di spazio e di azione; è lui che forma la storia. Manzoni , al contrario, pei*chè l' idea non e lui che la in- venta e la realizza, ma gli è data, e non nella sua pu- rezza, quale si trova nella mente, ma già reale, mescolata e modificata nella varietà della vita, allai-ga la trama della sua composizione, off're alla immaginazione aggruppati avvenimenti varii che oltrepassano i consueti limiti delle famose unità. I limiti non è lui che gl'impone a' fatti, ma gli son dati con essa l'idea. C" è sempre Procuste; ma il Pi'ocuste non è lui, è la storia. Altra base, altro metodo, altri limiti, e ancora altro linguaggio. I personaggi non sono più iddii o eroi, tipi in forma d'uomo, ma sono veri uomini, con la loro forza e la loro debolezza, e parlano il linguaggio comune, smessa ogni convenzione, o declamazione. Cosi nacque il Carmagnola, e cosi nacque V Adelchi. In quei tempi, mancata ogni vita pubblica, i lavori letterarii anche mediocri destavano grande interesse. Le due tragedie suscitarono molti lavori critici non solo in Italia, ma anche in Francia e in Germania. Anche il massimo Goethe prese parte alla lotta. I critici inglesi e anche i tedeschi trova- rono la novit.1 troppo modesta, e nn-'i^i tiniida. A' nostri e — 28 — a' francesi parve un'audacia, quasi una profanazione. Era roba non tedesca e non francese; era pensiero originale del giovane, che pur cadendo volea si dicesse: suW orma p7~o- pria ei giace. Il Carmagnola, concepito nel 1816, fu pubblicato tre anni dopo. L'argomento non piacque al Goethe. Voleva ma- teria più vicina e più interessante, per esempio la Cessione di Parga, che ispirò poi Berchet. Ma come venne innanzi a Manzoni il Carmagnolaì Fu un pensiero storico il ten- tatore. Studiando in quell'epoca e in quella vita, gli parve un secondo assassinio il giudizio degli storici contemporanei e posteriori, che l'uno sulla fede dell'altro lo tennero reo di tradimento e punito con giustizia dal Senato Veneto ; e gli parve che il Conte fosse innocente senza che il Senato fosse reo. La sua tragedia ha un interesse storico, che si fa va- lere per sé stesso, fuori della poesia: la riabilitazione del Conte di Carmagnola. Chi abbia ragione o torto, Pietro A'^erri che accusa, o Manzoni che difende, poco importa: la tesi appartiene agli storici. Guardiamo la tragedia. I critici italiani e francesi guardarono subito al suo mec- canismo. Era la negazione di Corneille, di Racine, di Alfieri. E il vecchio classicismo si risenti. Ecco in qual modo que- sta tragedia avrebbe dovuto esser condotta col metodo clas- sico. Chauvet, dopo di averne fatta la critica, rifa la tragadia. Secondo il critico francese, il quarto atto dovrebbe essere il primo; i tre atti che precedono sono superflui. La sua tragedia comincia quando scoppia la lotta tra il Senato o Carmagnola , non potendo essere questa tragedia che la rappresentazione della lotta. Nasce ciò che in linguaggio drammatico dicesi coìli sione , il conilitto, forze opposte a forze. Il Conte è appoggiato sul suo esercito: la moglie e la figlia non dovrebbero rimanere oziose e comparire solo in ultimo a piangere, dovrebbero operare anche loro; anche il popolo dovrebbe prender pai-te per il Conte contro quella — 29 — oligarchia sospettosa che dicevasi Senato. Da una parte, dun- que, il Conte, col popolo, l'esercito, la sua famiglia: dal- l' altra, il Senato e tutti gli elementi governativi : ecco già materia suflBciente per cinque atti. E Chauvet aggiunge : dovrebbe avvenire che il Conte, vicino a schiaci^iare il Se- nato, tutt'a un tratto si arrestasse, trattenuto dal sentimento dell" onore e dalla fedeltà alla parola data. Nascerebbe la collisione al di dentro di lui, e mentr'egli esita e delibera, il Senato lo fa arrestare e condannare. Questo e il disegno del classico Chauvet. Come si vede, neppure il 1815 era riuscito a quadrargli la testa. La sua tragedia è un misto di colpi di stato, colpi democratici, e colpi melodrammatici. Manzoni , nella sua celebre lettera in risposta al critico, confuta il disegno con osservazioni giuste, che meglio chia- riscono le sue idee poetiche. È bene immaginato, egli dice, ma non ha nulla che fare con la storia. A quei tempi, po- polo non c'era, popolo consapevole di sé, tale da poter get- tare il suo peso nella bilancia. L'esercito era lontano, e se fosse sopraggiunto a tempo, avrebbe schiacciato il Senato anche contro la volontà del Conte. Le donne non prende- vano parte alle lotte politiche, rimanevano in casa e perciò non appariscono che all'ultimo. Tutto questo bel romanzetto di Chauvet non è tragedia storica; e il fondamento dell'in- teresse tragico dee nascere dal movimento storico e non da un semplice fantasticare. Se il nuovo metodo dispiacque ai classici, dovea piacere in Germania e in Inghilterra, e Manzoni trovò uno strenuo difensore in Goethe, che in due articoli successivi fece una fina analisi delia tragedia. Celebra quello appunto che era materia di biasimo. La trovavano scucita nelle scene, inde- terminata nei caratteri, fredda negli affetti. Goethe, con r aria di chi ignora le accuse, scrive lodi che sono difese. E quanto alla connessione delle scene, osserva con qual sa- pienza è condotto il primo atto, che contiene l'esposizione della tragedia. Nelle tragedie classiche, in generale, suole nn confidente, parlando al suo signore, raccontare gli ante- _ no — cedenti. Qui subito comincia l'azione, il Senato Veneto de- libera intorno alla guerra contro il Visconti; comparisco il Carmagnola, al quale si dà il comando dell'esercito; e dalla stessa azione l'autore fa intendere chi è costui, quale è stata la sua vita, ({ual è il suo carattere. La moglie e la figlia, che compariscono in ultimo , sono qui ricordate come per caso. E quando Marco, amico del Conte, lo riprende della sua alterigia e gli da consigli di prudenza, intravvedi già la catastrofe, che è prodotta appunto dall'indole subitanea ed orgogliosa del Conte. Hai dun(|ue una esposizione che è a un tempo già azione, e condotta con tale coscienza dell' in- sieme, che co lo vedi già dentro in embrione. Nel secondo atto sono due scene in contrasto che fanno presentire da qual parte sarà la vittoria : da una parte, i generali del Visconti, discordi di tendenze e di opinioni: dall'altra, il Conte, nella calma della sua forza, che dà le sue disposizioni, sicuro dell'ubbidienza. E non solo la distribuzione delle scene è assennata, ma anche la gradazione dei caratteri. La buona fortuna, la confidenza soverchia in sé stesso toglie al Conte di veder chiaro, si che cade nel tranello tesogli dal Senato; dove 11 Gonzaga, tanto a lui inferiore d' ingegno e di espe- rienza, ma di giudizio sano, non guasto dalla buona fortuna, vede subito l'inganno e non è creduto dal Conte. Il contra- sto tra la fatuità del Carmagnola e il buon senso del Gon- zaga dà luogo ad una scena che fa molta impressione sul critico tedesco. Il quale trova assai ben disegnato il Doge che rappresenta la ragion di stato, e sente e libra i diversi pareri; mentre al di sotto di lui Marino, che rappresenta l'egoismo patriottico, è pronto a spezzare un istrumento di- venuto pericoloso: e Marco, che 'rappresenta le idee di uma- nità e di giustizia, cerca indarno di salvare l'amico. Anche i due Commissarii veneti nel campo sono ben graduati : l'uno ardito, espansivo, l'altro chiuso in sé, calmo e furbo. Quanto al patetico, la tragedia, al dire di Goethe, e come un tran- quillo fiume, che, giungendo al mare, spumeggia e strepita. — 31 — ' lagrime commnovono più , quando son ben preparate e lunghi intervalli. Indi l'effetto dell'ultimo atto. Adunque, scene ben distribuite, caratteri ben graduati, tetico bene apparecchiato. Goethe ha ragione contro i itici classici. Non ci è un metodo unico ed immutabile in re. Anche Manzoni ha il metodo suo, e questo metodo è buono. Non è metodo inglese, né tedesco né francese, è nep- pure italiano: non è metodo classico, e non romantico: è il metodo di Manzoni, dove la libertà della teoria è temperata nella pratica dalle condizioni teatrali, dalle abitudini e dai pregiudizii degli spettatori. È una libertà moderata, la meno lontana dalle abitudini classiche, generalizzate, alzate a re- gola e divenute il buon gusto : parola formidabile con la quale si rispondea a tutte le novità, a tutte le obbiezioni. La lettera a Chauvet di Manzoni e gli articoli di Goethe pongono fine alla questione di metodo. Si può conseguire tatti gli eftetti drammatici con un metodo che non sia quello di Racine e di Alfieri. L'artista si forma lui il suo metodo, e non lo cerca già nella sua immaginazione , lo cerca nel suo argomento ; il metodo è la cosa stessa nel suo divenire. Pure un buon metodo non ti dà ancora una buona tra- gedia. Ben congegnare le parti, ben graduare i caratteri, bene apparecchiare gli effetti, trovar certi contrasti, gittar certe ombre , sono finezze di una conscia intelligenza. Hai innanzi una intelligenza superiore, non hai ancora il poeta. Può essere una sapiente combinazione quale ce la potrebbe dare anche un critico o un filosofo, anjhe Gian Vincenzo Gravina. La quistione di metodo non è dunque la quistìone es.«., § 3. — so- nando sé nel suo Discorso sul Romanzo storico, si chiuse nel suo discorso , come Cesare nel suo manto, e tacque. Il critico impose silenzio all'artista. E non è a dire quanto ingegnosi siano stati questi ten- tativi dell' artista intorno a un problema, che, all' ultimo, il suo senso critico dovea dichiarare assurdo. Era tra due cor- renti. Da una parte, l' incalzava quel suo mondo àe^VInni, un mondo morale superiore consacrato dalla religione, di- venuto il suo ideale, il suo mondo poetico. Collocare questo suo mondo nella sua purezza in mezzo alla storia, fare della storia un istrumento di quello, come voleva Goethe, era un rinnovare Alfieri, gli pareva una falsificazione. Giacché, dal- l' altra parte, gli stava di contro la storia, l' avvenuto, nella rigidezza della sua realtà, estranea alla sua coscienza e al suo mondo morale. Come fare ? Ti rappresenta quel mondo del Carmagnola nella sua realtà, e quando quella realtà di- viene proprio la negazione del suo mondo morale, prorompe il poeta, brilla in accenti lirici il suo ideale. È chiaro che r ideale rimane come rilegato nel Coro, senza contatto con r azione, rimane lirico, non diventa drammatico. È come un intermezzo poetico in quella prosa. Il coro greco è legato strettamente con l'azione : e la spiegazione e l' impressione di quella ; qui il Coro è la reazione del poeta, è l' impres- sione sua e dei contemporanei , la maledizione della storia in noQie dell' idea ; ma la storia continua la sua via e non r ode. 11 Coro rimane un a parte, lo sfogo del poeta innanzi ad una rappresentazione che fa sanguinare il suo cuore di cristiano e di patriotta. A poco a poco quel Coro si è sciolto dal tutto al quale apparteneva , ed è rimasto un bel pezzo lirico, gVInni in continuazione, con quell' accento e con quel- r intonazione un po' rettorica , che si purifica per via e si alza alla semplicità e verità del sentimento. Il Coro è, dunque, un primo mezzo escogitato dal poeta per situare il suo ideale. E il Coro fa stacco, ha interesse e fine proprio, non entra nella trama, scoppia in occasione del dramma, ma non vi penetra, non ne modifica l'andamento. — 37 — E ci è un altro mezzo. Il poeta crea lui un personaggio, lo gitta in mezzo al dramma, come voce o presentimento li un mondo più civile , conforme al suo ideale. A questa mcessione dobbiamo il Marco, l'Adelchi, T Ermengarda. Marco è un' immagine appena abbozzata. Lo schizzo di- ventò figura e si chiamò Adelchi. È 1* ideale dannato a vi- vere in tristi tempi , che vi si dibatte e vi si consuma. E se questo ideale avesse vera energia, se potesse impegnare una lotta seria con la sua età , come Savonarola , sarebbe esso il dramma , l' invenzione inghiottirebbe la storia. Ma poiché un interesse storico v' ha pur da essere , il povero ideale è costretto a lasciar passare la storia , e a giacere sotto il peso di quella con molti lamenti e con poca resi- stenza. Marco o Adelchi che sia, l' ideale rimane secondario innanzi alla grandezza degli avvenimenti, e si lascia tirare da quelli, invano ripugnante. Ciò che lo accora, è appunto quel lasciai*si tirare, quella coscienza della sua impotenza ; onde nasce un ideale elegiaco , passivo , mancato , lirico e punto drammatico , assai vicino a quelle creature patite e sentimentali, che allora erano in voga (1). Tentativi mal riusciti. Perchè 1' azione storica è di tanta importanza, che non patisce compagnia di elementi estranei e vuol regnare sola. Pure l' ideale investe cosi il poeta che ivi si manifesta tutta la sua genialità , .si che lungamente risuonano nelF immaginazione commossa dei lettori i Cori , il soliIo(iuio di Marco, le nobili espansioni • di Adelchi, e soprattutto, la divina Ermengarda e il Coro delle vergini Suore. Rimangono i pezzi staccati , si sperde l' insieme , si sperde quanto di profondo ha messo V autore ne' suoi pen- sieri storici : quei due mondi, messi dirimpetto, in luogo di formai-e un tutto omogeneo e concoiile. si .«sciolgono; e l'uno muore, V altro sopravvive. Goethe non approvò questa combinazione di mondo sto- •U Vedi sa questi personaggi ideali i brani delle lez. II e III App. § 1. — 38 — rico e mondo poetico, di personaggi reali e ideali. Tutto è ideale , nota l' autore del Faust ; e noi facciamo alla storia r onore di servircene a rappresentare il nostro mondo mo- rale. Manzoni approvò la conchiusione , ma non le premesse. Condannò anche lui quella combinazione; gli parve un mezzo sbagliato. Ma quelF idealismo assoluto di Goethe non gli andava, era un rovesciare da' cardini tutta la sua poetica. Mantenne la sua teoria, e cercò un altro mezzo. Ne' Promessi Sposi capovolse quella combinazione, f'ece della sua invenzione il quadro , e della storia un semplice fondo ; di modo che quel suo mondo ideale, inviluppato in un mondo storico , che gli dà tutta l' illusione di una esi- stenza piena e concreta, diviene il vero centro vivente , la unità di tutto il lavoro. Il problema a noi pare risoluto ; ma non parve a Man- zoni , che guardava quella geniale produzione con la lente della sua teoria. Faceva un romanzo storico , e gli pareva che, oltre all' interesse artistico, ci dovesse esser là dentro un interesse storico. Far comprendere bene un' epoca, mo- strarla nel suo spirito, nei suoi lineamenti, nelle sue istitu- zioni, ne' suoi costumi, ne' suoi vizii e nelle sue virtù: questo gli pareva il fine sostanziale d' un romanzo storico. E perchè quel fine non è ottenuto , perchè qui l' interesse storico è offuscato da un interesse più potente , perchè quando vuol metter fuori il capo esso solo, nasce una dissonanza e una freddezza nell' ordito, perchè al lettore importa pochissimo quello che a lui importa molto, se i fatti sieno avvenuti o inventati, e quali avvenuti, e quali inventati, il poeta cri- tico non vi ravvisa la sua teoria , non vi riconosce i suoi fini, e ripudia la sua creatura, e la giudica un essere ibrido, una sconciatura. Spettacolo interessante e molto istruttivo è la lotta fra r ispirazione e la teoria , fra la spontaneità artistica e la riflessione critica. L' artista sa quello che vuol produrre, ma non sa come produce. L' atto della produzione gli sfugge. — 39 — [E spesso gli esce altro da quello che si pensava. Se ilit'etto le' è, il difetto è quasi tutto in quello che pur vi è pene- trato del suo pensiero, delle sue teorie preconcette. Così è 'avvenuto a Manzoni, cosi a Dante e cosi a Tasso. La loro genialità li salvò dalle loro teorie. Manzoni lavora sopra un concetto dell' arte, se non falso del tutto, certo esagerato non meno che quello di Alfieri. Lavora con ostinazione, cerca nuovi mezzi, pur mirando allo stesso fine. E, nondimeno, la sua produzione gli e.sce sempre dissimile da quel concetto; il suo fine rimane inappagato, il suo problema rimane insoluto, e lascia la penna malcon- tento. Dovea conchiudere contro il suo concetto, e non contro la sua produzione. Pare involga nella stessa condanna l'uno e r altra. Modestia d' ai'tista e superbia di critico. Perchè la sua produzione si ribella al problema come V ha posto Un, in luogo di fare un ritorno sopra di sé e rettificare il problema , formandosi un concetto più giusto del romanzo storico e più in armonia con la sua ispirazione, si affretta a conchiudere: dunque, la mia poetica ha ratrione, e lamia poesia ha torto. Il torto è tutto della sua poetica, e 1* errore sta nel falso concetto che si era formato del reale e dell' ideale. Il reale per lui è l'esistente e l'avvenuto, il reale della natura e il reale della storia. E per lui il reale dell' arte non è altra cosa, e il reale naturale e storico è quello che i nostri antichi , duce Aristotile , chiamavano l' imitazione della natura. Ma qui comincia la differenza. L' imitazione aristotelica non era riproduzione, era trasformazione. Posto che la natura è una immagine imperfetta dell' idea, l'artista, secondo la scuola aristotelica o classica, si dee studiare di rendere il reale possibilmente conforme alla sua idea. La natura innanzi all' arte è come materia greggia , destinata ad essere lavorata e trasformata dall' artista, sì che risponda a quel tipo di perfezione, che è nella nostra mente, e non 8Ì trova in nessuna parte. Perciò l' istrumento proprio del- l'arte non ó r o<n risponde il suo reale storico. Natura e storia sono og- 'ti inadeguati a quel suo mondo ideale. La conseguenza vi'ebbe essere questa: che l'arte trasformasse storia e na- ia, sì che ne venisse una realtà ideale conforme al suo »ndo. Ma, e cosa diventerebbe il suo reale positivo? Non potendo conciliare i due termini, li distingue e li me l'uno dirimpetto all'altro, segnando bene i confini: di la l'esistente e l'avvenire, di là l'inventato, di qua reale, . là ideale. Soluzione logica, posto il sistema, ma così infe- e, che egli medesimo se ne avvide più tardi senza che l'ciò gli venisse in mente di porre a nuovo esame un si- ■ma da cui usciva conseguenza sì strana. Positivo e ideale ? f'no dee vincere; o il positivo si mangia l'Ideale, o l'ideale si augia il positivo. Fatto è che il sistema, se ha fatto danno agli scolari, ha iito piccola influenza sul maestro. Il grande artista, ab- ridonandosi alla sua ispirazione, è uscito spesso vittorioso ' volontari limiti che s'era imposto. Il reale positivo non t impedito che egli raggiungesse un reale più profondo e 1 succoso, il reale dell'arte, un reale cioè dove senza sua [)uta si è andato a ficcare quell' ideale, che egli cercava un mondo a parte, superiore ed esteriore al suo reale. Chi vuole giudicare i suoi lavori secondo il suo sistema, >n ne verrebbe a capo. Poiché Manzoni è artista a dispetto ! suo sistema, facciamo proprio il contrario di quello che Ji fatto lui : condanniamo il sistema e glorifichiamo l'arti- sta, secondo gl'immortali principii dell'arte che il genio in- consapevole applica senza il sistema e spesso contro il sistema, III. LA MATERIA DEI PROMESSI SPOSI. «Che fa Manzoni?» domandava Goethe ; e Cousin: «Fa un i-omanzo, con l' intenzione di una maggiore esattezza sto- ica che non è in Walter Scott, e di un'applicazione precisa '\ vero metodo storico. » — « E qual è l'argomento? » — II secolo XYII a Milano. » — « Il secolo XVII a Milano ! Manzoni è milanese; avrà studiato bene questo secolo. » Ne altra era l'aspettazione in Italia. «Che fa Manzoni?» — < Manzoni fa un romanzo storico, più storico che non sono i romanzi di Walter Scott. » — E si attendeva il parto del nuovo ^^^alter Scott. Ne altra era l'intenzione dell'autore. Si appai'ecchiò al voro con studii storici severissimi, come avea fatto col Car- ./lagnola, e come più tardi fece con V Adelchi. E di quella diligenza di studi rimase testimonio non dimenticabilo la Co~ '^ntia Infame. Se volessimo esaminare i Promessi Sposi col metodo di oethe e dello stesso Manzoni, domandando cioè, innanzi tutto, qual e l'intento dell'autore, ci troveremmo in un bell'im- piccio. Quel metodo era un buon rimedio verso i critici, che, irtendo da concetti assoluti, facevano essi il lavoro, e in luogo di guardare ciò che ivi eiu, fantasticavano su quello che avrebbe dovuto esserci secondo le regole della poetica della rettorica. Quel metodo era una buona arma di guerra »ntro quella critica: l'autore parea dire: guardate, signori. — 48 — ciò che ho voluto fare io , e non ciò che vorreste voi ; se volete essere buoni giudici , siate un po' meno voi , e un po' più l'autore. A una critica astratta quel metodo opponeva una critica intenzionale, ciò che V autore ha inteso di fare. E se un lavoro fosse sempre ciò che l'autore ha inteso di fare , se fosse sempre l' espressione esatta delle sue inten- zioni e delle sue idee, quello sarebbe il metodo. Ma dall' intenzione al fatto è un gran tratto, E il critico non può tener conto delle intenzioni, se non in quello solo che è penetrato nel libro ed è divenuto un fatto. Sicché il metodo più sicuro e concludente è di guardare il libro in sé, e non nelle intenzioni dell'autore. Nondimeno, uno studio sulle intenzioni dell' autore non e mai superfluo: non è ancora la critica, ma è già una pro- pedeutica. Cogliere l'autore nel momento della concezione, scrutare i suoi fini , le sue idee , i suoi preconcetti, le sue preoccupazioni , è una conoscenza preziosa della natura e della intensità di quelle forze produttive, dalle quali esce il lavoro. Poi, volere o non volere, sempre alcun che di quel mondo inteijnizionale penetra nel libro, e ci giace al di sotto, come motivo o come ostacolo. Né qui è necessario di fan- tasticare, perchè Manzoni è là con le sue Confessioni. Noi sappiamo qual concetto erasi foi'mato del romanzo storico , qual fine voleva raggiungere, ed abbiamo la trista conclu- sione che quel fine, a parer suo, non è stato raggiunto, per- che assurdo e contradittorio in sé stesso. Stabilite le inten- zioni del!' autore, la critica ha il diritto di discuterle e mo- strarle, quando sia il caso, irragionevoli ; e se il libro è con- forme a quelle intenzioni, tanto peggio pel libro. Questo ho voluto io fare, ragionando in un altro mio scritto della poe- tica di Manzoni. A' posteri fa spesso compassione il vedere da quali storte preoccupazioni sia stato assediato un gran- d' uomo , nel poi-re mano al suo edificio. E la storia , alto giudice, cancella ogni vestigio di quelle preoccupazioni, che pure agitarono e variamente interessarono i contemporanei, e s'inchina riverente all'immortale opera. Chi ricorda più — 49 — tutte le critiche e le regole e le intenzioni che tormenta- rono il povero Tasso ? Sono la parte pettegola e aneddotica della storia. E nessuno oggi più tien dietro a quelle qui- stioni cosi ardenti, e pure così piccole, che interessarono tanto Manzoni e i suoi contemporanei, com'era la quistione delle unità, e r altra dei personaggi reali e ideali, e che cosa è il romanzo storico, e in che proporzione stanno storia e poe- sia, e se e come si può fondere insieme inventato e acca- duto. È maraviglia come uomo vivuto in quest'ambiente vi si possa elevare e respirare aria libera. E maraviglia è appunto il grand' uomo che fece questo miracolo. Certamente, chi fa la storia della critica dee tener conto delle quistioni anche più piccole, perchè sotto le forme più umili traluce sempre il pensiero umano nel suo cammino ascendente. Quelle quistioni, divenute piccole a cinquant'anni di distanza, hanno pure agitato i più nobili spiriti di quel tempo, che ci vedevano, con più o meno di coscienza, nuovi orizzonti aperti alla scienza ed all'ai'te. Era, in fondo, la lotta tra l'idealismo e il realismo, o, come diceva Manzoni, tra l'inventato e l'accaduto, e gli spiriti più elevati, e perciò spassionati e conciliativi, si affannavano alla soluzione di que- sto problema: sviluppare un mondo ideale in un mondo sto- rico. Il problema era mal posto; pure la sincerità e l'ar- dore della ricerca e la serietà de' tentativi, quella tensione dello spirito intorno a nuove fonti e a nuovi assetti del- l'arte, sono sempre stimoli non ultimi e non deboli nelle produzioni geniali. L' opera, mossa da certi preconcetti, li ol- trepassa, viola gli arbitrarli limiti personali e intenzionali, e riesce a risultati generali e permanenti, che non erano nella mente dell'autore. Manzoni voleva fare un romanzo, che avesse a un tempo un grande interesse religioso e morale; voleva «luel mede- simo che volle nel Carmagnoìa e neW Adelchi. Ivi il mondo orico è di tale importanza, che ha i suoi fini in sé me- desimo , e non lascia che parti accessorio ed episodiche a Marco, Ermengarda, Adelchi, ideali passivi e queruli, fuori De Sa^ctis — Manzoni e scritti rarii. 4 — so- di posto in un mondo che non li comprende , perciò lirici , punto drammatici. Accnnto a una storia terrena senti, in que- sti ideali e ne' cori le voci di un mondo divino , impotente a trasformare quella, rimasto staccato e malinconico. Non ci è intima fusione, e non ci è serio antagonismo, non ci è il dram- ma; e che importa? Ci è appunto l' accento scisso de' tempi di Foscolo e di Leopardi: ideali patiti, predestinati martiri, fuori della storia e vittime della storia , presentimenti di tempi più umani , più vicini a quello schema divino , e si- mili più alle aspirazioni solitarie dell'immaginazione indi- viduale, che a fatti nazionali e storici. Sotto questo aspetto Marco, e soprattutto i due nati ad un parto, Adelchi ed Er- mengarda, sono, in quella serie d'ideali che ispirarono molte fantasie negli inizii del secolo, tra le più fresche e originali concezioni della musa italiana. Come sia nata in Manzoni l'idea àe' Promessi Sposi, la- geio a' raccoglitori di aneddoti. Certo, e' ci si mise con una serietà di studi positivi e originali , quasi avesse in animo di fare una storia propria e vera. Ma ci si mise assediato sem- pre da quel suo ideale indocile, rimasto lirico, anche dove l'autore voleva fosse drammatico. Pure, ammaestrato dalla esperienza, questa volta si guardò di scegliere a materia del lavoro qualche gran personaggio o fatto della storia, che non avrebbe concesso libero e principale luogo al suo ideale , come è nel Carmagnola e neW Adelchi. E scelse un fatto tolto da' più umili strati della società, materia libera di in- venzione e d' immaginazione, di nessuna importanza storica in sé, anzi uno di quei tanti fatterelli curiosi, che sono la delizia delle cronache e sogliono solleticare l'immaginazione popolare. Questo fatterello, situato in un certo periodo sto- rico , con tali condizioni di tempo e di luogo , in tale am- biente, fra tali costumi e opinioni, dovea porgere all'autore un modo naturale e facile di sviluppare, attorno ad esso, tutto un secolo. Questa ^ra l'aspettazione pubblica; e questo era pure l'intendimento dell'autore. Renzo e Lucia avrebbero COSI poco immaginato di essere materia storica , come un — 51 — pastore potrebbe immaginare di essere re. La storia non è nossa da loro; anzi è la storia che move loro. Senza i grandi attori della storia, Lucia e Renzo sarebbero stati sposi fe- lci e contenti, predestinati all'obblio; l'ultima pagina del racconto sarebbe stata la prima e la sola della loro vita, e, ■i volerla stirare, appena se ne sarebbe cavato un idillio. E il genio maletìco della storia , nella pei*sona di don Ro- drigo , che li fa ballare contro voglia , e tira nello stesso ballo i più umili attori, avvezzi al prosaico vivere e lasciar rivere, come sono le Agnesi, le Perpetue e i don Abbondi, e non lasciati vivere, girati, come burattini, da quell' ignoto capocomico, che dicesi spirito del secolo. E qui è appunto l'interesse di questo racconto: che le avventure non prodotte, ma patite da questi innocenti personaggi, non sono l' effetto del caso, o di combinazioni fantastiche, dette romanzesche, perche materia comune del romanzo; ma sono il risultato palpabile di cause storiche, rappresentate nel loro spirito e nella loro forma con una connessione cosi intima e così lo- gica, che il racconto ti dà l'apparenza di una vera e pro- pria storia. In questo senso elevato nessun romanzo merita al pari di questo il titolo di storico; se vero è che romanzo ^ storico non è quello che dia di un secolo un concetto ad d= agnato e pieno, come r intend eva JVianzoni e come V aspetta- ""vaflO l eontétnporanci, ma 6 quello, la cui trama è tessuta da unospirito os.-ervatore e positivo, che 'li ;i!!"nuiua^iiui- zione la base solida de"nioti\i .' d.'-li rv. i. Ma cosi non l'intendeva Manzoni; e gii parve, a uivnn- ncikla e rotto il fascino dell' ispirazione, che quel suoline non l'aveva ot- tenuto; anzi, che il romanzo storico fosse in sé un genere iln'ido e assurdo; e dall'ammirazione de' contemporanei fece appello alla severità de' posteri. La posterità è cominciata , e non mi pare che quell'ammirazione si scemi; anzi mi pare che, se alcuna cosa di lui e dimenticata, è appunto quella sua magra definizione e quella sua crudele sentenza. In ve- rità, se voleva il romanzo storico quale lo concepiva lui , quel fatterello sarebbe stato non il vero centro animato del — 52 — racconto, ma il pretesto, un semplice filo intenzionale , col quale avrebbe piacevolmente tessuta la storia di quel tempo nella sua idea e nella sua realtà. Ma, nel caldo della com- posizione, si rivela artista, e quel fatterello gli desta un così potente interesse, e tanto se ne impressiona e vi s' innamora, che r interesse storico rimane un accessorio, e la storia al- tro non è se non un immenso materiale messo a' servigi della sua immaginazione. Pure, quelle sue definizioni e quelle sue intenzioni vogliono farsi valere: e_se difetto è in que- sto lavoro, è appunto là, dove alcuna cosa penetra di quelle definizioni e di quelle intenzioni. Perchè, intestatosi in quel suo interesse storico, vuole proprio persuadere il lettore che tutto è storia pura; e, come Ariosto, invoca anche lui il suo Turpino , e spesso apre lunghe parentesi e intramesso sto- riche, vere appendici e annotazioni e dissertazioni, da lui cucite col racconto , non senza rincrescimento del lettoi'e , che per acquistare una pretesa illusione storica, alla quale non pensa , si vede guastare sul più bello la sua illusione estetica, alla quale tutto si abbandonava. L'autore se ne ac- corge, e talora invita il lettore a saltare tutto un capitolo. Il suo buon senso di poeta protesta contro le usurpazioni de' suoi preconcetti storici. Togliete tutte quello appendici , e niente toglierete al valore storico del racconto ; perchè la storia è, non in tutta quella erudizione, ma in quel soffio oc- culto che anima e genera gli avvenimenti e dà a quelli l'impronta del secolo. Anzi dirò, che più l'autore si affatica a suscitare in noi un interesse storico , e meno ci riesce ; perchè niente più ci raffredda, quanto il vedere troppo sco- perta e insistente la intenzione di uno scrittore , massime quando vediamo quella intenzione fattizia mettersi a tra- verso delle nostre naturali impressioni (1). (1) Delle digressioni e discussioni storiche del M. il De-S. giudica così nella Lez. XI: " Alla prima pagina compariscono i bravi. Egli poteva dire in poche parole che cosa essi erano e perchò avevano messo radice in Lombardia. Ma, volendo persuadere bene che ciò che dice è storia, è cosa autentica, rompe il racconto e parla dei bravi. — sa- li romanzo storico, come lo concepiva Manzoni, non ci è qui, ed è bene che non ci sia. Ci è invece il vero romanzo storico, quale glielo fa incontrare il suo squisito senso d' ar- tista. La storia è qui, non la sostanza o lo scopo, ma la larga base, di dentro dalla quale esce alla luce la statua del pen- siero e dell' immaginazione: una base non segregata e indi- pendente come un piedistallo, ma vera causa generatrice, il fondamento e il motivo occulto che mette in moto gì' incon- sapevoli attori. Onde nasce quella fusione armonica della • •araposizione, che desideri nelle sue tragedie storiche, dove ia storia è dessa la sostanza e lo scopo , e rigetta dal suo -eno ideali estranei invocati dall'immaginazione. Nessuno può ■ lire che fine del racconto sia qui il ritratto della domina- tone spagnuola, o in modo più generale, una storia poetica del secolo XVII in Lombardia: se cosi fosse, non sarebbe un romanzo storico, ma una storia in veste di romanzo. Ed è invece un vero romanzo storico , perchè la storia è qui un semplice materiale, a cui il romanzo dà la forma. Lettori, ditemi in fede vostra, vi siete mai dato carico di del loro modo di vestire, dell'influenza che avevano, delle leggi o gride che li riguardavano; porta i testi, cita i legislatori; spende in- somma due pagine, producendo una digressione. Se le digressioni fos- sero brevi, come questa, e rare, non ci sarebbe male; ma, trascinato dal suo mondo intenzionale , spesso Manzoni dimentica di scrivere un romanzo e di avere innanzi un mondo ideale inventato, e arresta il racconto e vi dà interi capitoli storici, destinati a compierò il quadro del secolo XVII. Quando entra in iscena Federico Borromeo, gli è consacrato un capitolo; quando comparisce Don Ferrante, c'è an capitolo intorno a' costumi e alle forme letterario di quel tempo. Tutto questo ò bello a leggere, e se mi si dimandasse: vorreste voi, por l'armonia delle parti, sopprimerò quei capitoli? risponderei: no, ; ••rcht- l'esposizione è cosi animata, ù fatta con tanto spirito, sa così impadronirsi dell'anima del lettore, che voi, se per l'impazienza di seguire il racconto vorreste correre innanzi, calmata quella, in una seconda lettura ci trovato tale attrattiva che non avreste il coraggio di (lire all'autore: togliete questo capitolo. Ma, rispetto alle leggi dell'armonia e della proporzione nella concezione artistica, eviden* temente questo è un difetto: meno grave nel Manzoni che in altri poeti, dominati parimenti da intenzioni estranee all' arte „. — 54 — ciò che è qui storia e poesia, di ciò che è inventato e di ciò che è storico, e de'confini che dividono questi due generi ? — Voi non ci avete pensato; voi avete gustato il libro, come un tutto omogeneo e concorde ; e libro gustato così è libro riuscito. L'Italia era un paese romanzesco e fantastico; i romanzi di cavalleria avevano formato il suo spirito, e non presi sul serio, ma piacevole trastullo di immaginazioni vivaci e oziose, non ancora temperato da un senso serio della vita. Torquato Tasso cercò alle sue invenzioni una base nella storia, e non riusci, perchè lo spirito italiano, e lui per il primo, era an- cora impregnato di elementi fantastici e idillici in quel vuoto della coscienza. Quello che Tasso tentò, fece Manzoni. Viva era allora l'opposizione.'norT'sòlo verso quel vuoto fantastico che era stata la delizia de' nostri antenati , ma verso quei nuovi ideali scarni e rettorici de' tempi di Alfieri e di Fo- scolo. Si può ora vedere quale significato e quale impor- tanza avesse il nuovo genere venuto in moda , la poesia storica. Non era già un bisogno di conoscer la storia per mezzo della poesia, quantunque anche questo se ne possa cavare ; ma era un bisogno più vivo del reale : l'immagina -_ zimie fastidita di quel fantastico e di quelle astrattezze, che cercava nella storia un nuovo nutrimento. Questo era l'in- dirizzo preciso del secolo XIX, e Manzoni fu l'uomo di questo indirizzo. Ma, nella prima esagerazione, le menti si confusero, ■ e, come prima tutto era immaginazione, allora tutto dovea es- sere storia , e lo stesso Manzoni vi si smarriva , dando al vero positivo, cioè al vero della natura e della stoi'ia , im- portanza maggiore che 1' arte non può consentire. Pe rchè air arte non importa nulla che il suo contenuto sia storico ^sla Inventato: ma ciò che le importa assai, è che il suo contenuto, o storico, o immaginario, sia reale. E il reale nell'arte non è l'accaduto; non è natura e non è storia, ma è il loro riflesso nell' immaginazione, come li reale in filo- sofia è il loro riflesso nell'intelletto, e come il reale in reli- gione è il loro riflesso nel sentimento. È là, nell'immagina- — oo — zione, che natura e storia sono covate ed elaboiaie', tu t-soono a vita nuova, vita che non è riproduzione, ma vera produ- zione, con carattere e fisonomia sua. Quando l'immaginazione lavora in sé stessa e produce della sua sostanza, trastullan- dosi come fanciullo co' suoi castelli di carte, senz'altro scopo della sua attività che un puro gioco, avviene la decadenza dell' arte ; ed è segno di rinnovamento , quando natura e storia, esagerando anche la loro importanza e cercando di sostituirsi a quella , la richiamano all' osservanza del reale. Queste esagerazioni, o del vero intellettjvo^ astratto o del vero positivo e storico, sono sempre indìzio di crisi benefiche, ^appresso alle quali rKornarTa~s"alufe. Chi getta uno sguardo sulle ultime sorti della nostra letteratura, vedrà che dalla esagerazione^^ ideali intellettivi e^strattLsQDOJUScitLParinij SlSeri e Foscolo , e dalla esagerazione del vero naturale e storico è uscito Manzoni e ìa sua scuola. E poiché sono in questo discorso, noto che oggi ritoma la stessa esagei*azione con altro nome, perchè quello che a' tempi di Manzoni di- cevasi vero positivo, naturale e storico, oggi dicesi realismo. E, quantunque i fenomeni di questo realismo esagerato espri- mano una certa lassitudine e superficialità dell' arte , pure non me ne spavento; perchè uno studio, anche eccessivo, del reale ha sempre una efficacia educativa sulf Immagin azione , f^he si rinfresca e ci si rinnova. SI può dire che il realismo -ia un riposo necessario della stanca virtù formativa, men- • re lo spirito dato all'osservazione lavora a preparare e ac- -umulare un altro materiale; che spoltrisca l'immaginazione; porgendole nuovi stimoli e nuovi motivi. Tale benefica virtù aveva anche allora quella tanta voga di storia, si che, come nel passato secolo tutto era filosofico, allora tutto era storico. La storia svolgeva l'immaginazione dalle astrattezze e dalle vane cogitazioni, dagl' ideali nudi, e la tirava fuori da' so- liti repertori, mettendole innanzi un materiale nuovo e con- fato, perfettamente determinato nei suoi motivi, nelle sue idee e nelle condizioni della sua esistenza. L'immagina/inìp. lavorando sopra un materiale positivo, e mossa da qu. Ut. — 56 — . mossa dallo stesso ardore della investigazione storica, poteva assimilarselo, scaldarlo, idealizzarlo, dargli una forma ve- nuta di colà dentro, ispirata e prodotta da esso medesimo, una forma storica, anche dove il materiale sia inventato, storica nella concezione, nel disegno, nel colore, nella mi- sura e nell'armonia, una forma che è poesia, e ti pare sto- ria. Guarda il materiale storico ne' mediocri ; rimane grezzo, o senza forma, o in forma fantastica e arbitraria: quasi la immaginazione lavori per conto suo, e non sia immedesimata con quello. Guardalo ora ne' Promessi Sposi. Già fin dalla prima pagina ti senti in pieno Seicento ; leggi un pezzo di cronaca di quel tempo. E quando comin- cia il racconto, ti è innanzi una lunga descrizione, che spesso pare scritta da un geografo o da un naturalista, anziché da un poeta: così preciso è il colore locale fin nei minimi particolari. Per lo più, nelle descrizioni di sczMttori italiani, la grande preoccupazione è di trovare l'effetto estetico con tali ingegnose combinazioni di ombre e di luce, con tale la- vorio d'immaginazione, che si abbia non la veduta, ma la b ella ve duta. Non basta il paese, ci vuole il paesaggio, un paese raffazzonato in modo, che produca non il suo eftetto, ma certi effetti, classici o romantici, secondo le scuole. Qui la preoccupazione è di rendere accessibili all'immaginazione anche più infingarda le figure e le disposizioni del sito, con esse le impressioni che naturalmente producono, se e quando ; e l'ettetto estetico non si cerca, ma s'incontra, in dati mo- menti, quando il sito stesso lo porta, e consegue più il suo fine, perchè i suoi colori non sono fregi dell'immaginazione, ma parte anch' essi del luogo, colori locali. Vedi uomo che descrive dal vero, quello che gli è innanzi all'occhio, e nota tutto, e tutto comprende, e tutto ti vuol far comprendere, con la curiosità paziente e attenta d'intelligente osservatore, anziché con l'animo concitato e distratto di artista. E dico osservatore intelligente, perchè qui tutto è natura, ma na- tura guardata e disposta da una mente superiore, che l'oi'- dina, l'analizza, la spiega, la mette in moto, le dà vita come — 57 — a persona, sì che quel lago che divien fiume e torna lago, quelle riviere , quei valloncelli , quei viottoli , quei monti hanno apparenza di figure mobili che ti camminano innanzi e prendono posto. Secondo che vai avanti, le impressioni si staccano dalle cose, e si fanno sempre più vive, insino a che, nell'ultimo, l'autore, quasi voglia godere dello spettacolo, se ne stacca e si fa a guardarlo, e ti dà la sua impressione estetica. E come nelle descrizioni, cosi nelle narrazioni. Vedi la stessa minuta cura di ogni particolare storico, quasi l'autore copii modelli che abbia innanzi vestiti e atteggiati così e così. Tutto il secolo ti sfila avanti nelle sue abitudini e at- titudini, nelle sue opinioni, nelle sue tendenze, nelle sue classi , nelle sue violenze e nelle sue codardie , nelle sue forze più grossolane e appariscenti e più occulte e delicate, e in tutte le sue gradazioni e variazioni , dal più umile villaggio sino alla superba capitale. Trovi già nel villaggio il secolo nel suo spirito e nei suoi elementi : il nobile so- perchiatore col suo castello e co' suoi bravi; il borghese con la sua mezza coltura, istrumento corrotto e basso di quello, com'è il dottore, il console, il podestà; il popolino, sotto la doppia servitù, incolto, credulo, tutto quasi ancora natura, come Renzo, Lucia, Perpetua, o già attratto e parte assi- milato in quell'atmosfera, imparatavi l'arte del saper vivere, come il curato e l'oste, e sino il monaco che va alla cerca, sino anche un po' Agnese. Tutto comincia e finisce nel llaggio; pare non ci sia altro cielo, che quello sia tutto il ondo; Milano è un nome grosso, come chi dica oggi Ame- rica. Pure, assistendo all'orgia di don Rodrigo, tra quei di- scoi*8Ì e quelle dispute vedi come a travei-so di un foro nuovi cieli, e pur gli stessi ; vedi, come in confuso e In im- magine, ridotta tutta la storia che segue. Da Lecco a Monza, da Monza a Bergamo, da Bergamo a Milano, 1' orizzonte si ingrandisce, le propoi-zioni si allargano, le viste si variano, i nomi sono più rotondi, i personaggi più grossi ; pur trovi sempre quel nobile, quel ])orghese e quel popolo: il villag- — 58 — gio è già tutta quella società in miniatura. E tutto si spiega alla vista non successivamente, a modo di descrizione, come in una camera oscura, ma per intreccio e antagonismo di forze umane, come in un vero dramma ; insino a che, ces- sata ogni opera di uomini, e quando il racconto sembra fi- nito, le fila si riannodano con epica solennità, entrati in iscena i formidabili fattori della collera di Dio, fame, guerra e peste. L'Angelica o l'Armida che dà moto a tutta questa mac- china , è Lucia. È intorno a lei che si sviluppano, combat- tendo , tutte queste forze storiche. È da vedere se 1' avrà Renzo, a cui è promessa, o vincerà don Rodrigo, impuntato ad averla lui. Qui è tutto l'interesse del racconto. E sembra impossibile come avvenimenti così grandiosi e tante pas- sioni e tanti grandi personaggi debbano servire a scopo cosi piccolo e così poco interessante. Perchè Lucia non ha niente di straordinario, che la renda eminente sopra tutto un se- colo che pur gira intorno a lei. Non è un' eroina foggiata dall' immaginazione , privilegiata di tutte le buone qualità ; che dico? non si può neppur chiamar bella. La è di una stoffa molto ordinaria, còlta nelle più basse sfere della vita : una di quelle contadine giovinette e casalinghe, intatte an- cora come pur ora uscite dalle mani della natura, buone, pure e semplici in un ambiente viziato, di cui non si ac- corgono , tutte mamma e confessore, vergognose e trepide innanzi alla castità di un primo pensiero amoroso. L'im- maginazione si vergogna di abbellire una creatura così sem- plice, e te la presenta quale tu giureresti di averla vista tante volte in qualche villaggio. La società non l'ha ancora modificata , e mal potresti dire a qual secolo appartenga. Cosa è in lei che t'interessa tanto? È un fiore pur mo' nato, olie la società calpesta e passa. Di fiori simili n' abbiamo visti tanti. Cosa è che questa contadina ha tanto potere su di noi? possiamo diro insieme con l'Innominato. Conta- dine scopertesi Ci'^Wo di regine, poverette scopertesi in ul- timo milionarie, abl)iamo visto ; ma Lucia rimane quella che — 59 — è : non abbiamo ancora visto povera contadina destare tanto interesse , che intorno a lei pugnino uomini e Dei , forze umane e forze celesti, e si mettano in moto tutte le molle sociali. Questo pare impossibile, e ancor più pare impossibile che vero intreccio e antagonismo ci sia in condizioni così di- suguali di lotta. Perchè tutte le forze sono dall' un canto, e dall'altro nessuna speranza di resistenza. Può ben farsi as- segnamento sul caso sul miracolo, e ne uscirebbe un ro- manzo d' intrigo , che altererebbe profondamente il suo ca- rattere storico. Pare impossibile che Lucia desti tanto in- teresse. E lo desta. Pare più impossibile che un serio anta- gonismo ci sia. E ci è. Quale è dunque il Deus ex machina?- Qual' è la forza di Lucia? E qual' è la forza che entra in urto contro tutte le forze storiche? Una è la foi'za che rende interessante Lucia, e rende serio l'antagonismo, e crea i) dramma. Questa forza è 1' ideale. Ci è un reale e un ideale in antagonismo, 1' uno rispon- dente alronPine de' fatti, l'altro all'ordine delle idee ; runa al mondo com'è, l'altro al mondo come doo essere. E questo intende Marizòni, quando divide con t;iiii:i [uocìsione storia e poesia. E questo intendevano puro i suoi contemporanei, ne' quali nota fondamentale era l'opposizione del reale e del- l' ideale. Storia è Carlomagno e Desiderio , il regno della ' iolenza e della scaltrezza; poesia è Adelchi, il regno della t'rità e della giustizia in contraddizione con quello, e Adelchi la coscienza di quella contraddizione, e vittima della co- ienza. Manzoni era idealista , come erano tutti in quei ■rupi di agitazione e ricomposizione sociale. E il problema ii tutta la sua vita fu di sviluppare il suo ideale in un mondo storico, dandogli tutte le condizioni di una esistenza ]»ositiva, in opposizione agl'ideali troppo nudi allleriani, e d'accordo con la tendenza generale del nuovo secolo, cTTe ad un idealismo, spinto sino al fantastico e al mistico, univa uno studio del reale, spinto sino alla più scrupolosa esattezza 'orica. Conciliare questo tendenze, armonizzarlo, calare la i'oesia nella storia, e alzare la storia a poesia, creare tra — 60 — noi la tragedia storica e il romanzo storico, fare di modo che il lavoro abbia un doppio interesse, un interesse storico •e un interesse poetico, un doppio interesse che pur sembri uno, una poesia che abbia tutte le apparenze della storia, e una storia che abbia tutta l'efficacia della poesia, fu il sogno di Manzoni. E giungere così a questo scopo, di divulgare e propagare il suo ideale con la doppia potenza della storia e dell'arte. Ciò elle salvò Manzoni dalle generalità rettoriche di un apostolato ideale, fu il suo squisito senso del reale svilup- pato e fortificato da seri studi storici. Calato con la mente in un dato spazio di tempo e di luogo, vi acquista l'occhio scrupoloso e scrutatore dello storico ; sicché quel secolo ti è innanzi non solo nella sua esteriorità più minuta, ma an- cora nel suo spirito e ne' suoi motivi interiori. Non e' era, e non ci è ancora in Italia, una storia come quella, scritta con tanta precisione di particolari, e insieme con tanta fi- nezza di analisi; sicché tutto é denso e tutto è trasparente. E la conclusione della storia è questa, che il mondo vi era regolato dalla forza, ciò che Renzo chiamala lega de' bir- boni : una forza incolta, aiutata dalla scaltrezza di una col- tura mezza e pedantesca, divenuta suo strumento, una forza, alla quale non era rimedio la legge scritta, o non curata, o rivolta spesso a furia di cavilli contro quei medesimi che doveva proteggere. Questa era la storia da Lecco a Milano ; questo era il secolo in Lombardia, e un po' dappertutto in Italia; violenza e corruzione e servilità nelle reggie, ne' ca- stelli e nei conventi, tra preti e laici, tra nobili e borghesi. Quella lega d'insolenza e di vigliaccheria, di violenza e di astuzia, ti rivolava una società, non nella rozzezza della sua origine, ma nella corruzione: era la decadenza. E decadenza vuol dire che le forze intellettuali e morali regolatrici della coscienza e ideale della società ci stanno, si, ancora ; ma solo in parola e in iscritto, senza più niuna efficacia sulle vo- lontà, e meccanizzate, senza più movimento in sé stesso. Ci era la nobiltà, ma il suo ideale viveva solo nelle immagini — 61 — de' maggiori ; ci era il convento , ma già guasto uè' suoi stx'aii superiori ; ci era la monaca, ma non ci era quasi più la santità e la spontaneità della vocazione; ci era il frate, ma il suo ideale era solo nelle sue massime e nelle sue prediche; e appena il suono delle campane e il rumore delle processioni ti annunziava che questa società era cristiana e cattolica. La virtù era ipocrisia, la coltura era pedanteria. Tutti avevano imparato a scuola o in chiesa o ne' libri i comandamenti di Dio e le più belle sentenze morali, le quali servivano a decorare 1 periodi di don Ferrante e il cica-» leccio di donna Prassede. Ora una società in decadenza la si può guarire meglio ristaurandovi l'antico ideale smarrito, ma non perduto, che con ideali affatto nuovi. Questo è ciò che diccsi ideale dì ritorno; ed un ideale che ha la forza di ritornare, si rifa giovane, perchè, gittando via la scoria, e riacquistando l'antica purezza, appar nuovo, e ricupera il suo movimento interno, la sua virtù evolutiva e trasforma^ tiva, si che può ricevere in sé elementi nuovi e moderni. Di tal natura è l'ideale manzoniano, il più puro e insieme il più moderno di tutti gì' ideali , non dirò della reazione, ma della restaurazione europea : un ideale vecchio, già smai*- rito tra le caricature e i sarcasmi, e cHè^ ora riapparisce HuiSé'nna, v^chia conoscenza non mai del tutto dimenticata. E riapparisce come cosa nuova, che si ta~vla" nella tua co- scienza, perché parla il tuo linguaggio e sente i tuoi senti- menti; onde, ancora che antico, produce nuove impressioni. Questo ideale non è dunque un se mplice ritorn o, ma una nuova formazione, é un passato che ha insieme tutte le qualità ITel presènte ; e una nazione che ha ancora la forza di appropriarselo e ringiovanirlo e trasformarlo, vuol dire che ha ancora la forza di guarire: ciò che sotto forma «li restaurazione è un vero risorgimento. Queste erano le spe- ranze di Manzoni e di molti nobili intelletti di quel tempo: ueste erano le aspirazioni di una scuola illustrata da R^ mini. Gro ssi, Gi no, Capponi, Tommasc(). i, Balbo, M.i^vnnn d'Azeglio, una scuola, di cui la .•^i ancora «In — Gu- fare, e che si può chiamare dal suo capo scuola man zoni ana (1). Or questo ideale, che chiameremo di ritorno, ha sotto l'aspetto esteriore un gran vantaggio sugi' ideali nuovi : che questi, non avendo loro fondamento nella tradizione, rimangono nella regione delle idee, e ti riescono in arte razionali, nudi, lirici, personali, come neWIacopo Ortis, o anche celati nella storia, come ha fatto Alfieri, vi si mischiano, ma non vi si immedesimano, o rivelano più l' impronta dello scrittore che del tempo ; dove l' altro è di sua natura storico e nazionale, e fa parte del tempo, e si rivela più nel naturale movimento e antagonismo de' fatti, che nelle astratte generalità dei ra- gionamenti e de' movimenti lirici. E guardate come Manzoni ha potuto qui collocare questo ideale. Non è già una idea venuta di fuori , una idea per- sonale e moderna , che penetra fìttiziamente nel processo storico ; ma è l' idea del tempo e com' era nel tempo , viva ancora nella semplicità della credenza popolare , e anche presso le classi corrotte rimasta occulta e dimentica in qual- che nicchia del cervello, e capace di muoversi e di svolgersi al tocco di commozioni straordinarie, come nell' Innominato € in don Abbondio. E non dee parere strano che in tanta dissoluzione morale sieno pure alcuni individui elevati, che realizzano in sé quel!' ideale nella sua forma più pura, come sono Borromeo, Cristoforo e Padre Felice, i quali in società ancora sane sono il riflesso della vita generale, e qui ci deb- bono apparire uomini straordinari , o , come si dice , eroi. Onde sorge la naturale opposizione tra la società in cui quel- r ideale è oscurato , e questi personaggi in cui brilla della sua più viva luce. I quali non sono già^^ come Savonarola, riformatori appassionati della società, ma ci vivono con sem- j)licita di vita : predicando con la parola e con 1' esempio , facendo quel po' di bene che loro è dato, con naturalezza di (1) Questa storia il De-S. abbozzò nel corso di lezioni del 1872-78 sulla Scuola liberale, pubblicato nel volume La Letteratura italiara ■del secolo XIX. — 63 — uomini dabbene e con ardore di credenti. L' opposizione ò nelle cose , e non nelle intenzioni e non nelle azioni. Sono elementi in contrasto di uno stesso processo storico, le varie facce di uno stesso ideale in un tempo, in cui fra tanti tristi spiccava tanto più il Santo. Un'azione semplicissima mette in moto questi elementi, ti crea il conflitto drammatico, svi- luppa r opposizione. Lucia è promessa sposa a Renzo, e don Rodrigo ha scommesso che l'avrà lui. Sotto una lotta cosi ristretta s' intravvede una lotta più importante, il cozzo di quegli elementi. Don Rodrigo è il primo anello di tutta la catena degli oppressori, che pesano nella bilancia in suo fa- vore; Renzo e Lucia sono gli oppressi. Lucia non ha altra difesa che la sua purezza e semplicità; la forza di Renzo e nella coscienza netta e pronta del suo diritto; non gli può entrai'e in capo che la sua sposa non dee essere la sua spo- sa. È chiaro che, animandosi la lotta , essi debbono incon- trare nella loro via e in loro favore tutte le forze ideali di quella società. Questo ideale religioso-etico penetra dunque in tutto il materiale storico , non come una forza estranea , ma come parte esso pure di questo materiale, esso pure storic o, del temjx) e nel tempo, dove latente e teorico, dove operoso e militante. Chi vuole avere una immagine di questo ideale non aggiunto, non soprapposto, ma compiutamente realiz- zato in un materiale storico, anzi parte di e.«so materiale, pensi che gli è come una bella storia tessuta in una tela e tessuta con le stesse fila e con gli stessi colori. Tutto che e qui inventato o poetico o ideale, come direbbe Manzoni critico, è cosi propriamente intessuto nella trama, che pare tutto un solo materiale variamente atteggiato, e non senti alcuna differenza tra ideale o reale, accaduto o inventato, storico o poetico , se non solo nelle preoccupazioni del cri- tico. Il poeta ha tutto fuso in una stessa trama, e tutto ti pare storia, e tutto è poesia, né ti sai render ragione per- chè Renzo e Lucia debbano essere meno reali e meno po- .«ìitivi che i bravi l'Innominato o Borromeo, tutti insieme, — 04 — personaggi storici e inventati, cresciuti nello stesso ambiente. piuttosto mai non ti accade che tu , leggendo, ti faccia la domanda: dov'è storia e dov'è poesia? Perchè la storia ti pare poesia , e la poesia ti pare storia , o , per dirla in un altro modo, perche tutto ti pare nato a un flato e a uno stampo, e non te ne viene nessuna impressione dissonante. Io medesimo, uso alla critica, non mi son fatto questa do- manda , se non perchè se l' è fatta Manzoni ; e non posso pensare di questo libro, se non lo chiudo; perchè, se sto con quel libro innanzi , non sono più buono a nulla , non osservo, non penso nulla, e vivo là dentro, e ci godo e ci sto COSI bene, che mi sento più felice nella folla de' lettori ingenui, che nel piccol numero de' critici. Ma, se tutto è qui un solo materiale storico , tutto vi è guardato da un solo punto di vista. Ci è qui certamente il secolo XVII in Lombardia, ma guardato da un uomo situato in modo che non può abbracciarlo tutto con l'occhio, e non te lo dà se non quanto e come gli viene innanzi. Chi vuol trovare il secolo in tutta la sua veiùtà, cioè in tutto il suo spirito, smetta, che questa non è storia, e di storia non vi è che il semplice materiale ! Il poeta lo guarda da dentro il suo mondo ideale , e a traverso a quello. E gli oggetti acquistano quel valore che ad essi viene di là , e sono più meno interessanti secondo la luce che su loro piove da quel mondo. L'ideale è come il sole che illumina gli oggetti senza snaturarli. Gli oggetti rimangono storici ; ma è il mon- do morale, dove sta collocato il poeta, che li rende visibili, e distribuisce variamente la luce e i colori, e dà a ciascuno il suo luogo nella nostra attenzione. Così avviene che una povera contadina, ultima nella scala dell'interesse storico, e che appena potrebbe pretendere a un posticino in una cro- naca aneddotica, raggia qui di vivissima luce, e desta tutto il nostro intei'esse, perchè è la prima nella scala del mondo morale, da cui prendono gli oggetti misura e valore. E ap- punto perchè e' interessiamo grandemente alla sua sorte , nasce un antagonismo serio tra il mondo morale, mosso non — t).J — da lei, ma per lei, e il ferreo secolo, dove le sue pari sono vittime nate. La storia e preordinata a questa lotta, perchè distribuita in due gruppi ricisi nella loro opposizione , dei quali portano la bandiera sino all' ultimo padre Cristofoi*o e don Rodrigo. E in mezzo sta 1" eterno ventre del genere umano, esseri passivi, che sono co' più forti, amanti del quieto vivere e tirati pe' capelli all' azione da esterna necessità , esseri buoni e innocui , che, senza saperlo, decidono spesso degli avvenimenti e producono gravissimi danni , com' è di don Abbondio. Padre Cristoforo, don Rodrigo e don Abbondio sono i tre personaggi principali nella lotta che si combatte intorno all' innocente Lucia : sono le tre forme in cui vien fuori il mondo morale, vero centro e anima del racconto. E cosa è questo m ondo morale ? Ma è V antitesi di quel secolo di violenza, di corruzione e di servilità, com' è stato descritto. È il diritto opposto alla forza , la purità opposta alla corruzione, il sacritizio opposto alla servilità, e, per dirlo in una parola sublime che lo compendia tutto, è la carità: qualità che, prese insieme, fanno 1' eroe cristiano, e che, più o meno, risplendono nei personaggi ideali, con qualche faccia più speciale in ciascuno. Cosi in Renzo si affaccia più spe- cialmente la coscienza del diritto, in Lucia la purità di una Madonna, in padre Cristoforo il sacrifizio di un martire, e in Borromeo la carità di un apostolo; e tutto insieme que- sto è il mondo, come l' ha pensato Manzoni e predicato path'e Felice. Collocati in questo mondo, i don Roe vi è »°»^,tantolS^^a5n^^'55n5nt55élffi^ ,^i^ Trovi qui un qua ron«nato^ che aggiunge allo n-lSrr«>n un- am quasi d 'Udm .^_^^_^ _j^„^ ^„, «razio: perché il «<'»"»'<"^, °™ nza della sua servitù, violenza, e i, «'--^na" urde ^orento ha quasi faccia di « uno stato di cose '™''""''.' % „ ,erità storica s'impone un assetto normale e ti^anqu. lo. La ieg»,i„ne e air autore che ti fa «n «""f ° ""„ ,ella sua crudele vert- enza indignazione, un l"»'' ° "^^^ ^nimi ftnamente edu- ^, pure di «a.-lf^^nr^^rl le plebee violenze del cati, che non sono .n ami linguaggio. patriottico e penetrato visi- Questo contenuto ■""8"'" ^ E non è gi» 1» demoera- ,,i,u,ente da un so^o ^^^^^^J^-,ia, iotta e vittoria ,„, come 1. s' intendeva ne seeo^ ,. ^^^„. „^. ,,,.,le classi inferiori «""' »'^„ , 'l^bei tenere il primo tura del i-om.nzo, vedr* ^■!;™f ,„[tare e vincere di rin- ,„„,„ neir attenzione *« '«*^:^^^,i „<„„tti. Pur quesU non :z::i^:^^^ ^- - '••"^" """'■' — 68 — sciocco anacronismo in un secolo, dove non era ancora alcun sentore di uguaglianza sociale e di diritti individuali. Lotta non e' era, perchè non ce n' era il sentimento. E popolo non e' era, o per dir meglio, e' era il popolo, quale con una co- noscenza cosi profonda e insieme così ironica 1' ha messo in iscena Manzoni. Gli stessi eroi del romanzo, Renzo e Lucia, non pei'dono mai la coscienza del loro stato, e senza mara- viglia mangiano a tavola distinta nel banchetto dato in loro onore dal signore del castello, anzi la loro maraviglia fu di essere visitati da quello, sì che parea che anche le scabre e nude pareti, e le im-pannate e i deschetti e le stoviglie si maravigliassero di ricevere fra loro un ospite cosi stra- ordinario. Qui ci è democrazia in un senso più elevato ; per- chè qui gli individui sono interessanti non per le loro (qua- lità intellettuali o sociali, o di classe, o di fortuna, ma per il loro valore morale. Lucia e Renzo interessano, ancora che plebe, e padre Cristoforo interessa non meno che il cardi- nale Borromeo, la cocolla non meno che la porpora. Xon è il titolo, e non la ricchezza, e non la dignità, e neppure la scienza, che crea l' interesse estetico ; è il carattere morale, non privilegio di classe o di professione, ma partecipe a tutti: ideale democratico, che è la negazione di ogni aristocrazia di convenzione. Il contenuto adunque è in sé stesso nuovo e interessante. Ma cosa è il contenuto ? È materia greggia. Non è ancora arte. È il dato del problema, non è il problema. E quei cri- tici , che in prò o contro Manzoni discutono astrattamente delle sue opinioni , del suo ideale e del suo reale storico , sono fuori dell' arte, e non aggiungono e non tolgono nulla al valore del libro ed alla grandezza dell'artista. La quistio- ue vera è questa : dato un contenuto così o così, vive egli ? Contenuti astratti, nuovi e interessanti che sieno, non hanno nlcun valore, se il poeta non ha la potenza di farli ritiettere nel suo spirito e riprodurli come un nuovo organismo, dove si senta l' impressione fatta nel cervello, e l'elaborazione e^la nuova formazione. Or questo processo interiore costituisce — 69 — ciò che in linguaggio scientifico dicesi fwma, da non con- fondersi con simile paròla adoperata da' l'etori a significare le sue apparenze più gro.^solane. Un contenuto religioso, patriottico e democratico e più o meno il segno che questo secolo porta in fronte, comune ai mediocri ed a' sommi. La grandezza si misura dalle qualitii personali che vi spiega l'artista. Ed è solo su questa via che possiamo spiegarci perché Manzoni sia salito a un posto cosi elevato nella opinione universale. IV. 1 PROMESSI SPOSI. , • .o ; rasaci lettori di questo La prima cosa che ^'-^^''^^: ,^uo nuovo e nel suo ,.„manzo, fu la sua or.g.naWà,;o» . ^__^ ^^^^^^^„ spirito e nella sua >»» «'"^ " ' ,„ ^ez.o agli strati soe.al., /ale e -ligioso, v.vente -e ^^^^ „„,„va aneoracM P'^^'^f ' ! T !° tiero e del sentire modei-no. La e insieme informato '"•IP^fwta nelle più minute eu- ,„a materia è tutta part.colffle, '^=» . ^^ ,d a„ intrigo eltanze con «na «ata eP« ,; ^.^re perciò novissimo. „,eito dalle visce.-e ^'^^^J;'^" ; ^^^. .^olpiu la ne » 1- èra del reale. . . difetto, anzi 1' -deale e Non é gii che IMdeale ,iu, ■« ^^^^ ^i ^,i,„pp„ ,„ ,„i tutto «n mondo -r ^ ,„" ^-.^osettimo. e diviene la mezzo al «O""'^'"",.'''' ^rpì-oprio lo seopo del racconto tendenza, se non vogliamo d,,p P ^^^,„^ e C„n.e ne- drammi e ne romanz. P^^ ^^^^. __^. „ ehiara la tendenza >>»" »"'^';,; , assegnazione , della canta mondo morale, il »°'»"'J:'^;:iuo'rioso e lucente tra e , della P'^'^i-'W'"--' ="' Hdla realtà storica. E non sob passioni e i P^J^^^ ^e a separa.! da. contenuto è qui un mondo ideale. e a porsi solo esso nella immaginazione de' lettori; ma non si può neppur dire a prima vista che esso emerga natural- mente dal seno del contenuto. Anzi è eJiiaro che esso è un mondo perfetto e divino, che preesiste nella mente dello scrit- tore, a quel modo che dicono l' anima non solo distinta dal corpo , ma preesistente a quello. Mantenere l' ideale nella sua pui'ezza e nella sua perfezione, considerare la vita come un semplice velo , di sotto a cui esso trasparisca nella sua integrità , questo era il domma dell' arte antica , 1' assioma di tutte le critiche. Quelli che avevano più vivo il senti- mento del reale vi aggiungevano un cotal processo di for- mazione , sicché r ideale fosse pienamente calato nella vita e vi simulasse tutta V apparenza di quella. Ma, volta e gira, l'ideale rimaneva pur sempre quello, puro e astratto, e il reale non era altro che un velo o involucro, più o meno den- so, più meno vicino alla vita. Questa concezione a -priori di un mondo ideale assoluto, voglio dire in tutta la sua perfezione morale, determinava anche il congegno del racconto. Perchè, essendo quell' ideale una vera forza o anima di tutto il materiale, vi stava al di sotto come un vero Deus ex machina, e lo componeva e disponeva secondo una sua propria logica. I fatti vi erano ordinati come momenti esteriori del suo organismo, vi s' im- maginava una opposizione fittizia alzata a quel livello e per- ciò anch' essa maggiore del vero, nasceva un intrigo che si avvolgeva e si svolgeva secondo l' impulso e l' indirizzo che gli veniva da quello. L'ideale, adunque, non era solo un mon- do perfetto in opposizione alla natura e alla storia : ma era pure una trattazione conforme, una specie di etica e di lo- gica in azione e in tutta la simulazione della vita. Da Dante ad Alfieri questo era il mondo poetico, di cui ultimo esempio fu r Ortis di Foscolo. Sono visibili le orme di questo mondo antico dell' arte , divenuto convenzione, in questo romanzo, guardando al modo fom' e stato concepito e condotto. Lucia, padre Cristoforo e Federigo Borromeo , sono esemplari perfetti
  • ua vita propria. Essa non ha immaginazione e non ha ini- ziativa , non ha ricchezza sufficiente per rappresentare de- gnamente r ideale del poeta. È un ideale, se posso dir cosi, iniziale e passivo, rimasto così com'è stato stampato e fazio- nato dalla madre e dal confessore , senz' alcuna discussione e opposizione interna , senz' alcuna deviazione o transazione venutale dall'esperienza della vita, senz' alcuna capacità di malizia e di riflessione. La vita, appena schiusa , rimane lì, ignorante e inconsciente , e senz' alcuna forza di resistenza e di difesa. Fanciulle simili vennero poi in moda, Ildegonde e Lide e Ide e Marie ed Eugenie, nuove Arcadie e nuove pastorellerie. Sono degenerazioni di quella giovinetta così semplice e cosi terribile nella sua debolezza. Perchè ella e in fondo il sentimento religioso e morale comune a tutti , alterato e diminuito nell' esercizio della vita, e, in quel cuore adolescente, intero, tranquillo, sicuro, naturale come in sua propria sede , che, tocco appena, manda suoni tanto più ter- ribili , quanto meno consapevoli. Che sa Lucia , quale ter- ribile efietto debbano produrre sull'animo dell'Innominato queste parole così semplici : Dio perdona tante cose per un'opera di misericordiaf II nome di Dio, pronunziato con energia di predicatore da padre Cristoforo, irrita e provoca don Rodrigo ; uscito con semplicità, senza alcuna intenzione di effetto , da quelle labbra innocenti e supplichevoli, vln3e e trasforma l' Innominato. Perdona tante cose ! Frase vaga, come un suono musicale, ma terribilmente concreta per quel- r uomo , che si vede sbucare avanti tutta la serie de' suoi delitti. Queir ideale, rifuggitosi nell'ingenuo e inconscio petto di una fanciulla, è una immagine assai più poetica e più persuasiva, che non le parole più ardenti e più calcolate di padri e di cardinali. Certo è in lei non so che troppo elevato, troppo tipico, che ce la tiene a distanza come fosse — 81 — una Madonna , è in lei troppo della santa, ed assai pot*o di quel femminile , che ci rende cosi amabili le Giuliette e le Margherite (1); soverchia idealità, corretta dalla vicinanza di due pei'sonaggi stupendamente concepiti e umanizzati, Renzo e Agnese , la cui bontà nativa profondamente modilìcata e variata dalla esperienza della vita, dall'azione della società, dalla qualità degli avvenimenti, comunica loro una compiuta e interessante individualità. Agnese è una Lucia in remi- niscenza , COSI l>uona e credente , cos'i educata e fazionata ma divenuta nel corso degli anni , tra gli accidenti della vita e in quell'atmosfera paesana, un po' come tutte le al- tre : larga di maniche , con non troppi scrupoli, con la sua malizia , col suo saper fare , massaia , ciarlona , semplice e vera nella sua volgarità , con tutti gli abiti buoni e cattivi contratti nella ba.ssa sfera in cui è natii , la è una brava donna di villaggio. La stessa bontà e in Renzo, con gli stessi abiti contratti nella sua sfera , ha 1' aria del paese ; ce lo rende amabile quella sua forza ed inesperienza giovanile ^ accompagnata con un ingegno ineducato , ma pronto, vivo, perspicace, pieno di spontaneità e di originalità nei suoi giu- dizii e nelle sue mosse improvvise , spesso spiritose senza cercar lo spirito , col suo lalinorinn , e con la sua lega dei birboni: sempre vero. In tutti e due e' è una certa vena di comico , che na^ce appunto da quelle imperfezioni e abitu- dini e inesperienze, penetrate in quel fondo di l»ont;i e di sincerità. Protagonisti del mondo ideale sono padre Crisiuimu, eht- é il suo cavaliere errante, il suo tipo; don Rodrigo, che e il suo lato negativo ; e don Abbondio, che e il suo lato co- mico. Lo studio dell'autore non e di accentuare quei tipi, anzi è di raddolcirli e individuarli , introducendovi un com- plesso di circostanze e di condizioni particolari e locali. (1) II De-S. tocca di nuovo del carattere di Lucia in uno dei •noi Studii 8u E. Zola , dandone un giudizio che suona un po' di- verso da questo ed è ah^uanto esagerato : vedi nei Nttovi aaggi eri- tiri, 7.» ediz. , pp. 381-2. I ' y Sahctis — Manzoni e ter itti tmrii. 6 — 82 — Padre Cristoforo è una buona natura, guasta dall' educa- zione, insino a che, percossa la mente da un fatto di san- gue, si spoglia la ruggine e ricomparisce di sotto il buon metallo. La sua vita è una lunga espiazione , una reazione contro r uomo antico. Le stesse sue cattive abitudini si tra- sformano. Quel suo umore battagliero e avventuroso diviene energia e iniziativa nel bene. Quel suo falso orgoglio, quel fare stare i prepotenti , prendono forma di ardente carità, di olocausto della sua persona al bene de' prossimi. Sotto altro nome e sempre lo stesso Ludovico, mutato scopo e in- dirizzo e teatro. Ma le macerazioni , le penitenze , le vo- lontarie umiliazioni non valgono a spengere in tutto 1* an- tico Adamo , che pur talora risorge e si ribella , ciò che rende più di-ammatica la vittoria del convertito. Il suo ideale è r umiltà evangelica, il perdono delle offese, che brilla an- cora più in animo naturalmente violento. L' opposizione non è così importante che costituisca un serio interesse dram- matico , ma basta a gittare una varietà di accento e di co- lore in un ideale troppo assoluto di santo (1). Don Rodrigo è lo stesso ideale preso a rovescio : natura violenta e inculta , guasta ancora più dalla falsa educazione e dalle male abitudini della sua posizione sociale. Non è già un tipo di malvagio, un vero contro-ideale. Questo è certo il posto assegnatogli nel romanzo , questo il suo significato ; ma solo come genere. La sua individualità è prodotta da un complesso di motivi storici. Egli è il nobilotto degenere di villaggio, l'antico feudatario che reputa tutto intoi*no, uo- mini e cose, come roba sua, e cerca far valere il suo dritto con la forza, circondato di bravi. Il mondo non è più lo stes- so : ci è lo stato e la legge ; ci è un' ombra di borghesia incontro a lui, il podestà, il console, il notaio, l'avvocato: questo lo rende anche più cattivo, costringendolo a congiun- (1) Trasportato dal suo recente entusiasmo per lo Zola, il De-S. giunge a chiamare, nello scritto citato, Padre Cristoforo " una ca- ricatura di costruzione ideale „ ; dimenticando le argute osserva- zioni fatte in questo studio. i — 8H - gere con la violenza Y intrigo e la corruzione. La sua vita •"^n ha scopo : l' ozio rode in lui tutto ciò che di elevato uvea posto natura e lo volge al male. Pesa su di lui l' at- mosfera della sua classe. Ciò che lo spinge e lo frena è que- sta interrogazione: — cosa diranno di me i miei pari ? — Onde nasce il puntiglio, il falso punto d' onore, che lo rende osti- nato in un primo passo, e cangia la velleità in volontà, e lo tira di grado in grado sino al delitto. Le beffe del cugino : ritratti dei suoi antenati operano più in lui che la stessa :~ua liltidine. Una scommessa è il piccolo principio, da cui nascono avvenimenti molto serii, dov'egli si trova imbarcato ' inchiodato al di là di ogni sua intenzione. Casi simili hanno por lo più a movente la libidine o la passione: il motivo è qui un puntiglio, un voler spuntare ì' impegno , motivo co- mico, pure altamente tragico per 1' ÌD>fM>rtanza che ha nella coscienza di tutta una classe. Chi guarda ben addentro ve- drà che don Rodrigo non è il peggiore de* suoi pari. Ci è nel fondo del suo cuore un avanzo di buoni sentimenti, ohe lo rende pensoso innanzi alle parole di padre Cristoforo , e benché stesse tra banchetti e stravizi , pur non vi si mo- stra COSI cinico, come i suoi compagni di orgie. Egli è come tutti gli altri, pure il men tristo di tutti gli altri. Il suo peccato è di esser nato tra quei pregiudizi e in queir at- mosfera viziata : ciò che falsifica nella sua coscienza la no- zione del bene e del male e gli dà un torto concetto del- l' onore. Pure la fatalità della sua posizione morale non lo giustifica e non lo assolve. C'è un mondo superiore, le cui leggi non si violano impunemente. L' espiazione di don Ro- drigo, così piena di terrore e di compassione, è la reinte- grazione nella coscienza di quel mondo superiore offeso. Il sentimento umano, che se ne sviluppa, e quel medesimo che provano padre Cristoforo e Renzo innanzi alla sua agonia. Cosi don Rodrigo, lo scelto antagonista dell'ideale manzo- niano, rimane un individuo storico e reale. Se, per la sua lotta con padre Cristoforo e per la saa espiazione, rifiette in noi;ativamente quel mondo religioso e morale ,niò è con- — 84 — seguenza e corona di una idealità ancoi-a più profonda, il tipo del nobile degenere nel tal secolo e nel tal luogo. Con Ja stessa chiarezza e decisione è concepito il don Ab- bondio. Esso è r ideale alterato e indebolito nell' esercizio della vita e spesso sacrificato per quella specie di codardia morale che accompagna i popoli nella loro decadenza. Come in don Rodrigo, cosi in don Abbondio, il senso del bene e del male è oscurato, e il mondo è guardato e giudicato a tra- verso di un' atmosfera viziata. Il demonio del potente don Rodrigo è l'orgoglio; il demonio del debole don Abbondo è la paura. La contraddizione fra il suo dovere e la sua paura genera una situazione di un comico tanto più vivace, quanto più egli cerca dissimularla. E la dissimulazione non è già ipocrisia e doppiezza, che lo renderebbe odioso e spregevo- le, ma è un fenomeno essa medesima della paura. La quale gli fabbrica un mondo sofistico fondato sulla prudenza o l'arte del vivere, col suo codice e con le sue leggi, un van- gelo a cui crede e vuol far crsdere, e che gli forma i suoi giudizii e gli detta le sue azioni. E perchè tutti indovinano, fuorché lui , il vero motivo de' suoi giudizi e delle sue azio- ni, scoppia il riso. Natura buona e pacifica, sincera e pas- siva, subitanea nelle sue impressioni, originale ne' suoi giu- dizi, con scarsa coscienza di sé e con nessuna coscienza de- gli altri, egli e V inconscia macchina da cui escono tanti av- venimenti. Il puntiglio di don Rodrigo e la paura di don Abbondio sono le forze ignobili che con si piccola sapienza generano questo mondo poetico. Il quale si restaura con l'espiazione dell'uno, e si purifica e si afi'erma con la cor- rezione dell' altro. La saviezza mondana di don Abbondio invano ricalcitra e si dibatte contro il mondo ideale evan- gelico di Federigo Borromeo, oscurato, ma non cancellato nella sua coscienza. Cosi un mondo nato dall' orgoglio e dalla paura è alzato nel mondo superiore della carità e dell'amo- re. Se don Abbondio nel suo significato generale si rannoda a quel mondo superiore e forma il suo lato comico , puri' rimane un individuo compiutamente libero , con una idea- — 85 — lita sua propria, col suo cai-attere, con la sua fisonomia, co" suoi fini e co* suoi mezzi. Questi personaggi principali hanno intorno a sé una mol- titudine (li personaggi secondari, che pel loro significato si rannodano a padre Cristoforo, o a don Rodrigo, o a don Abbondio ; la quale relazione rimane cosi in astratto, e non impedisce il loro libero e individuale movimento nella sto- ria, con grande varietà di classi, di costumi, di opinioni e di caratteri. Vi domina soprattutto il comico, come Perpe- tua, l'oste e Tonio nella loro bassa sfera, e, in una sfera più ampia, donna Prassede e don Ferrante. Come i personaggi , cosi son condotti gli avvenimenti. I quali , se hanno una relazione manifesta col mondo ideale ov' e r obbiettivo del romanzo, pure 1" oltrepassano, e si svi- luppano liberamente e largamente ciascuno nel giro della sua esistenza particolare. La monacazione di Gertrude , la carestia e la peste di Milano possono sembrare avvenimenti troppo sviluppati a quelli che concepiscono un romanzo come una logica artificiale con equilibrio di proporzioni. Questi ed altri avvenimenti , rimanendo nel loro senso generale uniti col tutto, vi stanno come parti organiche, dotate di attività propria, vere e compiute persone poetiche, che in queir armonia universale hanno fini e interessi proprii. Ca«ì l'ideale religioso e morale, che è la finalità del ro- manzo, r ultimo suo risultato, va a profondarsi nella infi- nita varietà della esistenza particolare, attingendo in recossi inesplorati del mondo reale novità e originalità di forme e di movenze, di cui non era esempio nella nostra letteratu- ra ; ed esce di cola misurato e limitato in modo che vi perde la sua purità logica e la sua perfezione mentale , interna- tosi e mescolatosi nel gran mare dell'essere con tutte le imr)»M'fezioni e gli accidenti della storia. ■ istrumento di questa misura dell' ideale è V analisi. L'i- de.ih» nella sua purità è sintesi, esistenza abbreviata e con- densata, che ti ruba i limiti, e ti da un'immagine del- l' infinito. Come lo spirito si fa più adulto , più decompone. — 86 — limita e analizza, e più l'esistenza si squaderna. L'analisi è il genio del mondo moderno , la porta del reale. E (juanto la nostra letteratura fosse rimasta estranea al mondo mo- derno , si può argomentare dalla sua grande povertà d' a- nalisi. Ciò che ivi trovi sono vuote generalità , succedute alle sintesi pregne e vigorose di Dante , a quel suo veder da alto e da lungi , vedere in blocco. E come la sintesi di Dante vi è degenerata, così vi è degenerata l'analisi di Machiavelli, essendo succeduta ad essa l'acutezza, che è la sua caricatura. Manzoni apre il nuovo secolo , cercando nuo- va base nel suo reale storico o positivo, e spiegandovi una potentissima forza di analisi. L' analisi è il suo antidoto contro quell' onda di vecchi e nuovi ideali , che invadeva le letterature europee. È lei che lo premunisce contro le sue proprie tendenze idealistiche e lo tiene sempre nella giusta misura, nel vero. Quando sviluppa, con tanta facondia e con tanto vigore, i principi! fondamen- tali del suo ideale evangelico, sentimenti di carità, di amo- re, di umilt��, di sacrifizio, di perdono, per bocca» di padre Cristoforo o di Borromeo o di padre Felice ; puoi trovarvi a ridire , senti qua e là non so che di enfatico e di pole- mico, non so che di preconcetto e di mentale introdotto ar- tificialmente, e puoi giudicare il poeta di eloquenza e di unzione secondo a parecchi scrittori moderni ; ma, quando analizza, riesce sempre ammirabile, e a paro co' più grandi, primo, anzi unico in Italia. La coscienza della sua straordinaria potenza di analisi ge- nera nel poeta la tendenza o l' inclinazione a guardare le cose, anche più delicate e fuggevoli, non nella loro idealità astratta, ma nelle condizioni e ne' limiti della loro esisten- za : ciò che dicesi il senso o il genio del reale. Le sue ana-a lisi non sono mentali e dottrinali, decomposizioni d' idee se-j condo una certa logica e una certa dottrina in vesto poe-| tica , come è spesso in Dante. Sono analisi naturali e psi- cologiche, che ti danno la cosa vivente, come 1' ha fatta laflj natura e la storia , introducendoti ne' più deli(?ati misteri — 87 — della vita. Ciascun personaggio ha un suo proprio modo di guardare il mondo, una sua propria posizione morale e in- tellettiva, formata dal temperamento, dal carattere, dall' e- ducazione, da un complesso di circostanze naturali, psicolo- giche e storiche, che costituisce la sua personalità, cioè a dire il suo ideale. Sicché il vero interesse non è nella po- sizione che occupa ciascun personaggio dirimpetto al mondo religioso e morale preesistente nell* immaginazione del poeta, ma nella ricca originalità della sua esistenza individuale. Il lettore può ignorare che relazione abbia don Abbondio o don Rodrigo con quel mondo ideale, senza che scemi il suo interesse per queste creature immortali : anzi tanto più gu- sterà realtà così vivaci, così finamente analizzate, quanto meno si ricorderà di quelle relazioni astratte. Gli è come di quei peccatori di Dante, il cui interesse non è nella loro posizione di rincontro alla giustizia eterna , ma nella loro posizione storica e psicologica. Va perchè il poeta , gettando nello stesso fornello mondo ideale e mondo storico, sottoponendo tutto allo stesso pro- cesso di analisi , ha tutto unificato, dato a tutto gli stessi colori e le stesse forme, l' impressione generale che ti viene dal racconto e una , ed è quale ti viene dalla vita, scrutata ne' suoi più occulti strati di formazione e poi colta sul fatto, variata e mobile, nel suo libero gioco, nelle sue apparenze anche più accidentali e capricciose. L' autore suole, quando ha a mano un personaggio , un oggetto , un avvenimento , studiare la sua successiva formazione , le fonti della sua individualità, la sua natura, la sua educazione, le sue forze e i suoi mezzi , il suo carattere , la sua fìsonomia , il suo ambiente ; e quando te lo ha bene spiegato, sicché tu V abbi innanzi nel suo ideale , in ciò che gli é proprio e caratte- ristico, ecco, te lo mette in situazione, nell' atto della vita. e comincia la rappresentazione. Talora precede la rappre- sentazione, talora è mescolata abilmente 1' una e 1' altra co- sa. Il risultato è che tu hai innanzi una visione chiara e vivace , ben definita e limitata. I più sogliono farti balzare _ ,S8 — avanti una figura nella sua concitazione, fidano nel!' improv- viso, mirano al maraviglioso. Scrutare, analizzare, spiegare, sono in costoro procedimenti distruttivi dell' arte , che ti raffreddano , ti gittano in uno stato prosaico , ti strappano tutte le tue illusioni , ti traggono da quella sfera del vago e dei misterioso , dove regna la poesia. Sono i critici del dritto divino che pongono a base dell' arte un ideale im- mobile e intrasformabile , e rimangono fuori della storia , fuori della società moderna. Il nostro poeta fa proprio a rovescio , quasi faccia a dispetto ; l' improvviso , il mera- viglioso, il miracolo è affatto estraneo al suo spirito, dove tutto è positivo, tutto è buon senso e misura ; i più stanno a bocca aperta innanzi alla piramide, lui non I' ammira se non dopo di averla studiata e compresa , e ciò che ammira lui, non è quello che ammirano i più. E non sono solo lo piramidi che attirano la sua attenzione ; non ci è cosa si piccola che non V interessi ; tutto ciò che si presenta al suo spirito, ha lo stesso dritto alla vita ed è studiato ed ana- lizzato eon la stessa cura; anzi, la sua inclinazione è di en- trare nel più minuto della vita , d' intrattenersi nelle più basse sfere, sdegnate dalla poesia nobile e solenne. Là , in quelle sfere inesplorate, trova i suoi ritratti più originali : là vivono i suoi osti e le sue spie , i suoi bravi e i suoi monatti , i suoi cappuccini , le sue Agnesi e le sue Perpe- tue, la sua Lucia e la madre di Cecilia; la incontra Renzo e là don Abbondio : di là esce animata e parlante la plebe, messa in iscena, o che suoni la campana a stormo, o la in- calzi la fame , o la spaventi peste o guerra. Veggasi con quanta finezza è descritta e con quanta verità è messa in azione r insorta plebe di Milano, quando assale il vicario, e quando si fa giocare da Ferrer. Quel capitano di giustizia, quel vi- cario, quel Ferrer, chi li potrà dimenticare più? Come ti potrà uscire di vista quella moltitudine a onda, mobile, vo- lubile, contraddittoria, terribile, grottesca, nella varietà in- consapevole e subitanea de' suoi istinti e delle sue impres- sioni ? Sotto a COSI vivaci rappresentazioni indovini lo spi- — 89 — rito osservatore di un Machiavelli. Potenza di stile , pro- dotta da potenza di analisi. Gli è che con una così straordinaria foraa d* analisi l' au- tore congiunge un talento descrittivo e drammatico non meno straordinario. Mentre 1" occhio sagace penetra in tutte le ca- vità e le pieglie e i ravvolgimenti d' un carattere , sta in- nanzi alla immaginazione la fisonomia, l' intera apparenza ; e analisi e descrizione si alternano, si mescolano, si lumeg- giano, si completano, insino a che, fra osservazioni e de- scrizioni, ti trovi nel bel mezzo di una situazione dramma- tica. Si alza il sipario, l'osservatore scompare; quel mondo, con tanto acume studiato , con tanta evidenza descritto , eccolo in iscena, nell' atto della vita, e messo in tale situa- zione, che quelle qualità astratte, quelle tbi'ze in antagoni- smo . queir ambiente, quel vario concorso e urto di cause naturali e psicologiche , paion fuori e vengono alla luce , divenuti passioni, sentimenti, giudizi!, parole e azioni, cioè a dire divenuti attori. Nessuno sa con più abilità trovarti una situazione, e metterla a posto nella variata trama del racconto , e cavarne tutt' i motivi e tutti gli effetti in un dialogo COSI rapido e così vivace, e talora in brevi discorsi, capolavori d' eloquenza popolare , come sono le jjarole di - bio che parla di compassione, la vecchiarella che cerca di consolare Lucia a modo suo, i monelli che fanno il chiasso in mezzo alla peste, sono la presenza della vita comune, una specie di centro-ideale, che regola e tempera ciò che vi ■ di troppo esaltato in situazioni cosi drammatiche. Diresti eln> come Alfieri pare che aguzzi sempre il suo pugnale, Man- zoni pare stia sempre li a spuntarlo. Originalissimo è sotto «l'uesto aspetto l'incontro di Federigo e di don Abbondio. Se Federigo parlasse solo, sarebbe una predica insopportabile. Quelle idee, quei sentimenti, cosi fuori della vita comune e nella loro generalità cosi illimitati, dalli e dalli, provoche- rebbei'o una reazione ironica nella sfera temperata , in cui sono i lettori. Ma la reazione è trattenuta e sviata dalle ri- sposte e, soprattutto, dalle impressioni di don Abbondio, pò- — 95 — sto in una sfera morale bassissima anche dirimpetto al con- cetto ordinario della vita: incontro singolare e collisione vi- vacissima di ciò che vi è di più eroico nella vita morale e di ciò che vi è di più abbietto. E il risaltato di quest'au- dace concezione e una situazione tragicomica , i cui effetti contraddittorii si rintuzzano e si temperano a vicenda; sic- ché la reazione che produrrebbe ciò che vi è di troppo as- soluto nelle idee dell' uno, e sviata da ciò che vi è di troppo volgare nel carattere dell'altro. E il vantaggio è tutto di don Abbondio, che produce effetti comici irresistibili, con la naturalezza , la sincerità e la subitaneità delle sue impres- sioni, nelle quali apparisce tutto lui, nelle più varie deter- minazioni del suo carattere, paura, stizza, volgarità, ottu- .sita, tutto impressione e immaginazione; dove il cardinale è talmente immedesimato con le sue idee , che ti pare un ente di ragione , anzi che un uomo vivo : qui hai idee , la senti un uomo. Appunto perchè nel cardinale non ci è che una corda sola e ne' suoi toni più acuti, quando ella vibra di soverchio e troppo a lungo, sì che il discorso prenda aria di sermone, la reazione, malgrado il correttivo di don Ab- bondio, sta li il per formarei nell'animo del letto i*e; ed ec- coti in buon punto il poeta che interrompe il sermone e dice lui la sua parola. Gli è che il poeta non è assorbito nel- l'azione, e non si fa imporre neppure dal cardinale, ed an- clie dirimpetta a lui sta li col suo risolino, disposto a bur- larsi un po' insieme col pubblico di questo metter fuori con COSI poca fatica tanti bei precetti di fortezza e di carità; se non che riflette che quelle cose erano dette da uno che poi le taceva, e si riconcilia con l'oratore. Cosi, rimasto fuori i scena, tranquillo e intelligente spettatore, in comunione — l'uditorio e attento alle sue impressioni, egli vi parte- cipa, le spiega e le modera. Ci sono nel teatro del mondo due temperature: l'una è degli spettatori, 1' altm degli attori. Questi si trovano in una si- tuazione ben determinata dirimpetto al pubblico indlfferen e, che non ne ha alcuna ; ond' è che, sé troppo vi si scaldano. — 96 — o alzano troppo il tono , e si mettono in una temperatura troppo elevata, scoppia la dissonanza. II pubblico può, al più, ammirare certi effetti di arte ; ma non vi parteciperà mai tutto e intero. Ti dà un bravo, ma c'è nella sua tempera- tura usuale qualcosa che ti resiste, e se troppo insisti, e se vuoi fargli violenza , eccolo lì che protesta e si ribella. Il che avviene , se tu stai troppo in sulle idee e ti formi un mondo artificiale, e non vuoi tener conto di quella mezzana temperatura in cui vìvono gli uomini. Il buon senso si ven- dica e ti risponde con l' ironia. Ora la singolarità del nostro poeta è questa, che, mentre vive tra' più cari e nobili ideali della vita e te li pone innanzi e vuole trascinarti appresso a quelli, egli s'immedesima col pubblico, e riflette le sue impressioni e il suo buon senso, e facendo lui un po' d'iro- nia, previene la tua, riconducendoti sempre dalle situazioni più straordinarie in quella mezzana temperatura. Il che spiega la grande popolarità di questo libro. L' ideale è sempre un po'pedante e un po' eccessivo. E quando tu stai per dire: — è troppo — , ecco lì l'autore che ti previene e ricon- duce l'equilibrio. La sua natura è talmente armonica e com- pleta, così disposta a tener conto in ogni affermazione della sua negazione e in ogni verità della sua diversità, così se- rena nella maggior perturbazione degli avvenimenti, e nel cozzo delle passioni e delle opinioni così benevola e indul- gente, soprattutto così buona e sincera, che ispira simpatia e rispetto anche ne'iplù avversi. Nessuna passione è troppo urtata, nessuna opinione si sente offesa, a tutto ci è un ma, che attenua, restringe, limita e misura, e non iscontenta gli uni , dopo di aver contentato gli altri , equilibrando le impressioni , e pacificando le contrarie opinioni nella sfeiii amica del giusto e del vero. Questo non è eclettismo, poi- ché sta pur sempre nel suo splendore quel suo mondo i«- ligioso e morale; ma è naturale misura, che apre a quello più facilmente la via de' cuori, sì che, se non sempre con- vince, sempre si fa rispettare. Il che conferisce pure agi' in- tenti dell' arte, conservandosi la simmetria, la proporzione , la bellezza al di fuori così intera, come intera è la serenità della mente creatrice. Da questa disposizione armonica è uscita la Cecilia, e quella sua Lucia, mansueta e bella an- che nell'estremo dell'angoscia. Tragica è la morte di don Rodrigo, e, tra' segni della più viva disperazione, pure su quel- l'immagine alita, come iride di pace, la preghiera di padre Cristoforo e il perdono di Renzo. Questa temperanza di sen- timenti e di colori, fra i maggiori strazi, ci rende amabile e simpatica la predica di padre Felice. Ond'è che questo libro, quando usci, ebbe appassionati fautori, e nessuno deciso avversario, fra tanto bollore di pas- sioni e di opinioni. E presto fu nelle mani di tutti , e pe- netrò, cosa rara in Italia, ne' più bassi strati sociali : al che contribuì non poco quella sua familiarità e facilità di espres- sione. La popolarità dello stile è l' araba fenice , appresso alla quale oggi corrono i nostri scrittori. E credono sia un mec- canismo così facile ad acquistare come fu il meccanismo clas- sico. La letteratura scolastica abbonda specialmente di cotali meccanismi. Vogliono contraffare il fanciullo, vogliono scim- mieggiare il nostro popolino, pigliando ad imprestito il loro linguaggio, e sto per dire il loro cervello. E chiamano loro precui-sore Alessandro Manzoni, e si dicono manzoniani, come le scimmie di Petrarca si dissero petrai'chisti. Credono che quel linguaggio di Manzoni stia da sé, faccia modello, come faceva modello quel linguaggio solenne e nobile che fu detto classico (1). ^e' Promessi Sposi linguaggio e stile non sono costruiti a priori, secondo modelli e concetti. Sono conseguenza di un dato modo di concepire, di sentire e d'immaginare. Lo stile è la combinazione delle due forze, che aveva lo scrittore io alto grado: la virtù analitica e la virtù immaginativa. a decompori'e, a distinguere , ad allogare secondo una (1) Sulla letteratura popolare vedi Parte I, Lez. XVI del volume La letteratura italiana nel secolo XIX. De Sakcti8 — Manzoni e scritti carii. 7 — 08 — certa misura o limite inierno, che non è altro se non il senso del vero, l'espressione è sempre precisa e giusta, cioè vera; ed è insieme semplice, perchè l'interna misura esclude ogni esagerazione ed ogni complicazione. Tutto è a posto, e tutto è nel suo limite; niente v'è di sì complesso, che non sia di- stinto e semplieizzato; perciò tutto è vero e tutto è semplice. Queste virtù intellettuali sono in lui anche forae morali, per- chè tutto è armonia in quella mente. Il suo senso del vero è fortificato dalla sua sincerità, il suo vigore analitico è aiu- tato dalla sua serenità e imparzialità, e quel suo gusto del semplice è anche semplicità morale , che lo tien lungi da ogni affettazione e ostentazione , da ogni ricerca di effetti artistici che non sieno inclusi naturalmente e immediata- mente nel suo argomento. Questa è la base solida, e, direi, organica del suo stile, non fabbricato per meccanismi o pro- cessi esterni, ma nato e formato nel suo spirito. Dico la base, perchè, se questo basta allo scienziato, non basta all' artista. Ci è il disegno, non ci è il colorito. Ma, come il poeta s' in- terna nelle più minute latebre del suo argomento , scopre sempre lati nuovi, che stuzzicano più la sua curiosità e rin- frescano le sue impressioni. Scartando tutti i luoghi comuni poetici e tutte le reminiscenze, esplorando tutto con osser- vazione diretta, gli brilla innanzi un mondo psicologico tutto nuovo , a cui il suo spirito non rimane indifferente , a cui anzi ha la più viva partecipazione. Perciò, mentre tutto espri- me con precisione ed esattezza di scienziato, in queir espres- sione, non sai come, si mescolano e si fondono le sue impres- sioni, che la rendono animata e spiritosa. Dall'alto del suo osservatorio, sempre presente a sé, e non dominato, ma do- minando , ciò che lo colpisce più è il contrasto tra quello che le cose sono e quello che paiono , velati gli occhi da ignoranza e da passione : ciò che dà alla sua espressione una leggiera tinta ironica, una forma, nella quale il reale vero si afferma di contro all' apparenza. Ma perchè il mondo va cosi, e non può andare altrimenti, quell'ironia non è senza una cert'aria di benevolenza, essendoci nella più pai'te de' casi — 99 — debolezze da compatire, perchè debolezze della stessa natura umana. Cosi va il inondo , nota il poeta , o piuttosto cosi andava nel secolo decimosettimo; correzione ironica, piena di jrarbo, che fa ammettere, ridendo, il rimprovero e gli to- glie ogni asprezza. Riserbando la sua indignazione per le singolarità vituperevoli di questo o quell'individuo, quando s'incontra in casi comuni e generalmente tollerati, l'univer- sale tolleranza si rivela in quel carattere benevolo della sua ironia, come quando dice de' soldati in guarnigione che in- segnavano la modestia alle fanciulle e alleggerivano i conta- dini delle fatiche della vendemmia. Cosi la sua analisi è me- scolata di malizie , d' ironie , di motti arguti , di riflessioni piccanti, e la sua espressione è cosi colorata, che spesso nelle cose si sente l' impressione, e nell' impressione traspariscono le cose: onde il suo stile, mentre è sempre semplice e pre- ciso, è, insieme, sempre spiritoso. Ed è ancora altamente pit- toresco , perchè il poeta , oltre ad una eminente facoltà di analisi, possiede una potente immaginazione. Appunto per- chè le cose fanno sul suo spirito una così viva impressione, le qualità più astratte , le nozioni più astruse , i fenomeni più spirituali prendono faccia e gli si muovono innanzi come esseri animati. E come tutto nasce da osservazione diretta delle cose nelle loro individualità, quei colori non hanno niente di comune, e nascono con esse le cose. Non vi sor- prendi mai ripetizione o reminiscenza di colorito; tutto è nuovo, perchè tutto è proprio e non si rassomiglia che a sé stesso, a quel modo che nessun individuo si rassomiglia con altro. Onde avviene che tanti personaggi, tanti fenomeni, tante malizie, tante apparizioni lasciano nel tuo spinto sem- pre una immagine, che te ne conserva la memoria. Fino il Griso e il Nibbio, fino Gervasio e Tonio, chi può dimen- ticarli? attaccati i loro nomi a certi tratti plastici e carat- teristici , che ti s' improntano nell' immaginazione. Nessuna malizia ti sfugge, nessuna ironia ti lascia indifferente; non ci è apparizione sì piccola e insignificante che non abbia una '^Mfi faccia propria , se non altro per dirti che la e piccola — 100 — e insignificante. Vedi la forma sprezzante, con la quale è in- dicata la morte di Griso, come d'un animale senza pensiero, senza parola, e senza rimorso, senza alcun vestigio di senso umano. E non perchè non pensi e non parli, ma perchè il poeta, con l' aria di chi guarda e passa , non degna racco- gliere pensieri e parole di un essere così insignificante e vol- gare nella sua malvagità. Questa potenza e proprietà di co- lorito tu non l'incontri solo nell'analisi, ma ancora più nella rappresentazione, quando alla descrizione e al discorso suc- cede il dramma, cioè a dire quando tale personaggio e tale avvenimento, ben descritto e bene analizzato, entra in una data situazione. Mentre si opera e si parla, il poeta è là che dà il rilievo, scolpendo le figure, animando gesti, movenze, po- siture, dipingendo al di fuori tutta la vita interiore così bene esplorata , e cogliendo a volo le sinuosità più sfuggevoli e più delicate della rappresentazione. E tutto questo mondo è così sempre tutto incero innanzi al poeta, che analisi e rap- presentazione s' illuminano a vicenda, entrando l'una nell'altra, e l'una essendo all'altra specchio e riliavo; di guisa che spesso un tratto analitico ti rischiara tutta l'azione, e un gesto, una parola ti richiama tutta l'analisi. Don Abbondio è il personaggio meglio analizzato e più compiuto. Lo incontriamo nelle più varie situazioni, sempre diverso e pur sempre quello. La sua nota fondamentale è la pusillanimità, che nelle si- tuazioni più accentuate prende la forma acuta della paura: e la sua diversità è apparente, è nelle varie gradazioni di quella nota, come sono le sue stizze, le sue impazienze, la sua poltroneria , e fino il suo coraggio , quel tale coraggio della paura. Veggasi come cosi varie situazioni di animo sono illuminate da tratti analitici, e come talora un suo ge- sto, una sua parola ti richiama l'analisi, o gli fa uscir fuori, d'improvviso e a sua insaputa, il gran segreto della sua natura, a tutti manifesto, fuorché a lui, qual è il motto famoso: il coraggio uno non se lo può date: Spesso l' analisi è il fron- tespizio della rappresentazione, ed hai un vero processo lo- gico, una specie di premesse e di conseguenze ; talora è in — 101 — antagonismo e ne vengono grandi effetti estetici : quel don Abbondio, in quello stato di perfetta quietudine , quasi di uomo contento che taccia il chilo, col suo famoso : chi è Car- neade? rimasto proverbiale, colto a volo e fissato in cari- catura, con quella zimarra, con quel camauro, in quella fi- gura grottesca; e da quel sicuro lido lanciato subito in pieno mare tempestoso (l). Queste intime commessure delle cose scrutate e connesse con tanta virtù intellettuale, e allogate, rilevate, armonizzale con l'occhio sicuro di un artista consu- mato, producono nell' unità dell' insieme anche l' unità del co- lorito, espressione immediata delle cose e delle loro impres- sioni sul poeta, e cosi preciso e giusto e semplice, perchè la visione è chiara e l'impressione è vera. Tale esce qui lo stile nelle sue forme intellettuali e fan- tastiche dalla sorprendente combinazione di due forae ami- camente operose, un grande vigor logico e una immagina- zione potente. Il suo carattere è la precisione, congiunta con r evidenza nella massima semplicità. 0, per dirla con una pa- rola , è la naturalezza , queir immergersi e obbliai*si della mente nella natura e parer una con quella. Il che se desi- deri nelle parti serie e ideali, dove senti alcuna volta una certa ineguaglianza, un certo sfoggio come d' idee e di co- lori uscenti più da previsione mentale che da visione im- mediata, trovi sempre e in grado eccellente nelle parti mez- zane e comiche della vita e nelle sue analisi. Chi disse che lo stile è l'uomo, disse una mezza verità. La verità intera è questa : che lo stile è la cosa nel suo riflesso e nel suo ef- fetto sulla mente. Da questo lavorio esce la cosa impres- sionata; si che tu ti accorgi che la è passata per la mente e ne ha ricevute le impressioni. La storia dell'arte è la sto- ria di questa unione. Talora la mente aceoarlie in sé la cosa con poca serietà, e resta lei, e vuol comparir lei, e per vo- lerla troppo abbellire, troppo assimilarla a sé, la snatura. Questo chiamano eleganza, che nella sua esagerazione con- ila Vedi su Don Abbondio l' Appendice $ 6. — 102 — duce sino a' processi artificiali e convenzionali. A questa ele- ganza oppone Manzoni la sua naturalezza; si che la cosa esce dalla sua mente nella integrità e nella verità della sua na- tura e delle sue impressioni. In questo senso Manzoni è il vero padre della nuova letteratura, il cui carattere a' nostri giorni è la naturalezza. Pur voi vedete, da quello che si è discorso finora , come si richiedono maggiori mezzi e mag- gior potenza di mente a produrre questa naturalezza , che a produrre quella eleganza. Perchè, se è facile copiare ar- tificialmente e riprodurre l'eleganza, difficilissimo è ottenere la naturalezza; la quale presuppone lo studio e l'intelligenza e r amore delle cose, quali te le dà la natura e la storia , e una grande virtù nella mente di assimilazione e di pro- duzione. Onde avviene che i più, come sono molti che si di- cono scrittori popolari e realisti, correndo appresso alla na- turalezza , trovano l' insipidezza , che è la cosa uscita dalla mente senza sapore e senza colore, senza quell'impronta spi- rituale, che le viene dalla sua dimora e dalla sua trasfor- mazione nella mente. Tale lo stile, e tale la lingua. Il grosso materiale è qui la lingua parlata e intesa dall' un capo all'altro d'Italia, in- tramezzata di lombardismi e di toscanismi, che le comuni- cano la vivacità del dialetto (1). Scopo della lingua non è l'eleganza, che la impoverisce, la cristallizza in classificazioni arbitrarie e convenzionali, con un'aria di solennità artefatta; ma scopo è qui la perfetta similitudine sua con le cose, una espressione di quelle la più precisa e la più immediata, nella quale conformità consiste la sua bontà. Ond'ella ti riesce ricca, variata, mescolata di forme e di accenti, sempre pro- pria e plastica, tale che assicuri la più rapida e la più evi- dente trasmissione delle cose ne' lettori. E perchè il popolo (l) Il De-S. discorre dol romanzo manzoniano nella sua prima for- ma, e non si occupa del fatto della posteriore correzione, dove per altro il principio direttivo nella scelta della lingua rosta sempre il medesimo, se pure si determina più precisamente il concetto di quel che debba essere in Italia la lingua parlata. — 103 — concepisce appunto così , e vede per immagini e in modo vivo e pronto , scegliendo le vie più brevi , tutto ellissi e scorciatoie e troncamenti e abbreviazioni, come si vede ne' suoi dialetti , si comprende la grande popolarità di una lingua simile , e come di tutte le prose italiane questa sia che si legga tutta e volentieri da tutte le classi. Chi mi ha seguito, vedrà non essere poi maraviglia che queir uomo, sopravvissuto per molti anni a sé stesso, morto in un tempo men favorevole alle sue opinioni religiose e al suo quietismo politico, ebbe pure tale testimonianza di onore, che per la sua unanimità si può chiamare nazionale. L'Ita- lia, finite le lotte e calmate le passioni, giusta perchè con- tenta, mirava in lui l'uomo che meglio seppe comprenderla, non nella diversità dei suoi partiti che passano, ma in quella universalità di tradizioni e di aspirazioni, che sono il fondo della vita nazionale, e che nel momento dell'azione tutti ci unì, a quel modo che tutti fummo uniti appresso al suo fe- retro. APPENDICE § I- Adeìcht ed Ermengarda (dalle Lezioni II e III) Fermiamoci alquanto sul carattere di Adelchi. Chi è questo Adelchi? È l'ideale àe^VInni, l'uomo dal ea- attere indeterminato , che Manzoni abbozzò e ci cominciò mostrare in quelli, e che ora vuole realizzare. Immerso egli studii storici, obbligato dalla sua teorica a creare ca- atteri ideali, prende il figlio di Desiderio, Adalgiso, ne fa i sua creatura, il suo ideale realizzato, ne fa V Adelchi. Siamo in tempi barbari, tempi di violenze, tanto da parte i quelli che parlano in nome di Dio quanto da parte di quelli quali son contro Dio, da parte di chi scomunica e di chi scomunicato. Ebbene, Manzoni, su questo mondo di violenze, gitta l'ideale i un mondo morale più elevato, più civile, cristiano: questo leale e Adelchi. Vediamolo in diversi tratti della tragedia. La sorella di Adelchi, Ermengarda, reietta da Carlo, si resenta alla casa paterna: il primo pensiero del padre è: endetta! Adelchi pensa alla sorella, cerca di consolarla e di ìaniniarla. Vedete in mezzo a tempi di violenze barbariche e un sentiiuento delicato, l'amore, la pietà vei-so la •i. Desiderio maturava grandi disegni, sentiva che fino quando il papa fosse stato a Koma, egli avrebbe avuto Franchi e Carlo sulle spalle. Voleva che il papa fosse re elìe preci, signor del sacrificio, ed occupare egli il soglio emporale. Notate da quanto tempo la idea storica (Desi- ano è un personaggio storico) dell'uniUi d'Italia si è pre- entata allo spirito. E poi quante vie, quanti modi si do- ettero tentare perché divenisse un fatto ! - 106 — Il papa chiama Carlo, che viena in Italia con un esercito, dopo aver ripudiata la moglie, la figliuola di Desiderio, Er- mengarda. Desiderio ed Adelchi, padre e figlio, stanno in presenza. Cosa vuol Desiderio? Egli non respira che vendetta per la figlia, vuol finirla con Roma, vuole consolidare il regno longobardo, estenderlo in tutta Italia: grandi progetti di re. Egli re, longobardo, ama la patria, la famiglia, ha di mira fini politici e domestici, — tutte cose che costituiscono r uomo. Adelchi consiglia a Desiderio di restituire le terre usur- pate al papa, di stringersi a lui in amicizia. Perire, Perir sul trono, o nella polve, in pria Che tanta onta soffrir.... risponde il padre. Ed il figlio ripete il consiglio. Analizziamo questo tratto, perchè le linee costitutive di un carattere si devono rintracciare nei tratti speciali in cui il poeta lo ha rappresentato. Desiderio sente la vergogna in un senso mondano: per lui r aver occupato terre , e piantatavi la sua bandiera, e poi ritirarsi, è vergogna: l'aver off"eso il papa e poi chiedergli amicizia, è vergogna; no, piuttosto morire! — Adelchi ha il sentimento cristiano della vergogna: commetter torti, far violenza agl'inermi, occupare per forza le altrui terre, ecco dov'è la vergogna, non in ciò che al mondo sembra tale: si deve avere il coraggio di dire: ho mal fatto. E questo un sentimento nuovo nel tipo eroico, di fronte alla letteratura del secolo XVIII. Avviene ciò che Adelchi aveva presentito. Carlomagno cerca passare le Alpi colle sue genti, il diacono Martino indica ai Franchi un passaggio nascosto e non difeso, tra- ditori longobardi cospirano di consegnare Desiderio vivo nelle mani di Carlo. Questa tragedia politica, questo mondo si svolge innanzi ad Adelchi. Che farà egli? Egli non vuol guerra, vuole vendicare la sorella, ma da cavaliere di quei tempi, con un giudizio di Dio, con un duello a corpo a corpo, senza spargimento di sangue innocente. Innanzi a quel mon- do della barbarie Adelchi diviene ciò che diviene un u(M[iia il quale non vede il suo ideale realizzato, — elegiaco, con- templativo, pensoso, triste. E si sfoga con lamenti. Sentite lo — 107 — sfogo che Adelchi fa con un amico intimo, perchè son pa^ role caratteristiche. Il core, dice egli ad Anfrido: mi comanda Alte e nobili cose, e la fortuna Mi condanna ad inique : e strascinato Vo per la via ch'io non mi scelsi, oscura, Senza scopo : e il mio cor s' inaridisce, Come il germe caduto in rio terreno, E balzato dal vento Ecco, dunque, un uomo che ha l'istinto delle grandi cose, che ha l'istinto della generosità, della giustizia, della vera gloria, il quale si sdegna se vede combattere contro gl'im- belli, si adira della ferocia dei soldati contro donne e fan- ciulli — e che finisce réreur, come dicono i fj-ancesi, si ap- parta dalla vita e cerea sfogarsi col suo amico. Intanto, i fati si affrettano : i longobardi sono vinti, Pa« via e presa. Desiderio fatto prigione, Adelchi si e chiuso in Verona, Verona stessa è dai traditori consegnata a Carlo: è il momento della catastrofe. Come finirà Adelchi? Vedete Saul, che è i! vero protagonista della tragedia di Alfieri, Saul, segnacolo all' ira divina, che, vedendosi scon- fitto, perduto, esclama: Empia Filiste, Me troverai, ma almen da re, qui morto. L'idea del suicidio s'impossessa di Adelchi, egli vuole uc- cidersi. E — notate — perchè non si uccide? La ragione e di molta finezza, assai delicata, suppone una gran foi-za morale. — Tu vuoi ucciderti, dice a sé stesso, per- che non ti senti la foi-za di guardare in faccia il vincitore! E questa è falsa vergogna, e lo spirito mondano: ciò che sembra coraggio è viltà, il coraggio sta nel presentarsi vinto, incatenato, al nemico della tua famiglia, a colui che ha ol- traggiato tua sorella. — Questa è foi-za di un mondo morale più elevato. Quando 8Ì vede vinto, ferito e preso, che cosa domanda Adelchi? Domanda di es.ser presentato al vincitore, vuole aver la foraa di rimaner calmo innanzi a lui, di sentii-si più alto, più fe- lice di lui. Quella scena e di un grande effetto nella lettura. Vedete Adelchi ferito, trascinato nella sala dove e il vincitore freddo e rigido — il barbaro rappresentato in tutta la sua rozzezza — dove è anche il padre prigioniero, che veniva da Carlo a chieder grazia pel figlio, non sapendolo ferito a morte. — 108 — Adelchi edifica il suo piedistallo. Sapete che quando l'uo- mo muore , quando F eroe della tragedia si avvicina alla morte, il modo come muore è il suo piedistallo. Adelchi, morendo, guai'da ciò che gli sta intorno con gli occhi della morte : intende sé, suo padre, il mondo. Egli gode di morire, perchè non ha mai saputo che cosa sia venuto a fare in un mondo d'ingiustizie e di violenze, egli che ha un sentimento cosi alto della giustizia. Muore, e dice al vincitore: tu, fe- lice, tu pure devi morire. Si rallegra col padre perchè non sia più re: Godi che re non sei, godi che chiusa All'opra t' è ogni via; loco a gentile, Ad innocente opra non v'è... Essendo prigione, non potrai più operare : la maledizione per Adelchi non è nell' operare male, ma nell' operare. Non ci e nessun mezzo di fare cosa gentile , consona al suo mondo ideale ; e gli esce di bocca un' ultima pai'ola contro quel secolo : non resta Che far torto, o patirlo. Una feroce Forza il mondo possiede, e fa nomarsi Dritto.... E una maledizione contro il mondo, lanciata da un uomo che già gli volge le spalle. Egli muore, ed ha sul labbro un'ultima preghiera, un'aspirazione verso l'altra vita: Vengo alla pace tua, 1' anima stanca Accogli.. .. Ecco , negli sparsi tratti della tragedia, i lineamenti del- l' eroe cristiano, presentatoci da Manzoni. Che cosa e desso? È l'uomo cristiano, che già abbiam ve- duto spuntare negl'Inni, il quale si realizza qui fra le lotte barbariche; egli sente che 1' opera che compie e un'iniquità, e la compie perche il padre gliel' impone; la compie, ma come un uomo che esegue un dovere senza passione, clie non ci mette tutta 1' anima sua, che lo fa per ubbidienza. Quest' uomo guarda senz' interes.se i grandi avvenimenti che si svolgono intorno a lui e che dopo tanto tempo col- piscono ancora la nostra immaginazione di spavento. Ma non ha egli patria, non famiglia, non regno, non ha il sen- timento di quella catastrofe storica? Tutto ciò è cosa se- - 109 — conciaria per lui, non lo riscalda, non lo spinge ad operare : egli ha r ideale di un mondo morale più elevato ed opera contrariamente al suo ideale per ubbidienza; lanciato in mez- zo a un mondo di violenze, da cui si sente trascinato, come foglia del vento. Ècco dunque il concetto di quell'ideale. E che cosa e que- sto? È un ideale mancato, un abbozzo, è la prima appari- zione di un nuovo orizzonte poetico di contro al secolo de- cimottavo; è, per dirlo con la frase di Dante, una conce- zione in cui formazion falla , concezione non giunta alla forma, all'uomo vivo. E perchè? Adelchi opera, ma l'opra rimaa fuori di lui, all'opera non partecipa l'anima sua. Quando si tratta di qualche cosa in cui deve entrare parto di se, egli predica, parla, diventa elegiaco. Perche ? Perchè non ha l'energia del suo ideale. Supponete un uomo il quale, in tempi di barbarie e di vio- lenza, avesse le grandi aspirazioni di Adelchi, presentisse un mondo migliore, più civile, ed avesse tanta energia da e--:- capace di attuare il concetto morale ch'egli si è for- ' del mondo: l'ideale non rimarrebbe nel cuore, non si uierebbe a parole, non si sfogherebbe in lamenti: egli :erebbe di realizzarlo, cadrebbe vittima, morirebbe, perche li i'.-.>tino degli uomini incompresi, che sentono di trovarsi in un mondo alieno ad essi, è quello di cadere vittime, mar- '' ' leiravvenire, lasciando una pagina nella storia. Ouar- un ideale che vuol realizzarsi nel Marchese di Posa ; ■ nel dramma dello Schiller il concetto non e pari al- ile, e quel pei-sonaggio diventa qualche cosa di simile a ;i rigante. — Adelchi non ha l'energia di mettersi in faccia ■-tacolo, anche a costo di spezzarsi nella opposizione ; jiotrebbe ubbidire , rendendo poetico e prezioso il suo ;izio, la rinunzia di se stesso in quello stato di lotta. • personaggio drammatico; ma potrebbe essere lirico se ore lo mettesse in ultimo in una situazione che gli Btrappasse un grande lamento contro la violenza de* tempi. Anche ciò ha fatto il Manzoni nella sua tragedia , ma in questa situazione il personaggio non è Adelchi, e Ermen- "•"■!a. Adelchi? ma come volete prendere interesse per A- i, trovandovi innanzi a tanta catastrofe e [alle figure ^ali di Carlo, di Desiderio? Come potete interessarvi piccole gradazioni dell' anima delicata e sensitiva di i rappresenta una donna gelosa, da commedia, che qui si gtiasta il personaggio. È uno di quei critici come ce ne sono molti in Germania, i quali hanno molto ingegno e dottrina, noa non il sentimento vivo e frecco dell' arte. Klein, che e quel critico di cui vi dicevo, non sente che qui la gelosia è introdotta non per sé , ma come un mezzo per rompere il ghiaccio nel quale Ermengarda si trova. Per quel carattere chiuso per forza, pur con tanto desiderio di espandersi, è questo il mezzo ultimo di rivelare il segreto interno, le me- morie che ondeggiano nella sua mente (1). (1) Il passo del Klein, qui criticato, è il .seguente: " Bei dieser Nnch- richt (dellf nozze di Carlo) verfinstert sich die verklftrkte Seel? noch — 118 — Immagina, nel deliiio, di stare innanzi a Carlo, il quale rimane ancor freddo alle parole di lei : manifesta 1' amore che fino a questo punto ella non ha scacciato dal cuore. Crede di parlare a Carlo, e dirgli : Amor tremendo è il mio. Tu noi conosci ancora; oh! tutto ancora Non tei mostrai: tu eri mio: secura Nel mio gaudio io tacea ; né tutta mai Questo labbro pudico osato avria Dirti l'ebbrezza del mio cor segreto. Sicché, in ultimo, ecco svelato l'arcano: e comprendete per- chè le memorie assalgano Ermengarda anche nel monastero : esse non per sé stesse si fanno valere, ma perchè sono Carlo, sono l'amor suo! Ella non osa dire: io l'amo; ma ricorda il tempo in cui era regina, quando andava alla caccia con lui. Così è esposta in modo pudico la vita di questa donna, che ama sempre chi 1' ha ripudiata, e noi può dire. Il delirio affretta la sua fine ; quando il segreto le esce di bocca, ella muore. Ritornando in sé, si volge a Dio, si riconcilia con lui, e spira dicendo : Moriamo in pace. Parlatemi di Dio; sento eh' Ei giunge. E mentre gli occhi di Ermengarda cercano il cielo: col tremulo guardo cercando il ciel — , einmal. Durch das Palmenfacheln liimmlischer Entsagung rauscht nocb einmal der Fledermausflugel weiblicher Eifersucht. Das aiif s tiefste gekrftnlvte Weib gewinnt im letzen Augenblicke die Ober- band ùber die heilige, von allem Irdischen losgeloste Dulderin. Ihr schwinden die Sinne vor Sclimerz und bitterem Leid, und di(> schon auf Engelwolken Ents>*.liwebende sinkt zuriick in irdische Ohnmacht,um — ach der entseligten Mìlrtyrerverzuckungl — um in Delirien zu erwachen ; um irre zu reden im Eifersuchtvvalinwitx. Ungemein Tvirksames Incìdenz inbezug auf dramatische Abwech- selung, Umschlag und Uebersprunge der Affecte. Aber auch inbe- zug der VerklJlrungstimmung? der Situation , und der von ihr ge- botenen Verhimmlischung des Schmerzes ? Mit Kiicksicht darauf miissen wir den bùhnenwirksamen Affectwechsel als eine Triibung der schOnen Scene, wenn nicht al.s eine Entweihung solcher To- desseligkeit , solcher versOhnungsheìIigen Euthanasie verdammen , und diese Abweichung von dem grossen Vorbilde der entsprechen- don Abschiedsscene der Konigin Katarina in Shakspeare' s Hein- rich Vili ala eine traurige Verirrung bekiagen ., {Geschichte de» Dia- mas , VII , 229-80). — 119 — quello sguardo diviene parola nelle suore, che innalzano a Dio la loro preghiera, perchè accolga l'anima di lei. Che è questo Coro? Le vergini, mentre Ermengarda muore, le sono intorno, la confortano, pregano per lei. È questo un momento lirico cristiano interessante. È la vita di Ermen- garda rappresentata non da lei, ma dagli spettatori, che ri- cordano la lotta da lei sostenuta nel convento, lotta tra la memoria del passato che non 1' ha mai abbandonata e V amo- re di Dio, col quale spesso ha cercato di cancellare V affetto di lei per un uomo. Le suore, dunque, ricordano tutta la vita di Ermengarda nel monastero, quand'ella rammentava la Mosa: O Hosa errante, o tepidi Lavacri di Aquisgrano I — e il tempo ch'ella andava a caccia insieme col re, di che ella parlava non osando parlare direttamente di Carlo e dire che l'amava. In ultimo, si esprime il sentimento dell'offerta che Ermengarda fa di se al Signore. Il sentimento del Coro è che la lotta, la quale Ermengar- da sostiene nel convento, quell'amore tenace che non può strappar dalla sua anima, il dolore, il martirio, le aprono la via del cielo : soffrire in terra è godere nell' altra vita. Intorno a questi pensieri e ricamato tutto il Coro. Dopo aver rapidamente mostrato come Manzoni rappre- senta Ermengarda, vediamo di esaminare che cosa è uscito da lui, che cosa è artisticamente Ermengarda, che è questo Coro. Dissi già che Adelchi è un ideale vuoto di energia, mancato. Einmengarda è veramente l'ideale femminile, che Manzoni va- gheggiava? Volete sapere che cosa dovrebbe esser Ermengar- da perchè si sviluppasse tutto l' ideale immaginato dal poeta? Bisognava prendere Ermengarda al principio delia sua vita, accompagnarla nelle sue vicende, dimostrare la storia del suo cuore, che cambia insieme coi fatti in mezzo ai quali si trova, per vedere la lotta che e in lei tra l'amore di un uomo e r amore di Dio : allora sentireste il valore drammatico di Ermengarda, avreste la donna. Il poeta, invece, pone come un antecedente tutta la storia terrena di lei ; per mostrarci il suo amore , la rappresenta nel delirio quando le escono di bocca frasi come questa : Tremendo amore è il mio... — 120 -- e subito dopo, muore cercando il cielo cogli occhi. Sentite qui veramente la lotta tra l'amore terreno e il celeste ? Vorrei farvi avvertir bene il vuoto che è intorno ad Er- tnengarda. Come ideale di donna impareggiabile, ricordo la Margherita di Goethe, che è una di quelle rimaste eterne nella poesia ; perchè tutto ciò che costituisce la sua natura non si manifesta con frasi poetiche, con immagini, con apo- strofi , ma mediante situazioni drammatiche , di quelle che Invelano il carattere. - Per esempio. Margherita va in chiesa : ecco l' ideale cri- stiano : qui il monastero , là la chiesa. Margherita ha ri- morso di aver ceduto alle insistenze di Fausto , si sente già madre. Comincia a parlare con le compagne, una di queste le narra la stoiùa di un' amica comune : « sai che è divenuta Lisa? Non è più la buona Lisa di una volta»; e le racconta la sorte di questa, che è la sorte comune delle fanciulle che han perduto la loro verginità. Le compagne se ne vanno, e Ghita cammina sola, con queste idee ed im- pressioni nell'anima. Ella pensa: — anche io una volta par- lava dei falli di qualche povera fanciulla , e come ero zelante nel condannarla ! io parlava come ora parlano le altre, ed io ho commesso la stessa colpa che allora giudicava con tanta severità! Così pensando, ella giunge ad un cro- cicchio — ecco la situazione —ove trova un'immagine della Madonna, come si soleva metterne fino ai tempi vicini a noi per le vie, anche in Napoli. Ella trova, dunque, l'immagine della Mater dolorosa : col cuore gonfio, bisognosa di espan- sione, si getta in ginocchio, e prega. Ecco qualcosa di esterno che determina il carattere del personaggio, il quale non è lirico, non ci dà un perpetuo soliloquio: ci è un due, che ne determina i sentimenti. Ac- compagniamo Margherita ancora per poco. Ella va in chiesa, ove si celebra messa solenne con canti e col suono dell'or- gano : si canta il Diea irae. Quante volte ella 1' ha sentito senza che le facesse impressione ! Ora lo pare che ogni pa- rola sia un rimprovero per lei , che quelli che cantano guardino a lei ; ad ogni tre versi latini, nuove impressioni nel suo animo. Ed è magnifica la fine ; quando ode : — Quid aum. ìniscr tuni dicturus ? che dirò nel giudizio univei'sale, innanzi al Dio severo , guardando il quale anche il giusto trema? — , Ghita si abbandona nello braccia delle donne che le stanno intorno, esclamando: datemi un'ampolla, mi sento morire ! Ermengarda manca di situazione drammatica, parla a lungo, — 121 — pronunzia nel delirio frasi generali; ma come donna vivente non esiste. Voglio presentarvi un'altra riflessione. Quando Ermengarda parla d' Ildegarda , che impressione ne avete ? sapete voi chi sia questa Ildegarde ? No, lei lo sa. Ma in poesia ogni personaggio deve essere poetico. Ildegarde , questa vita di ricordanze, Carlo — che cosa sono per noi? Nomi , parole : non sono messi in iscena , non in situa- zioni drammatiche ; ci sono rappresentati nelle frasi, nelle parole poetiche. Quando diciamo : Ermengarda, siate certi che non intendiamo Ermengarda della prima e della se- conda scena; intendiamo parlare del Coro: ecco quello che è rimasto vivo della tragedia, il canto che le suore innal- zano a Dio intorno alla morente. In esso non ci è il carat- tere virile o femminile dell' ideale, ma il germe della nuova lirica. Le suore , aliene dal mondo , estranee al passato di Ermengarda, piangono, la compatiscono, la consolano: esse non sanno, non debbono sapere, i dolori terreni di un'anima non consacrata a Dio. Quando innalzano la voce intorno ad Ermengarda, per loro quello e lo spettacolo ordinario della terra, abituate come sono a guardare all'altra vita. Avete la tragedia umana considerata in modo filosofico, perchè la l'eligione è destinata ad essere la consolazione , la filosofia della vita. L' anima di Ermengarda, guardata da un punto di vista celeste, fa loro sentire la religione artisticamente : non ci è niente di appassionato e di turbolento, di ciò che è proprio della lirica terrena. Capite ora perchè, guardando le cose tranquillamente, le pure vergini del Signore possano riepilogare la vita di Er- mengarda quasi con caratteri poetici : in quelle memorie esse vedono la forma esteriore: e capite perche, sin presso al letto di morte, pos.sano ricorrere a paragoni per esprimere misti- camente amori terreni, che non son nate a comprendere di- i-ettamente. Con un magnifico paragone, infatti, nel Coro è rappresentata Ermengarda , rivolta alle immagini del pas- sato, poi tutta del cielo, poi di nuovo volta alla vita ter- rena: esse che non intendono la lotta che e in lei, ricorrono alle immagini e cercano di spiegarsela colla similitudine di *' nomeni naturali : Come rugiada al cespite Dell' erba inaridita, Fresca negli arsi calami Fa rifluir la vitn, Che verdi ancor risorgono Nel temperato albor~. — 122 — Vi ripeterò un altro paragone, ch3 è il capolavoro di que- sto Coro : Muori; e la faccia esanime Si ricomponga in pace ; Com" era allor che, improvvida D' un avvenir fallace, Lievi pensier virginei, Solo pingea... (per le suore la salute di Erraengarda è nel tornar vergine come loro, nel cancellare quella vita anteriore che esse non comprendono) Cosi Dalle squarciate nuvole Si svolge il sol cadente E dietro il monte imporpora II trepido occidente, Al pio colono augurio Di più sereno dì. Tutta la parte dell'azione è fatta solo di accenni: e del dramma rimane vivente soltanto la lirica cristiana del Coro. §2. Il Cinque Maggio (dalla Lezione IV) Seguiamo il Manzoni nella formazione faticosa dei suoi ideali. Io vi mostrai negli Inni gli elementi di un nuovo mondo e di un nuovo uomo, che il Manzoni poi ha cercato di realizzare in Adelchi e in Ermengarda. Ha tentato di realizzarli drammaticamente ; ma, come vedemmo, ne è uscito un Coro, un semplice accento lii'ico. In effetti, perchè la lirica cristiana non sia una semplice effusione piena di unzione , una vuota generalità , è neces- sario che il poeta vi aggiunga la lotta, nella quale si sviluppa l'elemento drammatico, la lotta tra il terreno e il divino. Nel medioevo quella lotta concepì vasi in modo esteriore e spesso fantastico e grottesco; anche i romantici, che ri- costruivano nel secolo XIX il medioevo, han cercato di ottene- re r effetto estei'iore dal fantastico e dal grottesco, come vedre- mo quando esamineremo V Ildegonda di Tommaso Grossi (1). (1) Vedi La letteratura italiana nel secolo XIX, Parte I, Lez. II e III. _ 123 — Basta che voi ricordiate le missioni dei vostri paesi, e ram- mentiate come i predicatori rappresentano la morte cristiana: al letto del morente sono l' Angelo buono e l' Angelo cat- tivo, che se ne contendono l'anima: l'uno vuol ispirare nel moribondo la memoria delle sue vicissitudini terrene, l'al- tro cerca di elevarlo al cielo. Ecco il grottesco; ma questo grottesco è stato pure il fondamento di tutta la poesia del medioevo. Che cosa è, infatti, la Divina Comtnediaì Ma, la lotta tra il terreno e il divino , presentata in tre momenti successivi. Inferno, Purgatorio e Paradiso! Saltiamo i secoli , veniamo al romanticismo. Che cosa è il Fattsf del Goethe? È la lotta tra il terreno e il divino, tra Dio e Mefistofele, dapprima intorno all'anima di Mar- gherita. Quando Margherita è salva, ella stessa, poi, diventa lo strumento della salvazione di Faust, non ostante il patto da lui conchiuso col diavolo. La Divina Commedia è epica, perchè la lotta e presentata in momenti successivi : il Faust e dramma, la lotta vi è presentata come collisione perma- nente; in tutti i fatti, in ogni scena, v'e il contrasto tra il terreno e il divino. Margherita, che, tormentata dallo spi- rito cattivo, quando sta per spirare, ha da presso Mefisto- fele , il ([uale cerca di tirarla a se , è la donna nella lotta simbolica esteriore tra il demonio e Dio. Manzoni, come poeta del secolo XIX, voleva emancipare la lotta di questo elemento simbolico ed esteriore, presen- tarla direttamente, come in ogni tragedia, tra i personaggi e gli avvenimenti ; e volle darci la lotta in Ermengarda tra l'amore di Carlo e la tendenza cristiana. Non occorre ripetere quello che vi dissi: .«apete ora perche non e riuscito: sentite la lotta svanire in quel dramma, in cui Ermengarda rimane un incidente; il sv.bstraii'm, vero della poesia ivi e il Coro. Da codesto fondamento cristiano non esce solamente una lirica più o meno drammatico ; ma un nuovo mondo epico, in cui la storia è guardata con l'occhio dell'altra vita, come storia di Dio, nel quale l'uomo non è che ombro, apparenza, strumento; questo nuovo mondo epico si trova anche sviluppa- negl'/nw/*: cosi, nella Pentecoste, nella Risurrezione, tro- ...le un nuovo modo di considerare le cose umane. Contro di questo mondo epico è la morte, che ci dà il sentimento della ,-..r,:..> (\e\\Q cose: "'•■♦> il pensiero di Petrarca: Veramente siam noi polvere ed ombra. Fondamento di esso è l' elemento provvidenziale, la storia — 124 — considerata come opera della provvidenza, come la storia di Dio: è il mondo come l'ha concepito Bossuet, e, prima di lui, S. Agostino. E notate: se il mondo, rappresentato come storia di Dio, fosse regolato da Dio come intelligenza o ra- gione accessibile all'uomo, poca diiferenza sarebbe tra que- sto concetto e il concetto moderno della storia; poiché Dio, comunque in diversa maniera ognuno se lo figuri, è il com- plesso delle leggi eterne , secondo cui cammina il mondo. Però, nel senso cristiano, Dio è volontà ragionevole, ma ra- gione imperscrutabile all' uomo, il quale non ha il diritto di domandare: Perché? Quando vuole spiegarsi i mali della vita, non può domandarne la ragione all'Onnipotente; i suoi fini sono imperscrutabili ! Fondamento di questo mondo è, dunque, l'ai'bitrio divino; all'uomo rimane la rassegnazione, il chinar la fronte, come vedremo nella poesia che ora esamineremo. Ora tutti questi concetti, una volta che il poeta li ha fatti suoi, ed ha pensato prima di manifestarli indirettamente ne- gli Inni, ed ha cercato di concretizzarli poi drammaticamente in Adelchi ed Ermengarda , non sono oziosi , diventano la forma del suo concepire e del suo sentire. Oramai, checche tratti Manzoni, questi concetti vi devono entrare, egli deve concepire così, pensare cosi! Tale modo di concepire e di sentire di un uomo mette tra la realtà e lui una specie d'involucro, a guisa del velo di Iside. Con questa difterenza, che il velo non è intorno ad Iside, ma entro di noi, nel nostro cervello. Que' preconcetti formano qualcosa d'intermedio, che non ci fa attingere la realta direttamente, ma sempre con quel concetto in mezzo tra essa e noi. Capite ora come Manzoni ha potuto concepire il Cinque maggio. Non sono più qui avvenimenti cercati nelle crona- che, nel medioevo; ma avvenimenti contemporanei, che fe- cero la più grande impressione in tutti i popoli civili. Egli prende la penna sotto la ripercussione della impressione con- temporanea. Ebbene, quando Manzoni concepisce Napoleone, tra lui e la realtà si presenta l'involucro, cioè quel con- cetto che or ora vi ho spiegato: il mondo provvidenziale, storia di Dio; l'uomo, strumento della Provvidenza; e ciò non può non esercitare influenza sul suo spirito. In quello che ho chiamato involucro o cornice , Manzoni inquadra il Cinque maggio. Che cosa e Napoleone? Un uomo fatale, uno strumento della Provvidenza, l'orma più vasta dello spirito creatore : Del creator suo spirito Più vasta orma stampar. — 125 — ("he è la gloria? . . . . Ai posteri L'ardua sentenza. Noi dobbiamo riconoscere nella gloria un raggio di Dio; e, senza osar dire se è vera o falsa, inchinarci al volere divino : . . . Nui Chiniam la fronte al Massimo Fattor .... Quando questa gloria giunge al cospetto del cielo, dell'al- tra vita, che diviene? — Silenzio e tenebre: Ov'è silenzio o tenebre La gloria che passò. V. quando l'uomo è oppi'esso dal peso delle sue rimem- branze, avviene un miracolo epico secondo il concetto cri- stiano: una mano scende dal cielo, lo scioglie dalla terra e lo trasporta in più spirabil aere. Tutte le vicissitudini di Napoleone, grandi gioie e grandi dolori, sono opera di Dio : <^uel Dio che atterra e suscita, Che affanna e che consola. Ricomparisce innanzi a questa realtà il mondo epico-lirico di Manzoni, che già vi ò noto. Ma tutto ciò penetra la sostanza della poesia? Questa, che l'autore vi presenta, è veramente la storia di Dio? Sentite voi che Napoleone è lo strumento di Dio? Avete qui l'impressione religiosa e il sentimento del soprannaturale? Il Dio, che atterra e suscita, è invisibile in tutta questa storia umana; l'estro che, all'ultimo, si mani- * *:i in modo così commovente: Solla deserta coltrice Accanto a ini posò, — lo sentite voi in tutta la poesia? Il sostrato religioso s'estende " Mitta la poesia? » vi domando s#, dopo iulLa l'oik-, sL-iiiite quel profondo ■oglimento, che si prova leggendo il libro di Giobbe, o <\\ei e i grandi scrittori cristiani. No; che .sentite? quali sessioni avete leggendo il Cinque maggio ì Voi sentito i ' Ha grande realtà. Napoleone! — 126 — E il caso di cui vi ho parlato tante altre volte. Non sempre quello che il poeta vuol fare, e' lo fa. Egli ha voluto for- mare un'epopea cristiana, la storia del mondo penetrata nella storia di Dio , e tutto ciò si riduce ad una semplice mac- china poetica, e ve ne accorgete solo all'ultimo, quando viene la mano divina a prendere Napoleone e ad avviarlo : Ai campi eterni, al premio Che i desideri avanza. Allora comparisce il Deus ex machina: tutto il resto è la realtà, che l'autore ha sentita e rappresentata. Così sempre avviene all'uomo di genio. Il pedante , quando si è formato un involucro nella sua testa, vi rimane dentro: su lui non opera la grande feconda- trice degli ingegni, la realtà. Manzoni si trova sotto la impres- sione vera, contemporanea, è ispirato da essa ; onde , men- tre vuol fare la storia di Dio, che gli esce? la leggenda di Napoleone. Gli esce Napoleone, non com'era concepito dalle persone adulte, intelligenti, colte; ma come fu concepito dalK- moltitudini, dal popolo. Napoleone è uno dei personaggi più complessi, che ci pr^'- senti la storia. Ci è in lui il lato poetico, perchè egli amava la Francia, amava la gloria, aveva il sentimento vivo del- l'ordine, aveva anche il suo sentimento astratto della giu- stizia , era uomo moderno , diffuse quelle idee colla spada. Ma ci è un'altra parte, che fa di lui una delle figure pia difficili ad essere attinte, non dirò dal poeta, ma dallo scien- ziato e dallo storico. Manzoni ha gittate via tutto questo; non ci è per lui il francese, non l'uomo contemporaneo, l'uomo dalle idee mo- derne, il rivoluzionario che pose fine alla riv^oluzione e in- staurò la reazione. Tutto que.^to contenuto svapora innanzi a Manzoni, come Napoleone era svaporato innanzi alle mol- titudini. Glie era Napoleone pel popolo? Il popolo non vede nelle cose umane, che ciò che può am- mirare, ciò che desta il maraviglioso: ci vede il miracolo. Se fosse capace di vedere sotto al miracoloso le leggi severe dello spirito, avrebbe' intelligenza adulta, forte, non sarebbe più popolo. Il grand' uomo innanzi al popolo è una forza vuota: nei tempi barbari, forza fisica, ed allora si hanno gli Orlandi e i Rinaldi; nei tempi più civili, forza intellet- tuale o morale. Che e' e dentro questa forza? Qual uso se na e fatto? Che effetti storici ne sono usciti l Qua! missione — 127 - aveva Napoleone? L"ha egli compiuta? Tulle queste cose escono fuori dal concetto del popolo; il quale ammira la gran- dezza dell' uomo , la grandezza straordinaria degli avveni- menti, quella morte straordinaria; il vedere quel grande, solo, silenzioso, confinato sullo scoglio di sant' Elena, ingi'an- disce il piedistallo su cui l' immaginazione del popolo mette Napoleone. Manzoni , ritraendo il Napoleone delle moltitu- dini , ne ha tolto fuoi'i tutti i particolari determinati , che ti danno il Napoleone di Victor Hugo , o di Lamartine , o di Bel anger, e non ti presenta innanzi che gli effetti vuoti della foraa, come e naturalmente, come la tempesta e il ful- mine. Questo, lo vedete scoppiare, e non gli date alcun fine, non gli domandate perché scoppia , perchè ha ucciso piut- '■^*to uno che un altro. Nel Cinque maggio^ quindi, vibra una eorda sola, c'è una sola corrente : è la rappresentazione del maraviglioso e dello straordinario , sia come foi^a generale dell' uomo , sia come lo straordinario delle vicissitudini storiche. C è la sola storia del meraviglioso. In che modo la ispirazione della realta ha fatto suonare quella corda? Come il poeta ne ha saputo cavare gli effetti del maraviglioso ? Entriamo ora in particolari di pura forma, per intendere gli effetti estetici della poesia. La parola, la quale deve produrre gli effetti del maravi- glioso, finché rimane nella regione delle idee e dei concetti, può riuscire, perchè le basta un pensiei'o, che vi rappresenti innanzi qualcosa d" infinito, ad attingere il >^niì «^opo. Quando Manzoni ci dice: Ai campi eterni, al premio Che i desideri avanza. Dov* ò silenzio e tenebre La gloria che passò... tutto qui è un maraviglioso di concetto , un gran pensiero che vi fa balenare innanzi qualcosa di non definito, che vi dà l'impressione dell'infinito, come quel premio che avanza ! desideri, come la gloria divenuta silenzio e tenebre. Avete qui un concetto sublime ; ma, se il Cinque maggio fosse cosi cucito di concetti sublimi, sarebbe una sconciatu- ra. Manzoni non ricorre a questo mezzo facile del sublime se non verso l'ultimo, quando spari.sce l'uomo e comparisce Dio: Dio, che è l'espressione estetica del concetto del su- blime. Nel resto dell'ode, il poeta non ricorre punto a simili concetti. — 128 — Qui sta la principale differenza tra l'ode italiana e quelle di Lamartine, di Béranger, di Victor Hugo. Ivi il poeta, a proposito di Napoleone , esprime i suoi sentimenti , le sue aspirazioni , corre appresso a" concetti ; qui il poeta sparisce, avete innanzi la realtà storica nei suoi momenti successivi: perciò, in quelle domina il carattere lirico, questa del Man- zoni è strettamente produzione epica. Rinunziando, dunque, al sublime dei concetti, e pure vo- lendo innalzare l' immaginazione nella regione dell' infinito, la parola è insufficiente, rimane al di sotto rispetto alla pit- tura, quando non si ricorre ai concetti, ma ai fatti. Perche la parola è obbligata a mettervi successivamente innanzi i fatti maravigliosi ; la pittura li raggruppa in un quadro solo e vi produce impressione immediata. Per sentire il mara- viglioso in poesia, siete obbligati a percorrere successivamen- te tutta una serie, e poi l' immaginazione deve formarsene un quadro ideale; essa è obbligata ad un lavoro faticoso di ricostruzione. Quando invece avete un quadro innanzi, tutte le idee e i fatti, aggruppati nel quadro, vi danno una im- pressione simultanea. Nell'arte le impressioni mediate sono seconde impressioni, ajar-és coup come dicono i P'rancesi, e ci lasciano freddi ; mentre niente e cosi irresistibile come r impressione istantanea, che vi viene dalla vostra visione. Come fa il poeta per rimediare a questo difetto non suo , ma dello strumento che adopera ? Ricorre al sistema dei gruppi, che è un grande ed efficace strumento di poesia. Che cosa è, direte, il sistema dei gruppi? Si tratta di fare colla parola quello che fa il pittore : rompere le distanze , sopprimere i tempi, togliere la successione negli avvenimenti, fonderli , aggrupparli , e di tanti avvenimenti , diversi per tempi e per luoghi, formarne un solo, che produca impres- sione istantanea. Per uscire dalle astrazioni, vi darò qualche esempio. Ripen- sate alle battaglie di Napoleone. Se il poeta rappresentasse successivamente le diverse battaglie, Marengo, Austerlitz , Waterloo, per quanto ciascuna sia interessante, sarebbe im- possibile per voi di avere quell' impressione, che viene dal simultaneo e dall' insieme ; avreste impressioni successive , lente, mediate. Che fa il poeta? Vi deve dare un quadro, come il pittore; deve emulare costui. E in che modo? Tro- vando un'immagine che faccia da centro, intorno alla quale irraggino avvenimenti , tempi e luoghi ; togliendo ciò che è successivo nella realtà e presentando un effetto d'insieme. Quando, per esempio, egli dice: — 129 — Di ((uel securo il fulmine Tenea dietro al baleno ; Scoppiò. . . . vi presenta una grande immagine : appena si ha il baleno, cade il fulmine e scoppia. Intorno a questa immagine pit- torica aggruppa lempi e luoghi diversi: colla stessa rapidità con cui al baleno succede il fulmine, vedete comparirvi in- nanzi il Manzanare e il Reno, le Alpi e le Piramidi : si pre- sentano infiniti spazi, che la vostra immaginazione riempirà subito degli avvenimenti che vi si riferiscono. Dopo l'imma- gine centrale pittorica, egli ripiglia subito avvenimenti, tem- pi e luoghi ; compie l' effetto d' insieme, dicendo : Scoppiò da Scilla al Tanai, Dall' uno all' altro mar. Ecco come il poeta può raggiungere 1' effetto del simulta- neo, come il pittore nel quadro. Questo, nel Cinque Maggio, è il sistema generale del Manzoni. Egli non ha presente la storia di Napoleone , esposta successivamente , come in un poema epico; ha innanzi tre o quattro situazioni dramma- tiche di Napoleone, che, insieme, danno l' idea di tutta la vita dell' eroe , e ciascuna di esse situazioni ha per centro una immagine pittorica, che si fissa nella fantasia, e intorno alla quale si avvolgono tempi, luoghi e avvenimenti, attirati e mossi da quella. Guardate, per esempio, al principio: la prima immagine colossale : la spoglia di Napoleone , e, di rimpetto, la terra, immobile come la spoglia. Andate innanzi e trovate l'esempio citato del fulmine che scoppia dietro al baleno; poi quel Due volte nella polvere, Due volte sugli aitar : conclusione che vi spaventa per la novità delle parole e !a grandezza dell'immagine intorno a cui girano tutti gli av- venimenti della vita di Napoleone. Procedete ancora innanzi ; trovate un'altra grande immagine. Napoleone assiso ti*a due secoli; e poi il Napoleone tradizionale, con gli occhi bassi e le mani conserte sul petto, come si vede in tutte le statue; e, all' ultimo , l' immagine di Napoleone sulla coltrice , con Dio che gli è d'accanto. Ecco, in tante immagini, tanti centri di vita e di azione. Che ne nasce? La vastità della prospettiva e dell'orizzon- De Saxctis — Manzoni e tcritti vani. 9 — 130 — te. Quando si è saputo raggruppare con questo sistema fatti distanti per tempi e per luoghi, e presentarli come simulta- nei , voi sentite l' infinito , avete innanzi 1' immenso. Per- mettetemi che io vi ricordi' quelle strofe : La procellosa e trepida Gioia d' un gran disegno, L' ansia d' un cor che indocile Serve, pensando al regno, E il giunge, e tiene un premio Ch'era follia sperar; Tutto ei provò: la gloria Maggior dopo il periglio, La fuga e la vittoria, La reggia e il tristo esigilo... Vi domando: quale effetto sentite, vedendo tutti questi fatti, tutta la storia di Napoleone, cosi raggruppata insieme? Ap- punto un immenso orizzonte, che comincia dalla procella e va a finire a quella grande immagine pittorica : Due volte nella polvere, Due volte sugli aitar. Ma non basta che i gruppi sieno ben fatti e gli orizzonti vasti. Occorre che tutto ciò sia bene sviluppato. Se avete innanzi un vasto cielo e non potete fermare lo sguardo in qualche punto, avrete vuota generalità: un sublime di con- cetti come in quell' Ove è silenzio e tenebre La gloria che passò ; non il sublime pittorico. Questi gruppi hanno un proprio si- stema di sviluppo, che sarebbe sconveniente quando si trat- tasse di rappresentare il successivo. Presentando una serie di fatti aggruppati , 1' effetto che vuoisi indurre nel lettore non è tratto da questo o quel fatto, ma da tutta la serie, che opera con forza concentrica e con- densata. Lo sviluppo nasce dai rapporti , ravvicinamenti o contrasti di fatti, tempi e luoghi diversi, costretti dall'im- maginazione a riunirsi intorno ud una sola immagine. Prendete il preludio. Esso comincia con suono di gran cassa, il quale continua sino alla fine: perchè qui, ho detto, c'è un sol motivo, una corda unica, che vi tira fino all'ulti- mo, senza lasciarvi un momento di riposo; e già vedete subito il sistema dei ravvicinamenti. Napoleone è morto: Et fu! — 131 — Ma , a proposito ! Tra le altre nostre umiliazioni ricordo questa : un critico nostro volle fare un esame del Cinque Maggio, dimostrando esservi molti errori di grammatica. E diceva: « Ei fu. — Chi Eiì Secondo la grammatica il pronome si riferisce ad un nome detto innanzi : ora innanzi ad Ei è il Cinque maggio ; dunque, il Cinque maggio fu ! » (1). Lo stesso critico diceva, a proposito della strofa : E ripensò le mobili, Tende, e i percossi valli.... « Ma questa è situazione da caporale, non da generale in capo l Giacché il caporale bada a tutti questi movimenti. » Dunque: Ei fu. Chi eiì Ma non è solo V ei del poeta, ò quello di cui tutti parlavano, per cui tutti erano commossi. Fin dal principio avete un ravvicinamento gigantesco ; qui il cadavere, la la terra, cosi muta ed immobile che rasso- miglia al cadavere. Questo potrebbe parere qualcosa che oltrepassa il vero. Ma vediamo : ci sono statue in scultura, che, viste da vicino, a noi sembrano sconciature, e da lontano acquistano proporaioni naturali, come a Napoli le statue della Piazza del Plebiscito e i due cavalli di bronzo della Reggia. In poesia accade lo stesso. Certe colossali concezioni, esaminate a freddo, dopo l'impres- sione immediata dei fatti, vedute con seconda impressione, sembrano cose gi'Ottesche , innaturali , come sembravano a quel critico , che non sentiva più V impressione immediata. Ma le concezioni colossali della poesia, vedute da lontano , sembrano vere e naturali. La lontananza in poesia e la vi- sta in immaginazione , il guardare le cose con i* immagi- nazione ; e quando questa si è saputa concitarla, toglierla dal mondo ordinario delle misure e trasportarla in una regione superiore , tutto s' ingrandisce. Supponete qui l' immagine sola, e che tutto il resto rimanesse freddo; allora si avrebbe um» sconcio ravvicinamento fatto a freddo, sottilizzando, la- vorando più con r intelligenza che con l' immaginazione. Ma qui il poeta, stando sotto una possente impressione imme- diata, ta un' ode cosi rapida, calda, corrente con tanta uni- formità lino all'ultimo sullo stesso tono, che le proporzioni naturali cambiano , ed il gigante pare naturale. il) Vedi sul proposito D'Ovidio-Sailbr, DUeuttioni manzoniane, tU di Castello, 1686, p. 200. — 132 - Ricorderò quei versi : E sparve, e i di nell'ozio Chiuse in sì breve sponda, Segno d' immensa invidia E di pietà profonda, D'inestinguibil odio £ d' indomato amor. Qui il ravvicinamento è così intrinseco alla realtà, ha l'aria così naturale, che pochi di voi ci avranno badato. Qui vedete la statua colossale impicciolirsi esternamente innanzi agli occhi. Queir uomo tanto operoso, eccolo in ozio ; quel- r uomo a cui 1' Europa pareva piccola e abbracciava colla immaginazione tutto il mondo, eccolo chiuso in sì breve spon- da! Vedetelo nella miseria, quell'uomo; ecco il grande ca- duto ! Ebbene, ei diventa ancora più grande ; vedete come il verso subito ripiglia : Segno d'immensa invidia, E di pietà profonda. È di lui che tutti si occupano, egli è ancor grande nel- r invidia degli uni e nella pietà degli altri. La grandezza, r infinito, il maraviglioso, risultano dal ravvicinamento im- provviso dello stato di abiezione, al quale quell'uomo sembra ridotto, e dell'impressione grande, che ancor produce sul mon- do. Non solo il maraviglioso e coordinato al sistema di gruppi, ai larghi orizzonti, ma anche al modo di sviluppo particolare. Togliete questo e avrete le antitesi di Vicior Hugo. Leg- gete r ode del poeta francese e vi troverete non più sistemi di gruppi , ma concetti isolati , subbiettivi , la sua maniera particolare di considerare Napoleone. Allora 1' antitesi di- viene qualche cosa di cercato, di sovrapposto, diviene vizio. Qui, r antitesi non appartiene allo spirito del poeta ; Man- zoni è il poeta più semplice d'Italia; ma e la natura stessa della cosa, è il naturale sviluppo di ogni sistema di gruppi. Dove sono gruppi, là avete rapporti, somiglianze, raffronti, antitesi, contraddizioni. Continniamo ancora ad analizzare. In un genere tale di poesia, che corre sopra una sola corda, e si sviluppa per via di raffronti, antitesi, ecc., che cosa dev'essere la parola? Qui, se la parola descrivesse o narrasse, se rappresentasse qualche idea accessoria, qualche ornamento sovrapposto, non inerente alle cose , sarebbe la traditrice della concezione fondamen- tale. Avremmo dissonanza compiuta tra la parte elegante o — 133 — pomposa descrittiva o narrativa , e una concezione tras- portata in regioni sì alte e fondata su di un sistema cosi speciale. Ma qui trovate una virtù, che impressionò special- mente i critici francesi. Charles Didier mette quest' ode al di sopra di tutte le poesie fatte in Francia, e, non sapendo o non potendo andare addentro, la parola lo colpisce (1). Per mostrarvi che sia questa parola densa, concentrata come la immagine, perchè tutto è qui lavoro di concentrazione, ri- corderò i versi : Oh quante volte, al tacito Morir d'un giorno inerte, Chinati i rai fulminei. Le braccia al sen conserte... Ogni epiteto, quale condensamento dì cose presenta, come è pregno di sottintesi ! Ai tacito morir di un giorno inerte non è descrizione di un tramonto: quell'uomo, che prima finiva la giornata sua cosi piena, in mezzo a tanto frastuo- no, a tanti avvenimenti, tra le grida di gloria, vede li, per la prima volta, morire il giorno tacitamente: vede il tra- monto taciturno di un giorno inerte, mentre per lui l'inerzia, un tempo, non esisteva. Ecco il suo martirio ! Chinati i rai fulminei... Guardate alla scelta degli epiteti: quegli occhi, che ful- minavano, ora sono chinati ; ci è l'antitesi, non cercata, ma propria delle cose. Non vi parlo dell' onda di memorie che lo assale : tutta una battaglia rappresentata per via di sostantivi e di ag- gettivi : tutto è succo in questa poesia. (1) Il Didier, discorrendo degl' /uni e del Cinque Maggio, dice: " Jamais la langne ne fut mieux disciplince , jamais elle n'olx^it plus exactement à la pensée , ni ne marcha phis d' accord avec elle. Pas de luxe inutile, pas une image faussie, point d' épithètes forcées, rien de lit-iirti^, rien d'obscur; tout, au contraire, est diaphane, limpide, et c'est là surtout qu'on peut dire que le vera est la cristallisHtion de la pensée „. Del Cinque Maggio in particolare osserva che " c'est une oeuvre à part, «"crite .sous une inspiration actuelle, et que je d<^larerai8 parfaite dans le g^nre . si n'etait le trop grand dévelop- pement donn(S à 1" inexactitude historìquH de la ronversion finale. C'est aus.si faire mourir 1' empereur par trop en Saint-Louis. La- martino a mieux fait de se retrancher dans le doute ; sans y rien perdre en poesie, son ode y a gagn<^ en v<. — 134 — Andiamo ancora un po' innanzi- Quando una poesia è in- dovinata , tutto e indovinato. Il metro del Cinque maggio è già italiano, ma ricreato, rifatto dal Manzoni. Che cosa sono queste strofette di sei versi? È in sei versi sempre con- densata una serie di avvenimenti , che dà 1' effetto di un quadro. È il verso alessandrino, il verso francese, il doppio settenario, il verso di quattordici sillabe , divenuto italiano e chiamato martelliano. Ma il verso francese si scrive in- tero e qui è diviso in due. Qual' è la differenza ? Il verso ales- sandrino è stucchevole, per la sua uniformità e cantilena e cascaggine ; in Italia è riuscito solo nel genere comico, come r ha usato Goldoni ; i Francesi lo adoperano nella poesia seria, anche nell'epopea. Manzoni, nell'alessandrino, getta uno sdrucciolo che passa rapidamente sopra il suo complemento per dar la mano al- l'altro verso sdrucciolo : non potete fermarvi in questo ac- cavallarsi di sdruccioli, dovete andare sino alla fine. Vedete : E ripensò le mobili Tende e i percossi valli.... Appena viene quel mobili, tutto il resto lo divorate, e correte all' altro verso. Perciò avete nell'ode una corrente continua, la rapidità, il calore, che vi mostrano la rapidità e il calore con cui il poeta ha dovuto concepirla. Ora, ripigliando il cammino, e ritornando là .d'onde ci era- vamo mossi , che cosa è il Cinque m,aggio ? C è un conte- nuto religioso? C'è il sentimento del soprannaturale? Tutto ciò che di religioso vi ha messo Manzoni, è la sostanza della poesia? No; è un semplice involucro, la cornice del quadro. Sapete che i santi sono rappresentati con intorno un'aureola; ebbene, che cosa è questo Cinque maggio'^ È la statua di Napoleone con quell'aureola postavi dal poeta : quell'aureola è lu cornice , il quadro è Napoleone. E che cosa è questa immagine di Napoleone? È Napoleone come vien concepito dal popolo : la forza come forza , che produce 1' effetto del maraviglioso. Capite ora perchè il Cinque maggio sia riuscito la poe- sia più popolare in Italia ; non solo rispetto alla lirica ar- cadica ed accademica, ma anche rispetto alla lirica dì Fo- scolo e di Parini , la quale s' indirizzava ad un circolo ri- stretto di lettori, non penetrava negli strati inferiori della società. È la prima poesia popolare dell'Italia moderna, ed — 135 — «• stata tale anche fuori : in Germania se ne fecero cinque traduzioni. Goethe ne fece la prima. Alfieri, Parini, Foscolo, vi rappresentano un mondo non intimamente collegato con le tradizioni e co' sentimenti po- polari, che richiede un sentimento sviluppato, un'abitudine di pensare molto svolta, per essere gustato. Ecco perchè in Italia non avevamo ancora letteratura popolare, ne in prosa né in poesia. Pregio di Manzoni è 1' aver trovato il modo di rendere popolare la poesia lirica. Così egli è il vero creatore della poesia popolare , come sarà il creatoi'e della prosa popolare (1). // Conte di Carmagnoìa (dalle Lezioni V e VI) Il Manzoni ha torto nel considerar 1' unità di tempo e di luogo come cosa contraria alla verisimiglianza. Se egli di- cesse eh' è difficile far una tragedia fra quelle strettoie, e soprattutto di chiudere fra di esse un fatto storico, saremmo d' accordo. Ma rigettare a priori l'unità di tempo e di luo- go, significa dimenticare che vi sono tragedie come VAthalie di Raeine o il Saul di Alfieri alle quali quei limiti non han fatto nessun danno. Il torto dei vecchi critici è di aver concepito 1* unità di tempo e di luogo, e anche di azione, in modo assoluto , e di non aver capito che queste tre unità sono sottomesse , regolate e modificate da un principio superiore, eh' è: V unità di situazione. Questa e 1' unità della composizione , 1' esser tutti gli ele- menti partecipi della totalità. Ciò si chiama creare un in- dividuo artistico , un organi.^mo vivente. È il sentimento del- '' insieme nelle singole parti , e delle parti nell' insieme. L' unità d' azione presa in so stessa , divisa dal tutto al • Itiale appartiene, diviene una falsità. Ma chi vi ha detto che r azione dev' essere una ? I nostri poveri critici si sono ai- ti) Di questa lezione vedi ciò che scrive il Panzacciii, ''ritira tpir- dola, Roma, Verdesi, 1886, pp. 39-40. — Tra i quaderni di scuola di Vittorio Imbriani 8i trova il sunto di un' altra lezione sul Cinque Maggio, fatta dal De-S. nel Politecnico di Zurigo. In tsaa il De-S. inette in mostra specialmetito la novitit dell'ode manzoniana rispetto alla scuola poetica di Monti, cho allora doniinava in It.-tlia. — 136 — capigliati per trovare V un'itk cVa.z\one neW Orlando Furioso, o nella Divina Commedia, e qualche volta hanno avuto il coragg:io di dichiarare un difetto il non avercela trovata; e per difendere il Furioso si è dovuto dire che questo è il se- guito deir Oì'ìando Innamorato , e che entrambi i poemi for- mano un tutto solo! Nel Furioso sono molte azioni importan- ti : la guerra de'Mori contro Parigi, la pazzia di Orlando, che dà il titolo al poema, gli amori di Ruggiero e Bradamante con cui quello si conchiude. Ma qual' è 1' azione principale? Nes- suna. L' azione dev' essere una , ma I' unità non dev' esser presa in senso materiale : possono esservi molte azioni, ma legate in modo che tutte, prese insieme, rappresentino il tutto <*.he ha innanzi il poeta ; in modo che tutti i fatti, tutte le azioni, si rannodino intorno a qualche cosa di centrale che rappresenti l'anima della composizione. In questa maniera voi trovate la via di giudicare V Orlando Furioso e la Di- vina Commedia. Per esempio , nel Furioso V insieme è il mondo cavalleresco fortemente concepito dal poeta, intorno al quale le azioni si rannodano : tutto quel disordine ap- parente, materiale, rappresenta l'essenza del mondo caval- leresco, lo spirito di avventura e l' iniziativa individuale. Dirimpetto alla situazione, che cosa è 1' unità di tempo? Chi vi ha detto che il tempo dev' essere limitato a venti- quattro ore ? È anch'esso relativo alla situazione, e, quando questa voi 1' avete fortemente concepita e 1' insieme ben sì risente nelle parti, il tempo può essere anche un secolo. L' unità di tempo non son le ore materialmente prese. Nel Cinque Maggio abbiam veduto quel passo : Dall'Alpi alle Piramidi, Dal Manzanarre al Reno..,. nel quale sono accumulati fatti accaduti in dieci o dodici anni , e tutto questo tempo vi sembra un minuto parago- nandolo coir idea che il poeta ha voluto esprimere. Ed anche il luogo lo fa la situazione; e se questa esige il giro del mondo, voi lo girerete senza che nemmeno vi sembri uscire dalla vostra stanza, se il poeta ha ben ripro- dotto dappertutto nelle parti l'insieme. Ecco, dunque, come quelle regole, prese in senso assoluto, debbono dirsi assurde; ma sono vere quando vengono pro- porzionate, non materialmente, alla natui'a della situazione. Cerchiamo di applicare al Conte di Carmagnola questi criterii intorno alla natura dell'organismo artistico. — 137 — Manzoni ha voluto rappresentare la lotta tra 11 potere ci- vile e il potere militare. Che cosa è la totalità organica , vivente di questa tragedia? Appunto l'idea della lotta fra i due poteri. Avviene, perciò, che la vita di Carmagnola è spezzata in due grandi parti, e la prima giunge fino al momento in cui egli arriva a Venezia: una parte questa, piena d' interesse, ma non rappresentata, sibbene fatta narrare da' personaggi. La tragedia comincia quanJo si sviluppa la lotta fra i poteri. Accettiamo la situazione così qual'e; vedia- mo come Manzoni ha saputo trattarla. Che cosa suppone una lotta fra il potere civile e il potere militare ? Suppone un processo psicologico, una storia dell'anima umana, ri- spetto all' uno e ali" altro de' due poteri ; e poiché questi sono personificati in Marino e nel Conte di Carmagnola, suppone una storia di questi personaggi, un processo psi- cologico per cui essi, cominciando la loro vita d' accordo, giungano, di ombra in ombra, di sospetto in sospetto, al punto che Carmagnola è sottoposto al tribunale segreto e condotto a rovina. Di ciò Manzoni stesso è persuaso, e a me piace presen- tarvelo non solo come poeta, ma anche come critico, tra i migliori del suo tempo. Non già che egli pel primo avesse combattuto quelle regole; avevamo già avuto Guarini e Me- tastasio, i quali aveano allargato i limiti messi all'arte da- gl' interpetri di Aristotile. Eglino difesero 1' opera loro co- me poeti divenendo critici , uno nella sua Apologia, opera straordinaria rispetto al tempo in cui fu scritta, perché vi comparisce in germe ciò che poi fu detto il romanticismo; e l'altro nell'estratto della poetica di Aristotile. Manzoni fa una bella riflessione. Quando voi rinchiudete un fatto drammatico in ventiquattro ore e nello stesso luo- go, il processo psicologico — egli dice — diviene impossibile; la storia dell'anima non si svolge in ventiquattro ore, ne in cosi angusti limiti possono restringersi le fini gradazioni per cui si sviluppa un carattere; avete bisogno di limiti più larghi, e qui egli fa un magnifico paragone. Prende \ix Zaira di Voltaire e VOfelh di Shakespeare. In fondo, il fatto è lo stesso in queste due tragedie : e' e un marito geloso che, scambiando le ombre per corpi e i corpi per ombre, si per- suade della infedeltà di sua moglie e la uccide. La diflìe- renza dipende dal diverso meccanismo. Voltaire in ventiquattro oro non può darvi il processo psicologico «lei geloso , e rimedia a questo difetto con una macchinetta. Suppone che sia diretta a Zaira una lettera — 138 — da suo fratello, e che il marito la creda lettera d'un amante, onde diventa furioso e uccide la mcglie. È mezzo comico questo, buono per una commedia fondata su intrighi ed e- quivoci; ma nella tragedia di Voltaire, la quale del resto è opera di effetto per la magniloquenza dello stile e per alcune situazioni drammatiche, è un elemento volgare. Guardiamo ora il gigantesco Otello di Shakespeare. Quel- l'uomo comincia amando Desdemona con tanta passione: a poco a poco la sua serenità se ne va, quell'anima si turba, piccoli incidenti insignificanti si trasformano nell' immagi- nazione : penetra in lui il perfido Jago, che eccita e dirige il sospetto , fino al punto che questo diventa certezza. Qui si ha il vero processo psicologico , la storia dell' anima. — Manzoni, dunque, vuol rappresentare il modo come a poco a poco dalla confidenza reciproca tra il Senato veneziano e Carmagnola si passi al sospetto ; e da questo alla certezza del tradimento, e si giunga alla morte del Conte. Il difetto del Carmagnola è il seguente. Se la base di questa tragedia dev' essere un processo psicologico , questa parte capitale di tutto il movimento drammatico e rappresen- tata solo nel terzo atto. — La si vede il Conte, superbo della sua vittoria , quando un commissario viene a dirgli : bi- sogna continuare nell' opera cominciata colla vittoria. Ed egli non sopporta che un Commissario del potere civile gli faccia lezione. Più tardi ecco che Io ammonisce un altro Commissario: — i vostri soldati restituiscono i prigionieri, ordinate loro che noi facciano. Era quello un uso di guerra; e il Conte non solo si jifiuta ad impedire la restituzione, ma ne fa liberare altri quattrocento. Egli se ne va, e i due commissarii , rimasti soli, si guardano in faccia e dicono: abbiamo a fare con un uomo avvezzo al comando , e che vuol sempre comandare. I due precedenti atti sono l'esposizione degli antecedenti^ i due seguenti sono la condanna del Conte, la catasti'ofe. Tutta la tragedia si concentra nel terzo stto. Manzoni, che vuol fare una tragedia storica, non s' è do- mandato a questo punto: le cose sono avvenute cosi? In verta, la storia è stata più poetica della sua tragedia. Quel fatto de' prigionieri fu il primo incentivo del sospetto; pas- sano due tre anni dopo questo fatto, prima che il Conte sia condannato. In questo tratto di tempo il Conte comincia ad essere sfortunato, e ciò gli produce danno, perché la sfor- tuna d'un generale apre facile adito al sospetto Egli ordina di prendere Cremona : i soldati le danno l'assalto di notte, — 139 — i cittadini resistono, quelli sono costretti a ritirai-si, e il Conte non insiste, non torna all' attacco. La flotta veneta si trova in mal passo, egli potrebbe salvarla; ma, per ven- dicarsi della mancanza di rispetto , per mostrare che non gli si può dar lezione in fatto di guerra , la lascia schiac- ciare. È il cumulo di tutti questi fatti che induce il so- spetto nel Senato veneziano. Manzoni vuol fare un dramma nuovo, ma ha innanzi un pubblico avvezzo alle regole classiche , ed ha pensato : se prolungo la storia di due e tre anni, esco troppo fuori dei limiti che aipmette il pubblico italiano. Quindi, nel quarto atto, mette in bocca ad un personaggio la narrazione dei fatti in cui è il processo psicologico, la tragedia: quei fatti perciò riescono freddi, sfuggono airattenzione dello spetta- tore, perchè narrati e non rappresentati. Vediamo quali sono le conseguenze di tutto questo. Poi- ché non c'è movimento drammatico, non quel processo psi- cologico che Manzoni medesimo vede neWOteììo, e le azioni sono quasi tutte narrate, e e* è una sola azione rappresen- tata, la battaglia di Maclodio, cosa accessoria che da origine al Coro, è questa una tragedia, composta di discoi'si : non e' è vita drammatica. Nel primo atto abbiamo innanzi il Senato che, dopo aver discusso a lungo, delibera di affidare al Carmagnola il co- mando delle truppe contro Filippo Visconti; poi Marco, amico del Conte, che va a comunicargli la notizia, e qui un discoi'so tra Marco e il Conte. Nel secondo atto è un consiglio di guerra de' generali di Filippo, e vi si discute a lungo se si deve dare batta;.'lia oppurno; dall'altra parte, c'è il Conte che comanda ai suoi di starsene pronti : qui finisce il se- condo atto. Nel tei-zo si comincia a mostrare lo sviluppo drammatico, i Commissarii proibiscono la restituzione dei prigionieri, il Conte nega di farlo. Nel quarto si ha la nar- razione de' fatti accaduti dopo, il Senato fa venire a Ve- nezia il Conte, e c'è un lungo dialogo tra Marco e Marino. Nel quinto atto e la catastrofe. Come si vede, tutto il dramma e vuoto di azione; vi sono magnifici discorsi ; ma sono discorsi : nulla fa tanto danno alla rappresentazione di un dramma come il vuoto dell' a- zione. Oggi che i più mediocri scrittori sono pratici del teatro, bì va all'eccesso opposto , e si vuol presentare una catena di fatti e di situazioni , sopprimendo quasi del tutto ì di- scorsi. Ma , ripeto, nulla rende cosi fredda la rappresenta- zione come i discorsi: il dramma ristagna^ sorge la disat- — i40 — tenzione o la noia, che si risente anche nella semplice let- tura; tanto che di simili opere voi siete tratti a saltare al- cune pagine per veder ciò che accade dopo. Invece, appunto per l'eccellenza della poesia , la lettura di que'discorsi del Carmagnola ci rapisce; ma nella rappresentazione ci sono finezze che sfuggono allo spettatore. Come volete che egli, quando si narra l'assalto di Verona , colga colla fantasia i fatti che gli sono narrati e non gli sono posti sott'occhio ? Egli prende le cose all'ingrosso, e, per colpirlo, è d'uopo presentargli qualche cosa che operi, e che si muova. Nel Conte di Carmagnola, dunque, la mag|?ior parte è narrazione, vi sono discorsi più che azione. E vi è una cu- riosa singolarità. Manzoni vuol darci un dramma storico, e non si accorge che strozza il conflitto drammatico in un solo atto, riempendo il rimanente di discorsi ; il che se mantiene la parte, diciam cosi, materiale della storia, falsifica, frain- tende la parte spirituale di essa. Nel secolo XIX un dram- ma pieno di discorsi e soliloqui è concepibile, perchè è un secolo in cui si discorre più che non si operi : essendo la intelligenza molto sviluppata, siamo avvezzi a ripiegarci su noi, e' è dell'Amleto nel. nostro secolo. Ma nel Medio Evo la vita era tutta al di fuori, e quei capitani di ventura erano tutt' azione; e non e' era molto sviluppo d' intelligenza. Onde io direi che questi discorsi nel Carmagnola sono non solo un errore artistico, ma anche un anacronismo storico. Quando Marco e obbligato a sottoscrivere un foglio e ad impegnarsi di non avvertire il Conte amico suo, fa un lungo soliloquio e sottili considerazioni. Egli si domjinda : fo bene o male ? Che cosa farò? xVvvertirò l'amico? Ma cos'i infran- go il giuramento! Non infrango il giuramento? E sono un perfido amico. Infine, come una canna in balia del vento, perde la volontà e dice: si segua il destino! Accusa del suo operato il destino, il quale non è altro che la sua codardia morale, battezzata con quel nome , e lo segue maledicendo la sua patria che 1' ha messo in quella situazione. Egli dice: Che tu sii grande E gloriosa, che m'importa? Anch'io Due gran tesori avea, la mia virtude, Ed un amico; e tu m'hai tolto entrambi. Oi"a tutto questo è moderno : quel modo di sentire e di concepire suppone intelligenza sviluppata, avvezza alla con- centrazione. Questa mancanza di vita drammatica nel Cai'- — 14L — rnagnola è duuque difetto non solo in sé stesso, ma rispetto ai tempi in cui visse il protagonista. Ed ora facciamo un po' di critica produttiva. — Ma era veramente quella l' idea poetica del Conte di Carmagnola ? È quella la totalità organica di cui vi ho parlato ? Manzoni si e messo in capo che quella idea sia la lotta tra il potere civile e il militare. Ma è veramente ivi la lotta? È col considerare tutto il dramma storico , col penetrarci della sua totalità, che possiamo vedere qual' è veramente l'idea organica della composizione. E troveremo infine eh'e questa: le stesse qualità che hanno condotto Carmagnola alla grandezza, son quelle che lo conducono alla decadenza. Analizziamo il Conte, non solo qual' e rappresentato, ma anche qual' e narrato, con tutt' i suoi antecedenti. Voi tro- vate un uomo nato in bassa fortuna, un pastore; pure, egli ha qualità che lo fanno superiore alla sua sorte : forte vo- lontà, febbre di attività, intelligenza non ordinaria, coraggio indomabile, e, senza saperlo, egli ha anche ambizione straor- dinaria. E che cosa è l' ambizione ? Oggi diciamo : ambizione di partito , ambizione di questo e di quell'altro. La vera ambizione e rara , e il desiderio , la necessita di attuare quello che un uomo ha dentro di sé, di farlo diventare realta ; e quindi vi ha diverse specie di ambizione, politica, letteraria, e via di seguito. E quando un uomo si propone uno scopo sproporzionato alle sue forze, la sua non e altro che vanità. La vera ambizione è la coscienza della propria forza, il sentii-si capace di attuare grandi cose. E evidente che un tale uomo ri marra turbato, scontento, finche non avrà esplicata quella forza. Il Carmagnola , pa- store, trova una truppa di avventurieri, che lo invita a se- guirlo: egli lascia la greggia, diventa soldato, le sue qualità lo fanno distinguere subito. Il suo capitano e Pergola: questi ha fiutato l' ingegno di Carmagnola , lo mette sotto la sua pi-otezione, lo fa progredire. Di protetto, egli diventa a poco a poco protettore; anch' egli capitano di ventura; ha un esercito a cui comandare. La sua ambizione ha già raggiunto un grado di attuazione. Avea aspirazioni, ora ha la potenza. Mette la sua spada al servizio di Filippo Visconti, conquista Milano, regala a Filippo la corona, sposa la figlia di lui. Fin qui la sua vita e ascendente, perclie sapete che l'uomo sale sino a un certo punto, dopo il (juale è la china. E viene la china nella vita di Carmagnola: egli e costretto a lasciare Milano, va a Venezia, dove succede la sua cala.sti"ofe. E quali sono le ragioni della decadenza? Le stesse qualità — 142 - che lo hanno fatto salire. Finche lia avuto un scopo a cui tendere, e per mezzo i soldati e le battaglie, egli è rimasto nel suo ambiente. Ma eccolo era suddito di Filippo Visconti, sposo della figlia di lui , circondato da cortigiani invidiosi che gli tessono insidie , a lui , avvezzo a sciogliere i nodi con la spada, inconscio degl'intrighi di corte; lo stesso Fi- lippo Visconti non lo guarda più come strumento utile , ma come qualcosa di non più utile, anzi di pericoloso. Un uomo volgare a quel posto sarebbe stato contento , egli no ; vi si sente morire, è fuori del suo campo di azione, la sua attività febbrile è rimasta senza scopo. Egli dà om- bra al suo signore, se ne avvede, domanda un' udienza. Fi- lippo Visconti gliela nega, e Carmagnola lo abbandona, e va come Annibale cercando nemici al duca; la vendetta diviene il suo stimolo. L'attitudine al comando, l'indole irrequieta, la sete delle battaglie Io han reso grande, ed ora lo met- tono in rovina. Venezia prepara guerra al Visconti , egli va ad offrirle la sua spada. Colà trova un'oligarchia sospettosa, un Senato che vuol comandare anche nelle cose di guerra, che si per- mette mandargli de' commissari i, dei sorvegliatori , e di dirgli : devi far questo o quello. Carmagnola , avvezzo a comandare, guerriero, si trova di fronte borghesi pieni di menzogne, consci della loro debolezza, i quali cercano vin- cere non per forza, ma per arte. Carmagnola, perchè ha quelle qualità che lo condussero in alto , deve morire. Un uomo mediocre sarebbe caduto nella trappola ? No ; ma egli sa che si sospetta di lui , gli amici ne lo avvertono, eppure, quando è chiamato dal Senato, va a Venezia. All'ultimo ilice: fui uno stolto; — è la stoltezza d' un'anima generosa. Manzoni non ha veduto che cosa rende interessante questa vita, la quale è simile alla vita di Napoleone : quelle stesse qualità che condussero Napoleone in alto, gli fanno girare il cervello e lo spingono alla mina. Manzoni non s' innalza lino a quell'altezza ed ampiezza; avea ancora i pregiudizi classici. Ma, se vi fosse giunto, quel dramma avrebbe fatto, e senza i lunghi discorsi! In quel dramnui il punto di parten- za sarebbe stato simile a quello del Waììenstein di Schiller: Wallenstein o il personaggio storico che più si accosta al Carmagnola. Vedreste quest'uomo entrare in iscena quando e all'epoca della sua potenza, circondato di amici e ammi- ratori e seguaci devoti : egli regala una corona a Filippo Visconti, è promesso sposo della figlia di lui. Magnifica en- trata ! E ci trovereste non solo la vita di Carmagnola ; ma — 143 — filila la vini iculiana, quando gli si mettessero accanto Per- gola, Piccinino, tutti que" capitani di ventura che egli avea vinti, la figlia di Filippo e lo stesso Filippo, que' cortigiani e que' soldati. Cosi avreste, in scorcio, tutta la vita italiana di quel tempo. In questo modo si sarebbe avuto un Wal^ lenstein , un dramma alla maniera di Shakespeare. La decadenza del Conte avviene non dal perchè egli siasi mutato, ma perchè si è mutata la situazione ed egli è ri- masto lo stesso. E, per seconda parte del dramma concepito in questo morlo, avremmo tutto ciò che avviene a Milano; vedremmo il leone che si dibatte tra i lacci che gli tendono i cortigiani, e si rode nelT ineraia, di fronte a quel sospet- toso Filippo Visconti: qui ci è tutto un soggetto di tragedia. Nella terza parte Carmagnola sarebbe a Venezia, ove egli non è mutato; il suo carattere non muta, invece s'inaspri- sce; e infine giunge alla catastrofe. In questo modo avrem- mo innanzi tutta la vita di una grande individualità, un risultato psicologico interessantissimo, una vita piena, ricca, che si svolge fatalmente, necessariamente, sviluppata in tntte le sue fasi fino alla catastrofe. E, insieme con essa , come parte di questa totalità, la vita italiana di quel tempo: e allora quel Coro, invece di comparire in mezzo alla tragedia a proposito d'una battaglia che è un accessorio, quel Coro che non ha nulla che fare con la battaglia, e li rimane si'onnesso dal resto, — quale effetto immenso produrrebbe, an- '^ nella rappresentazione in teatro! E tutto ciò, dopo tre secoli, innanzi a un popolo che per conseguenza di quella vita è stato servo or di questo or di quello straniero, di tedeschi, di spagnuoli, di francesi. Se il poeta avesse fatto sentire in tutta la tragedia questa into- nazione della vita italiana, come in quel Tu che angusta ai tuoi figli parevi, Tu che in pace nutrirli non sai; fletto da un popolo anelante a nuovi destini, quel Coro pro- durrebbe un effetto straordinario: invece, rimano un inci- dente. E si comprende perchè questa tragedia sia stata messa da parte, perchè ciò che , anche di essa , è rimasto ancora vivo in Italia sia il Coro, staccato dalla tragedia. Ma qui Manzoni esce fuori della drammatica e va nella lirica. In lui manca il sentimento del dramma, del conflitto, della collisione-, ma, mettendo le mani a questo Coro^ il suo ,-}ijo pare ione del come si educava allora la gioventù, e gli ammo- nimenti contenuti essa valgono tuttavia al presente, quando l'Italia ce, ma non v'ha ancora Italiani. Ora che cosa e una morale concepita nel modo che noi abbiamo visto? È una morale d'eunuchi e d'ipocriti, atta l'ar degenerare un popolo, a separare il pensiero dal fatto, a far negligere la sostanza per la forma. E si dice che un — 152 — popolo ha carattere, appunto quando in esso v'è la probità e la lealtà; e che non ha carattere, quando v'è il contrario. Questo libro del Sismondi fece granda impressione in Ita- lia, ed a molti parve che i Promessi Sposi rappresentassero quella morale. Or io posso dirvi che di rado fu pubblicato libro tanto utile quanto la Storia delle repubbliche del Si- smondi ; ed io vi raccomando quella storia , che , più dei romanzi e d'altri libri, preparò il nostro risorgimento. Essa dev'essere ancora in alcuni rispetti, per noi, un vangelo. Ma il Manzoni sentì che il fare un'accusa cosi contro la morale cattolica era un gran pericolo per gì' Italiani, i quali, a quel tempo , erano irreligiosi e scettici ; ed egli si sfor- zava a dimostrare che religione e libertà potevano andare di conserva: egli temette che quel libro potesse essere ve- leno alla gioventù d'Italia. Volle, dunque, mettere un an- tidoto a quel libro ; e V antidoto si chiama : Osservazioni -sulla morale cattolica, che egli fece in risposta al Sismondi. Ora io osservo che Manzoni e Sismondi sono perfetta- mente d'accordo, perchè nell' istesso modo la morale è con- cepita dall' uno e dall' altro, perchè entrambi rappresentano i medesimi abusi nell'esagerazione di essa. La sola differenza sta in ciò, che il Sismondi esprime quegli abusi da storico; egli non si occupa della morale cattolica da teologo, ma coglie il male in flagrante, e lo viene esponendo. Il Manzoni, per contrario, riconosce quegli abusi, ma come filosofo vi dice che non bisogna confondere l'abuso con l'uso, e che la mo- rale cattolica , vista da un punto filosofico , è come la ra- gione prescrive che sia. In somma, l'uno, il Sismondi, vi dice il mondo qual è ; e l'altro, il Manzoni, quale dovrebbe essere, secondo la religione non profanata. Il Manzoni, in- fatti, nel suo discorso sulla morale cattolica, rigetta il mi- sticismo, e mantiene che lo stato matrimoniale è stato di perfezione; che l'umiltà deve essere modestia, che l'asten- sione dev'essere sobrietà, e così di sèguito; egli, dunque, con- cepisce la morale religiosa nella sua purezza, come la dà la filosofia, e stigmatizza come abuso il materializzarsi di essa. E a che cosa pensa il Manzoni quando studia il secolo XVII? Pensa precisamente a mettere in azione la morale cattolica e a renderla drammatica, e questo senza alterare la verità positiva eh' egli vuole illustrare. Ma vi pare egli possibile d' inquadrare noi secolo XVII una morale così pura come la concepisco il Manzoni, libera dal materialismo? Come può essa star li senza dissonanza, e che non paia in- venzione del poeta ? — 153 — Il XVII secolo fu. politicamente, la dominazione spagnuola in Italia : la dominazione straniera senza che gl'Italiani aves- sero concetto di libertà, e senza che sentissero Tumiliazione della servitù. Come società , ci era il feudo in tutto il suo fiore ; nei paeselli il barone coi suoi bravi e le sue oppressioni to- glieva ogni libertà alla borghesia, la quale, di mezzana istru- zione, riposava sugli studii classici. Essa era fuori di stato di lottare coi feudatarii, e perciò era corrotta ed ipocrita; era mente che serviva d' istrumento al padrone ed a' soldati. E la plebe era, come dice Sallustio, velutì pecora, quae natura 'prona atqiie ventri oboedientia fxnxit : se le fate mancare il pane, tumultua ; se la pascete, s' inchina. Sono questi gli elementi in cui può entrare l' ideale del Manzoni ? E pure egli riesce a porlo in questi elementi, ed in modo che l'ideale si mantenga puro e la realtà storica non strida accanto ad esso. In tutti i tempi corrotti vi sono certe regioni come se- parate dal resto, o che si trovino sovra de' monti, o fuori de' grandi eentri, dove la corruzione giunge più tardamente; ed è allora, ossia in tempi corrotti, che sorge l'idillio: il poeta si va ad ispirare in que' luoghi , e voi vedete nascer Titiro. l'Aminta, ed il Pastor Fido. —C'è, in quei luoghi, il contadino e la contadina , rimasti fuori del lezzo delle grandi citta, che mantengono incorrotta la purezza de' co- stumi ; e anche il Manzoni è andato là a cercare le sue ispirazioni e i suoi modelli. E come nel villaggio e tra povera gente trova in parte il suo ideale, variamente espresso in Lucia, Renzo ed Agnese, il Manzoni ci trova la negazione dell' ideale, nel barone op- pressore e nei snoi satelliti e mezzani. Fra queste due forze in opposizione, c'è un mediatore: il sacerdote, il ministro di Dio, ch'egli ritrova in un ordine religioso che non vi- veva soltanto noi conventi, ma nelle campagne in relazione con tutti e da tutti ricevendo 1' elemosina : questi frati del popolo erano i cappuccini. L'ideale del frate ha la sua mo- dificazione comica nel prete, in don Abbondio. Ma l'azione non rimane nel villaggio: essa si viene svol- gendo in centri più ampii, dove l'orizzonte s' ingrandisce, e dove, se voi trovate gli stessi elementi, li trovate con linea- menti più larghi, come si conviene a grandi città. E, me- diante (juella catena di relazioni di che ho parlato , voi iete che il padre Cristoforo ha il modo di salvare Lucia — 154 — per mezzo del Padre Guardiano del convento dei cappuccini a Monza ; come don Rodrigo ha le sue relazioni col Conte Attilio e col Conte Zio. E l'azione, cosi procedendo, mette capo finalmente in due grandi personaggi, de'quali uno rappresenta il prete, e l'al- tro il barone: il cardinale Federigo Borromeo e l'Innomi- nato : r oppressore e il difensore degli oppressi. E la lotta fra questi due potenti finisce nel senso cattolico , perchè r Innominato è vinto, e non materialmente dalla forza, ma dall'amore, dalla parola ispirata del Cardinale e dalla voce soave e dalla preghiera di Lucia. L'Innominato è un peccatore convertito: epperò risultato di quella storia è una conversione : è il mondo reo, miglio- rato dalla parola del sacerdote. Questa è l'ossatura dei Promessi Sposi. E tale ossatura, tale concezione, è eminentemente patriot- tica, democratica e religiosa. Patriottica, perchè il romanzo bolla di un marchio indelebile la dominazione straniera. Democratica: pensate che protagonista di essa è una con- tadina , dal cuore schietto e puro. Religiosa : e dico reli- giosa e non cattolica , perchè , riflettendo sulle impressioni che se ne ricevono, si vede che non è il sentimento catto- lico quello che opera , che anzi, quando si parla d' abusi, il poeta s' adira contro il cattolicismo depravato. In quella con- cezione è qualche cosa di superiore al cattolicismo, ed è lo spirito religioso che si confonde col sentimento della virtù: sentimento che non possiamo scacciare dal nostro seno senza sentir mutilata la nostra coscienza. §6. Don Abbondio (dalle Lezioni XIII, XIV e XV) Nel romanzo manzoniano voi avete tre grandi eentri : quello del bene, rappresentato da Fra Cristoforo e dal Bor- romeo, quello del male da don Rodrigo e dall'Innominato, e l'intermedio, che ha un po' dell'uno e dell'altro, e che perù s'accosta più al comune della vita. Quale di questi tre gruppi è uscito con impronta più ge- niale dalla fantasia del Manzoni ? Di certo, il gruppo intermedio, in cui l'artista sta più a suo agio, gruppo rappresentato in ispecie da don Abbondio. — 155 — Qual' è la genialità di questa figura? Ci sono due specie di comico: il comico dell'intelletto, eh' è la sciocchezza, e il comico della volontà, eh' è -la paura. Esempio del primo è il Calandrino boccaccesco : in quella ignoranza della plebe messa in ridicolo sentite il progresso intellettuale del borghese italiano. Ed all' ironia intelligente della boi*ghesia oftViva anche materia il prete , o il frate che , abusando dell' ignoranza della plebe , faceva crederle tutto ciò che voleva per interessi proprii ed interamente mondani : fra Timoteo, della Mandragola. Ma, dopo il Con- cilio di Trento, preti e frati sparirono dalla scena, sostituiti dagli Astrologi e da simili personaggi, ingannatori dei gonzi. E fino ai Promessi Sposi il prete non ha più parte nella letteratura, se se ne eccettuino certi lavori osceni, scritti per lo più dagli stessi preti, come le novelle del Casti. Ma al comico dell' intelletto era successo intanto , nella vita, il comico della volontà. Borghesia e clero eran diven- tati deboli e paurosi di fronte all' oligarchia. Rammentate le massime per la vita che il Guicciardini dà nei suoi Ri- cordi (1). Nessuno, in Italia, prima del Manzoni aveva rappresen- tata e messa in azione questa degeneriizione del carattere italiano, e in ciò e 'a grande importanza del suo don Abbon- dio. Il quale non e ridicolo perche prete, ma perché, con la sua pochezza d'animo, col suo Intinoi'vm. e con la pieghe- volezza della schiena, rappresenta in grado eminente l'altra forma di comico non ancora rappresentata: il comico della volontà, la paura contro la forza. Questo e, del resto, carattere comune a tutto quel mondo intermedio del Manzoni : a Lecco, su per giù , tutti quanti erano un po' come don Abbondio. Voi rammentate il Dottor Azzeccagarbugli , che cacciò via Renzo quando capi che si trattava di don Rodrigo; ed il Console., che soggiace alle intimazioni dei bravi di questo tirannello; e ricordate quel- r oste , che teneva un così diverso modo nel soddisfare le domande e del quale Manzoni osserva che era un uomo così fatto che in tutti i suoi discoi'si faceva professione d'esser molto amico dei galantuomini in generale, ma in atto pra- tico usava molto maggior compiacenza con quelli che aves- ' IO riputazione o sembianza di bricconi! \ i ho già esposta la magnifica messa in iscena di don (1) Vedi nei Nuovi saggi critici lo scritto sulle opere inedite del Guicciardini, p. 201 e segg. — i50 — Abbondio , il quale tornava dalla sua passeggiata , dicendo tranquillamente il suo ufficio , e , tra un salmo e V altro , chiudendo il breviario e così .proseguiva il cammino, but- tando da un lato i ciottoli che facevano inciampo sul sen- tiero. Ma, prima di mostrarvi come subito si riveli tutto ciò ch'è di comico in don Abbondio, io vi prego di ricordarvi 1' os- servazione : chi ha la forza ha sempre la ragione. Non ho potuto mai leggere senza ribrezzo i proverbi! del Giusti, do- cumento della degenerazione di un popolo. In essi non s' in- culca altro che la pazienza, il chinar il capo alla forza pre- potente : vi si vede che anche nel popolo e forte 1' idea che l'uomo deve fare i fatti suoi e scansare tutti i contrasti e cedere in quelli che non si possono scansare , come faceva per l'appunto don Abbondio. Chi ha dunque la forza ha la ragione , perchè la fa valere con essa : ma a poco a poco l'animo del prepotente si perverte in modo che prende l'aria di chi ha ragione veramente, come i re, i quali, a forza di sentirsi dire che sono al disopra degli altri mortali , se lo credono veramente. E vi ha di più che il debole , che ha la ragione di rincontro al forte, che la fa valer con la forza, prende l'atteggiamento di chi ha torto, che anzi è nel caso di addurre scuse come se , con tutta la ragione dalla sua parte, avesse commesso un delitto. I bravi incontrano don Abbondio, ed uno di essi, con tuono come se avesse ricevuto un torto dal povero curato, gli dice: — Lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella? — E l'autore vi dà la parte plastica del bravo nelle parole: «prosegui l'altro con l'atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull' intraprendere una ribalderia ». E don Abbondio, timido, avvezzo ad ab- bassarsi d' innanzi ai signori e ai loro servi , se ne lascia imporre , e con voce tremolante risponde : Cioè, cioè In questa parola scoppia già tutto il comico del personaggio. Che cosa è questo cioèì È l'uomo che si mette subito nella posizione di chi ha il torto, perchè avvezzo a tremare din- nanzi al più forte, il quale piglia l'aria di superiore men- tre egli piglia l'aria d'inferiore; quello ha il piglio minac- cioso ed iracondo, ed egli risponde con voce tremula ; quello ha il tono di accusatore ed egli si scusa ; quello considera il voler fare il matrimonio di Renzo e Lucia come una colpa, ed egli dice: « Fanno i loro pasticci tra loro e poi... e poi, vengon da noi come s'andrebbe a un banco a riscotere». Don Abbondio, — 157 — dunque, è già in quella posizione. Analizziamo ora psicolo- gicamente questo fatto. Questo fatto e solamente coscienza della propria debolezza ? No, esso è qualche cosa di più. L'uomo, infatti, può essei*e conseiente della debolezza pro- pria , ma, se ha un po' di polso, misura il pericolo, lo af- fronta, lo gira, e quanto sente eh' egli è inferiore ad esso. lo subisce con dignità senza abbassarsi. L'uomo coraggioso non è colui che vuole scalare il Vesuvio e prenderlo d' as- salto ; ma è colui che, come abbiamo detto, sa affrontare a tempo il pericolo, e sentendosi inferioi'e sa dignitosamente subirlo. Ma in don Abbondio e' ò quella qualche cosa di più, e*e il sentimento della paura. E qual' è la forma estetica della paura ? Nell'uomo, e' e una forza di reazione contro le impres- sioni esterne : forza di reazione che risiede nell'uomo forte, il quale in mezzo alle impressioni violente sa far valere la volontà propria e raggiungere il suo fine. Questo e ciò che si chiama essere uomo : egli dice : « questo voglio », e si afferma. Quando poi l'uomo è pauroso, quella forza di reazione e debolissima in lui : di rincontro alle impressioni esterne la sua volontà scomparisce, ed egli rimane come debole canna in preda alla violenza di esse. Che anzi, giungendo queste all' immaginazione, una specie di Musa della paura agita la fantasia, la quale si raffigura cose inesistenti ; si mescolano cosi pericoli reali con pericoli immaginarli, ed allora le altre facoltà tacciono, 1* intelligenza si oscura, la volontà scompa- re, e rimane l'uomo con la sola immaginazione di fronte alla violenza. Ecco il fenomeno p.sicologico : ed ora vedremo qual' e il carattere esterno di quel fenomeno. L'uomo, che ha coraggio, mantiene in mezzo alle impressioni quello che si dice il suo sangue freddo ; e 1' uomo che non ha coraggio soggiace ad esse, perde quasi la sua personalità, e smar- risce la calma. Per un esempio dell' uomo coraggioso , voi ricordate il motto di Napoleone, quando Canova gli diman- dava: — Come volete essere ritratto? — Ed egli rispose: — Ritraetemi calmo sopra un cavallo sfrenato. — Vedete per contrario don Abbondio sulla mula, ch'era un agnello, al dire dell'aiutante di camera del Borromeo, quand'egli tor- nava dal castello dell' Innominato , e la strada era delle volte sur un rialto, o sur un ciglione, donde don Abbondio vedeva .sotto di sé , quasi a pei'pendicolo, un salto, o, come — 158 — pensava lui, un precipizio. E notate che il come pensava lui vi dice già che la paura gì' ingigantiva la realtà e gli fa- ceva considerare precipizio quello che era un salto. La mula dunque, secondo 1' uso de' pari suoi , pareva che facesse a dispetto a tener sempre dalla parte di fuori e a metter pro- prio le zampe sull'orlo, e don Abbondio tirava stizzosamente la briglia dell'altra parte , e diceva alla bestia : Anche tu hai quel maledetto gusto d'andare a cercare i pericoli, quan- do c"è tanto sentiero. — Ma tirava la briglia inutilmente , continua 1' autore, sicché al solito , rodendosi di stizza e di paura , si lasciava condurre a piacere altrui. Eccovi dipinta plasticamente 1' una e l'altra forma ; la for- ma del coraggio eh 'è la calma, e la forma della paura eh' è l'agitazione. Prendete o'ra il Manzoni e leggete il dialogo fra i bravi e don Abbondio. Alla dimanda del bravo, ed al vedere quel piglio minaccioso ed iracondo, egli balbetta: « Cioè... » Che cosa ha operato in lui ? È quel modo di vestire , è il tono minaccioso , è 1' aria di superiorità ; e tutto ciò , che non imporrebbe per niente ad un uomo coraggioso, opera su di lui e gli toglie la calma. Egli risponde infatti con voce tre- mula, ed in tutto il dialogo fa de'discorsi incompleti, perché gli manca la forza di dar fine alle proposizioni. Oi*a avviene naturalmente che, quando un uomo pauroso comincia a di- scutere , e sente che il più forte discute , ripiglia un poco di coraggio; e, di fatti, don Abbondio, in qualche punto, accenna a ripigliarsi un poco; ma l'altro compagno che non aveva ancora parlato, ricorrendo al ragionamento del più forte, rompe il dialogo, dicendo: « Ma il matrimonio non si farà , o . . . . » , e qui una buona bestemmia, « o chi lo farà non se ne pentirà , per- chè non ne avrà tempo, e », un' altra bestemmia. Per un uomo, che vive in una certa atmosfera civile, av- vezzo a sentirsi rispettato, non c'è modo più forte Ricciardi lanciò accusa contro il governo sardo di trattare con Luciano Murat, allora ambasciatore a Torino, per procacciargli il trono di Napoli. Ma il pensiero preciso e concreto di una ristaura- zione murattiana nacque durante la guerra di Crimea, e si credeva che avrebbe trovato appoggio nella Francia imperiale. A tali spe- ranze e disegni aderirono parecchi liberali napoletani , tra i quali Aurelio Saliceti, i due Mezzacapo, Francesco Stocco, Francesco Trin- cherà ed altri. Come dichiarazione del nuovo partito in formazione, fu pubblicato nell'agosto del 1855, con la data di Londra ma in realtà stampato a Parigi, un opuscolo intitolato: La questione italiana: I Borboni ed il governo di Murat. Era diviso in tre parti, delle quali la prima espo- neva la questione italiana, la seconda ricordava lungamente tutti i benefizi del governo di Gioacchioo Hurat, e la terza tirava le oon- segaenze. L'opuscolo fu attribuito a parecchi, al Popoli, al Saliceti e ad altri; e forse fu composto da varie mani. All'opuscolo risposero le proteste di due gruppi di esuli napole- — 180 — tani: in data 24 settembre 1855, di un gruppo di esuli residenti in Genova, firmando a capo di essi Errico Cosenz, e in data 25 set- tembre, degli esuli residenti a Torino, firmando pel primo Dome- nico Mauro. Fra questi protestanti era anche il De-S. Il quale svolse largamente le ragioni della protesta nel primo degli articoli da noi ristampato. Il grave articolo del De-S. die luogo ad una confutazione, che comparve in un opuscolo intitolato: La questione napoUtana: Ferdi- nando Borbone e Luciano Murai (Italia, 1855^, anonimo, ma opera del- l' esule napoletano Francesco Trincherà. L'opuscolo del Trincherà si proponeva di rispondere a queste tre questioni: " 1") I liberali del Napoletano hanno forze loro proprie per sollevarsi e togliersi dal collo il più malvagio dei governi, ch'essi sopportano da molti anni?; 2°) se i liberali di Napoli, impotenti per se stessi a rovesciare i Bor- boni , debbono fare assegnamento sul Piemonte , e se il Piemonte vuole e può veramente soccorrerli?; 3°) se, essendoci buon volere ed impotenza a risorgere dalla parte de' liberali di Napoli, buon vo- lere ed impotenza a soccorrere dalla parte del Piemonte, ed offren- dosi la possibilità di conseguire con altro mezzo il tanto sospirato riscatto, sia da accettarsi, o pur no, questo medesimo mezzo „. All'opuscolo anonimo si riferisce il secondo articolo del De-S.; ed alle opinioni espresse dal Bianchi-Giovini , che allora dirigeva 1' U- nione, il terzo articolo. Il Trincherà tornò alla carica nella prefazione alla ristampa del suo opuscolo (seconda edizione ampliata, Italia, 1855, di pp. 54), eh' è dedicata quasi per intero al De-S. La polemica ebbe altri strascichi sui giornali di Torino, dove si possono leggere scritti di Giuseppe del Re , di Girolamo Ulloa , di Giovanni La Cecilia e di altri sull'argomento. Nello stesso Diritto, nn. 252 e 253, D. Mauro confutò l'opuscolo del Trincherà, e nel n. 256 rispose a sua volta al Bianchi-Giovini. È noto che i più autorevoli dei prigionieri politici si manifesta- starono contrari! al murattismo : vedi Settembbini , Bicordanze, II, 291, 322, 329-30, Epistolario, p. 48; Castromediano, Carceri e Galere politiche, Lecce, 1895-6, voi. II, 37-8; e il volume, ora in corso di stampa, di scritti di Silvio Spaventa. Cfr. Nisco, Ferdinando II, Na- poli, Morano, 1884, pp. 826-8, 340-3: un elenco dei murattisti si può vedere in G. Pupino Cakbonelli, Nicola Mignogna, Napoli, Morano, 1889, pp. 171-2 n. Si preparava nel 1856 una spedizione sulle coste napoletane, che fu guastata dalla timidezza di Luciano Murat, e poi dal sopravvenuto disastro di Sapri. A Napoli venne come emissario un Raffaele Aiello. Nel 1858 un congresso di murattisti si radunò ad Aix-les-Bains. Nel 1859 sì staccava dai murattisti lo stesso Sa- liceti: cfr. B Mezucelli , Aurelio ttaliceti e i suoi tempi, Teramo, — 181 - 1880. — Il comico pretendente continuò non per tanto a lanciare di tempo in tempo da Buzenval le sue epistole. Il 19 agosto 1860 scri- veva : "Non voglio porre ostacolo a' voti popolari, quand'anche li credessi errati. Parente dell'Imperatore Napoleone, non turberò con l'azione mia la politica francese; ma può in tempo di rivoluzione la libera volontà del popolo spegnere le discordie e le incertezze. Giova all'Italia lo stabilirai in Napoli un governo costituzionale, per isfuggire all' anarchia e all' invasione. Non m' intrometterò nei moti del regno se non quando il popolo manifesti legalmente volere in me un pegno d' indipendenza e prosperità ; e in tal caso , forte dello assenso del cugino, porterò l'alleanza francese sola e certa si- curtà d'indipendenza. Io amo soltanto il pubblico bene e sagrifico il mio; ma l'Italia può soltanto nella confederazione riacquistare la potenza primiera „. E questo, mentre le schiere dei volontari gari- baldini bagnavano del loro sangue le terre napoletane , e il Pie- monte metteva in moto i suoi battaglioni! Il 27 marzo dell'anno seguente scriveva a un caro Duca in Napoli, accusando il Piemonte come intrigante, dicendo meritamente esosi i Borboni, e promettendo nella sua persona felicità al Regno , che l' intervento piemontese aveva privato della indipendenza (vedi De Sivo, Storia delle due Si- cilie, III, 48, V, 58-60). Nel 1861 .«i scovrì una congiuretta muratti- sta a Napoli : e, ancora per qualche anno dopo, si parlava del peri- colo murattista, terzo dopo il pericolo borbonico e clericale. ] L' Italia e Murai (1). Di quest'opuscolo si è fatto un gran dii*e. É scrìtto da UDO o più liberali napoletani, rimasi nell'ombra. Alle sot- tigliezze, a' cavilli, alle famose cento e una pruova, al lin- guaggio scolastico-legale vi odori sotto un avvocato dell' an- tica scuola. E siccome s'insinua che quel libro abbia tro- vato favore presso l'emigrazione napoletana, il silenzio no- stro può essere imputato a calcolo, a desiderio di de^itreg- giarci, di attendere gli avvenimenti, di pronunziarci a fatto Quest'articolo è preceduto nel Diritto dal seguente cappello : Il distinto esule nai>oIetano professor De Sanctis ci trasmette il seguente articolo sull'opuscolo Murai e i Borboni, che noi ci facciamo un onore di pubblicare. — 182 — compiuto. Senza biasimare coloro che, avendo la stessa opi- nione, hanno creduto non ancora necessario il farne espressa dichiarazione, io ho voluto seguire 1' esempio di quelli che sonosi affrettati a protestare co' loro nomi contro queste insinuazioni. L'autore non vuole un'invasione francese. Prendo atto di questa dichiarazione. Oggi le opinioni politiche sono tanto mutabili, e si applaude così spesso alla forza , che nessuno mi stimerà troppo incredulo. A.1cuqì, dicesi, nel passato anno si beffavano del Conte Pepoli (1) e protestavano contro di ogni intenzione murattista, come di un'ingiuria, ed ora comin- ciano coi se e coi ma. S'egli è vero, costoro io li disprezzo, tanto almeno, quanto disprezzano sé essi stessi. Checché di- cano, ci è nel fondo della loro coscienza una voce che die e Questo non sta bene. Prendo dunque atto di questa dichiarazione ; sicuro però che, quando abbia luogo l' invasione col solito accompagna- mento de' belli proclami e delle belle parole, non mancherà un secondo libro anonimo che ci predichi i vantaggi di un intervento francese. Se noi fossimo assaliti, e la mia debole voce potesse giun- gere fino a loro , io direi ai miei concittadini : resistete , resistete, imitate l'esempio degli spagnuoli : voi avete molte vergogne da lavare; voi non combattete per Ferdinando II, ma per il sacro suolo della nostra patria , profanato tante volte dagli stranieri. Se i forestieri invadessero la Francia per liberarla da Luigi Buonaparte , non più liberali o le- gittimisti , tutti prenderebbero le armi contro di loro. Noi non siamo ancora una nazione, ma mostriamo che, se l' Ita- lia non esiste ancora nei trattati, esiste già nei nostri cuori E, se fossimo vinti, noi saremmo infelici , ma incolpevoli; (1) Letizia, figlia di Gioacchino Murat, e sorella di Luciano, aveva sposato, com'è noto, un Pepoli di Bologna. Nel 1865 si recò a Torino per trattare cogli emigrati napoletani a prò della causa muratti- sta. Qui si allude al figliuolo di lei, Conte Gioacchino Pepoli. - 183 — f daremmo il primo esempio nella storia napoletana di un popolo concorde a respingere lo straniero quale si sia la maschera della quale egli si copra. Or bene : il nostro autore non vuole V invasione, ma qual- che cosa di peggio. Vuole che noi stessi facciamo volonta- riamente quello che ci potrebbe essere imposto con la foi-za: che noi insorgiamo per cacciare i Borboni e proclamare Lu- ciano Murat in nome delle tradizioni murattiane! Sembra in verità che l'autore al 181.5 abbia lasciato 1' I- talia , e che venga pur ora dall' Oceania , ignorando tutto quello che è avvenuto da Gioacchino in qua. E ci sarà d'ora innanzi moto in Italia, ci sarà popolo libero di sé. che non tenda immediatamente la mano al Piemonte e non gli dica : Siamo una cosa, siamo l' Italia ? Oibò. Il Piemonte è impotente, dice l'autore; noi ci siamo illusi nel 48 , anche io ho partecipato a questa illusione : ma ora ho fatto senno. È uno stato troppo piccolo, che non può proteggere se stesso. Vedetelo. Ha dovuto mandare in Crimea i suoi migliori soldati per interessi non suoi. L'autore ha il coraggio di far questo rimprovero al Pie- monte! Dimentica dunque che Gioacchino fu il vassallo del- l' Imperatore, e le ossa dei nostri soldati sparee nelle cam- pagne di Russia, di Germania e di Spagna ? Il regno di Gioacchino è cosi poco ricordato, che l'au- tore ha speso un libro a rinfrescarne la memoria. Sotto alla sua penna Gioacchino si trasforma in un tribuno del popolo ; anzi, se non fallo, lo chiama proprio un tribuno. Così Gioa ■- chino soleva per derisione chiamare il povero Pepe ! — Le tradizioni murattiane ! — Ecco la verità. Napoleone, avverso ad ogni libertà politica, fu il più ardito rivoluziona- rio in fatto di riforme civili, che egli accettò dalla Rivolu- zione, ed introdusse in tutti gli stati da lui occupati. Questi furono gran benetìzii de' governi napoleonici. Non sappiamo ora quali sieno le riforme che dobbiamo prometterci dalla Francia di Luigi Bonaparte. Dimenticavo che l'autore ci promette le riforme sociali, massimo il diritto al lavoro! Non — 184 — vonosco cosa più detestabile del mettere ai servigi del falso le idee più generose. L'autore, per far passare Luciano Mu- xat, lo riveste un po' di repubblica, un po' d'Italia, un po' di socialismo. Ci regala un Luciano di fantasia. — Egli è italiano ! — Da quando in qua? Non lo sapeva- mo. Nel 1848 facemmo la rassegna di tutti gli italiani : Lu- ciano Murat mancò all'appello. E mentre gl'italiani erano soverchiati e abbandonati , ed egli se ne stava a Parigi spettatore o complice, se uno gli avesse detto: — Principe, r Italia è in pericolo ; Garibaldi ed Avezzana vengono dal- l' America in soccorso della patria; voi siete sì vicino! Voi siete italiano; venite a battervi per l'Italia! — costui vi avreb- be guardato attonito e riso in faccia. — Visse tutta la sua vita negli Stati Uniti, e vi si educò a libertà! —E lo mostrò in Francia, dove, per immenso numero di suffragi fatto membro dell'assemblea legislativa e capo di un corpo di Guardia Nazionale, rimase cosi costante alle sue professioni di fede repubblicana , che ora è ai servigi del Bonaparte. Ciò non toglie che ora non torni di nuovo a far professioni di fede: zelante della libertà francese, ora è zelante della libertà italiana, e promette tutto, tutto: libertà, indipendenza, e riforme sociali. Tale è l'uomo, di cui l'autore ci fa un lusinghiero ri- tratto (1). Adulatore del vivo , adulatore del morto. La sua storia del governo murattiano e un panegirico. Riconosco i suoi benefìzii, concedo sorridendo che Gioacchino fu migliore dei Borboni. Bel modo di porre la quistione! grande onore per Gioacchino ! I Borboni sono sopra di ogni paragone, fuori di ogni quistione. Come si fa nei panegirici, l'autore ha esagerato il bene, e taciuto il male. Tre sono le macchie (1) Luciano Murat, nato nel 1803, andò giovane in America, dove «posò r americana Giorgine Fraser , e per strettezze finanziarie si ridusse a dirigere un collegio di fanciulle. Nel 1848 fu deputato al- l' Assemblea nazionale, nel 1849 inviato a Torino, nel 1863 ebbe il titolo di principe. Morì il 10 aprile 1878. — 185 — del g'O^erno murnttiano: l'origine straniera, il dispotismo, Ja corruzione. L origine sbramerà, e tutte le sue conseguenze. Capisco che il re vi ripugnava. Ad ogni re piace l'essere indipen- dente. Ma tale è la forza delle cose. Volere o non volere, egli fu un luogotenente dell'imperatore. Era legato a Na- poleone, come Luciano a Bonaparte. Ma, adagio, osserva l' autore. Con la conquista avete l' in- fluenza francese ; con l' insurrezione avrete l' amicizia fran- cese. Ciò mi ricorda la famosa distinzione di Guizot tra l'alleanza e \ entente cordiale. Un uffiziale inglese, infiam- mato dalla guerra turca imminente, si abbandonava a mille iuciano è principe francese, bonapartista, appartenente ad una famiglia imperante ora in Francia. Il suo italianismo ha la stessa data della sua ambizione, il 2 dicembre. Que- sto tristo avvenimento gli ha reso possibile un trono. Salito col 2 dicembre , cadrà col 2 dicembre. Murattismo e due dicembre sono causa ed effetto. Marat a Napoli significa Luigi Bonaparte , che tracci intorno a noi un circolo e ci dica : voi non uscirete di qua. // dispotisììio. Napoleone e libertà politica sono due cose che si escludevano allora e si escludono oggi. Mai Gioac- chino volle cedere un' oncia della sua autorità. Mantenne le riforme civili, ma violò soldatescamente tutte quelle che ave- vano qualche attinenza con la libertà. Mai e poi mai. Fi- nalmente egli perde a Macerata ; i soldati si sbandano en- trati appena nel regno : tutti Io abbandonano. D' Aquino lo esorta ad abdicare ; ed è allora, giorni prima eh* egli per- desse la corona , è allora che permette si compili uno sta- — 186 — tuto. E questo re era cosi ebbro del suo potere, che, anche in quel supremo momento della sua agonia, sofisticava siilio' statuto per conservare il più che potesse della sua regia pre- rogativa ! La corruzione. Fu la lima dei governi napoleonici. Il go- verno murattiano fu la corruzione del partito liberale na- politano. Offerto un bel pretesto, tutti si precipitarono agli impieghi: i compagni di Mario Pagano e di Cirillo divennero maggiordomi: si fé' la caccia a' ducaci, alle baronie, a' ge- neralati ; tornarono a galla i favoriti e le favorite; i libe- rali imitarono in bassezza e servilità gli antichi borbonici. Tutti gli uomini memori ancora di libertà furono costretti a gettarsi nelle segrete congreghe; i loro antichi compagni, che avevano avuto con loro comuni aspirazioni, furono i lora persecutori. Ond' è che questi liberali corrotti divennero poi, spenta ogni fede, seguaci di tutte le cause vittoriose, e fu- rono gì' istrumenti più attivi e più abili della tirannide bor- bonica, come i Carascosa, i Filangieri, gl'Ischitella, i For- tunato (1). Napoleone e Gioacchino non si hanno a dolere di essere (1) I Carascosa furono due: Michele, ch'ebbe gran parte nei fatti del 1820-1, e il fratello Raffaele, ministro nel 1848, e negli anni se- guenti, ed ancora nel 1855 , quando scriveva il De-S.— Del generale Carlo Filangieri, figliuolo dell'autore della Scienza della legislazione, non occorre far parola. — Ischitella ò Francesco Finto, Principe di Ischitella e Marchese di Giiiliano, valoroso ufficiale, aiutante di campo di Gioacchino nella campagna di Russia, ferito alla battaglia della Moskovva e fatto colonnello: nel 1815 era maresciallo di campo e accompagnò Gioacchino nella fuga. Reintegrato nell'esercito napo- letano nel 1818, fu destituito al 21, e tenuto in disgrazia fino al 1840. Fu ministro della guerra nel 1848 dopo il 15 Maggio e, colla stessa qualità, era nel gabinetto napoletano nel 1855. Morì alcuni anni dopo il 1860. — Giustino Fortunato, nato nel 1777, fu repubblicano nel 179*.> e combattette al Ponte della Maddalena; durante il decennio, fu pro- curatore della G. Corte Criminale, consigliere di Stato e intendente a Chieti. Dopo il 1815, fu consigliere della G. Corte dei Conti, e pò procuratore generale; nel 1833 direttore del ministero di stato della ! luogotenensra in Sicilia; nel 1841 ministro segretario di stato a Na 1 » ^ — 187 — Mati abbandonati da' loro popoli. Era dovere dei napoletani di difendere Gioacchino fino all'esTremo, dovere degl'italiani r insorgere al grido che egli levò d' indipendenza italiana. Non ne fu niente. Raccolse quello che aveva seminato. La coscienza pubblica non si oftende impunemente, ne im- punemente un uomo può rappresentare due parti. Voi, me.si prima, vi collegate con l'Austria; patteggiate che trenta- mila austriaci occupino il Regno; ad ogni minimo rumore di vittorie francesi macchinate un secondo tradimento; poi di nuovo vi stringete con l'Austria , e combattete contro i vostri fratelli di arme e perseguitate i liberali ed instituite tribunali di sangue ; e, mesi dopo, voi vi ponete a gridai'e : viva la libertà! viva l'Italia! Per assicurarvi il trono voi dite : viva l' Italia ! Eh ! mio Dio ! credete voi che i popoli sieno come pedine, die voi possiate muovere a vostro ta- lento su di una scacchiera? E lo scrittore giudica Gioacchino da questo ultimo atto del suo regno ! Gli è come chiamar santo un grande scellerato, che presso a morire invochi Dio e i santi. Non profaniamo la liberta e 1* indipendenza, per- sonificandole in questa soiiia di uomini. Gioacchino ei'a uomo senza fede, e senza principii. La libertà, l' indipendenza, il popolo erano per lui degl' istrumenti, dei quali credeva di potersi valere quando e come gli piacesse: scuola napoleo- nica pura. Ora gì' istrumenti gli si ruppero in mano, a lui e a Napoleone ; e perdettero la corona. Cessi Dio ch'io voglia gittare nell'ombra la grande fi- gura di Gioacchino. Egli ha il suo posto, non piccolo, nel- r epoca napoleonica. Molte virtù private. Virtù regie spinto all'eccesso. Amava i napolitani. La sua fidanza in loro por- tava al fanatismo. Largo fino alla prodigalità, buono fino alla debolezza. Amò e meritò d'essere amato. Certo, non vo- glio toccare i suoi difetti ; certo, l'uomo valeva meglio del poli, nel 1847 ministro delle finanze; nel 1848 pari del Regno, nel 1849 provvidente del consiglio dei ministri e ministro degli esteri, fino al 1852. Mori nel 1862. Fu fondatore nel IdOó dell' Accademia l'onta- niana, e dal 1855 al 1857 Presidente della R. Accademia d»lle Sci«nzt>. — 188 — suo sistema, e non potè correggerlo; il suo governo rimase napoleonico, malgrado i suoi sforzi e la sua fierezza, e quando se ne scostò commise errori vicini all' infamia , coperti dal suo grande infortunio. E se l'eroico Gioacchino non potè sottrarsi alla fatale situazione che lo aveva fatto re , guar- date dunque in faccia Luciano ! Tali sono le tradizioni murattiane. Lo scrittore dal 15 salta al 55 ; come se in tutto questo intervallo gì' italiani si fossei'o addormentati e svegliatisi ora con le tradizioni mu- rattiane in capo ! — Vediamo che cosa è avvenuto in questo intervallo. La vita italiana è stata dal 1815 in qua una lunga e perseverante reazione contro l' influenza francese. Non parlo dell' austriaca : era abborrita. Ma i francesi ave- Vano lasciato nel cuore degl' italiani qualche cosa di con- tradittorio. Ammiravamo le loro gesta militari, riconosce- vamo Parigi come centro e speranza della libertà europea, parlavamo e pensavamo alla francese. D' altra parte, ci umiliava la memoria di essere stati loro sudditi; c'indispettivamo di aver creduto a' loro proclami, e di aver sparso tanto sangue , noi e i polacchi , senza prò per la nostra patria. Fin d'allora, un istinto confuso ci av- vertiva : che noi non possiamo avere una Italia, se prima non facciamo noi Italiani. Il maggior pericolo era nell'in- fluenza francese , cara ancora a molti ; e fu combattuta nella lingua, ne' costumi, nel pensiero, nelle scuole, nelle sette. La nostra vita è stata un continuo studio a sfrancesarci : Manzoni, Leopardi, Giusti, Botta, d'Azeglio, Balbo, Gio- berti , poeti , letterati , fllosofl , storici , tutti una voce. Que- sto lavoro pubblico concordava col lavoro segreto : lo atte- sta la Carboneria e la Giovane Italia. Murattista signiflcava in Napoli non un uomo che rappresentava un' idea , ma un uomo che aveva servito Murat. Tutti coloro che avevano una fede politica, divennero carbonari, seguaci di Ausonia 1 una e libera , e poi membri della Giovane Italia una e li- bera ; e poi riformisti , costituzionali , repubblicani ; ma sem- — 189 — pre italiani. In tutti i moti di Italia o di Napoli mai non è stato pronunziato il nome di Murat. Si è pensato a tutte le combinazioni, si è sceso fino al duca di Modena, fino a Carlo Borbone , e niuno si è mai ricordato che esisteva in America un Luciano Murat. Gli stessi francesi hanno cooperato a toglierci le ultime nostre illusioni , e dobbiamo questo bene, pagato troppo caramente, all' abbandono del 31, alla perfida politica di Luigi Filippo , all' assassinio di Ro- ma. Certo, non solo non odiamo i francesi, ma, dopo l'Ita- lia , la Francia e' è cara di più. I francesi sono un popolo eroico; non giudichiamo di essi da' loro governi; una sven- tura comune ci preme , comuni vergogne ci umiliano. Ma quando si scrive in giornali francesi, che i lombardi, après tout, desidererebbero la signoria francese per torsi di sul collo i tedeschi ; quando, nel 55, i bonapartisti credono di poter riallargare le unghie sopra di noi ripetendoci una vecchia canzone, sentiamo che in noi ci è qualche cosa di nuovo, che si ribella contro questo linguaggio. Questo movimento anti-francese è stato tollerato , anzi secondato da' governi. Essi si facevano un conto e noi un altro. Noi manifestavamo a questo modo il sentimento na- zionale, che non potevamo altrimenti. — Non vogliamo fran- cesi — conteneva in sé implicitamente un' altra parola, che non potevamo dire: — vogliamo l'Italia. Frutto di questo movimento fu 1' esplosione popolare del 48. Il sentimento nazionale fu sospinto a tale fanatismo , che r opinione pubblica rifiutò il soccorso francese. Non facciamo recriminazioni. Non ce ne pentiamo. La Francia, se noi ci fossimo inchinati a supplicarla, non ci avrebbe aiutati. La- martine, il più benevole vei-so di noi, lo ha confessato. A lui non garbava una Italia forte. Meglio cosi. Avemmo un' umi- liazione di meno. Volemmo vincere o perire col Piemonte ; perdemmo, ma ci è rimaso un bene immenso. Il sentimento nazionale, che prima viveva secreta speranza ne' libri e nelle sette, ora ha — 190 — una bandiera , una tribuna, una scampa libera, ed una opi- nione irresistibile. Un gran progresso si è da noi fatto. Noi ci siamo edu- cati a sacrificare le nostre opinioni, le nostre più care affe- zioni a questo sentimento. Né ciò solo. A poco a poco noi ci siamo accordati ancora nell' applicazione , cosa difficilis- sima. Il Piemonte è divenuto un terreno neutro , in cui si sono riconciliate tutte le differenze. Ciascun partito è ve- nuto a fare atto di abnegazione innanzi al Piemonte. I bravi Siciliani ne diedero i primi 1' esempio. Potevano scegliere n loro re un inglese ; scelsero un italiano , da cui non po- tevano sperare alcun soccorso. E noi li accusavamo d' in- glesismo ! E mentre ora tre o quattro emigrati anonimi do- mandano e corteggiano un principe francese , essi dicono a' loro connazionali : sorgete non francesi , né inglesi , ma italiani ! E voi ci parlate di tradizioni murattiane ! Volete che Na- poli insorga in nome del 1815 , quando avete innanzi una storia viva ancora, che si continua nella prigione e nell' e- silio , che si mormora fra' denti sotto al bastone che gitta ancora sangue. Napoli insorta ! E che cosa sono quei de- putati che usciranno dalle prigioni? quegli esuli che ritor- neranno nella patria? quei popolani che il 48 ha educato al grido d'Italia? e quei padri , quelle mogli , quegli amici che sospirano i loro cari, morti ;ìuì campi lombardi? Questa è Napoli insorta , Napoli liberale , tutta la nostra vita di sette anni ; e voi ci dite: — tutto questo è morto. In Napoli non vi sono che tradizioni murattiane ! In Napoli non si conosce il Piemonte! — Oh una bandiera piemontese svento- lante per le coste di Napoli ! Quanti cuori farebbe ella bat- tere ! Ma io vi comprendo. Voi non volete una insurrezio- ne. Voi volete una cospirazione decembrista. Voi siete della scuola di Maupas (1). A te le spalline, a te la borsa, a te la (1) II Maupas, prefetto di polizia, che fu, com' b noto, tra i prin- pali autori del 2 dicembre. — 191 — croee , a te generalato , a te ministero. Volgetevi allora ai cagnotti di Ferdinando II ; risparmiate quest'oltraggio a noi liberali. Cospirazione, o conquista, pazienza! Gli uomini dabbene non hanno la missione di fare più di quello che possono. Se la nostra sventura vorrà che ci sia imposto un principe francese mascherato da italiano , noi lo subiremo. Daremo la borsa al ladro più forte di noi che ce la toglie. Ma voi volete che noi gridiamo , noi ste^si : viva il ladro! Si è tanto lavorato per creare un governo italiano ; dopo tanto sangue, abbiamo finalmente un Piemonte; ed ora noi vogliamo fare come i fanciulli , che fanno e disfanno le loro piccole case ! Non sappiamo voler mai una cosa risoluta- mente e costantemente ; ad ogni direzione del vento per- diamo la bussola e gridiamo: viva questo! e viva quello! E poi ci lamentiamo della fortuna ! Ma vedete dunque la lettera che Luciano ha indirizzata al Times (1). Il Times parla di un Piemonte unificatore (1) Ecco la lettera di Luciano Murat, cui allude il De-S. , secondo la traduzione pubblicata dai giornali italiani di allora: Al signor compilatore del giornale il Times. Signore, Un articolo del vostro giornale, ora comunicatomi, tende a rap- presentarmi come uomo arrischievole, che avrebbe profittato dell'agi- tazione in cui trovasi il regno di Napoli per ribellare quel paese. Dice che per buona sorte la scintilla è spenta; che quanto oggi non sareb- besi terminato che 'ad una cospirazione in mio favore, sarà in tempo piùo meno lontano rimpiazzato dall'unione ed indipendenza di tutta r Italia, da effettuarsi dal solo Piemonte. Il vostro articolo tenderebbe a far credere che io, riu.scendo, sarei stato un ostacolo all'unione ed indipendenza d'Italia. Ignoro qaa!i prove possiate addurre in appoggio dell'asserzione. I giornali si occupano molto di una lettera da me scritta a mio nipote (volgono ornai due anni), la quale, senz' essere conosciuta da lutti, lo era però da coloro ai quali poteva premere di sapere le mie opinioni. Quella lettera non t- stata pubblicata che quando il Piemonte aveva — 192 - d' Italia. Oibò, risponde l' impaziente principe, il Piemonte ha rinunziato ad ogni speranza d'ingrandimento. E poi faccia subito , o farò io. Si atteggia già a provocatore , a rivale. Non voglio già accusare le sue intenzioni. Ma questa let- tera è perfida. Vi si vede una secreta gelosia, un'aperta mala fede. Bianchi-Giovini dice che manca di abilità. Tale è r aspetto , sotto il quale egli suol considerare le cose. Cer- to , se fosse stata scritta da un segretario più abile , per esempio da Bianchi-Giovini, sarebbe stata una bella lette- ra : la maschera non sarebbe caduta sì presto , i sentimenti intimi sarebbero rimasti nascosti ; i gonzi e gli ambiziosi avrebbei'o gridato : vedete che bel proclama ! quanta tene- rezza per il Piemonte! quanto disinteresse! quanta magna- nimità nel principe! Ma chi ha un po' di senno, ed una coscienza , saprebbe trovare il motto anche sotto le frasi abi- lissime di Bianchi-Giovini. — Non francesi, non inglesi, non forestieri ! Unione al Piemonte! e viva l'Italia! Questa è la via dell' onore e della salute. dichiarato (mediante la sua alleanza colla Francia, Inghilterra ed Au- stria, e mediante articoli inseriti in giornali ministeriali) di rinun- nunziare ad ogni ingrandimento di territorio e di volere rispettare l'attuale stato d'Italia. In che dunque un cambiamento di dinastia in Napoli avrebbe potuto nuocere alle idee del Piemonte? Che questi si dichiari, che egli levi lo stendardo dell'Unione, dell'Indipendenza e della Libertà di tutta l'Italia, ed io prendo qui impegno, come nella mia lettera, non solo di non essergli di ostacolo, ma di dargli inoltre tutto il mio concorso, non che quello di tutti coloro che passate rimembranze at- taccano alla mia famiglia; perchè ciò sarebbe un effettuare le idee di mio padre, alle quali resterò sempre fedele. La mia posizione politica e di famiglia mi fauno un dovere di aste- nermi da ogni polemica ne' giornali. Desidero, dunque, che la presente lettera serva di risposta ad ogni altro attacco che la malevolenza potrebbe suscitarmi in futuro. Aggradite, o signore, ecc. Dal Castello di liuzenval, addì 24 settembre 1865. Firmato: Luciamo Mubat. — 193 — La Quislione Napoletana. In questa quistione si è manifestato un fatto che ci dee- jssere di conforto e di speranza. Quando i francesi, nel prin^ ;ipio di questo secolo, invasero il regno di Napoli , ebbero i seguaci tutt' i liberali , per ragioni da me toccate in un litro scritto. Oggi al solo annunzio di una possibile restau- •azione murattiana , la stampa vi si mostra avversa quasi inanimemente , e costituzionali e repubblicani si danno la nano. Se il Piemonte fa un cenno , tutti corrono ; nessuno iomanda qual è il suo proclama, quali le sue promesse. In- sano voi fate proclami e promesse in nome di Luciano Mu- •at ; vi si ripugna. I liberali napoletani hanno un interesse risibile a desiderare questo fatto da cui verrebbe sollievo i molti mali presenti ; eppure molti di loro vi ripugnano »nch' essi. Questa ripugnanza voi la trovate sotto tutte le 'orme , dalle pubbliche dichiarazioni fino alle tronche frasi ielle conversazioni. — Che farci ? — dispiace, ma qual rime- iio? — e un minor male — è un male necessario — bisogna attcstare alla foraa : ma quanto a me — ma io ecc. — È la ripugnanza nella sua forma più moderata. Si era fondato iin giornale in sostegno di questa causa, e morì nell'oblio; a più anni si è cercato di persuadere a questo partito gli uli napoletani ; e non si è riuscito a vincere questa ripu- /a. Che più? Sono usciti due opuscoli murattiani. Per- . loro autori rimangono nelT ombra ? perchè tante spie- jazioni e riserve ? perchè dichiarare cosi spesso il loro amo- •e della libertà, della indipendenza, di che non sentono >Ì8ogno i loro avvei-sarii ? La difesa di questa causa può lunque mettere in quistione il loro patriottismo ? Questo è acile a spiegai^si : essi sentono che la loro causa è impo- •olare , che vi si ripugna. Non voglio ora esaminare se [uesta ripugnanza sia ragionevole. Volevo solo porre in sodo De Sahctis — Manzoni e teriiti rarii. 13 — 194 — un fatto di cui mi rallegro col mio paese. I liberali una volta desiderarono, approvarono la conquista francese, aper- tamente, rumorosamente, unanimi : dove oggi la stampa è la pubblica opinione si chiarisce avversa, non dico alla con- quista , ma alla semplice influenza francese , e trovate li- berali napoletani , che , non ostante le loro tradizioni ed i loro privati interessi, vi si mostrano ripugnanti. Perchè que- sta differenza ? Perchè noi non siamo più gì' italiani di Napoleone, quan- do i francesi potevano tra' nostri battimani passeggiare r Italia da padroni ; perchè in quarant' anni il sentimento nazionale ha fatto tale progresso, che oramai è posto in cima ■a tutte le altre quistioni , riconciliando in sé tutti i partiti, perchè tra Murat e noi, lasciamo star Roma ed il 2 dicem- bre, ci è il 48, ci è il Piemonte. L' autore dell' opuscolo stampato a Parigi ben sei sa. Per non offendere questo sentimento , egli rigetta ogni idea di conquista e parte dall' ipotesi che Luciano sia chiamato in Napoli dal popolo insorgente senza intervento forestiero. È il sistema scelto finora da' murattisti , è il linguaggio della stesso Luciano , che vorrebbe essere gridato re per accia-- mazione popolare, a fine di risparmiarci l'onta e i danni di una conquista. Ora ecco venir fuori un opuscolo di unif amico imprudente che, per troppo zelo, guasta la faccenda, Più murattiano dello stesso Murat , nega la possibilità di «na insurrezione, ed invoca le armi straniere : egli solo noa sente 1' umiliazione , che i mui'attisti , per rendere la loro causa meno odiosa , vorrebbero risparmiarci. Costui non sa altrimenti difendere la causa di Murat, che ricoprendo d' infamia il suo proprio paese. A sentirlo , gli altri popoli d' Italia non possono vendicarsi in libertà per cagioni tutte speciali : i napolitani noi possono, perchè sono un popolo decaduto. Vi è per un popolo qualche cosa di più l lavoro del Gattinelli vi è una vera pioggia di tali in- dienti, reminiscenze di repertorio. Egli ha alle mani un intrigo complicatissimo, due azioni da menare innanzi, due viziosi da rappresentare, il discolo ed il giocatore di borsa : — 218 — ha materia da due commedie. Ma tutto questo è trascurato : la vera commedia è posta ne' caratteri accessorii, ed il padre ed il figlio, personaggi principali, fanno ridere, non per la parte che si attiene alla situazione , ma per quello che vi è di comune e di convenzionale nel discolo, nell'avaro, nel vecchio innamorato. Tutta questa materia da repertorio è passata per la testa del Gattinelli senza riceverne alcuna impronta. Un carattere, perchè sia una creazione, dee aver una personalità : vedete i personaggi del Goldoni. Con quanta precisione son disegnati ! Con quanta sagacia son distribuite le mezze tinte , i chiaroscuri , le gradazioni ! Come tutto è compenetrato, situazioni, caratteri, sentimenti, sicché ciascuna commedia ti pare una sola persona ! Al Gattinelli sfugge ciò che un carattere ha di proprio e d' intrinseco, la sua anima ; e non gli restano che contorni indeterminati e comuni a tutta la specie. E però osserverete che i più felici effetti comici egli li trae, non dall' intimo del personaggio, ma da rapporti tra cose disparate che si trovano insieme. Avendo profuso nella sua commedia caratteri ed incidenti, nascono dal loro incontrarsi contrasti ridicoli. In una scena Andrea paga per Maurizio, Luigi Ardenti sospetta di avere un rivale , il poeta racconta un suo dramma a Vittorina , sua fidanzata. «Chi vi ha dato questo danaro?», domanda Maurizio ad Andrea. «Chi è il mio rivale?», domanda Luigi ad Agata. A domanda contemporaneo succedono risposte contemporanee. « Uno che ha cuore più umano del vostro. — Uno che ha maniere più insinuanti delle vostre ». Ritor- nano i primi: « Si rovinerà. — Lo ammazzerò ». Rispondono i secondi: « Non si rovinerà — Non lo ammazzerete ». « Il dramma è finito», conchiude il poeta. «Il negozio è liqui- dato», conchiude Maurizio (1). — Queste antitesi simmetri- che e grossolane sono indizio di povertà comica. AI che si aggiunge che la parte comica manca per lo più di delica- tezza ed è indirizzata alla parte più materiale della nostra (1) Vedi atto I, scena IX. — 219 — natura, scendendo talora fino alla più volgare buffoneria : equivoco di parole, allusioni poco delicate, motti da trivio, comico di occasione. In verità , ci è di che maravigliarsi , veggendo il Gattinelli, che pure è uomo di spirito , met- tersi sotto la protezione del vino di Caluso per ottenere gli applausi dell'uditorio (1). Qui vi è ben poco di poesia. Il riso che nasce da rapporti o confronti, da equivoci o controsensi, da caratteri conven- zionali, comuni, esauriti, rimane sterile, senza alcun potere sulla fantasia , senza che ti desti alcuna idea accessoria , senza valore estetico. Il Gattinelli ha amato meglio di parlare a* sensi del suo uditorio. Sono pochi quelli che intendono e pregiano le de- licate bellezze dell' arte ; un pubblico di così fino gusto é argomento di una perfezione estetica, alla quale nun siamo ancora giunti. Siamo più avanti per rispetto alla musica e al canto, che per rispetto alla poesia. Una falsa espres- sione nel tono o nel gesto di un attore facilmente ci sfugge ; una stonatura è subito ripresa. Il Gattinelli s' è rivolto a' nostri sensi. Dilettiamo gli oc- chi, egli ha detto, disponiamo in modo le co?e che vi sieno de' quadri, dei contrasti simmetrici, delle illusioni ottiche. E poi moltiplichiamo personaggi ed accidenti ; serriamo il dialogo ; sopprimiamo gradazioni e mezze tinte ; facciamo una commedia a vapore , si che lo spettatore passi di cosa in cosa, allettato sempre da novità, da varietà. Che n' è nato ? Non ci e una sola azione sviluppata, è un correre e correre, un succedei-si rapido di fatti , come di citta in un (1) Il De S allude al seguente passaggio delKatto I, scena XI: Vittorio. Su via, bando alle frivolezze, e inauguriamo una volta que- sta benedetta società con un brindisi fatto col onore. Bottega? Sciampagna ! AxDSEA. E perchè cementare una società nazionale con elementi fo- restieri ? Manchiamo forse di buoni vini paesani? Emilio? Vin di Caluso! (Emilio va eorrendo a terpirli, poi ritorna eoi vino ri- ehiesto e bicchieri). — 220 — panorama. L'occhio è così esercitato, che non dà un istante di vita all'anima, non ci dà tempo di pensare, di fantasti- care, di operare noi a nostra volta sullo spettacolo, di ap- propriarcelo e compierlo con la nostra immaginazione : ri- maniamo storditi, passivij con gli occhi aperti, con l'anima vuota. È la poesia nello stato d' infanzia o di decadenza, o quando siamo ancora tutto sensi, o quando esausti e decre- piti non ci rimane altro che il senso. Ma io sono troppo severo col Gattinelli. Non ho potuto smettere l' abito di guardare anche nei lavori infimi alla per- fezione. Nella presente mediocrità è pure non piccola lode fare una commedia che non ti annoia, che ti fa ridere, che ti tiene allegro, che attira, se non altro, la vista. Il Gatti- nelli ha una lunga esperienza del teatro , ed ha scelto i mezzi eh' egli sapeva più acconci a fare effetto. Per esempio, non ha posto alcuna cura nello stile ; la sua lingua è una specie di lingua franca, un italiano corrotto, come si parla a Torino o a Napoli. E che perciò ? Chi vuoi che ponga mente allo stile o alla lingua ? Non siamo ai tempi che un Ateniese torceva il muso ad una frase o ad una parola men che elegante. Ben so che cosa il Gattinelli potrebbe rispondere. — Voi sie- te un utopista, voi, con le vostre critiche! Perfezione, ideale, concezione, situazione! Le sono novelle. Io conosco il teatro e il mio pubblico, e mi governo coi tempi. Che mi contate voi d'impressione estetica e non estetica, di convenzionale e di personale? Sapeva ben io quel che mi faceva. — Non ne dubito; non solo egli sapeva quel che si faceva, ma r ha fatto benissimo. Dialogo rapido, quadri ben concer- tati, spettacoli svariati, sceneggiatura ben compresa, abilità tecnica non comune, azioni a passo di carica, moto perpe- tuo senza un istante di languore, sono tali pregi, che il Gat- tinelli se ne dee contentare. In questo genere di lavori tutto sensi, in cui lo spettacolo può più che le parole, egli tiene uno dei primi luoghi. Certo, un artista coraggioso, conscio delle sue forze, può molto osare; e s'egli si levasse in più — 221 — alta regione, se sapesse parlare al cuore, se l' attenzione che molti pongono nelle scene, nelle vesti, nella parte mimica e spettacolosa, in tutto ciò che è esterno, sapesse egli atti- rarla potentemente al giuoco delle passioni e dei caratteri; son certo che la parte anche più grossolana del pubblico lo intenderebbe e lo seguirebbe. Un buon pubblico forma i grandi artisti; e un buon artista ti crea un buon pubblico: vi è re- ciprocanza di azione. Ma il Gattinelli non ha confidato in sé stesso, ed ha scelto la via più sicura; meglio primo in paese, che secondo in città. Vedremo chi sarà colui, che il primo oserà, e che avrà più fede in sé stesso e nel suo udi- torio: colui sarà il ristauratore del Teatro Italiano. IH. LA FEDRA DI RACINE. [Anche quest' articolo fu pubblicato nella Rivista contemporanea, voi. V , A. Ili, fascicolo di febbraio 1856. pp. 597-fil5. E , come del precedente, ne traemmo notizia dal libro del Febrieri, che la cita « ne riferisce qualche brano. Lo studio sulla Fedra si riattacca ai -parecchi saggi su opere drammatiche (dell'Alfieri, di V. Hugo, del Ponsard) e su critici drammatici (Janin, Veuillot, Saint-Marc de Gi- rardin) che il De-S. scrisse appunto negli anni 1855 e 1856 e rac- colse poi nei Saggi critici. Se non fu raccolto anche questo sulla Fe- dra, crediamo che ciò fosse per semplice dimenticanza, non parendoci che volesse oscluderlo di proposito, come ci pare evidente per quegli articoletti del Piemonte che poi ristampò Vittorio Imbrìani col titolo di Scritti critici (Napoli, Morano, 1886)]. Di lavori nuovi non si è rappresentato al Carignano, dopo la Clelia del Gattinelli, che una commedia, intitolata: Le Facce di bronzo. Non ne ho a dir nulla: è una commedia nata morta: né vo' aggiungere i miei biasimi a quelli degli spettatori e della stampa. Noterò solo due suoi pregi non comuni: è scritta in buona lingua, castigata e disinvolta ad un tempo, ed è sparsa di parecchi motti spiritosi, la più parte originali. Sembra lavoro di un uomo di sano gusto: niente che miri all'effetto, che solletichi i sensi; l'autore ha mirato al semplice e al naturale. Ma il semplice è spesso 4irido, ed il naturale è spesso volgarità: una commedia che non si aiuti di mezzi esterni e meccanici dee supplirvi con — 224 — la vivace pittura de' caratteri e de' sentimenti ; quanto la su- perficie è più magra e squallida, tanto dee essere più ricca la vita interiore: l'autore ha causato il seicento, ed è ca- duto in piena Arcadia; non ti dà il falso, ti dà il vuoto. Ben lavoro nuovo si può chiamare per noi la Fedra di Racine, che in veste italiana è stata per più sere applau- dita al Carignano. Oggi non si può nominar la Fedra che il pensiero non corra tosto alla Mirra; non si può pensare a Racine che dietro a lui non si drizzi l' ombra di Alfieri ; e questo consociato con mille pettegolezzi e vanità e gelo- sie , di cui prima la stampa francese ci ha dato l'ignobile esempio (1). La critica oggi è una specie di mare morto , sulla cui superfìcie immobile vedi a galla ogni specie di lor- dura; all'entusiasmo artistico, alla discussione de' principila che testimoniano vivo in un popolo il culto dell' arte e della scienza , sottentrano piccole passioni e meschini intrighi e grossolani pregiudizio S'è fatto un gran dire intorno alla Fedra e alla Mirra: che cosa è nato di tutto questo bac- cano? Nessun lavoro serio. Argomentatelo dalle quistioni che si sono poste , poiché il porre la quistione cosi o così è indizio dello stato in cui si trova la scienza, del modo in cui è concepita. Eccone un saggio. 1." La Mirra è una cattiva tragedia, perchè non rasso- miglia alla Fedra. 2° La Fedra e la Mirra sono tragedie immorali. 3." Molti fatti nella Fedra sono improbabili. 4." Ra- cine ha tolto di peso molte situazioni e luoghi interi da Eu- ripide. 5."* La Mirra è migliore della Fedra, perchè è meno collegata con i tempi ed i costumi antichi. 0.° La Fedra di Racine è una concezione moderna e cristiana; Ippolito e Aricia sono personaggi moderni, ecc. Queste quistioni sono i luoghi comuni della critica. Non (1) Allude alle critiche del Janin e del Veuillot, alle quali si ri- feriscono i suoi articoli citati nell'avvertenza. Quelle critiche presero occasione dalle recite che della Mirra fece a Parigi, nel 186'^, Ade- laide Ristori. — 225 — disconosco la loro importanza; nel tempo in cui furono po- ste, destarono ardenti discussioni, diedero un vivo impulso- agli intelletti; e ciascuna è stata un momento essenziale nella storia della critica. Questa scienza , come tutte le altre, si è andata formando a poco a poco; ha avuta anch'essa le sue ipotesi, i suoi sistemi, i suoi filosofi, i suoi pedanti. Cia- scun sistema critico è la scienza considerata da un lato sola che si pone come tutto, è una forma che si pone come so- stanza; esso dileguasi innanzi ad un sistema superiore in cui ricomparisce nella sua vera natura , cioè non più come il tutto, ma come parte. Quel sistema superiore è una conce- zione più vasta, un orizzonte più lai^o, ma non ancora il tutto, il sostanziale; eppure si pone anch'esso come tale; poiché gli uomini hanno bisogno di vedere, nel sistema da loro seguito, non solo la verità, ma tutta la verità. Di que- sti diversi sistemi rimangono alcune idee, che penetrano nelle scuole, nelle conversazioni, nella vita comune: idee dispa- rate e spesso contradittorie, appartenenti a sistemi opposti, le quali diventano il patrimonio, il repertorio degli uomini estranei alla scienza, messe insieme e infilzate cosi a casac- cio. Un critico t'istituirà un parallelo, ti farà della mora- lità di una tragedia un caso di stato, ti sosterrà il carattere moderno della Fedra francese; e non si accorge il valente uomo ch'egli spazia fra luoghi comuni, che queste quistioni, che una volta aveano il loro interesse , non hanno più un senso oggi, e che egli accozza e confonde ciò che appartiene a diversi ordini d'idee. Voi m'istituite de' paralleli : biasimate la Mirra, perchè non rassomiglia alla Fedra; la Fedra francese, perchè è di- versa dalla greca. Ma questa critica a paralleli oggi è un esercizio accademico , un mezzo comodissimo per riempiere con poca fatica le lunghe appendici dei Débats e del Siécie^ un seicentismo critico, discorsi brillanti tutto a rapporti ed a concetti. Il parallelismo ebbe il suo significato, quando la critica avea per fondamento cei'te regole e certi esemplari, '•"n cui si ragguagliavano tutte le opere d'arte: furono i t Sahctis — Manzoni e gerita varii. 15 tempi dell'autorità o della tradizione. Quel criterio non è più riconosciuto, ma è rimasto il mal vezzo di far paralleli. Ho mostrato in un mio giudizio intorno alla Mirra (1), quanto sia diversa la concezione alfieriana da quella di Racine, non ci essendo di simile che il fatto materiale, un amore ince- stuoso. Janin vuole che la Fedra sia il modello , e che la Mirra debba rassomigliare a quello che nasce da questi pa- ragoni assurdi? Il critico vede la superfìcie, i lati esterni € comuni per i quali i due lavori si toccano, e non ciò che ciascuno ha di proprio, la personalità, che è soIq sé stessa, incomunicabile ed incomparabile. Ora in questa personalità, in questa vita interna è il sostanziale di un lavoro. Voi chiedete se la Fedra è una tragedia morale. Questa quistione fa parte di un altro sistema. Si credette un tempo che la poesia fosse un mezzo per insegnare ed emendare delectando. Dante, Tasso, Gravina, Zanotti, Boileau appar- tengono a questa scuola , alla scuola dell' utile duìci , della dottrina che s' asconde sotto il velame dei versi sfrani, del vero condito in molli versi. Ma è già un secolo che si pre- dica contro a questa dottrina : né ci è trattato di estetica, il cui primo capitolo non ragioni dell'indipendenza dell'arte: leggete Schelling ed Hegel e Cousin e Gioberti. La mora- lità non é conseguenza dell' arte, ma il presupposto, l'ante- cedente; l'effetto estetico non è possibile in voi, quando non siate già un essere morale. Ditemi : perché Fedra soffre ? e perché il suo soffrire v' impietosisce? Fedra soffre, perchè ha il senso morale, e impietosisce voi, perché voi pure avete il senso morale. Ella soffre, perché la sua passione è in con- trasto con la sua coscienza; e voi v'impietosite, perchè, uo- mini morali, anche voi immaginate le angosce di questa lotta interiore, e compite con la fantasia lo spettacolo che vi pre- senta il poeta. Togliete la coscienza a Fedra, fatene un Bor- gia, un Jago; e la tragedia sarà ancora morale, perchè la coscienza è spenta in lei, ma non nel poeta, ma non in voi: (1) Vedi nei Saggi critici, p. 191, 196. — 227 — !a vostra moralità si manifesta nella vostra impressione , l'orrore. La moralità dunque preesiste all'arte, non è pro- dotta da essa. Il vostro riso, la vostra pietà, il vostro orrore testimoniano che voi siete un essere morale. Ma nella rap- presentazione il vizio trionfa ! Non è vero ; se il vizio vi desta il riso o la pietà o 1' orrore secondo le sue gradazio- ni, ciò che trionfa non è il vizio, ma è l'umana coscienza. Questa teorica è compresa benissimo in Germania, ed anche in Francia, se ne eccettui il reverendo padre Veuillot, che trova la Fedra francese più pagana della Fedra pagana (1). Solo in Italia si sente parlare ancora di scopo morale, il che significa che tra noi in generale non si concepisce ancora r arte , come arte ; che si confonde , come si facea prima , con altre discipline; che l'aite è considerata come una sem- plice forma senza contenuto proprio, una specie di segreta- rio a* servigi della morale e della scienza, destinato a porre in bello stile i pensieri del suo padrone. Nella Fedra vi sono molti fatti improbabili, sostiene un altro. — Fu già un tempo che la critica venne ridotta ad una specie di processo criminale , ad un calcolo di probabilità con tutti i suoi antecedenti, concomitanti e conseguenti. Giu- dicavansi i tatti poetici col criterio del reale. A questo rag- guaglio l'arte stessa è una grande improbabilità, anzi un assurdo. Quelli confondono 1' arte con la morale, questi con la realtà ; coloro ne fanno una predica , costoro ne fanno una copia. Racine — esce in mezzo un quarto — ha tolto molte situa- zioni da Euripide; egli è un plagiario. — E non vede che i fatti materiali e le situazioni sono la materia ancor grezza ed inorganica, che il poeta può prendere, dove la trova, nella sua fantasia, ne' libri, nella natura. Immaginare delle situa- zioni è da tutti ; ma fin là non mi avete fatto ancor nulla; non ci e ancora poesia. Tutte queste osservazioni appartengono ad una critica, in- (1) Haggi critici p. 191. — 228 - vecchiata eh' è già molto tempo. Coloro che considerano nella Fedra ciò che vi è di antico e di moderno nella con- cezione, seguono un sistema critico non vecchio , ma non meno parziale ed insufficiente. Ecco un magnifico lavoro di architettura. E voi mi dite sentenziosamente : guardate ; è una cattedrale di stile gotico. Gran mercè. Ma ci sono cat- tedrali pessime, mediocri e bellissime. E parimente una con- cezione può esser moderna e cristiana , e insieme sciocca , mediocre. Non basta il dire: Aricia è una concezione mo- derna e cristiana ; ciò che più importa è di sapere se Aricia sia una creatura poetica. La qualificazione di moderno e eri- stiano può esser buona a classificare un lavoro , non a de- terminare la sua eccellenza. Ecco una ipotesi che mostrerà meglio la vanità di queste osservazioni. Poniamo che una tragedia sia fondata su di una concezione moderna e cristiana , originale , probabile , morale ; sarà perciò una buona tragedia ? E se no, la vostra critica è dunque insufficiente, senza scopo, inetta a determi- narmi, ciò in che è posta la bontà di un lavoro d'arte. Sceglierò un illustre esempio. G-uglielmo Schlegel ha scrit- to un lungo giudizio sulla Fedra greca e francese, intitola- to: Comparaison des deux Phédres. È un lavoro fatto con quella serietà ed accuratezza, che è pregio de' critici tede- schi , e vi sono trattate molte quistioni importanti , e con- futate alcune false opinioni. Tra l' altro, è degno di nota ciò che dice del fondo morale e religioso del dramma greco, e la sua confutazione di un pregiudizio molto comune a' suoi tempi, ed anche oggi, che nella tragedia, per conseguire lo scopo morale, gli scellerati debbano essere puniti e premiati i buoni. Se consideriamo il suo giudizio per rispetto alla critica antecedente, vi è certo un gran progresso. Quando Laharpe affermava che Racine a partout suhstitué ìes plus grandes beaiites aux pltis grands défauts (1); Schlegel fa- (1) Le annotazioni di Laharpe alla Fedra ci mostrano la vacuità di questo critico tanto celebrato a* suoi tempi. Sono per lo più escla- — 229 — cea cosa utile a mostrare 1' eccellenza del teatro greco e dell' Ippolito di Euripide. Quando i critici francesi sostene- vano essere il teatro francese lo stesso teatro greco conti- nuato e incomparabilmente più perfetto; Schlegel facea bene a notare la differenza sostanziale che è tra' due teatri e la superiorità del greco. Quando i critici rimanevano estatici innanzi a' versi, alle frasi, alle parole, Schlegel provvedeva alla dignità della critica, alzandola all' esame de' caratteri, degli affetti, di ciò ch'egli credeva 1' essenza della tragedia. Ma Guglielmo Schlegel non comprende ciò in che è posta r essenza dell' arte. Il suo orizzonte è più lai'go , le sue os- servazioni procedono da principii più elevati , ma ancora accessorii ed inessenziali. Vi si vedono molti dei difetti che io ho notati innanzi. Fonda il suo giudizio su di un parallelo tra le due Fedre. Eccoci già a' paralleli. In luogo di esaminare la concezione di Racine in sé stessa, le mette di fronte quella di Euri- pide (I); e mi maraviglio come un critico cosi acuto non inazioni di maraviglia, frasi generali, lodi superlative che non la- sciano niente di determinato nella mente , se ne eccettui qualche osservazione grammaticale o rettorica intorno all'intrigo. Eccone un saggio: La scène entière est un modèle étonnant de toutea les beautéa tragiques et poétique» dans leur perfection : intérét, dialogue et style, tout y e»t au plus haut poinl. — Oh dirait que toutes les fois que Racine se tert de ce qu' un autre a fati, e" est pour tnontrer eomment il fallait fai' re. — // semble que quand Racine marche tout seul, il n' a d' abord tuivi de» modèles , que pour faire voir eombien il savait les devaneer. — Ce qu' il emprunte , decient toujours meilleur entre ses mains. — Et que peut-on dire et sentir de plus déchirant quand on aime ? — grand peintre de la nature et des passiona ! Cette conception si vraie et si in- téressante est non seulement hors de toute comparaison atee Euripide , mai» ménte n a rien de commun acce tout ce qu'on a vu en au^un temp» sur la scène. E il fraseggiare di tutti i critici che non vogliono pren- dersi l'incomodo di pensare. (Nota del De-S.) (I) A quei tempi erano in voga i paralleli , ed i classiri erano il termine di paragone. Sono note le interminabili comparazioni sul merito degli antichi e de' moderni. Laharpe trova Racine sempre superiore ad Euripide, e la sua ammirazione lo rende scioccamente villano verso gli altri ; Schlegel , fondatore di una nuova critica , — 230 — abbia veduto la differenza sostanziale che è tra le due con- cezioni. A suo parere, Racine ha seguito in tutto Euripide, solo raffazzonando e modificando ne' particolari la tragedia greca per accomodarla a' costumi francesi. Ma le modifica- zioni di Racine sono sostanziali, si che ne è uscita una con- cezione affatto diversa, forse senza accorgersene egli stesso. La tragedia di Euripide non è la rappresentazione di que- sto o quel carattere, di questa o quella passione. È una va- sta composizione, tutto un mondo, con grandezza epica, con movimento lirico : il significato è nel suo insieme. È una lotta in cielo ed in terra ; Venere e Diana s' in- carnano , si umanizzano in Fedra ed Ippolito ; in cielo la lotta e fuori de' legami della natura, fuori delle turbazioni terrene, in terra è passione, colpa e morte; le potenze su- periori signoreggiano la natura e rompono le sue leggi, in- vano repugnanti i mortali. In questo mondo mistico, in cui il libero arbitrio non ha ancora piena coscienza di sé , in cui epopea , dramma e lirica s' incontrano , si confondono , dove accanto allo strazio delle passioni trovi 1' immutabile serenità de' celesti, e 1' azione va spesso a sciogliersi ne' li- rici concenti del coro ; tutto è in armonia, e la vita penetra nelle minime parti. Questo mondo armonico è stato guasto da Seneca, che, rompendo ogni misura e gittando nell'ombra le altre parti, pone di prospetto Fedra e attira su lei 1' attenzione. Nelle tragedie di Seneca comincia già a trasparire la caduta degli Dei e la libertà dell'anima; se non che, povero di poesia e messo in un mondo che non era già più il mondo pagano. non avrebbe dovuto seguirlo per questa via ; ma, sviato dalla pole- mica, tira innanzi, e, passando anch' egli la misura, trova tutto da biasimare in Kacine, tutto da lodare in Euripide ; ci si vede l'ardore di un avvocato che ha innanzi 1' avversario, non il sereno giudizio di un critico. Lodo la sua temperanza e cortesia nel linguaggio, che fa contrasto col fare avventato ed insolente di Laharpe; ma chi ben guardi scoprirà quanto ci è di eccessivo e di violento sotto a quella tranquilla apparenza. (Nota del De-S.) — 231 - ma né ancora il cristiano , questa nuova situazione vi sta impacciata e contradittoria , quasi germe o presentimento )scuro del dramma moderno. Nel suo Ippolito egli si pro- pone di rappresentarci in tutte le sue gradazioni una pas- cione incestuosa; l'orrore è la sua musa e la corte di Nerone la sua ispirazione. L'innaturale vi è condotto fino alla sfac- ;iatezza , e la dichiarazione di amore che la madre fa al àglio è degna de'contemporanei di Caligola e di Messalina. Questo mondo poetico, guasto da Seneca, è stato sfasciata la Racine ; Seneca ne ha gittate nell'ombra alcune parti; Racine le ha cancellate. Nel poeta latino trovi ancora l'an- tagonismo tra Venere e Diana , tra Fedra ed Ippolito ; il mondo di Euripide non ha perduto il suo significato. Tutto juesto è sparito in Racine ; la sua tragedia è puramente e semplicemente la rappresentazione di una passione ; Fedra ì non solo il personaggio principale, ma tutta la tragedia. Venere, Diana, Ippolito, Fedra, tutta la vas^a composizione li Euripide, va in fumo; ben vi è Venere, ma è un nome; 3en vi è Ippolito, anzi per giunta un'Aricia, ma sono nomi, ?omparse ficcate li per dare occasione a Fedra di manife- stare le varie gradazioni del suo carattere. La Fedra di Euripide è piccola parte di un gran mondo ; la Fedra fran- cese è essa l'anima di tutto ciò che si muove intorno a lei. Vedete l'impressione. Nella tragedia greca Fedra scompare senza che l' interesse si menomi ; rimane Teseo , Ippolito , Diana. Fedra è un istrumento spezzato quando è fatto inu- tile : r azione cammina senza essa ; l' interesse più concen- trato è più vivo. Nella tragedia francese tutto langue, dove Qon è Fedra, e le conversazioni tra gli altri personaggi sa- rebbero insopportabili, se una voce segreta non dicesse agli spettatori : abbiate pazienza ; fra poco verrà Fedra. Un parallelo adunque tra le due concezioni è impossibile ; manca il fondamento. Il Teseo e l' Ippolito di Racine, dice Schlegel, non è simile a quello di Euripide. Non è e non dee essere. La Fedra non è simile a quella di Euripide. — 232 — Non è e non dee essere. Eccone qualche esempio. Racine dice : Que ces vains ornements, que ces voiles me pèsent ! Quelle importune maìn, en formant tous ces noeuds, A pris soin sur mon front d'assembler mes cheveux? Tout m'afflige et me nuit, et conspire à me nuire. Schlegel osserva : il suppose que Phèdre s'est parée appa- remment dans le dessein de rencontrer Hippolyte. La Phèdre grecque est trop malade pour cela. Certamente; la Fedra di Racine non è e non deve essere così malata ; ella è lan- guente , ma non consunta e logora ; nel suo languore vedi più la malattia dell' anima che del corpo ; ciò che non ha compreso Schlegel, e nemmeno la Ristori. In Euripide non vi è che l'espressione di un dolore fisico : Grave quest' ornamento Mi è sul capo : via, via. Il crin raccolto Disnodatemi, e vada Giù per le spalle sciolto. In Racine il dolore fisico è congiunto con altri sentimenti; la sofferenza rende Fedra capricciosa , stizzosa , di cattivo Timore ; è una natura più ricca : Tout m' afflige et me nuit, et conspire à me nuire. La qual difterenza nasce da questo, che le due Fedre, sotto lo stesso nome, sono due creature diverse, che vanno esa- minate in se stesse, e non in paragone 1' una con l'altra. Racine dice : Dieux ! quo ne suis-je assise à l'ombre des foréts ! Quand pourrai-je, à travers d'une noble poussière, Suivre de l'oeil un char fuyant dans la carrière? •Qui il fi'ancese ha abbreviato il testo greco ; di che gli fa •biasimo Schlegel, e non vede ehe il lungo delirio della Fe- dra greca sarebbe una caricatura nella Fedra francese, ehe non è mai senza subiti ritorni in sé stessa. La passione nel — 233 — avoro greco è già giunta all' ultimo segno , e non vi sono 3iù gradazioni: nella stessa scena Fedra comparisce e muore, Nel lavoro francese la tragedia è tutta nella passione di Fe- ìra, che vediamo svolgersi per successive gradazioni fino al Jelirio e alla morie. «> Questi paragoni, dunque, non menano a niente, o piuttosto, menano al falso. Schlegel si è fatto tirare da' suoi avver- sari in ima falsa via: poiché i critici paragonano, parago- liamo anche noi. Ed il suo paragone delle due Fedre non >i dà. come è naturale, una perfetta rappresentazione cri- tica né dell'una, né dell'altra; ci dà non le cose, ma certi oro rapporti; e, quando le cose non vi si acconciano, ei le guasta e le riavvicina per forza. I principii, de' quali si vale come criterio critico, sono più larghi, ma insufficienti anch' essi. Tenta di alzarsi sulla cri- tica ordinaria, che stagnava per lo più nelle frasi, ne' vei-si, neir elocuzione , ma si smarrisce per via e non s' incontra ?on l'arte; anch' egli dà di capo nella probabilità, nel de- coro, nelle moralità, in tutto fuorché nell'arte ; che é quel mgare dell' uomo che non afferra la quistione nella sua parte iritale. Non si può, egli dice , dal poeta immaginare che nello stesso giorno sia commesso il male e punito senza una grande inverisimiglianza. Qui Schlegel siegue la falsa teoria della probabilità. Teseo è troppo credulo ; si ricordano certe sue cattive azioni; l'annunzio della sua morte cava d'impaccio i per- sonaggi ; il suo ritorno li gitta in ansietà ; Teramene esorta Ippolito ad amare : tutto questo è poco decoroso. Eccoci ri- tornati alla teoria del decoro; come se i personaggi tragici non fossero uomini , non avessero le loro debolezze , e non potessero commettere atti indecorosi. Schlegel avrebbe do- luto dimostrarmi che l'indecoroso sia stato spinto da Ra- jjne fino al comico ; e solo allora si potrebbe discutere con ui. Ma r indecoroso per sé stesso 6 una delle varie facce iella vita e può entrare in ogni genere di poesia. La cri- — 234 — tica antica facea del decoro la condizione sine qica non del poema epico, della tragedia, della storia ; e Schlegel è ca- duto nello stesso errore. La Fedra di Racine è una creatura poco morale ; manca di delicatezza; opera per paura; non ha dignità, non forza d'animo; è irresoluta, debole; dice spesso di voler morire, e le sono parole; non sa né accusare Ippolito, né impedire r accusa ; vuol parlare ad Ippolito de' suoi figli, e gli parla del suo amore ; vuole scagionare Ippolito, e si rista dal farlo per gelosia; si uccide quando non ci è più necessità di mo- rire. È la teoria della moralità e della dignità che qui serve di criterio a Schlegel. Verso la fine par eh' egli si alzi ad un ordine più serio di considerazioni. E quando crediamo ch'egli si levi oramai all'essenza stessa dell'arte, vediamo con rincrescimento che egli non si leva in alto , se non per rimaner nell' astratto. Spogliando la tragedia delle sue parti accessorie e guardan- dola in se stessa, egli dice, troveremo il fondo della tragedia greca nel fatalismo, e della tragedia cristiana nella provvi- denza : di che cita ad esempio Calderon, ed il dramma spa- gnuolo in genere. Tra questi due sistemi ci è lo scetticismo, la negazione, la discordia interna, di cui ci è esempio V Amleto, il re Lear e qualche altra tragedia di Shakespeare. Il povero Racine non trova posto in questi sistemi ; qualche idea di provvidenza trapela nella sua tragedia, ma isolement, à ìa surface, et sans quelle soit identifiee uvee le tout. E con supremo disprezzo Schlegel aggiunge, mettendolo a un mazzo con tanti altri : « Lorsqu' ih ont rencontrc une fiction ou un fait historique quelconque , qui parait leur offrir des situations pathétiques et une catastrophe frappante , et qu' ih sont parvenus à Varranger daìis le cadre usittf dcf cinq actes, en observant l'uìiitc de temps , de lieu , et les autres convenances thédlrales , tls croient d' avoir rempU leur tdche, sans se soucier d'ìcn but ultérieur ». Ma questi stessi , che non si danno pensiero di uno scopo ulteriore , lo raggiungono , senza saperlo ; poiché è impos- — 235 — bile che una tragedia non sia collegata con tutto un sì- :ema di credenze. E questo scopo è scolpitissimo in Ra- ine , nella cui tragedia il fatalismo vi sta per cerimonia , er tradizione; il soprannaturale fa atto di presenza, e le ere forze motrici dell' azione sono i caratteri e le passioni ; il libero arbitrio sprigionantesi dal fato , l' individuo che conosce e si pone come tale , il dramma moderno succe- uto all' antico. Come si sia , questo è il culmine , il più Ito della critica di Schlegel, quello eh' egli crede il fondo, essenza della tragedia ; e non è se non il semplice con- 3tto astratto , preesistente alla tragedia, senza ancora al- an carattere di poesia. Schlegel ha ragione contro i critici suoi avversarli , che onevano la quistione a quel modo : li combatte con le stesse »ro armi. Ha ragione contro Racine critico , che non avea jscìenza piena del suo lavoro, ed era anch' egli impastoiato j quelle false teorie, come Dante e il Tasso. Ma Schlegel ha )rto per rispetto a Racine poeta, per rispetto all'arte. Ripeto la mia ipotesi. Poniamo che la tragedia di Ra- ine avesse tutto quello che desidera Schlegel; che i fatti )ssero verisiraìli , che non si contravvenisse mai al decoro, è alle moralità , che la dignità della natura umana fosse ulva , che vi fosse uno scopo provvidenziale ; sarebbe per- iò una buona tragedia? Il buon senso risponde di no. E B ciò è vero, questi caratteri sono accidenti , accessorii più meno importanti , non V assoluto , 1' essenziale , il fonda- lento della tragedia. La critica di Schlegel parve profonda in quel tempo , in ui quelle quistioni non erano ancora abbastanza chiarite e liscusse. Oggi le sono luoghi comuni, e sarebbe oramai tem- »o che fossero sbandite dalla critica italiana, e ch'ella si evasse al vero concetto dell' arte. La critica si è troppo Qtrattenuta sul contenuto , sulla materia astratta della poe- ia. Che gli eruditi m' informino quali sieno e di che qua- ità i materiali, di cui si e servito Racine, bene sta. Ma i<) '^lie importa, e ciò che la critica spesso trascura di fare. — 236 — è di mostrarmi , in clie modo questi materiali sono stat lavorati e trasformati dall'arte , e se nelle mani di Ra- cine sono rimasi un semplice aggregato , o sono divenuti un mondo vivente. Ecco in che modo va posta la quistione, la quale è cavata ora dall' intima natura della poesia, e non da rispetti accessorii ed estrinseci. E se Racine ha saputo spirare la vita in queste membra sparse , il contenuto con- siderato astrattamente sarà pagano o cristiano, inventato o imitato , fantastico o storico , con o senza scopo morale, pro- babile o improbabile , ecc. , poco monta ; egli ha fatto un capolavoro. E se no, il contenuto avrà tutte le più belle qualità che vi piace ; vi sarà rispettata la dignità umana , con uno stupendo scopo morale , ed il sistema della prov- videnza e il decoro e la verisimiglianza , ecc., poco monta; egli ha fatto un aborto. Ecco un criterio critico inappella- bile e terminativo ; e, quando la critica giunge a quest' al- tezza , ella è r arte stessa che si trasforma e si fa creazione riflessa, è il genio che si fa gusto, è il poeta che mira in uno specchio e si giudica , critico di se stesso. Il mondo di Euripide, guasto da Seneca, è stato disfatto da Racine : che cosa vi ha egli sostituito ? Racine non ha osato abbastanza. Ha disgregato il vasto insieme di Euri- pide ; ma non lo ha distrutto. Nel poeta greco è un tutto vivente; in lui sono frammenti. E, per parlare esteticamen- te , ha distrutto il lavoro poetico , ed ha conservato la ma- teria grezza. Incalzato dall'istinto de' suoi tempi, ha sen- tito r impossibilità di porre in iscena seriamente Venere e Diana e Nettuno e Teseo ed Ippolito , ed è venuto ad un compromesso. Il mondo antico non pi confà col nostro. Giù dunque , è la risposta. No , risponde Racine , transigiamo. Una parte rimanga, ma togliamole ogni vita, facciamola ci davere; un' altra parte trasformiamola , facciamola moderna. Questo contrasto tra due mondi opposti si vede in tutt'i poeti classici , che hanno proso ad imitare gli antichi , e giunge fino al grottesco ne' primi tempi , come in un certo - 237 — ate italiano, che nelle esequie di Eurialo fa celebrare l'uf- ;io dei morti. E, per verità, poniamo che il poeta avesse rappresentato ^riamente questi due mondi , gran bella cosa , a vedere la ea Venere accanto ad un galante principe francese chia- lato Ippolito , o alla sentimentale Aricia ! Ma Racine ha •ovato ottima via a causare ogni contrasto tra' due mondi, [inullando 1' uno e Y altro : sono ombre, che s' incontrano, mza toccarsi , senza urtarsi. I grandi poeti sono dotati di aa sì potente spontaneità , che danno vita a tutto ciò che iccano ; non sanno concepire l' astratto ; vedete Dante e hakespeare ; leggete i Promessi Spost\ o, per parlare di uesio stesso argomento , leggete 1* Ippolito di Euripide. Il 10 mondo è un ideale compiutamente realizzato ; e se guardi sentimenti , a' costumi , al colore locale , alle tradizioni , paragoni , agli epiteti , questa poesia ti parrà una storia, on solo tutt' i personaggi sono perfettamente disegnati, ma 30 il Coro ha la sua personalità , tanto che alcuna volta pare un uomo o una donna: tu ti aggiri in un mondo, 16 ti par di conoscere da lungo tempo. Nella tragedia di acine sono scene intere , nelle quali la pompa rettorica al cela il vuoto che vi sta al disotto: leggete, per esem- o, i discorsi tra Aricia ed Ippolito. Alcuni hanno biasi- Ato quest' episodio , come mal legato col tutto : con quella essa pedanteria, onde altri biasimavano nella Gerusalemme episodio di Olindo e Sofronia. Ma non istà qui il male. ' episodio del Tasso si ride della critica , perché è un mi- icolo di poesia; l'episodio di Racine è biasimevole, per- le è vuoto di poesia; perchè i due innamorati sono mezzi iratteri ; perchè non esce dalla loro bocca un solo accento be parta dall' anima : è un amore rettorico , senz' azione , enza conti-asto , senza gradazioni , che si esala in belle rasi, e si analizza e si spiega. Udite Ippolito: Depuis près de six mois, honteuz, désesp^ré, Portant partout le trait, dont ie suis décliirfi. — 238 — Contre vous, contre moi, vainement je m'óprouve: Prósente, je vous fuis; absente, je vous trouve ; Dans le fond des foréts votre image me suit: La lumière du jour, les ombres de la nuit, Tout retrace a mes yeux les charmes que jóvite; Tout vous livre a l'envie le rebelle Hippolyte. Moi-mème, pour tout fruit de mes soins superflus, Maintenant je me rherche et ne me retrouveplus. Mon are, mesjavelots, mon char, tout m'importuno; Je ne me souviens plus des le^ons de Neptune; Mes seuls gémissements font retentir les bois, Et mes coursiers oisifs cut oublió ma voix. È una bella descrizione in versi magnifici , che pur non fa alcuna impressione , poiché essa fa supporre in Ippolito una passione profonda e straordinaria , che non ha tempo di mostrarsi, che non può avere alcuna rappresentazione in mezzo a' maggiori interessi della tragedia ; Ippolito è pei noi il figlio e V amato di Fedra ; Ippolito innamorato è fuori della nostra attenzione ; la sua passione, magnifica di parole. rimane vuota ed oziosa, senza valore drammatico; i snoi sfoghi d'amore rimangono conversazioni idilliche, tra ii galante ed il sentimentale. Ma ecco che cosa Racine potrebbe rispondere. Concedo che il mondo drammatico che io vi presento, preso nel suo insieme, è un morto aggregato; che alcune parti sono squal- lide, altre ripugnanti ; che 1' antico vi sta, perchè ve 1" ho trovato e non potevo toglierlo, vi sta incadaverito ; cho ui- tico e moderno non è abbastanza fuso e formato, si che .a un tutto armonico. Non voglio discutere: concedo tutto sto. Ma io posso farvi tacere con una sola parola : ho cìl:.'.^ Fedra ! | E Racine ha ragione. Il significato della sua tragedia noi è in una vasta totalit-l , in cui tutt' i personaggi conservinl un valore assoluto , come in Euripide , ma è tutto in un solo personaggio, con cui e pe7' cui esistono gli altri. < ' i - sti sono frammenti di uomini, che hanno tanto di \i . quanto basti a dar risalto a questa o quella qualità del p '!•• — 239 — anagglo principale. Ippolito ed Aricia si debbono amare , erchè in Fedra si possa mostrare la gelosia ; l' interesse oetico del loro amore è nell' effetto che pi^oduce in una erza persona. Teseo dee morire e risuscitare , perchè ciò è ecessario allo sviluppo della passione di Fedra. Vi sono poeti he anche a questi accessorii sanno dare una eerta vita pro- ria, come Shakespeare: Racine li ha trascurati : e che im- orta? Egli ha creato Fedra ; e poiché la sua tragedia non fondata sulla vasta eoncezion& greca , poiché essa é tutta solo in Fedra, egli ha fatto un capolavoro. Ci sono alcuni che pongono la bellezza di un carattere ella sua concezione astratta, ed inarcano le ciglia, quando i trovano entro qualche cosa di nuovo e di profondo. Ma aventare un carattere o una situazione lo possono anche uelli che non sono poeti: Leibnitz, che non era poeta, ha iventato un intero poema epico. Non solo quelli che non )no poeti possono inventare un carattere, ma possono an- 3ra costruirlo, cioè a dire determinare le diverse parti e orle l'una appresso l'altra: fin qui é tneccatitsmo. Se ci ggiungi un po' d' immaginazione, si che a questa costruzione rtificiale si appicchi quello che i critici antichi chiamavano na bella veste, cioè uno splendido colorito, e quel lusso e uella pompa esteriore, in che molti pongono ciò che dicono a veneri e le grazie della poesia; avrai i poeti di secon- ' ordine. Fin qui non ci é ancora vita organica, non ci è reazione: questo è l'abisso che bisogna varcare per esser etto poeta, e Racine é poeta: tutto ciò che sta innanzi è lediocrità. Permettetemi dunque eh' io sorrida quando sento dire : ran cosa che ha fatto Racine! ha creato Fedra! Ma egli ha tolta di peso da Euripide e lo confessa egli stesso : uand Je ìui ne devrois, que ìa setiìe idée du caractére de *hrdre, je pourrois dire que je ìui dois ce que j" ai petit- tre mis de plus raisonnable sur ìe thédtre. Dite pure que- to, e dite ancora di più. Dite ch'egli ha preso da Seneca ncor più che da Euripide ; che la scena terza dell' atto primo — 240 — V è quasi tutta di Euripide; che la dichiarazione d'amore che fa Fedra è tolta da Seneca; che la scena della gelosia è ispirata da Seneca. Che più? Dite che non solo ha tolte ad imprestito le situazioni, ma le immagini, i pensieri, i sen- timenti. E poi? E poi non mi avete provato ancor nulla. Rimane l'infinita distanza fra un collegiale rappezzatore e Racine. Voi che accusate Racine, avete innanzi tutta la na- tura , avete innanzi tutte le opere d' arte ; io vi do facoltà d' imitare , di togliere di qua e di là , prendete la penna ; eguagliate Racine. E la penna vi cade di mano. Egli è che la grandezza del poeta non è ne' materiali ch'egli adopera, ma nella loro fusione organica che faccia di quelli una per- sona viva, effetto di un'attività interiore, di una sponta- neità produttrice, che dicesi genio. Fedra è una fuggevole apparizione in Euripide; ella è tutta una tragedia in Racine , essa sola tutto un mondo drammatico. Abbiamo la storia di un' anima appassionata in tutta la sua ricchezza. La sua passione è colpevole, e lo sa; la sua anima è scissa tra due forze opposte e pari , la passione ed il senso mo- rale. Date a questa donna un carattere risoluto e la trage- dia muore in sul nascere: ella non indugerà a prendere il suo partito. Tale è la Fedra di Euripide: nella stessa scena ascolti i suoi lamenti, scopri il suo segreto e la sai morta. Questa fermezza di proposito manca alla Fedra francese : Schlegel gliene fa colpa; ed a torto. Fedra, come l'ha con- cepita Racine, è tirata in qua e in là da due sentimenti ugualmente infiniti, e l'uno non ha, non può avere virtù di distrugger l'altro. Quando vi pare che la passione abbia il di sopra, ecco il senso morale riafiacciarsi in forma di ti morso , e mentre maledice la sua passione , nei suoi occhi brilla il desiderio. È una lotta non superabile , che sover chia la sua volontà e la gitta in balìa del caso e la rendei giuoco degli avvenimenti. Inetta a prendere e seguitare con costanza un partito, ciascuna volta che Fedra entra in iscena^ la vediamo con ispavento dare un nuovo passo verso la .>*ua lij I — 241 — ovina : non nasconde la sua passione, non salva il suo onore lon provvede all'onore della sua famiglia, non salva la vita, iuando è tempo di morire, si fa lusingare da vane speranze; nuore quando la sua morte non è che una volontaria espia- ione. Abborre dal male, e lo lascia commettere; corre a'ri- ttedii, quando il male è irrimediabile ; vuol parlare ad Ip- lolito de' suoi figli e parla del suo amore; vuole smentire a nutrice e scagionare Ippolito, e se ne rimane; un istante •rima, dice alla nutrice: fa tu; un istante dopo, la colma di illanie e la sospinge alla morte. Sono contraddizioni , os- erva Schlegel. Certamente; la contraddizione generata dalla otta è il fondo di questo carattere ; non vi è niente di cosi jontraddittorio come il cuore umano. Ond'è nata una pro- fonda tragedia: e dico profonda, perchè il fato tragico na- ce non da intrighi, da accidenti, ma dall'essenza di questa lai'attere. La prima volta che questa donna manifesta la uà anima agli spettatori, vediamo in lei una specie di pre- lestinazione : sulla sua fronte vediamo scritta la catastrofe. Questa contraddizione ti oflfre contemporaneo e compre- ente tutto il carattere, nel tempo stesso che ne vedi uscir uori or questa, or quella parte, secondo gli avvenimenti e ;li altri personaggi. Non vi è propriamente una successione [)gica, di modo che si vegga prima la passione, poi il ri- corso, indi la gelosia, ecc.: difetto in cui capitano i co- truttori, quelli che concepiscono un carattere a priori. Vi •■ un certo processo, qualche cosa di successivo, corrispon- lente all'andamento dell'azione; ma la vita interiore è cosi totente che ogni volta dietro ad una parte trabocca tutta il di fuori. Ha dolore congiunto a furore, speranza a dispe- azione, amore ad odio, rimoi'so a voluttà; rapidi passaggi, apidi ritorni. Schlegel non concepisce, come questa donna (ossa un momento prima dire che odia Ippolito, che è un nostro; certo, questo e contro la logica di Aristotile, ma ò econdo la logica di Omero. Rapidi passaggi, rapidi ritorni, naravigliosi di veritii, ora apparecchiati, ora improvvisi, «•orompenti ora da idee espresse, ora da sottintese; in che De Sakctis — Manzoni e tcritti variL 16 — 242 — è la maggior difficoltà del recitare , non superata sempre dalla Ristori. Eccone due: Vous baiissez le jour, que vous veniez chercher I Le jour. È Fedra risponde : Noble et brillant auteur d'une triste famìlle, Toi, dont ma mère osait se vanter d'ètre fille, Qui peutétre rougis du trouble où tu me vois, Soleil, je te viens voir pour la dernière foia! Onesta improvvisa apostrofe è preparata dalle parole di Enone. Ma quando Fedra soggiunge: Dieux ! que ne suis-je assise a l'ombre des foréts ! Quand pourrai-je, a travers d'une noble poussière, Suivre de l'oeil un char fuyant dans la carrière? questo non ha alcuna attinenza con le parole della nutrice, ■e fa supporre che Fedra non l'ode, che altre idee le pul- lulino in capo facili ad indovinare , da cui nascono le sue parole. L'attrice qui, mentre Enone parla, dee con l'azione muta mostrare la sua distrazione e l' oggetto a cui tien die- tro: il che non avendo fatto la Ristori, ne nacque che que^ sto passaggio, il quale ben preparato dee essere di poten- tissimo effetto, restò quasi inavvertito. In queste rapide mu- tazioni, in questo movimento interiore del carattere, è posto il segreto dell'arte e l'interesse drammatico: al che supplì' scono i mediocri col cumulo degli accidenti, con la compli- cazione dell' intrigo, co' quadri ed i colpi di scena. Paragonate le prime scene della Fedra. Quanto languore nella prima ! quanto interesse nella terza ! Nella prima vi è un movimento di fatti, che non hanno alcuna eco nell' a nima. Ippolito vuol partire per rivedere il padre, da cui i ra ragione ; ad ogni volo della fantasia risponde un palpito lei cuore. Ricorda le sue impressioni, quando vide la prima rolta Ippolito ; Je le vis, je rougis, je pàlis à sa vue ; Un trouble s'eleva dans mon àme éperdue; Mes yeux ne voyoient plus, je ne pouvois parler; Je sentis tout mon corps et transir et brùler. 3e questo, come osserva Voltaire, che se ne intendeva, fosse letto da una terza persona , sarebbe un' amplificazione ret- orica, un cumulo di belle immagini , ma fredde , scompa- gnate dal sentimento. Ma qui è Fedra che parla, che risente inel turbamento, che sente nella sua anima e nel suo san- gue riprodursi quel passato. C est Phédre amouretise et honteuse de sa passion, dice Voltaire; scm coeur est plein; tout lui e'chappe. La sua passione, dopo tre atti, sembra esausta : il poeta ' ha presentata sotto tutti gli aspetti ; ed ecco al quarto wmparire un nuovo elemento, la gelosia, che rinfresca l'at- «nzione, accresce 1' ansietà, da nuova ricchezza al caratte- re: qui è il trionfo di Racine; la scena sesta è una maraviglia li poesia. Tutt' i sentimenti di Fedra sboccano come un tor- •ente e si urtano , s' intralciano , si compenetrano , vivono lotto una sola immagine, a quel modo che nella faccia o ' -'■ occhi vediamo taloi*a muoversi diversi ed anche con- affetti. La sua fantasia corre appresso a' due amanti ; )' immagina che in quello stesso momento ridano di lei, une imante iìisensee; che giurino di non più lasciarsi; e li vede — 246 — ne' boschi parlarsi, cercarsi (1) ; onde rabbia, ansietà, turba- mento; delirio, ritorno in sé stessa, rimorso, tenerezza, orro- re, e nuove immagini e nuovi sentimenti. Questo è poesia. Non ho innanzi la traduzione e non posso darne giudizio; mi parve corretta e spesso fluida; ma Racine non si traduce (2). Della Ristori, che meritò nella parte di Fedra, sì grandi applausi, non voglio e non debbo parlare per incidente. Ha comune la scuola con altri attoxn più o meno valenti , ma ha di proprio alcun che di geniale, che merita di essere stu- diato (3). (1) Qui e' è un altro passaggio, stupendo di verità e di poesia, che non fu bene apparecchiato dalla Ristori con l' azione e col tono della voce: Dans le fond des foréts alloient-ils se cacher ? Hélas ! ils ils se voyoient avec pleine licence; Le ciel de leurs soupirs approuvoit l' innocence, ecc. Al secondo verso entra un nuovo ordine d' idee. Fedra concepisce r amore d' Ippolito ed Aricia con le stesse circostanze del suo amore colpevole, e crede eh' essi andavano ne' boschi a nascondersi, die si amavano di soppiatto ; quando con un improvviso ritorno su di sé stessa s'avvede della differenza de' due amori. Schlegel domanda se le principesse greche andavano per avventura ne' boschi, e non vede che questo appunto mostra il turbamento di Fedra. Il passaggio è tale, che non può non essere gustato e non produrre una grande impressione, quando sia ben rappresentato. (Nota del De-S.) (2) Era forse la traduzione di Lucio Tallacbini, di cui si ha un'edi* zione di Milano, Manini, 1854. (3) Per l'interpetruzione che la Ristori faceva della Fedra, vedi lo scritto nel quale ella stessa l'ha esposta, in A. Ristori, Bicordi e studi artistici, Torino, Roux, 1887, pp. 279-801. Cfr. nello stesso vo> lume, pp. 50, 57. IV. LA POESIA CAVALLERESCA. PrLCI — BOIAKDO — ABIOSTO. Appunti di lezioni. [È noto che il De-S., fra i varii corsi professati a Zurigo, ne tenne uno sulla Poesia Cavalleresca (vedi Moleschott, Commem., in app. a questa raccolta; Ferbieri, o. c , p. 245). Dai quaderni di scuola di Vit- torio Imbriani, che fu suo uditore a Zurigo, abbiamo ricavati gli ap- punti che qui si pubblicano. L' Imbriani raccolse anche il corso sul Petrarca, e, sul manoscritto di lui, il De-S. elaborò poi il suo Saggio (vedi nota in fine della 2' ediz.\ Abbiamo dato per accenni alcuni concetti generali sull" Ariosto, che si ritrovano nel cap. XIII della Storia della letteratura ; e per esteso , ciò che si dice dei poemi del Pulci e del Boiardo , e le tracce di analisi dei principali episodii ariosteschi. Abbiamo inoltre creduto opportuno di aggiungere i brani dei tre poemi, cui il De-S. allude, e che nei quaderni dell' Imbriani sono spesso assai vagamente accennati. Le correzioni da noi fatte sono di pura forma , e non più di quanto occorresse per rendere leggibile lo scritto, là dove gli appunti erano eccessivamente rapidi e smozzicati. Nella parte introduttiva del corso, il De-S. cominciava col notare: che un gran poeta non è un' apparizione isolata, ed ha i suoi prede- cessori e successori , e come v' è un ciclo dantesco e un ciclo pe- trarchesco, cosi v' è un ciclo cavalleresco. Notava ancora come più. importante si presentasse lo studio dei predecessori dell'Ariosto che non quello dei predecessori di Dante e del Petrarca; perchò, nello svolgimento della poesia cavalleresca in Italia, si ha vera e graduale progressione, e l'Ariosto, se ò il sommo, non *• il solo notevole poeta del genere. Esaminava, quindi, le diverse tendenze e i diversi gruppi letterarii del principio del secolo XVI ; e ritraeva i lineamenti gene- - 248 — rali della materia cavalleresca, mostrando com'essa si prestasse alla ispirazione poetica. Dati pochi cenili sulle elaborazioni italiane dei romanzi di cavalleria dei varii cicli, entrava subito nello studio del Pulci e del Boiardo. Egli annunziava che il giovedì e il sabato di ogni settimana avrebbe fatto il corso generale, e il lunedì, dopo la prima ora consacrata alle composizioni, avrebbe letto e cementato i più ini" portanti brani dei poemi cavallereschi, dal Pulci al Folengo. ] 1. Il Mor gante. Tutte le cose serie hanno la loro caricatura, che si svi- luppa quando il presente non è più d'accordo con un dato ideale. È legge che i nipoti facciano la caricatura de' nonni. Quello che suole accadere della religione, della filosofia e di tutti i costumi e le opinioni, quello accadde della cavalleria, quando fu guardata dall'occhio di una generazione befl'arda. Luigi Pulci, — ciò lo distingue dagli scrittori posteriori — non ebbe l'intelligenza del nuovo tempo, non operò con di- scernimento, con chiara coscienza dell'opera sua, al distrug- gimento del Medio Evo, come Cervantes nel D. Chisciotte e Voltaire nella Pucelle, un'eroina diventata sotto la sua pen- na una sgualdrina. È un' eco confusa ed indistinta de' suoi tempi; non ha ne uno scopo serio, né uno scopo negativo. Oome non v' era allora nulla in Italia di seriamente reli- gioso e politico e morale, non ha nessuno scopo morale, po- litico e religioso. Sarebbe stata pedanteria in lui il trattar seriamente ciò eh' era cessato di esser serio pel suo tempo. Non mancarono pedanti che lo censurarono e che avrebbero voluto da lui la serietà d' Omero. Ma egli s' era abbando- nato al genio proprio ed al genio del tempo, ed aveva fatto bene. — Rimane la parte negativa. Vuol Pulci fare la carica- tura della cavalleria? No, la fa inconsciamente; e sono gravi le conseguenze di questa oscura coscienza di se stesso. Lucrezia Tornabuoni, madre del magnifico Lorenzo, avea la sua brigata, frequentata da Pulci. Ella si mise intorno a — 249 — lui dicendogli: tu che sei poeta, perchè non scrivi qualche racconto per divertirci ? Pulci pensò a divertirli , prese il fatto sostanziale da Turpino : poi, molte altre avventure da molti altri autori e cominciò a comporne un racconto (1), e a mano a mano che ultimava un canto, 1" andava a leggere alla brigata. Per lui era un passatempo. Il solo scopo che si proponesse fu d' intrattenere degli sfaccendati : agli altri scopi giunse spontaneamente, per la forza del suo ingegno. Sarà utile eh' io faccia una breve esposizione del suo poema prima di darvene un giudizio. Il Margarite incomincia come V Iliade. In una festa, Gano si lagna con Carlomagno della supremazia che affettava Orlando, sicché questi, adirato, se ne va in Pagania. Ma, neW Iliade, l'interesse rimane nel campo de* Greci con Aga- mennone, finche, andando ogni cosa a rovina, non apparisca Achille per riconcentrare in sé tutto l' interesse. Qui dimen- tichiamo Carlo, e l'interesse si concentra in Orlando. Sapu- tasi in Parigi la sua partenza, Dudone, Rinaldo ed Ulivieri partono in cerca di lui. Sicché abbiamo due serie di avven- tare, due linee parallele. Orlando giunse a una badia, dove accise due giganti. Alabastro e Passamonte, e strinse ami- cizia con un terzo , chiamato Morgante : Orlando aveva, in vece della sua spada, Durlindana, la Cortana di Ulivieri; Morgante prese un grosso battaglio nella badia; e, così ar- mati, capitano da Manfredonio re pagano, che voleva prender per forza d'armi Meridiana, di cui s'era innamorato. Si met- tono a' suoi servigi : Orlando uccide Lionetto e riduce Meri- diana all'ultima estremità. Rinaldo coi suoi compagni era capitato alla medesima badia, dove aveva ucciso un altro gigante. Ed avendo allora saputo che Forisena, bellissima figliuola di un re pagano , .1 per esser data in pasto ad un mostro, s'affrettano a aria, ed uccidono il mostro. Ulivieri s'innamora di Fori- li) £ superfluo ricordare che sulle fonti e il processo di composizione del iiorgante si sono avute poi le ricerche del Rajna. — 250 — sona. Meridiana, giuntale notizia di questi tre guerrieri, lì invita a venire a liberarla. Forisena, angosdato dalla par- tenza di Ulivieri, si precipita da una torre. Ulivieri , ignaro di questo, appena veduta Meridiana se ne innamora ; Rinaldo e Orlando combattono senza conoscersi. Riconosciutisi, Or- lando passa con armi e bagagli, cioè con Morgante e il bat- taglio, dalla parte di Meridiana. Manfredonio è battuto e scornato. Qui il poema sarebbe finito. Ma vi è un folletto che dà la corda all' orinolo. Comincia un' altra tela. Questo spirito è Gano maganzese, che odiava Rinaldo e vagheggiava Montal- bano. Informato di quanto succedeva in Pagania, scrive ad Erminione, al quale Rinaldo aveva ucciso il padre, così ac- cortamente, che lo determina a spiccare un salto in Francia con ottocentomila uomini e due capitani, Lionfante e Mat- tafolle, dei quali il primo assedia Montalbano e il secondo sfida, scavalca, e fa prigioni tutti i paladini. Frattanto, i paladini partono per soccorrer Carlo. Uccidono tutta la famiglia di Erminione e sono raggiunti in Dani- marca da Meridiana con un esercito. Erminione è vinto in duello , Gano è scornato , e il poema è finito una seconda volta. Ma ci è il nostro ragnatelo che, appena spazzata una tela, ne tesse un'altra. Gano susurra ai Parigini che Carlomagno è traditore. Si fanno per le vie delle barricate, che allora si chiamavano serragli. Ma i Paladini domano la plebaglia e scacciano i Maganzesi. Quindi viene una festa. Ulivieri e Rinaldo cominciano a giuocare a scacchi. Ma nel giuoco, da una parola all'altra, si cominciano a chiamare ladri, e as- sassini. Carlomagno sopravviene per rappattumarli. Rinaldo se la piglia con lui, lo insulta , e finalmente se ne va via insieme con Astolfo, condannato ad esilio perpetuo dalla corte. Per dispetto, si fanno malandrini. Rubano e assassinano. Un dì, venuti presso Parigi, odono d'una giostra. Travestiti, scavalcano tutti. Ma, sorto sospetto del loro vero essere, accade un serra serra : ed Astolfo, rimaso in mano di Gano, — 251 — è condannato da Carlomagno, malgrado le supplicazioni del popolo e del padre , alla forca. Ma Orlando e Rinaldo si appiattano e lo liberano quando stava per sentire il nodo al collo. Rinaldo avrebbe volentieri ucciso Carlomagno ; ma Orlando intercede. Gano è sbandeggiato. Carlo si rappacifica con Rinaldo ; il poema è finito. Ma Gano non vuol che finisca : tende agguati , prende Ricciardetto e lo consegna a Carlomagno , che vuole im- piccarlo. Orlando lascia, infastidito, la corte. Ma Rinaldo e Ulivieri liberano Ricciardetto, battono i Maganzesi, fugano Carlo : e Rinaldo si fa coronare imperadore a Parigi. — Ma, non avendosi notizie di Orlando, Rinaldo, nato non per esser imperadore ma cavaliere errante , richiama Carlo e parte. L'azione ricomincia quale era al principio. Orlando era capitato in Persia e sarebbe stato ucciso se la figlia del re non si fosse innamorata di lui. — Rinaldo s' innamora in Ispagna di Luciana. Orlando e Rinaldo, dopo aver combattuto, si riconoscono, uccidono il Re e battezzano la Persia. Qui il poema sarebbe ancor terminato. Ma Gano dice : Nossignore, non è finito ancora, avete da fare i conti con me. Induce con lettere il Re di Babilonia a mandar Antea sua figlia a conquistar la Persia. Que«*ta fa prigioni Ricciardetto e Ulivieri, e duella con Rinaldo, il quale, innamoratosene, combatte ad armi cortesi. Antea, per consiglio di Gano , parte nottetempo co' due prigionieri. I paladini, volendo inseguirla, si separano, e si smarriscono in un bosco. Rinaldo s'addormenta e gli vien rubato il ca vallo; ma, giunto a Babilonia, informa Antea della sua ve* nuta, ed è accolto nella corte. Ma Gano pensa, pensa, e gli viene fatto un capolavoro. Con una lettera al Re di Babilonia l' induce ad impiccare i due prigionieri ; con un' altra ad Antea, ad assalire Mon- talbano, ed a spedire Rinaldo contro il veglio della Monta- gna. Il veglio della Montagna si converte e stringe amici- zia con Rinaldo. Antea prende Montalbano, ma, avendo com- — 252 — preso che Gano è un traditore , lo ficca in prigione. Or- lando e Morgante entrano in Babilonia , e Morgante con una battagliata abbatte la torre maggiore; liberano i pri- gioni, uccidono il re, battezzano gli abitanti. Rinaldo ed Orlando ottengono la libertà di Gano, il quale scrive al Re Calavrione , parente del veglio della Monta- gna , e ad Antea , ricordando loro come il parente dell' uno ed il padre dell' altro fossero stati uccisi dai cristiani. Ven- gono a Parigi; si guerreggia; poi finalmente , venendo loro provato in un convito che i due siano stati uccisi lealmen- te , se ne partono colle pive in sacco e con le mosche in mano. Ulivieri dà uno schiaffo a Gano , che va in Ispagna e spinge Marsilio a venir in Francia ; la retroguardia cri- stiana, di ventimila uomini, è sorpresa in Roncisvalle da du- gentomila pagani. Tutti vengono trucidati ; muoiono Ulivieri, Baldovino, Orlando, il quale suona il corno si violentemente che gli si crepano le vene della fronte ed il corno si spacca in due, e il suono viene sentito da Carlo tante miglia lon- tano. Carlomagno quindi stermina i pagani, prende Sara- gozza, impicca Marsilio, e, ritornato a Parigi, attanaglia Gano. Il poema finisce con un Salve Regina ed un ringra- ziamento alla Vergine Santissima. Ciò che prima colpisce in questo ordito è la mancanza sostanziale d' un' azione centrale intorno a cui si aggrup- pino tutti i fatti; sono tanti romanzi diversi, tante totalità che solo Gano unisce. Sicché, dovendo sempre rifarsi da capo, l'interesse langue. Questo è il primo sbaglio: mancava al Pulci una mente sintetica che sapesse dare una vera unità artistica al lavoro. Ma ci è un altro difetto più grave. Il Pulci prese queste avventure da traduttori e rapsodi che copiavansi 1' un l'altro, cambiando i nomi, serbando i fatti. Cosi trovi in lui man- canza di varietà, continua ripetizione di fatti. Orlando parte, ed i tre guerrieri vanno in cerca di lui , due volte; Orlando e Rinaldo combattono fra di loro senza conoscersi, due volte. Ulivieri s'innamora di Forisena e la — 253 — lascia per Meridiana; Rinaldo s'innamora di Luciana e la lascia per Antea. Orlando e Morgante, e Rinaldo e il veglio della Montagna , Calavrione , Erminione, Antea , le minac- ciate impiccagioni di Astolfo e Ricciardetto, tutte queste sono evidenti ripetizioni. Scarsa è la forza sintetica e grande la povertà d'invenzione. Si aggiunga la nessuna importanza che da alle più grandi cose. Erminione, Calavrione, Antea vengono a Parigi ciascuno con trecentomila uomini, e partono persuasi da pochi discorsi senza operare. Grandi mezzi , grandi apparecchi producono il nulla. Pariuriunt montes. Ma ci è qualche cosa in lui che lo fa leggere con pia- cere : è lo spirito comico satirico che ferve in tutto il poema, e che ne anima tutti que' fatti ripetuti senza invenzione e malamente aggregati. Sparge il ridicolo da per tutto. Valga per ora come esem- pio il modo in cui rappresenta la religione. Il Pulci non è un uomo di forti convinzioni, che faccia guerra alla religione a viso aperto; egli era uno di quegli uomini tranquilli che trovano piacere nel poterle dar un colpo senza pericolo. È cauto, ed in apparenza sembra tutto ortodosso ; ma le cose più ortodosse sono dette con tale stile, con tali particolari e tali scherzi, da far subito indovinare ciò che ne pensi il poeta. Il Pulci invoca la Trinità e la Vergine come i predicatori : In principio era il Verbo appresso a Dio, Ed era Iddio il Verbo, e il Verbo lui ; Quest'era nel principio, al parer mio, £ nulla si può far sanza costui. il pi'incipio del Vangelo di S. Giovanni. Ma ponete mente al modo di dire, alle idee accessorie : Quest'era nel principio al parer mio, verso che viene inteso subito a rovescio. E nulla si può fare senza costui. »\/.iete mente al costui. — 254 ~ In un altro luogo, mette in caricatura quel miscuglio d' ita- liano e di latino e quegli argomenti e quegli ergo di cui si servivano i predicatori : Forse saremmo ognuno maumettìsti, Ergo, Carole, in tempore venisti. Uno dei modi co' quali suole giungere alla caricatura, è il presentare seriamente un' idea e poi terminare con un verse scherzoso. Quando Orlando è moribondo, gli apparisce un Angelo che lo loda e gli descrive il paradiso e finisce per dirgli : ti darò due notizie. Morgante col suo battaglio è in Paradiso; Margutte sta in inferno , e come ha sempre riso in vita così ride sempre in inferno. Così descrive Rinaldo che vuol convertire un pagano : E disse d'uno e Trino e il verbo e Dio, E lo spirito santo poi incarnato, E disse di Gioseffo e di Maria, E fece un lago di teologia. Finalmente, ecco un brano anche più comico. Ulivieri espone a Meridiana il catechismo ; ma questa, impaziente, gli rompe le parole in bocca : Disse la dama: più non ti rispondo; E fu contenta che la battezzassi ; E dopo questo vennono alla cresima, Tanto che infine e' ruppon la quaresima. Malgrado tutte le sue precauzioni , domenicani e franca scani tuonavano contro lui dal pergamo , e questo stato di combattimento si rivela sulla fine del Poema: Sempre i Qiusti son primi i lacerati : Io non vo' ragionar più de la fede ; Ch' io me ne vo' poi in bocca a questi frati, Dove vanno anche spesso le lamprede. — 255 — Mentre si scusa, dà loro una botta : E certi scioperon pinzocherati Eapportano: il tal disse, il fai non crede; E se pur vane cose tin tempo scrissi, Cantra hijpocritas tantum, pater, dissi. Non in pergamo adunque, non in panca, Riprendi il peccator ; ma quando siedi Ne la tua cameretta s' e' pur manca, Salite colassù col piombo a' piedi ; La fede mia come la tua è bianca; E fi) rotti vantaggio anche due Credi. Predicate e spianate 1' Evangelio Colla dottrina del vostro Aurelio. E se alcun susurrone è che v' imbocchi, Palpate come Toma, vi ricordo. E giudicate alle mani, non agli occhi. Come dice la favola del tordo ; E non sìa ignun piìi ardito che mi tocchi, Ch* io toccherò poi forse un monacordo, Ch'io troverò la solfa e' suoi vestigi; Io dico tanto a' neri quanto a' bigi. Vostri argumenti e vostri sillogismi Tanti maestri, tanti bacalar!, Non faranno con loica o sofismi, CL'alfin sien dolci i miei lupini amari.... *•• Ma, lasciando questo lato religioso, eh' è un accessorio, cer- chiamo di fermare l'essenza propria del poema. C'è un dramma di Shakespeare che s'intitola: Molto ru- more per mente (Much ado about nothing). Basta il titolo a indicare il concetto comico del dramma. Quando le cause e gli effetti sono posti in una razionale concatenazione, allora l' ordito è serio : V ordito, non il rac- conto, giacché il racconto può essere ridicolo intrinsecamente anche con una seria tessitura. Ma quando e' è disproporaione fra le cause e di effetti, nasce prepotente il riso, non dalla natura de' fatti, ma dal modo con cui sono intessuti. — 256 — Uno degli effetti comici di cui Voltaire ha fatto maggio; uso, è il mostrar come da cause minime e futili sgorghini effetti importanti : questo è l' effetto comico de' fatti , l' irò nia della vita. Quando poi cause serie, che parevano dove produrre il commovimento dell' universo, riescono ad effett minimi, abbiamo nell'ordito l'effetto comico. Nel Pulci vediamo addensarsi de' nugoloni scuri scuri, ch( minacciano una bufera terribile e poi si risolvono in acque- rella minuta. Basta questo a costituire il comico dell'ordito Eppure voi non ridete di questa disproporzione. Quando ve- dete che minacce di guerre interminabili, capaci di empiere da' quaranta a' cinquanta canti, danno in un nulla, non ridete L'ordito è per sua natura ridicolo ed il riso non ne è l' effetto; la materia è comica e non produce il suo effetto estetico. Se uno dice sciocchezze con intenzione comica, ridete non di lui , ma di quel che dice ed esclamate : è un buffone di spirito. Ma, se uno dice sciocchezze per sciocchezza, voi ri- derete di lui, non di quello che ha detto. Questo è un po' il caso del Pulci , che non ha vera e profonda coscienza del suo scopo. Se fa un ordito ridicolo è per insufficienza , perchè gli manca forza sintetica. Come un'avventura gli si presenta , non sapendo variarla, la butta giù, se ne sbriga e passa ad un'altra. Non raggiunge l'effetto comico, perchè non ha arte sufficiente da arricchire e sviluppare un' avventura. L' ordito del Pulci è ridicolo in sé stesso, e quindi è ridicolo mancato. Ma rimangono i fatti ; questi potrebbero esser ridicoli, e mostrarci un uomo di spirito. La sola cliiave secreta, che fa camminare 1' orologio di questo poema, è Gano. È il solo attore. Se Orlando parte, se gli altri ne vanno in traccia, se Calavrione, Erminione, Antea, vengono a Parigi, è tutta opera sua. Vediamo dunque se il Pulci lo ha saputo ben concepire. Gano è naturalmente odioso , disgustoso : per fini perso- nali e turpi, non indietreggia innanzi a ciò che v'ha di più esecrabile ; è quindi essenzialmente non interessante , prò- lieo. Come si potrebbe infondergli interesse in un poema ìrio ? Coprendo ciò che v' ha di odioso e prosaico in lui, )n r attribuirgli intelligenza e fermezza di carattere , co- oscenza delle passioni e de' caratteri degli uomini ; sicché ^li, solo e debole, facesse dei molti e forti i suoi burattini, lovendoli a suo piacei'e. Questo uomo sarebbe sublime; ma irebbe anche un personaggio impossibile in un poema co- lico come quello del Pulci. Bisogna dunque foggiarne un ersonaggio che desti il riso ; il riso purificherà ciò che egli B d'odioso. Invece di avere un'intelligenza superiore, avrà irberia e malizia : sarà una volpe , che ci farà ridere non ►Io direttamente per le sue azioni, ma ancora, per gli equi- )ci ed etìetti che nasceranno da queste. Ha saputo il Pulci irgli sufficiente furberia e malizia ? No. La gran malizia Gano è lo scriver lettere. Lo stesso grossolano meccani- oduce più volte gli stessi effetti. Non desta né amrai- • per la sua grandezza ed intelligenza, né riso per la la malizia e furberia; è odioso, disgustoso, prosaico: una itura. se è cosi sciocco, come può far ballare gli altri ? Gli tri sono ancora più sciocchi. Carlomagno è vieppiù imbe- lle che Gano non sia sciocco; Carlomagno, motore pura- ente nominale del mondo di cui Gano è il motore effettivo, ulci dice, al principio del suo poema, d'averlo impreso per trarre degnamente Carlomagno, fin allora trattato male igli scrittori. Che ne ha fatto ? Un vecchio rimbambito , ibecille, senza iniziativa, senza forza; una girandola, mossa dalle menzogne di Gano or dalle insolenze de' Paladini. I il Pulci avesse avuta una intenzione comica come Cer- ntes , avrebbe potuto fare una magnifica caricatura di legli imperadori di cartapesta che, credendo governare, D governati dai servi dei loro servi. Ma egli, per coll- irio, non vuol metterlo in ridicolo. Non vuol mai mancar rispetto alla corona imperiale. Non ha il coraggio di «juo- > concetto. D« Sakctis — Matuomi e acritti varii. 1 7 — 258 — 11 per.sonaggio rimane cosi incerto fx*a il Carlomagno dell tradizione e l'ideale suo. Se Gano e Carlomagno restano prosaici, che ne sarà degl altri? elle cos'è il mondo, messo in moto da loro? Negli antichi poemi romanzeschi il Pagano è posto i antitesi col Ciii^tiano. I primi scrittori veggono ne'musulm; ni qualche cosa d'inferiore, di fuori dell' umanità: gran forz fisica (che però soggiace alle forze ragionevoli dei Cristiani^ congiunta a slealtà, malafede, e ad ogni altro difetto di sens morale. E quando il poeta non ha un tal interesse religioso, pun Ira il Cristiano ed il Pagano rimane una differenza: la diffe renza di civiltà. I Pagani sono la barbarie, i Ci*istiani, la ci viltà ; fra questi si trovano forze spirituali, come la cortesi; e la lealtà; fra quelli, la sfrenatezza della barbarie. Ecco i due punti divista sotto i quali si possono concepir! i Pagani. Ma anche qui il Pulci porta la sua leggerezza or- dinaria : egli ha cancellata ogni differenza, ha distrutta l'an titesl. Non solo i Pagani non sono inferiori, ma sono spessi più gentili, cortesi, degni di fede, dei Cristiani. I Paladini viaggianti in Pagania , sembrano assassini e ladri , che s Introducono in casa dei re pagani per commetter cattiv azioni, grazie alla troppa bontà di quelli. Calavrione , Er- minione, sono uomini ragionevoli, che credono d'aver ragio ne; e, quando son convinti d'aver torto, si ritirano. Ma, se non ha creato un elemento cristiano differente del r elemento pagano , ha almeno data una fisionomia proprii a ciascun pagano ? ne ha egli fatto degli individui spiccat e distinti, facoltà massima del poeta ? se il Pulci non ha fa colta inventiva, ha facoltà creativa ? Vi ho esposto il poema: avete visti tutti agire, e vi siet potuti accorgere che non hanno nulla di caratteristico. Ca- lavrion'i ed Erminione, Meridiana ed Antea , potranno dif- ferire nel nome e nelle avventure : ma al poeta è mancati tanta fantasia da imprimer loro un marchio distintivo. Quindi mentre i nostri sommi poeti hanno tramandato alcuni per- — 259 — -i.'i fino a noi, nessuno fra quelli del Pulci è diventato ,._, ..lare. Sono semplici nomi. I Le donne (le quali, cosa notabile, sono tutte psigane) sono Ile: le due amanti di Uliviei'i. Forisena e Meridiana, le lìi Rinaldo, Luciana ed Antea, e l'amante d'Orlando, Chia- riella. Se non ve ne avessi ridetti i nomi, ve ne sareste ri- cordati ? Non hanno ne fisionomia particolare che le distingua fra loro , ne fisionomia generale che le distingua dagli uo- mini. Non hanno nessuna ricchezza interiore , non potete analizzarle. Sono esseri immediati , che operano istintiva- mente come animali, senza previdenza, senza combattimento interno, senza lotta o contrasto, deficienti d'ogni senso mo- rale; non solo non sono pei*sone poetiche, ma neppure per- sone umane. Tutto manca; anche l'elemento donnesco, la gra- zia e la dolcezza. Chiariella, figlia dell'Amostanie di Pei-sia, tradisce la pa- tria, che viene soggiogata, il padre, che viene ucciso. Quanti elementi contradittorii da ritrarre! che lotta fra il suo senso morale e la sua passione ! Se volete rappresentarla destituita di senso morale, resta la passione, istintiva, animalebca, per Orlando, che la induce, senza sospetto di far male, a tradire il padre. Il Pulci si contenta di dir la cosa in due versi ; non c'è né sviluppo passionale né sviluppo morale. A raccontare la catastrofe diForisena impiega quattro versi: E la condusse quel bendato arciere Per veder quanto Olivier può discosto A un balcone; e l'arco poi disserra, Tanto cho questa si gettava a terra. Il Pulci rappresenta crudamente, senza sviluppi, senza gradazioni : tira giù e si sbriga. È negato a rappresentar caratteri di donne. All'elemento pagano appartengono i giganti: se i pagani in generale rappresentano uno stato di civiltà inferiore , i giganti rappresentano la barbarie ultima. Non solo la loro forma esterna, ma l'interno loro e più animalesco che umano. "^ono stupide mas.se di carne, che, con.»ui la forma è perfetta. Trovano di poi un leone, custode d* una fanciulla prigioniera di due giganti. Ucciso il leone, mentre si trattengono con la fanciulla, sopravvengono i due giganti de* quali l'uno porta seco un drago e l'altro un orso preso in caccia : e ne nasce un parapiglia. È questo uno dei combattimenti del Pulci, che destano più interesse ; la forma rasenta quasi reccellenza. Negli altri si ripete, mostra sa- zietà : in questo combattimento entrano elementi nuovi : da una parte, e' è lotta tra Morgante e Sperante, dall'altra, Bel- tramo prende a bastonate Margutte, e si trovano alle prese la forza e la malizia. Tutto è rappresentato vivamente, ed il meraviglioso e intramezzato col ridicolo. Come saggio ri- porteremo l'ottava, dove è rappresentata la caduta di Mor- gante e Sperante, abbracciati insieme in un burrone. E si sentiva un rumore, un fracasso, Insìn che son caduti in un burrone , Come quando de' monti cade in basso Qualche rovina e qualche gran cantone ; Non vi rimase ni- sterpo né sasso Dove passò questo gran fastellone, Che rimondorno inaino alle vermene , £ dettono un gran picchio delle schiene. questo forse uno de' più bei luoghi del Pulci, che ha me- ato quindi d'esser imitato dal Boiardo e dall'Ariosto. Il primo ha imitato il combattimento fra Margutte e Beltra- mo ; l'altro il combattimento fra Morgante e Sperante. Ma ' ntre qui la lotta è seria, l'Ariosto rese ridicola quella :t Orlando e Rodomonte. .\ccadono poi altre avventure, in cui il Pulci .si ripete. Mentre Margutte dorme, Morgante gli trae gli stivali e li nasconde. Svegliatosi , cercandoli, Margutte trova che una scimia se li misurava ; dà in rij»a , e a foi-za di ridere fi- — 270 — nisce per scoppiare. Scorgete qualche cosa d'ironico in que- sto pensiero di far morir di risa chi aveva riso di tutto. Morgante , dopo aver presa Babilonia col battaglio , im- barca coi paladini, e mentre rompeva la schiena ad una ba- lena col battaglio, un granchiolino lo ferisce al piede; egli ne sorride, ma dopo pochi giorni la ferita s'infiamma e si invelenisce, finché ne muore. Tali sono i lineamenti di Margotte e di Morgante , soli personaggi di questo poema che ne abbiano di ben determi- nati, che abbiano una vita propria. Nondimeno, sono come obliati nella storia della Poesia. Da che dipende che nulla sia sopravvissuto di questo poema? Dalla forma, che nel- l'arte il sine qua non, senza di cui le più belle concezioni rimangono scheletri. Il Pulci non possedeva 1' eccellenza della forma. Ricapitoliamo : il Pulci ha presi i fatti da più autori, ma non ha saputo fonderli e concentrarli in un fatto generale e formarne un tutto di cui ogni invenzione fosse una parte; li ha aggregati , non fusi ; non ha avuto neppure forza di organizzare queste parti staccate , sicché , prese per sé, di- ventassero punti poetici interessanti. Abbiamo visto che i suoi personaggi hanno carattere torbido, incerto, o non hanno punto carattere : sono persone morte. La vita manca e nel- r insieme e nelle parti. Non ostante , trovammo tre perso- naggi : Morgante, Margutte e Rinaldo, che sarebbero stati degni di sopravvivere. Ma l'ordito, le invenzioni particolari, i caratteri , com- presi questi tre, sono dimenticati perchè manca la perfezione della forma. Un concetto frivolo può sperar di sopravvivere se ha eccellenza di forme ; se invece un concetto importante n' è privo , potrà vivere come filosofia o dottrina, ma come poesia cadrà nell' oblio. Badate però eh' io non adopero la parola forma nel senso pedantesco, in cui è stata presa fino alla fine del secolo pas- '. Mi spiego. Ciò che prima colpisce è la parte più su- cciale , le parole , il periodo ; ed a queste cose si attacca prima la critica , e queste ha chiamate forma : e, di- Io che in esse consiste la eccellenza della Poesia, ha o un criterio erroneo, che ha avuto conseguenze funeste , tw.iie sopra grandi ingegni. Quando verremo a parlare dell' Ariosto , vi farò vedere precisamente in che consista 1* eccellenza della forma : per ora basterà darvene un' idea generale. Se voi considerate un oggetto co' sensi, cioè da osservatori e sperimentatori, conoscerete un fatto. Tutti veggono, po- chi osservano ; le facoltà date all' uomo sono inerti nella massa, e solo eminenti negli uomini d' ingegno. Se applicate di più la vostra intelligeu/a a quel fatto , (ordinandolo, coordinandolo e subordinandolo e consideran- dolo come parte d' una serie di fatti sottoposta a leggi), vi solleverete dal fatto all'idea, facendo un lavoro che dipende non dai sensi ma dall'intelletto. Se poi noi ci concentriamo nell' oggetto presentatoci, p. e. nella figura di una donna, e ce ne innamoriamo, e volendo dipingerlo , senza accorgercene , non restiamo nella realtà pura, ma togliamo, aggiungiamo, abbelliamo, e vezzeggiamo, accarezziamo , lo facciamo quale vorremmo che fosse , noi lavoriamo allora colla fantasia. Tutti hanno fantasìa, tutti pizzicano del poeta, ma pochissimi hanno avuta in alto grado 'V'^^^ta facoltà fantastica. Non confondete queste tre serie di fatti : appunto dal confonderli e risultato che la critica, per secoli, non ha ■-■viltà coscienza dei limiti della poesia. -•' osservate co' sensi, avete il fatto; se osservate con l'in- telligenza, avete l'idea: se osservate con la fantasìa, avete il fantasma ; 1' oggetto come lo rappresentii il poeta , ha un nome distìnto perchè ha qualità proprie. Quando il poeta ha innanzi a se un fantasma, questo non è l'idea pura ma r idea dotata da luì di sentimenti e forze, corpo spiritualizzato o .«pirìto incarnato. La forma è la trasformazione dell'idea. — 278 — cioè del concetto in carattere poetico : la creazione del fan- tasma. Il Pulci ha una mezza potenza, per lui l'oggetto rimane puro oggetto. Se fosse grande osservatore , conserverebbe qualche cosa d'interessante di «otto di questa aridità, come Balzac. Ma non è osservatore profondo ed originale, tanto da uscir da luoghi comuni. Trovato l' oggetto ( e non ha inventiva, ma lo prende da qualche libro), ne riproduce la corteccia , non interessando né per quello che dice , né pel modo in cui lo dice. Come non ha 1' arte d' osservare , cosi non ha neppure quella di sviluppare e rappresentare ne' diversi periodi il fantasma. Creato il fantasma, subendone la presenza, vi obliate in lui che si muove , vive , si sviluppa ; e lo rappresentate come si presenta alla vostra fantasia. Dall'immaginazione di- pende il lavoro formativo come dalla fantasia dipende il crea- tivo. Ciò che fa il gran poeta, che solo ad esso appartiene, è la fantasia; l'immaginazione trovasi e ne' poeti secondarli ed anche in chi non è poeta affatto. Se il Pulci non ha fan- tasia, ha egli almeno immaginazione? Può dipingere l'og- getto anche superficialmente e senza transformarlo nella sua realtà ? No , gli manca anche questa facoltà secondaria. I suoi soggetti rimangono aridi ; rappresenta spesso in un sol verso azioni che dovrebbero essere esplicate. Non solo non trasfor- ma r oggetto , ma lo lascia gretto e grezzo senza lavorarlo in niun modo: lo lascia in tutta la sua aridità. Avete visto mai una statua egizia co' due piedi uniti in- sieme, con le due braccia legate al corpo , con una faccia senza fisonomia? Una statua greca ha invece mani e volto e gesto ed espressione viva. La poesia del Pulci ci presenta statue egizie. Tali sono Calavrione ed Erminione. Corrono a Parigi, ne ritornano : ma restano sempre puri nomi. Voaf et praeterea nihil. Talora si sforza di colorire; e, chiamando in aiuto la pro- pria memoria, dà gesti e moto ai suoi personaggi : ma sono — 279 — ! e moto inespressivi. Alla statua sono sciolte le brac- : ma essa non sa cosa farne. uciana, innamorata di Rinaldo, gli dà per ricordo un pa- one. Il Pulci impiega molte ottave a descrivere gli ani- che v'erano ricamati. Poliziano ha del pari descritto nimali che stavano nel giardino d' amore : ma li ha colti n memento di commozione. Che ha fatto il Pulci? ha ^perto un' opera zoologica ed ha poi ammassati insieme i Domi di tutti quegli animali. Non v'è animale più poetico dell'uccello; ma ecco come il Pulci ne parla: Il marin tordo, il bottaccio e '1 sassello, La merla nera e la merla acquaiola, Poi la tordella e '1 frusone e '1 fanello, E il lusigQuol che ha sì dolce la gola, Il zigolo, il bravieri e '1 montanello, Avelia e capitorza e sepaiuola, Pincione e niteragno e pettirosso. Il raperugiol che mai intender posso. <^uivi era la calandra e 1 calderine. Il monaco eh' è tutto rosso e nero, E '1 calenzuol dorato, e il lucherino, E l'ortolano e '1 beccafico vero; Inaino al re della siepe piccino, La cingallegra, il lui, il capinere, Pespola, codirosso e codiltuigo, E un uccel che suol beccare il fungo. E cosi seguita, per decine e decine di ottave. Non ha il Mntimento dell'arte. Quando Ariosto descrive una bella donna, non ne descrive tutte le parti, ma il movimento che cattiva 1' attenzione di chi la guarda. Ecco come desci'ive la figliuola del re di Frisia, quando Bireno se ne innamora: La damigella non passava ancora (Quattordici anni, ed era bella e fresca, Come rosa che spunti allora allora Fuor de la buccia e col sol nuovo eresea. — 280 — Quanto giudizio in questi particolari ; ha saputo prendere le immagini che dovevano aver più foi-za su Direno. Ed, egualmente, non dice d'Olimpia che abbia il naso e i capelli e le altri parti fatte in questo e quel modo. Sap- piamo che è bionda solo quando Bireno l' abbandona : E i capei d'oro a ciocca a ciocca straccia. Il particolare materiale vien fuori congiunto col sentimento. Prendete invece Antea, la più bella fra le donne dal Pulci. E parevon di Dafne i suoi crin d'oro, Ella pareva Venere nel volto: Gli occhi stelle eran de l'eterno coro, Del naso avea a Giunon l'esempio tolto: La bocca e i denti d' un celeste avoro, E '1 mento tondo e fesso e ben raccolto; La bianca gola e l'una e l'altra spalla Si crederria che tolto avesse a Palla. E svelte e destre e spedite le braccia , Aveva, lunga e candida la mana, Da poter sbarrar ben l' arco a caccia, Tanto che in questo somiglia a Diana : Dunque ogni cosa par che si confaccia , Dunque non era questa donna umana : Nel petto larga quanto vuol misura, Proserpina parea nella cintura. E Deiopeia pareva ne' fianchi, Da portare il turcasso e le quadrello Tutto questo è goffo : Antea non esisteva innanzi a lui. Per descriverla, infilza sconnessamente tanti nomi mitologici. L' immaginazione lo serve male a rappresentar le forme ; rappresenta ridicolmente anche quando vorrebbe esser serio. Ha egli almeno, pe' sentimenti, quell' immaginazione che si toglie a prestito dalla sensibilità? No: non ha cuore; è ne- gato a quanto sa di serio. Abbondano nel poema le situazioni tenei'e o terribili: fanciulle rapite e liberate; giovanotte che si gettano dalla finestra abbandonate dagli amanti , o tradiscono il padi'e ; fratelli che si riconoscono. Il poeta se ne — 281 — pel rotto della cuffia; ovvero, volendo far l'atfettuoso, rre tenta di mascherai-si col manto di Calliope, gli spun- > le corna del satiro e fa ridere a proprie spese. Morgante domanda a Florinetta, che due giganti avevano apita ed un leone custodiva, chi ella sia. Momento dram- natico e serissimo, che vi ricoida subito l' incontro d' Isa- iella con Orlando. Isabella son io, che figlia fui I>el re mal fortunato di Gallizia : Ben dissi fui ; eh' or non son più di lui, Ma di dolor, d'afifanno e di mestizia: Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui Dolermi più, che de la sua nequizia : Che dolcemente ne principii applaude. E tesse di nascosto inganno e fraude. Ma Florinetta risponde : O padre, o madre, o fratelli, o sorelle, O dolce amiche, o compagne, o parente; O membra afflitte lasse e meschinelle, O vita trista, misera e dolente; O mondo pazzo, o crude e fere stelle, O destino aspro e 'ngìusto veramente : O morte, refrigerio a l'aspra vita, Perchè non vieni a me? chi t'ha impedita? £ questa la mia patria dov' io nacqui ? È questo il mio palagio e '1 mio castello? E questo il nido ov' alcun tempo giacqui ? E questo il padre e '1 mio dolce fratello? È questo il popol dov' io tanto piacqui ? E questo il regno giusto, antico e bello? E questo il porto de la mia salute ? È questo il premio d'ogni mia virtate? Ove son or le mie purpuree veste? Ove son or le gemme e le ricchezze ? Ove son or già le notturne feste ? (He son or le mio delicatezze ? Il povero Pulci è cosi innamorato di questa forma, ch'egri' crede patetica, da ricorrervi .sempre con predilezione instan- cabile. - 282 - Ecco come Costanzo s' indirizza ad Orlando , che gli ha salvato la figliuola : tjuesto è colui che ti scampò da moi-te ? Questo è colui che f ha dunque prosciolta ? Questo è colui eh' �� tanto ardito e forte ? Questo è colui eh' agli altri fama ha tolta? Questo è colui eh' allegra la mia corte? Questo è colui per cui non sei sepolta ? Questo è colui che uccise il fier gigante ? Questo è colui eh' è il gran signor d'Anglante ? Un'altra volta Orlando, dopo aver dato un colpo di lan- cia innocuo ad Antea, se le inginocchia e le fa una dichia- l'azione amorosa: Tu se' colei eh' ogni altra bella avanza : Tu sei di nobiltà ricco tesoro : Tu se' colei che mi dai sol baldanza : Tu se' la luce dell' eterno coro : Tu se' colei che mi hai dato speranza: Tu se' colei perch' io sol vivo e moro: Tu se' fontana d'ogni leggiadria: Tu se' il mio cor, tu se' 1' anima mia. Ecco come Orlando rimprovera Rinaldo por l' amore che aveva posto ad una pagana: Ov' è Rinaldo, la tua gagliardia ? il tuo sommo potere? il tuo senno di pria? ■ il tuo antivedere? la tua fantasia? ■ — r arme e *1 tuo destriere ? la tua gloria e fama? il tuo core? — A la dama. Parti che '1 tempo sia conforme a questo ? da innamorarsi ? . qui lungo o presto? . sia dover più starsi? tranquillo o infesto ? da motteggiarsi ? da dama o lancia? d' andarne in Francia ? — 283 — A questo modo il regno in pace aremo ? ■ acquisterai corona ? Antea qui abbatteremo ? — — andrem poi in Babillona? la fede alzeremo? or di te si ragiona"? se' fatto «discreto ? Misero a me ! cb' io non sarò mai lieto. Pulci manca la rappresentazione delle figure, dello- iiwiii, de' sentimenti. Offre egli almeno qualche cosa d'im- optante : nelle minuzie , nel maneggio dell'ottava, nella lelta delle rime ? nel saper adattare il linguaggio alle idee he vuole esprimere ? conosce la melodia e 1* armonia ? Per lo più , fa vei*si perchè ha annunziato di voler far srsi ; per versi intende undici sillabe, con il debito numera 'accenti; e spesso tratta superbamente gli accenti. Il verso è per lui un fenomeno esterno, che deve supplire ualche cosa ni pensiero e al sentimento, come la musica I libretto. Il Pulci non comprende né il verso né l'ottava ima, eh' è una sola idea nel suo sviluppo e con le circo- tanze accessorie ; che potrebbe chiamarsi il metro dell' im- Paginazione ; ed infatti in ottava rima sono scrìtti tutti i loemi cavallereschi. I versi del Pulci sono staccati, e spesso oche scuciti. Manca spesso anche la connessione logica, '1 soggetto cambia e ricambia secondo il bisogno della rima. Talmente l'ottava non soggiace alle regole dell'armonia hi melodia: solo in qualche momento felice gliene scappa Itella. —Anche per questa parte è mediocre e difettoso. Che vivrà dunque di lui ? L'essere stato il primo che sentisse come la grande epopea lei Medio Evo se ne andasse in dissoluzione ; e che sulla fine del secolo XV tentasse di abbattere con la caricatura . dommi della forza brutale, e la fede ne' miracoli con tutta la parte mistica. Non è riuscito a farlo in massa; nell' in- • è una cnricatuia sbagliata; nondimeno è riuscito nej . icolari comici. Dovunque trova materia che gli si con- fuccia, 6 felice. — 284 - Vi è monotonia nel suo contenuto comico-bufFonesco e tiella forma, che si riduce a finger di parlare seriamente ed a scoprire poi 1' intenzione ridicola col linguaggio sconve- niente, co'paragoni sciocchi, con le idee ridicole che il poeta vi aggiunge. — Così, facendo la descrizione d' una battaglia dice che Orlando avQva fatta una gelatina. Così, per dare l'ultima pennellata alla bellezza d'Antea, dice che era tale da fare spalancai' sei paradisi. È monotono: ma talora sa essere monotono opportunamente. Ecco come parla Rinaldo, dopo liberato Astolfo, desideroso di uccidere Carloraagno : Dicea Rinaldo: —Ignun non mi dia impaccio: Io intendo a Carlo far quel eh' è dovere : Come vedete ch'io le man gli caccio Addosso, ognun da parte stia a vedere : La prima cosa il vo' pigliar pel braccio, E levarlo di sedia da sedere; Poi la corona di testa cavargli, E tutto il capo e la barba pelargli ; E mettergli una niitera a bendoni, E 'n sul carro d'Astolfo farlo andare # Per tutta la città, come i ladroni: E farlo tanto a Gano scorreggiare. Che sia segnato dal capo a' talloni ; E l'uno e l'altro poi farò squartare; Ribaldo vecchio, rimbambito e pazzo.'... Questo tratto è pieno di naturalezza. Per queste due qua lità, la caricatura della cavalleria e la vena comica, me- rita un posto distinto. Ma sono stato io più severo con lui di quello eh' e' sii stato per sé stesso? Gl'Italiani sognavano allora un nuove fiore della poesia antica. Questo contemporaneo del Poliziaii. non s'illudeva. Era modesto, non voleva aver gente coli; per uditori : Anzi non son presuntuoso tanto, Quanto quel folle antico citarista, A cui tolse già Apollo il vivo ammanto; N«"' tanto satir, quant' io paio in vista; — 285 - Altri verrà con altro stile o canto, Con miglior cetra e più sovrano artista: 10 mi starò tra pazzi e tra bifulci, Clie non disprezzin le muse del Pulci. Io me n' andrò colla barchetta mia, Quanto l'acqua comporta un piccol legno ; E ciò eh' io penso colla fantasia, Di piacere ad ognuno è '1 mio disegno : Convien che varie cose al mondo sia, Come son vari volti e vario ingegno, E piace all'uno il bianco, all'altro il perso, diverse materie in prosa o in verso. Forse coloro ancor che leggeranno, Di questa tanto piccola favilla La mente con poca esca accenderanno De' monti o di Parnaso o di Sibilla; E de' miei fior come ape piglieranno 1 dotti, s'alcun dolce ne distilla: 11 resto a molti pur darà diletto, E lo autore ancor fia benedetto. Jia un presentimento d' ingegni maggiori che debbono upiere l'opera sua, di un l'isorgimento italiano; e depone penna, compiaciuto di questi nuovi splendori. L' Orlando innamorato. Il poema del Pulci fu stampato sei anni prima dell'Or- tdo innamorato (1); ma era già noto da lunga pezza; da )lti anni non si parlava d'altro, che, quando in que' tempi eiva un libro di tal fatta, era accolto con somma atten- >. Scritto che aveva il Pulci un canto e lettolo alla bri- ta della Toroabuoni, questo girava manoscritto ; sicché era P La prima stampa del Morgante , di soli 23 canti, è del 1482, a compiuta è del 1483. I due primi libri dell' Innamorato furono bblicati nel 14^7. — 286 — già popolare quando fu messo in istampa. Ma se il popolo e legge senza intenzione estetica, che legge per divertirsi, i colse favorevolmente questo primo dei pochissimi libri ] polari italiani , gli si scagliarono contro i preti , sì pere r autore era in voce di miscredente e sì perchè realmei mette la religione in ridicolo nel Morgante. Accanto a qi sti detrattori in nome del Vangelo sorsero detrattori in noi d'Aristotele e d' Omero : eruditi e pedanti. « Che razza « poema è mai questo, — dicevano — dove si trovano non u « ma tante azioni , ed episodii che non hanno che fare < « subjetto ; nel quale, mentre dovrebb' essere quanto v' ha « più maestoso e solenne, son buffonerie ad ogni pie sospir « e riboboli tolti da Mercato vecchio. » — Se il Pulci avei avuta chiara intenzione di quanto voleva fare, avrebbe poti rispondere: «Qui è il mio merito: di aver fatta la carie « tura del poema, di aver iniziato un movimento importai « nelle lettere — perfezionato, soggiungiamo noi, da Ariosto, Rabelais, da Cervantes, — e di aver cooperato a distruggt « l'epopea del Medio Evo». — Ma il Pulci non avea coscier del suo stesso lavoro, ed aveva le opinioni dei suoi criti quindi, terminando il poema, recita il confiteor , protesta dosi assai contento ove venga accolto tra paggi e tra bifulci Che non disprezzin le muse del Pulci, e Sperando che altri venga a compiere le sue idee. Che e' era da fare dopo il Pulci ? Ritener questa iroi uuio di partenza; essendogli posteriore, non ha importanza Jcuna. Ma, fi'attanto, un altro, con maggior merito e serietà, com- >ose un poema epico e ne fece come lo scopo della propria v^ita. Matteo Maria Boiardo non era un uomo volgare. Ei'a »nte, con vassalli , feudi e castelli , e dipendeva nominal- nente dal Duca di Ferrara. Non era obbligato, come il Pulci, ,d intrattener le brigate, a far da buffone ; quando leggeva d alcuno degli squarci del suo poema, era una degnazione. Nacque in tempi in cui cominciava a non bastare più l'es- ser conte ; ma bisognava inoltre aver qualità intellettuali e moi-ali ; ed egli credette che l' esser conte non bastasse : studiò e fu laureato in legge e filosofia ; poi continuò da aè, traducendo dal greco, componendo in latino, sobbai'can- dosi a tutti quei lavori primordiali che assuefanno alla fa- tica ed alla perseveranza. Formandosi con questi studii, scrisse una commedia, capitoli e sonetti; e, finalmente, concepì V Or- bando innamorato. Un poema epico e stimato come il più alto monumento artistico d'un popolo. Gl'italiani, nobilmente desiderosi d'e- mulare le letterature antiche, ne volevano uno; quindi lo sdegno contro il Pulci e quella critica che tormentò il Bo- lo, come poi l'Ariosto ed il Tasso. La stessa brama durò I-ancia fino al secolo XVIII, e, per appagarla, Voltaire -e VEnriade. Ikiiardo scelse la cavalleria p(>r subietto d' un poema se- rio. Ma vi era serietà in quel contenuto? In Italia, ve l'ho — 288 — già detto, era impossibile che ne avesse più. Non poteva h cavalleria aver nulla di serio, se non come principio religioso in quanto rappresentasse la lotta fra il maomettismo ed il Cristianesimo, o come istituzione politica. Ma il tempo delle crociate era passato ; il papato era screditato ed attaccato ; le classi colte stavano in aperta opposizione contro la Chiesa, la Riforma rumoreggiava già in aria. Se il Boiardo mede- simo non era un miscredente , non era neppure un animo sinceramente religioso come poi il Tasso : accettava la re- ligione come un fatto di cui aveva perduto lo spirito. E nel suo poema, benché la lotta avvenga fra maomettani e cri- stiani, essa si aggira di fatto intorno alla conquista d'un brando o alla vendetta d'un padre, non intorno a scopi ed obbiettivi religiosi. Vi mancano elementi religiosi, che con- stituiscano una forza interna. Non v'è neppure il culto per la cavalleria. Come conte, conosceva per filo e per segno tutte le usanze cavalleresche; ma ride delle sue invenzioni: cita Turpino come sicuro di non essere creduto. — Ha vo- luto rappresentare seriamente il trionfo della forza fisica, contro cui tutti, compreso lui, combattevano, e quando già la stampa era inventata, e splendeva l'aurora della civiltà moderna. Fu condotto a ciò da un pregiudizio letterario: con- cepì il suo poema da pedante e per obbedire a pedanti. Credette che, a trattar seriamente un tal contenuto, ba- stasse dargli un abito serio come se uno pretendesse di ren- der serio Triboulet col mettergli un mantello filosofico. Il poema, che non è ancor finito, consta di sessantanove canti tutti inventati da lui col fermo proposito di voler fare qual- che cosa di serio e sono tutti radicalmente ridicoli e buf- foneschi. Cerca di concepir seriamente l' ordito, in modo che i fatti non siano scuciti, ma entrino gli uni negli altri, e crede che il poema sia divenuto serio perchè è ordito seriamente. Le fila sono ben ordite; gli episodii che vi getta in mezzo non vi stanno a gambe in aria come quelli del Pulci: hanno sempre uno scopo, e servono a ricreare o a variare o a spie- — 289 — L^ avvenimenti futuri, e talvolta sono introdotti con un'in- ione morale o filosofica. Quando poi viene alla rappre- azione, non lascia i fatti e le invenzioni con facilità «me il Pulci , ma cerca di sviscerarli. Se deve dipingere ma giostra, vi dirà l'ordine delle sedie e quali personaggi i sedessero, e come vestiti, e come armati. Spesso è tanta ninuto da sembrare un autore moderno. Dovendo descrivere ma battaglia, enumera le schiere, ve ne dice i capitani; ìeterraina l'ordine con cui si azzuffano, entra ne' più minuti )articolari che possano dare un illusione di serietà. Mette jran cura nel colorito; se guardate le parti esterne, il suo [►Gema vi sembrerà daddovero qualche cosa dì serio. Ep- pure, non può darsi nulla di più intimamente ridicolo. Val- gano per esempio i sette primi canti che possono conside- rarsi come un'introduzione al poema. Comincia il poema con una festa: s'alza il sipario fra la gioia de' convitati ed il rumore de' bicchieri. Spagnuoli e francesi si preparano ad una giostra, data da Carlomagno. 'do ecco apparisce una giovanetta, bella tanto, che tutti, preso Carlone, si soploriscono in volto. È questa Ange- lica, venuta d'India per far prigioni tutti i Paladini. Ha lotto seco un suo fratello dall'armi incantate, dal ca- t veloce come il vento con una lancia d'oro che abbatte quanti tocca e con un anello che rende invisibili ; e si offre in isposa a chi le vincerà il fratello: chi però ne sarà vinto, rimarrà suo prigione. Fino il vecchio Namo e Carlomagno ?ogliono esser primi : per conciliare le diverse pretensioni ii sorteggiano i nomi. (Il Tasso ha imitato tutto questo; il principal merito del Boiardo sono le invenzioni: l'Ariosto e i! Tasso 1' hanno saccheggiato). Astolfo esce pel primo ;avaiiere, eh' è agevolmente scavalcato, galante, lindo e pinto, millantatore e bravaccio. Gli succede Ferraguto, che, liuto con la lancia , cava la spada. Quattro giganti , ....;isori d'Angelica, accorrono per proteggere il giovinetto; Ferraguto li ammazza e si azzuffa col fratello di Angelica. Ma , grazie all' invulnerabilità dell' uno ed all' armi fatate Db Sakctib — Manzoni e tcritti parti. 19 — 290 — dell'altro, non si facevano gran male. Mentre si riposan stanchi, Ferraguto dice all'antagonista: — Perchè vuoi ch'i t'uccida a forza? Dammi tira sorella. — Il giovane consent rebbe; ma, mentre Ferraguto era bruno, Angelica avev caro un biondo. Si rinnova dunque la pugna, e quando Fei raguto, trafitto 1' avversario , si riputava vincitore, soprav' vengono Orlando, Ranaldo ed altri, co'quali gli è forza com battere, e frattanto Angelica, riponendosi l'anello in boccn sparisce ; ed i contendenti rimangono con le mosche in ma no. — Sopraggiunge un messaggiero che annunzia la venut; di Gradasso, re indiano, con un portentoso esercito per con- quistare la spada d' Orlando, Durindana, ed il cavallo di Ri naldo, Baiardo. Ferraguto e Ranaldo vanno in Ispagna. Ra- naldo duella con Gradasso , ed è rapito sovr' una barca fa tata. Gx-adasso passa in Francia e fa prigioni tutti i Pala dini e Carlo. Ma Astolfo, che ha trovato per caso la lancii fatata e ne ignora le qualità, sfida Gradasso , che gli pro- mette la restituzione de' suoi prigionieri ove sia vinto. In- fatti, è vinto, li restituisce, e se ne torna in India. Tutto qui è buffonesco: la guerrji di Gradasso comincia per uno scopo ridicolo , e termina ridicolmente. Gradasso dopo tante gradassate, scavalcato da un buffone, e una pro- fonda ironia della vita. L'avventura di Angelica, che, morte il fratello, sparisce, mediante l'anello, dalla vista de' cava- lieri che si percuotono per lei, è ridevolissima. Ma, mentre il contenuto è buffonesco , quanta serietà, quanto giudizio nella rappresentazione. La festa e la giostra, con cui si comincia, servono a pre- sentarvi e farvi conoscere i personaggi, che poi si vedranno in azione. Ne fate la conoscenza individuale tra' bicchieri e i brindisi. Questi sette canti sono destinati a metter sott'oc- chic il personale del Poema. Vi si trovano Angelica, e il suo contrapposto, Malagigi, che, rivaleggiando di magia, sono le due potenze soprannaturali del Poema. Vi si fa conoscere il terreno su cui accadranno gli avvenimenti, Francia e Spa gna. Anche i particolari, gl'incidenti e gli accessorii servono - 291 — jualche cosa, gettano i semi degli avvenimenti successivi, itanaldo , che motteggia Gano nel banchetto , ci mostra la prima origine dell'odio fra le case di Maganza e Chiaro- monte eh' è una delle chiavi del Poema. Tutto questo se- riamente. Il Boiardo metteva gran cura nelle menome cose. Soleva nella bella stagione ritirarsi a Scandiano , un suo castello, ed ivi domandava il nome a ciascun suo vassallo, affinchè potesse sceglierne di belli pe' suoi personaggi : in premio, la massima parte de' suoi nomi è rimasta popolare, tanto corrispondono bene alla natura de' personaggi. Una volta , rimane più giorni scervellandosi , come un padre di famiglia che debba battezzare il figliuolo , per trovare un nome ad un guerriero che fosse forte di membra, feroce e millantatore: trovatolo, ordinò che tutte le campane del ca- stello suonassero a festa. Habemus pontificem ! Pure Boiardo ha avuto il maggior castigo possibile. Cin- quant'anni dopo, un fiorentino bizzarro e spiritoso, avve- dutosi della discrepanza fra il buffonesco del contenuto e la serietà della forma, ritenne il primo e mutò la seconda. Aggiunse il colorito, ma cangiò qualche frase, alterò la fine di qualche episodio; e, con questi pochi tocchi, quella grave epopea e divenuta un poema buffonesco per eccellenza. E questa alterazione era tanto nella natura delle cose che il poema del Boiardo è dimenticato e quello del Berni è ri- masto. Non dobbiamo esser ingiusti e disconoscer ch'egli sia 1' in- ventore della più parte dei fatti ricreati dall'Ariosto e dal Tasso. Esamineremo il suo poema seriamente, come egli r aveva concepito. Ne' sette canti compendiativi v'ho presentato quasi un'in- troduzione del Boiardo. Le due azioni, cosi narrate, comin- ciano , continuano e finiscono col settimo canto : sicché il poema inaridirebbe sul bel principio ove venissero conside- rate come azioni integrali di esso ; ma ò una larga intro- — 292 — dazione che ci fa conoscerò i personaggi. Il poema sembra finito laddove veramente principia. Giacché, se Angelica non ha fatto materialmente prigioni i paladini, li ha però fatti prigioni con gli occhi, con la bellezza ; e, ritirandosi nel Ca- tai , non va sola , ma è seguita da' principali cavalieri di Francia e di Spagna. Dimentichiamo la Francia e Parigi e Carlomagno con cui era cominciato il Poema, e l'interesse si concentra in Angelica e ne' cavalieri che la seguitano. An- gelica è il vero centro d'azione. Angelica, andando con l' anello, cioè vedendo non veduta, giunge al fonte di Merlino nella foresta d' Ardenna , dove erano due fontane incantate. Chi beve dell' una innamora, chi beve dell' altra disama la persona che amava, e Ranaldo ed Angelica, assetati , giungono ivi : Angelica s' innamora di Ranaldo, Ranaldo tramuta il suo amore in odio feroce. Angelica gli si scopre e gli dichiara il suo amore. Ranaldc la rifiuta : essa torna al Catai , dove era Malagigi , da lei fatto prigione, e gli dà la libertà, a condizione che le pro- cacci l'amore di Ranaldo. Malagigi torna in Francia; mti Ranaldo vuol piuttosto che torni in prigione an'fei che far k voglie di Angelica. Malagigi dispone che un demonio prenda la forma di Gradasso, e che finga di fuggire innanzi a Ra naldo. Ranaldo gli tien dietro, e dietro lui salta in una bar- chetta incantata che lo conduce in un'isola dov'era Ange lica , ch'egli schiva come un serpente, saltando subito di nuovo nella barca da cui è condotto in un'altra isola, dove un mostro starebbe per divorarlo quando Angelica gli appa- risce e gli dice: amami e ti salverò. Ranaldo rifiuta; nu Angelica, non avendo cuore di farlo morire, uccide il dra gone: Ranaldo fugge, e, dopo una strepitosa avventura, ac quista Rabicano. Ranaldo, che vorrebbe restarsene a Parigi, è condotto lon tano lontano. Orlando, che vorrebbe tener dietro ad Ange lica, capita nel giardino» di Dragontina: chi vi entrava, srae morava, ed Orlando divenne, con molti altri guerrieri, schiav< di Dragontina. — 293 — iranto, il centro d'azione. Angelica, perduta ogni spe- ranza di acquistar Ranaldo, torna nel Catai. Agricane, for- tissimo re pagano, aveva radunato un potente esercito per mpossessarsi di Angelica. Ma Sacripante, altro re pagano, she r amava anch' egli, muove per liberarla con un esercito sotto Al bracca. Qui he luogo la prima battaglia del poema. Le battaglie del Boiardo sono monotone: quegl' infiniti eserciti sono la canaglia che un guerriero fa a pezzi e distrugge. Tutti que- sti combattimenti vanno a finire in un duello. Questa prima battaglia è famosa perchè s'approssima più d'ogni altra alla grandezza ariostesca. L'autore è ancora fresco, nel primo slancio. — Agricane e Sacripante s' incontrano ( Tasso ha imitato questo duello per farne quello fra Tancredi ed Ar- gante ). Saccipante , destrissimo e provvisto d' un rapidis- simo cavallo, Frontalatte, resiste per più di sei ore ad A- gricane; finche finalmente, ferito in più luoghi, non si ritiri nelle camere di Angelica per farsi medicare. Agricane en- tra eoTuggiaschi in Albracca, e rimane solo nella città nemica (Ariosto ha imitato questo luogo, cambiando Agricane in Rodomonte ed Albracca in Parigi). Vorrebbe ritirarsi, quando» sfondate le porte , entrano i suoi d' ogni parte nella città : Angelica, oramai indifesa, abbandona la fortezza, che le era rimasta, a Sacripante, e parte, cercando un nemico ad Agri- cane. Capita nel giardino di Dragontina, provveduta dell'a- nello che la rendeva invisibile e distruggeva ogni incanto- Trova Grifone ed Aquilante, che cantavano l'uno da basso e l'altro da soprano, Brandimart9 che fischiava; Orlando stava .>«olo in disparte: Angeli«*a gli pone l'anello in dito, »\ ch'egli risensa: dopo, rimettono l'anello a tutti i nove •rieri, che, risensati, si mettono in via dietro Angelica. : t> Sacripante, nella fortezza d' Albracca era rimasto an' che Truffaldino, uomo che non serbava fede a nessuno. Co- stui pensando che Sacripante era ferito ed Angelica par- tita, imprigiona il suo compagno e manda ad offrire le chiavi della fortezza ad Agricane ; il quale , da vero Fabrizio , le — 294 — rifiuta, minacciando la forca a Truffaldino. — Angelica ed i guerrieri giungono; ma fra loro e la fortezza erano due mi. lioni d'uomini; si formano in battaglia, si slanciano, e vo- lere o non volere fanno uno sdrucito nell'esercito nemico, e picchiano alle porte, che Truffaldino apre loro solo quando hanno giurato di difenderlo contro chi che sia. L'interesserò rinato, perchè rinata l'opposizione. Agricane sfida Orlando e come 1' uno è invulnerabile e 1' altro prov- visto Jd'arme incantata, la battaglia durerà a lungo, malgrado lo spesseggiar de' colpi. Ma il poeta comincia a stancarsi ed a ripetersi nelle battaglie. Mentre questi duellano , si vedono nugoli di polvere , s' odono nacchere e tamburi : è Galafrone, padre d'Angelica, che viene con un esercito in- finito a liberarla. Non vi può essere interesse in un eser- cito"^infinito se non quando vi sia un gran guerriero. Ga- lafrone ha seco due grandi guerrieri : V uno è il gigante Archinoro, e nei poemi cavallereschi i giganti sono destinati ad esser tagliati a pezzi da' paladini : 1' altro è una donna, valorosa non meno d'Orlando e Ranaldo, Marfisa. che aveva fatta voto di non ispogliarsi mai le armi sue , finché non avesse fatti prigioni Agricane, Gradasso e Carlomagno. Sul punto in cui sta per appiccarsi la battaglia, costei, assonnata, chiama la cameriera e le raccomanda di non destarla se non quando l' esercito fosse distrutto e Galafrone ucciso. Archinoro faceva strage. Agricane prega Orlando d'inter- rompere un poco il duello, uccide Archinoro e sgomina l'e- sercito. Ma, rientrando Orlando in battaglia, Agricane pensa che, uccidendolo, checché fosse per accaderne de' suoi, avrebbe vinto. Lo sfida, e se ne vanno in una selva per vincere o- morire. È questo il più stupendo episodio del Boiardo, imi- tato poi dal Tasso. Combattono tutto il giorno: mancando la luce , si sdraiano 1' uno accanto all' altro. Orlando parla di Cristo, del cristianesimo , ed anche un po' d' astronomia. Agricane gli risponde: — o non parlarmi, o parlami di guerra ovvero d'amore. Oliando gli parla d'amore, e così Agricane appura ch'egli è non solo un suo nimico, ma anche suo ri- — 205 — L-. Comincia un combattimento notturno (Clorinda e Tan- ìi), che si prolunga poi per un'altra mezza giornata, lìn. Orlando non ferisca a morte e battezzi Agricane (idea che oi germogliata nel Tasso). Orlando toglie per se il ca- Baiardo, allora posseduto da Agricane. -alafrone, ritirandosi, giunge dove Marflsa saporitamente •aiva. Costei viene svegliata in fretta: — Correte, tutto e rduto. — Marfisa sale a cavallo, e scorgendo Raualdo giunto pur allora con alcuni pochi nel campo di battaglia, dice: — Aspettate eh' io prenda questi quattro ghiottoni e poi verrò da Agricane. — Mentre Marfisa combatte con Ranuldo, Galafrone, riconoscendo Rabicano, si scaglia addosso a Ra- naldo, esclamando: — tu hai ucciso mio figlio! — Marfisa, presa dal più comico o meglio dal più terribile sdegno, si unisce a Ranaldo, dichiarandosi contro Angelica e Galafrone. Sembra che qui 1' interesse debba illanguidire. Da un lato stanno Marfisa e Ranaldo. Dall' altro , i nove cavalieri ed Orlando. Orlando è ritornato da Angelica, ha saputo di Ra- naldo e lo ha creduto amante d'Angelica, ed è dispostissimo ad ammazzarlo. Ranaldo aveva giurato d' impiccar Trutìal- dino , Orlando di difenderlo. I due guerrieri prima scam- biano improperii , poi vengono alle mani. Baiardo, ricono- scendo Rinaldo , ricalcitra , caccia la testa fra le gambe. Mentre Orlando è impacciato, Ranaldo corre addosso a Truf- faldino, lo trascina a coda di cavallo pel campo, e l'uccide. Orlando cambia cavallo, e duella con Ranaldo; e tirano colpi straordinarii. Ranaldo ne riceve uno sull'elmo incan- tato che gli fa scorrere sangue dal naso, l'elmo gli si riempie di sangue : perde il vedere, e resta immobile. Or- lando stava per raddoppiare i colpi, quando Angelica, ap- purato chi fosse il cavaliere che sta sul [)unto di esser vinto, corre da Orlando e gli chiede che voglia andare a disfare l'incanto del giardino di Falerina; e cosi lo sforza a la- sciare Ranaldo. Angelica, pensando poi d'ingraziarsi Ranah do, gli rimanda Baiardo. — 2'JC) — Il Wagner, editore d'una collezione di classici italiani ii Lipsia (1), professa una grande ammirazione pel Boiardo anteponendolo, nonché al Pulci, all'Ariosto, e proprio pe; ia ragione che dovrebbe invece indurlo a biasimare que poeta : perchè cioè , solo fra gì' Italiani , ha trattato seria- mente la cavalleria. Wagner si sdegna contro gl'italiani d f(uei tempi che non guardavano il mondo dell'amore, del- l' onore e delle grandi imprese con la serietà stessa de' ro- manzieri stranieri. Non ho fatto dapprima molto caso di questa che credevc un' opinione personale e fondata sopra principii assoluti, ca vati dalla religione, dalla politica, dalla morale, non dal- l' arte — eh' è indipendente da tutte queste cose, e della qualt poco importa sapere se il suo contenuto sia o no religioso morale, serio. — La questione artistica è tutt' altra. Ma mi è poi capitata fra le mani un'opera dello Schmldt eh' è un'analisi de' poemi cavallereschi italiani, e non sole ne racconta l'argomento ma soggiunge alcune osservazioni estetiche (2). Lo Schmidt non ha un'idea molto vantaggiosi (1) Si allude alla pubblicazione intitolata: " Parnasso italiano avveri i quattro poeti celeberrimi italiani — La Divina Commedia di Dante A- lighieri — Le Bime di Francecco Petrarca — L' Orlando Furioso di Lu- dovico Ariosto — La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso — Edi' zione giusta gli ottimi testi antichi con note istoriche e critiche — Compiuta in un volume — Ornata di quattro ritratti secondo Raf- faello Morghen — , Lipsia, presso Ernesto Fleisrher, 1826. „ — Questt publ)licazione fu curata da G. H. Adolfo Wagner, che vi premist una dedica in terzine: Al principe de' poeti Goethe, li Orlando è pre^ ceduto da un : Discorso della vita e delle opere di L. A., e seguito do un: Contento suW Orlando. 11 Wagner è il noto editore delle Open italiane del Bruno. (2) F. W. Valentin Schmidt pubblicò nel 1820 a Berlino-Lipsia un volumetto: Ueber die ilalienischen Ileldengedichte nus dem Sagenkreist Karls des Grossen. Ein lìeitrag zur Geschichte der romanischen Poesie. — 297 — Ariosto. Dice che per piacere a ditferenti classi di gente, poainorati , guerrieri, uomini d'immaginazione e buffoni, aescoló amori, armi, avventure favolose, cose plebee, tutto enza serietà. Ed ecco uno de' poemi più seriamente concepiti, ed ese- [uito con quella superstizione ctie un genio mette ne' suoi vori, trasformato dallo Schmidt in una mascherata, in una mffoneria! — Lo Schmidt ha lo stesso giudizio favorevole lei Wagner rispetto al Boiardo, il solo che rappresentasse se- iamente la cavalleria; e s' indegna contro gl'Italiani d'ai- ora e soprattutto contro l'Ariosto e il Pulci. Ma, in quel «mpo. tutta l'Europa, non la sola Italia, combatteva contro 1 Medio-Evo, aspirando ad uscire di quella barbarie : ed una K)esia epica seria sulla cavalleria non avrebbe risposto a lessun sentimento sociale: sarebbe stata cosi assurda come >ggi una poesia epica seria sulla guerra Troiana o Punica! Lo Schmidt ragiona così: Il serio è un elemento posi- ivo: il comico è un ebmento negativo; quindi Boiardo, che aa l'elemento affermativo, vale più degli altri, che hanno »lo l'elemento negativo. Ora la società in certi tempi ha certe istituzioni ed opi- nioni e ci crede; ed è possibile una poesia epica che le rap- presenti seriamente. Ma, corrotte che siano quelle istitu- lioni e scosse quelle opinioni, la società si ribella, anche senza • un'idea chiara di altre opinioni ed istituzioni, e sorge mento negativo. La poesia non rappresenta, ma com- batte : e un momento particolare dell' arte necessario nella 1 della società. Quando la società non se ne contenta nascono altre istituzioni e può sorgere un'altra poesia seria. Basta gettare un' occhiata su que' tempi per persua- ' :. che allora mostrava ingegno chi vedeva fracido ciò !•» masse credevano ancora intatto. Questo è il merito del Pulci e la grandezza dell'Ariosto. Noi lodiamo tanto il Cervantes perchè portò il colpo ultimo all'ideale del medio- evo, con l'immortale suo Don Chisciotte: e perchè dovremmo — 2U8 — biasimare gì' Italiani , suoi precursori , che hanno confusa mente presentito quella distruzione finale? Il Boiardo, per intenzioni pedantesche, ha voluto fare se riamente quanto è sostanzialmente ridicolo. Me ne appell a voi. V'ha nulla di serio nel fondo immaginato? Voi chiede rete: — Volendo essere serio, come è potuto riuscire cosi ridi colo? — Era la forza de' tempi. Scartiamo 1 sette primi canti di cui vi ho mostrato quanto sia buffonesco il contenute Prendiamo i trenta canti ne' quali si ragiona d'Angelica. I chiusa in Albracca, assalita da un innamorato e difesa di un altro; burla Sacripante ed Orlando, amando Ranaldo; ( finisce per andarsene con Orlando senza che nulla si con- cluda. Angelica è una civetta magicamente innamorata ; noi v'è né interesse, né serietà. — Oriundo non aveva mai fatte all' amore ; è timido, grottesco e ridicolo ; ama seriamente e quindi è geloso, si crucia e s'addolora. Ma anche l'amante serio divien ridicolo , posto in situazioni ridicole. Quando trovata Angelica sola, e presentandosi a lei, balbetta e dice cose ridicole, costringe il Boiardo medesimo a dire: Turpin, che mai non mente di ragione, Chiama Orlando in quell'atto un babbione. Orlando ama anche Origlile; cavalca con lei in groppa sospirando la sera; venuta la sera, mentre si disarma. Ori gille dice d'aver visto un dragone, Orlando ne va in cerca e frattanto Origlile si mette a cavallo, e via. — Orlando li ritrova; essa arrossisce e gli chiede perdono. Cavalcano un'al tra volta assieme, annotta un' altra volta: quando si affac eia una giovane e dice ad Orlando che il giardino della Fati eh' e' doveva distruggere, è lì presso, ma che per ottener* il suo intento dovrebbe rimaner casto per tre giorni. Or- lando si decide a rimaner casto quella sera: si sdraia sul- l'erba. Mentre russa. Origlile gli ruba il cavallo e la spada.— Non basta, ed Orlando è canzonato una terza volta da Ori- glile. — È questo un eroe, o non piuttosto, non dico il Dot Chisciotte, ma il Pagliaccio del poema? — 299 — ilonque messa fuoii discussione la lotta tra il fondo e ì forma : tra il ridicolo che soverchia la serietà con cui engono trattati quo' fatti ridicoli. Esaminiamo i pregi ed i difetti dell'ordito, che ci è sem- rato stanchevole e noioso. Primo difetto è l' illimitato : non a principio né fine, manca d"un disegno centrale che ne ia la misura. Non ebbe il Boiardo tempo né di finire ne limare il suo poema, che termina proprio dove dovrebbe ominciai'e; giacché la parte seria e la guerra fra pagani cristiani. Ariosto ha sagacemente ripreso quel principio, fatto il vero poema del Boiardo : Le donne, i cavalier, l'arme, gii amori, Le cortesie, 1' audaci imprese io canto. Che furo a 'I tempo che passaro i Mori D'Africa il mare e in Francia nacquer tanto, Seguendo l' ire e i giovenil furori D' Agramante lor re, che si die vanto Di vendicar la morte di Troiano Sopra re Carlo, imperator Romano. Ti e un secondo difetto. li Boiardo ha voluto riunire i due :icli d'Arturo e Cai-lomagno, entrambi popolari, se pure di- rersamente popolari, in Italia; e mescolare insieme due ele- ~ *i distinti. Il proprio del ciclo di Carlo sono le guerre, adi fatti d'armi; il proprio del ciclo d'Artii, la galan- Hia e le imprese amorose. II Boiardo ragionò cosi: voglio Hjjtlare le donne e i cavalieri, le armi e gli amori, le cor- Kie e le audaci imprese; furò due azioni: nell'una rappre- !'ù l'amore; l'altra avrà per principio le armi. La pri- :ira la guerra intorno ad Angelica: la seconda la guerra agani e Cristiani : i due elementi saranno rappre.sen- Lau da due azioni distinte. I primi storici, che vollei-o trattare filosoficamente i fatti, ndoli di per sé soli stupidi accidenti, esponevano in pitolo i fatti, in un altro la filosofia. Ma la storia deve re fatti e filosofia insieme, in modo da dare una rap- iitazione unica. Così il Boiardo, volendo unir gli amorì — 300 — tì le armi, ha dato un'azione all'amore ed un'azione al!( armi, mentre avrebbe invece dovuto formare un'azione ir cui i due elementi fossero fusi. C'è da fare un'altra osservazione intorno agli episodii eh' è la parte più interessante del poema. Il Boiardo ha in trodotto nuovi elementi : le fate e l' amore, sotto il punto d vista intimo e drammatico. Il merito del Boiardo è d'aver introdotte le fate; rima neva a dar ad esse tutto il lusso della fantasia orientale e questo fu fatto dall'Ariosto e dal Tasso. L'elemento drammatico è scarso in Dante: in Petrarcs quasi nullo (1), Il primo ad introdurlo nella letteratura ita (1) Vedi Storia della letteratura, I, 179-80. E mi sembra opportune di riferire dalla prima lezione di questo corso sulla Poesia cavalie- resca le seguenti osservazioni sulla mancanza di elementi dramma tico in Dante e nel Petrarca. — " Dante , si dice , ha abbracciate un contenuto tanto universale, che ogni parte del Medio-Evo ha li sua espressione in lui, che tutta l'Antichità vi è compresa.— Ma que st' orizzonte, così vasto in apparenza, ha il suo limite. Certo, quas; tutti i fatti, quasi tutte le forze antiche e del Medio-Evo hannc luogo nella Divina Commedia, ma non v' è né la Società antica, n< quella del Medio-Evo. Gl'individui vi esistono isolatamente. Noi sono ordinati secondo gli ordini sociali, secondo i loro gradi, i lorc stemmi, i loro titoli, le loro ricchezze, ma secondo le loro anime Francesca da Rimini è collocata accanto a Semiramide, vissuta noi so quante migliaia di anni e quante migliaia di leghe lontano dj lei. Il colorito sociale, una società vivente ed operante, manca; i stata risoluta ne' suoi elementi. La Divina Commedia è una massi di individui , che non hanno neppure tutta la loro vita , che non sono rappresentati in atto che operarono, pensarono, sentirono, ma ap pariscouo solo per esser giudicati. Francesca da Rimini nella cronaca è una giovinetta che si sposa, che s'innamora del cognato, che sog giace alla sua passione; opera, sente, vive; è un soggetto dram matico. Dante non la rappresenta operante, senziente, vivente, mi morta, nell'inferno, fra'supplizii: essa narra il passato, ma il pas sato ritorna in lei modificato dal presente. La situazione dantesca i uniforme e limitata; l'individuo ó morto, ò giudicato, è ito all'altre mondo. Immaginatevi una rivoluzione; alcuni tengono per una partei altri per un'altra. Succedono fatti molti, lotte, battaglie: finalment* giunge lo scioglimento; alcuni di quelli che hanno combattuto vanno — 301 — i si può dire che t'osse il Boiardo. L'episodio di Tisbina pravvissuto. Costei era maritala ad Iroldo ed amata da -ildo; e volendo Prasildo ammazzarsi, gli promise d'es- .1 patibolo , altri in carcere; altri sono fatti ministri, sono applaii- iiti , ««tanno nella reggia , beati de' sorrisi del sire. Chi , trasan- landò tutto il periodo della lotta, rappresentasse solo quest'ultimo nomento farebbe quello che ha fatto Dante. Manca in lui tutta la eia delle azioni dell'individuo. — Questi sono i limiti del contenuto iantesco. Gli elementi di una poesia sono le forze che spingono una società id un uomo ad operare. Una società od un individuo opera perchè pinto da una passione o da un'opinione. Anche queste debbono es- tere rappresentate dal poeta. Dante, conìe non rappresenta le azioni, ìosi non rappresenta neppure le passioni e le opinioni. Ce le mette nnanzi non quando spingono o trattengono l'individuo dall' ope- rare , ma quando sono giudicate dal paziente o dallo spettatore. due elementi della vita interna di Francesca da Rimini, ^ono la >as8Ìone, l'amor suo per Paolo e l'opinione rhe questa passione sia solpevole, che spiaccia a Dio; Dante non ce li rappresenta quando giscono, ma separatamente. Ha preso l'amore, 1" ha staccato, ne ha fatto un ente astratto. Francesca dice : Amor che a cor gentil ratto s'apprende... Amor che a nullo amato amar perdona. La passione non •• più vivente, ma considerata astrattamente, lii la forza v trasformata in idea. L'opinione, rhe ritiene Francesca dal- l' amar Paolo, è il dovere. Dante non la considera quando è dram- matica, ma no fa un concetto teologico, un tema su cui discute.— OH elementi , invece di rimaner forze, divengono astrattezze, sono considerati come idee. La concisione è la forma propria di questo genere di Poesia, per così dire, fantasmagorica. Una rapida serie d'individui sfila innanzi al Poeta che appena ha tempo di segnarli in fronte. Ricevuto quel marchio , sparisce il personaggio e ne succede un altro, « cosi via discorrendo. Questo veloce avvicendarsi di personaggi produce una concisione ora rozza, ora appassionata, ora elegante. Concisione ha luogo quando l'idea principale è sciolta dalle id«<« accessorie. Allorché Dante dice: Quando leggemmo il desiato riso Esser baciato da cotanto amante.... — 302 — sei* sua purché disfacesse un giardino incantato, contandc ch'egli non sarebbe mai per riuscirvi. — MaPrasildo riesce t ritorna, e reclama l'adempimento della promessa. La donne confessa tutto al marito, che, non volendo perderla né eh spergiuri, le propone di avvelenarsi con lui. Si avvelenan e nondimeno, non volendo che muoia con la taccia di sper giura, il marito esorta la donna a recarsi da quello che is pretendeva : il quale, dal canto suo, per non mostrarsi d'iiv ferior generosità, la rimanda illibata. Sopravviene lo speziale, che dichiara di aver dato un preparato innocuo ad Iroldo Il marito, dopo alcun tempo, si allontana, e si finge morto acciocché sua moglie possa maritarsi con Prasildo. Vi é qualcosa di ridicolo, ma é pure il primo episodic italiano in cui apparisce quel!' amor violento che ha poi ispirati tanti romanzi. Vi é verità e sentimento ; si sente sorgere la poesia drammatica. Ma gli episodii si accavallano troppo, è cosa da non finirla. Un cavaliere non può miiovere un passo senza incontrare dragoni, leoni, demonii, giardini incantati, fate, ecc. Non hanno niente clie fare coll'argoraento principale e stancano e infastidiscono. Ma questo poema non merita d'esser dimenticato: il con- cetto della fusione dei due cicli dimostra fantasia e vastità di ingegno. Questi episodii sono germi che fruttificheranno in più nobile terreno. TI Boiardo dà contegno e fisonomla distinti alle'sue crea- U deaiafo riso è l'idea principale che nessun accessorio accompagna. Dante non descrive la bocca o la faccia di Francesca; non i parti- colari e le circostanze dell'atto; mai non entra , come farebl)e un poeta moderno, in tutte le idee accessorie. Quindi deriva che la Di- vina Commedia non è popolare, non è quel che si dice piacevole; richiede studio, e forza di meditare. Così del Petrarca: la sua ì- una concisione elegante. In vece dì presentar l'amore nella società, l'ha ridotto a due personaggi in una condizione singolare. Le passioni o le opinioni appaiono anche in lui spesso come conoscenze e non come impulsi. ^ — 303 - '^he non si confondono T una con l'altra. I suol per- ^/i cristiani sono Oi-lando, Rinaldo, Bradamante , A- >: gli altri sono comparse. Bradamante è appena abboz- eomparendo solo in fin del Poema. Orlando ha elementi i: e casto, serio, non esprime passioni ignobili. Una ,li dice : — Vien meco e ti darò tutto l'oro del mondo, — - li risponde nobili parole ed altere. Ranaldo è quasi il suo jutrapposto; essendo povero, ladroneggia spesso; è brutale, roee, avido dell'oro. Il buffone del poema è Astolfo: ga- ànte, gentile, lindo, millantatore, che né le bastonate né la rigionia possono correggere. Anche più notabili i guerrieri pagani, che tutti sono Fi- lasti: il Boiardo ne sa preparare l'apparizione, impiega molta rte per metterli in iscena; sicché, veduti una volta, non si imenticano. Ricordatevi come è introdotta Marfisa. Per primo guerriero pagano apparisce Gradasso, che oc- upa sette canti ; e, dopo di lui, vengono Sacripante ed A- ricane: esauriti questi, Marfisa ravviva l'interesse. Quando iamo stanchi di Marfisa, succedono Agramante e Rodamonte; poi apparisce Ruggiero e poi Mandricardo. Vengono l'uno opo l'altro; sicché l'interesse riman semprevivo; e, sono utti, tranne Gradasso e Ruggiero, gagliardi, feroci e mil- mtatori. Questi personaggi non si dimenticano più e finché a posterità ricorderà Rodomonte e Ruggiero, ricorderà Bo- irdo. Ma fu un poeta incompiuto: i suoi personaggi hanno ontorni e disegni, non hanno carni, colorito, vita: sono uasi delle idee, e la Poesia ha bisogno di realtà. È un di- ìtto di forma. Concepisce e disegna i personaggi , ma non a farli muovere in tutta la pienezza della vita. Il mezzo più utile e più piacevole per istudiar la forma el Boiardo consiste nel paragonarla a quella del Bsrni , el rintracciare i difetti del Boiardo ed esaminar fino a che unto e come il Berni sia pervenuto a correggerli. 304 — * * Ricapitoliamo. I difetti del Boiardo consistono in un fond( ridicolo trattato con l'apparenza della serietà ; in due azion staccate, corrispondenti a due elementi distinti e non fusi in un ordito senza limiti che sfugge alla memoria, stanci l'attenzione, attutisce T interesse, aggravato com' è dal cu- mulo degli episodii. Ma ciò non giustifica il dire eh' è un poeta non riuscito bisogna distinguere i difetti accessorii da' sostanziali, e 1( bellezze accessorie dalle inerenti. Il voler ricavare conclu- sioni assolute da premesse relative e contingenti è fare so Asmi. — Se il difetto è accessorio, il poeta rimane grandis- simo. Questa è un' osservazione tanto importante che basti a spiegare i difetti della critica passata e di molti critici presenti nel giudicare i poeti. Shakespeare è rozzo ; ribocca di antitesi e metafore ; ha molte lacune , spesso presenti male i personaggi : fa errori volgarissimi nello sceneggiare, Ergo è un cattivo poeta. Quest'ermo è stato dedotto ; Slia kespeare è stato chiamato un barbaro che aveva alcuni lara pi d'ingegno: ed il medesimo è stato detto di Dante. Quali sono i difetti accessorii, quali i principali ? La facoltà poetica per eccellenza è la fantasia : ma il poeta non lavora solo con le facoltà estetiche, tutte le fa- coltà cooperano: il poeta non è solo poeta; mentre la fan- tasia forma il fantasma , 1' intelletto e i sensi non riman- gono inerti. Un poeta può avere potente virtù estetica ed esser povero d' immaginazione, commettere errori nel diso- gno o spropositi storici e geografici : questi difetti non toc- cano l'essenza della poesia. Ma se un poeta che ha in alto grado queste altre facoltà , che ha un bel disegno ed una perfetta esecuzione meccanica, ha debole fantasia, non saprà render vivente quanto vede : la mancanza di fantasia ò la morte del poeta. Ecco la distinzione da farsi. Fin qui non avete diritto di — 305 — Qettere in quistione V ingegno poetico del Boiardo ; i Ji- etti, ehe abbiamo enumerato, dipendono da altre facoltà, *er venire ad esaminarlo come poeta, bisogna dunque ve- ere fino a qual punto abbia la potenza formativa del fan- isma. Ha una grande inventiva: è stato il poeta italiano che a raccolto il più vasto e vario materiale di poesia ; non olo per quantità ma anche per qualità. L' inventiva e già Da prima condizione del poeta ; e per tal riguardo il Bo- fu'do e superiore al Pulci. — Ma , non che basti , e poca osa : l'invenzione nell'arte è il meno. Dumas lascia ai suoi ecretarii l' incarico di raccogliere i materiali , ne' quali si iserba d'infonder poi la vita. Raccolto il materiale, il Bo- ardo lo sa lavorare ? Ecco la quistione. Non lo lascia nudo ed arido come il Pulci ; ha la facoltà el concepimento, dà ad ogni fatto e personaggio le deter- ainazioni necessarie perchè acquisti una fisionomia propria, lon gli basta 1' abbozzare un personaggio ; e anzi , egli è ino de' principali disegnatori della poesia italiana. Pochi anno dar con più sicurezza i lineamenti ad un carattere. !cco come descrive Marfisa ed Angelica: Lei è senz' elmo e il viso non nattconde ; Non fu veduta mai cosa più bella- Rivolte al capo avea le chiome bionde, £ gli occhi vivi assai più eh' una stella. A sua beltade ogni cosa risponde, Destra negli atti ed ardita favella, brunetta alquanto e grande di persona ; Turpin la vide e ciò di lei ragiona. Angelica a costei già non simiglia, Ch' era assai più gentile e delicata, Candido ha il viso e la bocca vermiglia. Soave guardatura ed affatata. Tal che ciascun mirando il cor gì' impiglia. La chioma bionda al capo rivoltata, Un parlar tanto dolce e mansueto, Ch' ogni triste pensier tornava lieto. Dt Sasctis — Manzoni e acritti variL 2«) — 306 — Qui i contorni esterni sono ritratti con una gran potenza determinativa. Che resta da fare al poeta? Mostrar vivo il personaggio, Gli ha dato tal forma e tal carattere , lo deve far vivere. Bisogna che la concezione diventi situazione. Anche i più appassionati non sono sempre appassionati. Volendo mettere in opera le determinazioni, bisogna scegliere tali circostanze ohe , mediante di esse , possano manifestarsi ^le forze in- terne d' un personaggio. V è situazione estetica quando il personaggio è posto nelle condizioni più favorevoli, perche possa rivelarsi. Ma il Boiardo non sa mutar la concezione in situazione. Prendiamo ad esempio Angelica ed Orlando. Angelica è bellissima, ma senza cuore, maga ed incanta' trice. Non v'è, nel poema del Boiardo, situazione che faccia risaltare queste qualità interne. L' Ariosto ha inventata la situazione in cui Angelica vive. Questa donna, che ha sprez- zati e burlati e ha adoprati ai suoi tini, tenendoli a bada, tanti e tanti amanti , incontra un povero giovinetto e se n' innamora e si perde dietro di lui. Situazione ironica, che dà vita a quel carattere. Orlando ama Angelica. Ci sarebbe dovuta essere una si- tuazione in cui l'amore si dimostrasse come passione, ge- losia, dubbio, rabbia. Ma in nessuna situazione il poeta esce dall'indeterminato. Ariosto, invece, sa trovare pel personaggio d' Orlando tali situazioni che lo commuovono e gli fanno mostrar tutto il di dentro. Le fate sono meri nomi ; Bradamante , come dicevamo , non viene che in fine del poema ed è appena abbozzata; Origlile è pessima; la sola donna del poema è Fiordalisi, ed è concepita magnificamente. L'Ariosto ha saputo metterla in una situazione particolare per cui desta simpatia: co la presenta quando il suo amante le viene ucciso. Nel Boiardo rimane indeterminata per mancanza di situazioni. — E, data r.na situazione ( nessuna delle sue è rimasta , quantunque .spesso basti una situazione per rendere popolare un poema). — 307 — data una situazione , non ha potenza di sviluppare un ca- rattere , di fargli manifestare le sue forze interne. Si po- trebbe dire che non trova situazioni appunto perchè la sua mente non è da tanto da svilupparle. Ha introdotte le fate ; ma non ha saputo dar loro vita. Ha introdotta la descrizione de' giardini , portata a tanta perfezione da' poeti successivi. Ecco come descrive il giar- dino d' Alcina : Lei fabbricato ha lì con arte vana Un bel giardin di fiori e di verdi alberi, E un castelletto nobile e giocondo, Tutto di marmo da la cima al fondo. E statevi bene : questo e il famoso giardino d'Alcina, che ael l'Ariosto e un capolavoro; e già era nata in Italia que- ta poesia obiettiva, questo amoi-e della natura. Ecco come tia voluto descrivere il giardino di Morgana : Splendeva quivi il ciel tanto sereno, Che nul zaffiro a quel termine arriva, Ed era d' arboscello il prato pieno, £ ciascuno avea frutti e ancor fioriva ; Lungi a la porta un miglio, o poco meno, Un alto muro il campo dipartiva JL>i pietre trasparenti e tantu chiare, Che oltre di quello il bel giardino appare. Qui sono i materiali grezzi d' un bel giardino. Non v' e leppure melodia che dimostri commozione; soprattutto i due ultimi versi sono bruttissimi e destano una sensazione sgra- devole in un momento in cui tutto dovi*ebbe esser grato e piacevole. In un poema cavalleresco gran parte dell'arte del poeta leve consistere nel dare varietà e colorito sufficiente alle tiattaglie e agli scontri. Neil' Orlando innamorato sono tre battaglie e molti duelli ; il poeta li avi*ebbe dovuto talmente rappresentare che ciascuno di questi fatti fosse come un — 308 — individuo da sé, inconfondibile. Ha svariatissimi inatei-iali : guerrieri invulnerabili, guerrieri con le armi incantate, guer- rieri con alcune armi incantate e con nessuna arme incan- tata; cavalli fatati, rapidi come il vento, cavalli non fatati, ma forti tanto da spiccar salti lunghi trenta piedi ; Durin- dana, Fusberta ed altre spade fatate, e Balisarda che di- struggeva ogni incanto ; avrebbe dovuto ne' duelli e nelle battaglie trovare situazioni particolari che differenziassero quelli dagli altri duelli e queste dalle altre battaglie. Le tre battaglie hanno tutt' e tre il medesimo cammino. Gli eserciti sono divisi in varie schiere : la prima schiera combatte con la prima schiera , la seconda schiera con la seconda schiera, la terza con la terza e via dicendo ; poi un gran guerriero s'azzuffa con un gran guerriero e, mentre duellano, sopraggiunge un altro esercito.— Ne' duelli i guer- rieri sono coverti d'armi incantate ; si tirano molti colpi or- dinarli, finché uno, sdegnato, non tiri un colpo spaventoso che stordisce l'avversario; il quale rinviene, mentre il cavallo lo portava via, avvampa d'ii'a e dà un altro colpo spaventoso, grazie al quale la scena si rinnova per l'altro guerriero. Raccoglie immensi materiali, e poi rimane come chi, pos- sedendo molte ricchezze, non sappia che farsene. Oltre questo doppio difetto capitale , il non saper trovare situazioni ed il non saperle sviluppare, ne ha un terzo anche grave: ignora la parte tecnica, la parte esteriore della for- ma , la lingua, il metro, il verso; non ha il senso dell'ar- monia e della melodia ; non sente 1' ottava. Noi compren- diamo r ottava del Poliziano ; possiamo anche giustificare fino a un certo punto l'ottava del Pulci, fatta a singhiozzi, che si presta spesso molto bene a quelle sue buffonerie. Ma non comprendiamo quella del Boiardo, il quale ora passa dall' una ottava all' altra col periodo, ora si ferma sul set- timo verso, ora sul quinto, ora sul terzo. Così l'ottava non ha ragion d'essere; il Boiardo l'ha accettata, ma non l'ha presa, tratto dal bisogno irresistibile di quel metro. Inoltre, disprezza la grammatica; non conosce bene 1' ita- — 309 — liano, ondeggia fra il dialetto e la lingua ; Il suo poema è pieno di modi del dialetto che cozzano col rimanente , di parole latine e provenzali che ritengono ancora la forma delle lingue da cui son prese. — Non do soverchia impor- tanza a questi difetti ; se ci fossero i pregi che non vi sono, l'imperfezione della forma esteriore non sarebbe mortale al poema. Ma ciò 1' ha reso impopolare : le masse giudicano da* pregi estrinseci. Per le masse, un giovane che si pre- senti bene e sia bene adorno, a primo tratto, a condizione pari, acquista più popolarità, e più bene accetto d'un gio- vane di maggior valore , e più negletto. Queste imperfe- zioni hanno costretto poeti di gran valore ad aspettar tempo prima d' essere accettati , come per Dante , e per la pre- senza di queste qualità tecniche molti usurpano una gran riputazione come Frugoni e Monti, e ai. giorni nostri. Prati. E per ciò anche il Boiardo è stato tenuto in poco conto. Il Berni, che visse dopo l'Ariosto, credendo che la sostan- za dalla poesia stesse nella. forma esteriore e superficiale, pensò che , tolta quella rozza apparenza , le sgrammatica- ture , la mancanza di chiarezza e di disinvoltura, questo poema acquisterebbe l'importanza delVOrlando furioso. Egli corresse perfettamente la parte tecnica, e pure non potette alzar d'un dito il pregio del lavoro; perchè a ciò non ba- stava correggere stanze e versi, ma si sarebbe dovuto creare tutto una seconda volta. Il rifacimento ha reso leggibile e piacevole il poema; ma non ha aggiunto nulla ai suo valore intrinseco. Ecco l'introduzione del poema nel Boiardo: Signori e cavallier che v'adunati Per odir cose dilettose e nuove, Stati attenti, quieti, et ascoltati La bella istoria che 'I mio canto muove; Et odereti i gesti amisurati, L'alta fatica e le mirabii pruove Che fece il franco Orlando per amore Nel tempo del re Carlo imperatore. — 310 — Quest'ottava forma un sol periodo ed è ben condotta, ma è vuota; l'autore volea solamente dire: — Voglio cantare ciò che Orlando fece per amore. — Non vi è ricchezza né di pensiero né d'immagini che si uniscano al pensiero prin- cipale. Neil' ottava d' introduzione del Tasso v' è invece il difetto opposto; è sovraccarica di determinazioni, anche in- cidentali. Il Berni non ha cercato di determinar meglio, ma ha cor- retto solo i difetti tecnici, ^tate attenti^ quieti..... pare un maestro che s'indirizzi agli scolari: c'è troppa morgue: e poi ascoltati per ascoltate., odire per tidire. I quattro versi nel Berni dicono: Leggiadri amanti e donne innamorate, Vaghi di udir piacevol cose e nuove, Benignamente, vi prego, ascoltate La bella istoria che 1 mio canto muove. Ha dato all' introduzione un'aria di galanteria e piacevolezza, ha tolti i difetti gi'ammaticali e reso più armonico il verso: Et od ereti ì gesti smisurati , L' alte fatiche e le mirabil pruove. Lasciando da parte 1' odereti., ci è la pretensione di dire tre cose, non dicendone che una; le tre espressioni dicono Io stesso: Et udirete l'opere alte e lodate, Le gloriose egregio inclite prove. .. II Berni ha tolta questa pretensione ; ma , non avendo immaginazione, ha supplito accumulando aggettivi, sinonimi e simili; non ha corretto il mancamento, ma il verso, ch'è ormai sonoro e riempie l'orecchio. Nel tempo del re Carlo imperatore. II Berni ha qualche scrupolo storico, di cui non discuto l'esattezza, e muta: Regnando in Francia Carlo imperadore. — 311 — Corregge sempre la superficie. Non voglio però che lasciate il Boiardo scontenti: e, come transizione all'Ariosto, vi leggerò il suo capolavoro: la morie di Agricane, indicandovi le correzioni del Berni. « « » Questo episodio molti critici stimano non indegno dell'A- riosto; e il giudizio è vero, se, messa da parte la forma» >i riguardano le qualità interne e costitutive dal lavoro. Il soggetto annunzia battaglie e colpi di spada e tutti i soliti ingredienti dei romanzi cavallereschi; ma l'interesse della battaglia rimane qui soverchiato. Le tre quarte parti di ogni romanzo cavalleresco anteriore al Boiardo si aggi- rano intorno alle battaglie , trastullo delle società nascenti e delle immaginazioni fanciulle, che sono dilettate da tutto ciò eh' è fragore o spettacolo. La storia ha progredito, quan- do, lasciando le perpetue descrizioni di battaglie, ha im- preso a rappresentare la vita interna d'un popolo in cor- rispondenza con le leggi, le istituzioni, la superficie; ed il romanzo cavalleresco quando non si appaga più del mera- viglioso della forza materiale, ma rappresenta le forze e le passioni dell'animo. Dopo le battaglie, il Boiardo introduce episodii di avventure domestiche, espressioni di affetti pri- vati. Il Boiardo è sobrio di battaglie , abbondante di fatti privati. Il più alto punto del poeta e romanziere è nel riu- nire e fondere i due elementi , sicché l' interesse esterno e superficiale vada d'accordo con l'interesse interno che nasce dalle passioni umane. Questo episodio è in apparenza una battaglia. Ma l'autore ha saputo gettarvi in mezzo una piena d' affetti che ne co- stituisce il vero interesse. Non gli é stato necessario se non d'immaginare egual cortesia e pari valore ne' due ca- valieri, di l'urli generosi, senza invidia. Prima d'appartarsi li Ila foresta, si sono già conosciuti nella battaglia e si sti- mano e pregiano a vicenda. Agricane testimonia la sua — 312 - stima ad Orlando ignorando ch'egli sia Orlando, esortandolo ad allontanarsi perchè non 1' uccida. Orlando lo scongiura di lasciarsi battezzare; Agricane gli risponde con indegna- zione come ignorante d'ogni religione, e vengono all'armi. Questa è una gentile introduzione; voi siete trasportati fuori della brutalità dell' odio e dell' inimicizia. Il duello dura cinque ore e vien descritto in quattro versi. Si vede che l'autore disprezza questo tema ordinario de' poemi ro- manzeschi e s' interessa ad altro. Annotta. Agricane dice ad Orlando che chiedeva cosa dovesse farsi: — Rimaniamo qui suir erba 1' uno accanto all' altro e domani ricomince- remo all'alba — Quella gentilezza, che prima era una sem- plice introduzione , divien qui cosa seria. Si sdraiano sul- r erba per riposarsi e riappiccano il discorso che diviene un oggetto serio. Orlando esalta la bellezza della natura e cerca di chiamare Agricane alla conoscenza di Dio. La prima volta gli aveva detto: — o battezzato, o dannato — ; ora in- comincia indirettamente. Agricane comprende questa deli- catezza; entra con lui ne' particolari della sua vita; gli rac- conta che, essendo fanciullo, ruppe la testa al maestro di lettura , e che nessuno osò quindi più avvicinarglisi per paura ; che, quindi, dorma, oppure parli d'armi o d'amore ; poi, fatto più ardito, gli domanda: chi sei? sei tu Orlando? ove il sii, sei innamorato? Orlando gli risponde; e quando Agricane ha raccolto eh' è innamorato di Angelica , ecco nuovi sentimenti. Prima si rammarica, piange, freme, poi avendolo invano pregato di desistere da questo amore, s'in- gelosisce , s' infuria e lo riassalta , benché non sia che la mezzanotte. Sviluppo drammatico di sentimenti diversi. Questo «iuello, che dura tutta la notte e parte del giorno seguente, è descritto con sobrietà. Agricane combatte con furore, Or- lando con sangue freddo ; finché , arrossendo d' esser stato messo in istordigione dal nemico, non gli tiri un colpo che va dalla spalla sino all' anguinaia. Per lo più i cavalieri muoiono come cani ; ma la morte
  • »' scrittura; Tanto ciascuno «via di me paura. Bemi corresse cosi : Di^se Agrican»*: Io m'accorgo ben io Che tu vuoi della fede ragionare; Io non so che si sia né ciel né Dio. Né mai. sendo fanciul, volsi imparare; Ruppi la testa ad un maestro mio, Che pure intorno mi stava a cianciare ; Né mai più vidi libro o scrittura ; , Ogni maestro avea di me paura. L' ultima idea vien fuori più improvvisa e fa ridere. Eppure in questo episodio , il cui esame può servir ili riassunto al nostro studio sul Boiardo , ricco di forti qua- — 310 — iita, ma povero d'immaginazione e forma, si sente germo- gliar r Ariosto. Pel Pulci tutto è buffoneria ; pel Boiardo tutto e serio. Nell'Ariosto i due elementi sono siffattamente fusi, che tutti i critici hanno esitato quando si son fatti a giudicarlo ; mentre ai suoi tempi se ne volle fare un poema perfetta- mente serio per contrapporlo al poema del Tasso , al no- stro i critici r hanno tenuto come un poema perfettamente ironico. Ecco il sostanziale del poema d' Ariosto : — Nella cavalleria vi sono due parti. L' una convenzionale , che ap- partiene a que' tempi circoscritti, e comprende gli usi de' ca- valieri erranti : questa è tutta morta e soggiace all' ironia di Ariosto. Ma, accanto a questo meraviglioso sociale tran- sitorio , ci è un elemento umano immutabile, serio. Quegli individui non sentono e non si esprimono altrimenti che noi. L'Ariosto mette inesorabilmente in caricatura (e in cari- catura non grossolana come quella del Pulci), la parte so- ciale ; ma, accanto a questa parte sociale, ha posta tutta una piena di sentimenti , rappresentati con tutta la serietà con cui si rappresenta la società moderna ; e tutto questo è compenetrato e fuso , sicché le diverse parti formino una sola personalità organica. Nel Cervantes abbiamo da un lato Don Chisciotte che rappresenta la parte ridicola e dall'altro delle novelle che rappresentano la parte seria. In Ariosto le due parti sono fuse. Questo poema è l' ironia del maraviglioso sociale ca- valleresco (soggetto de' poemi eroici), mista ad un elemento affermativo. Il poema epico ha luogo quando tutta la vita d'un popolo è poesia. Cessato questo periodo, la poesia si ri- fugge neir individuo , tra le pareti domestiche e nasce il Romanzo. In quei tempi l'Epopea se ne andava, cominciava il Ro- manzo; e la gloria dell'Ariosto è d'aver saputo fondere epo- pea e romanzo. - 317 - 3. L'Orlando furioso. Nelle lezioni suU' Orlando furioso il De-S. esponeva il passaggio psicologico dalla concezione del Boiardo a quella d ell' Ariosto. È vero cbe l'Ariosto non ha inventato nulla, o quasi. Ma il lavoro dell'Ariosto" comincia proprio dove comincia la poesia: ed ivi co- mincia la sua grandezza „. La posizione ch'egli prende verso la ma- teria cavalleresca è tutt' altra da quella del Boiardo : la forma è creazione sua. Il De-S. dava alcuni esempii di piccole correzioni fatte dall' Ariosto: " Certe minute correzioni ne' caratteri, e fino ne' nomi, bastano a mostrare il suo buon gusto. Ha cambiato /?o- dantofte in Rodomonte Quell'allineamento di o esprime a meraviglia il carattere sostenuto e fiero del personaggio. Ferraguto è diventato Ferraii , gittando via le grucce dell'ultima sillaba: etc. etc. ,.. En- trava quindi a indicare i carat teri della forma ariostesc a. La quale, più ancora che chiara, dev e dirsi limpida: ha naturalezza, ed h a la faeilità. segno della potenz a. " L'Ariosto ha realizzata la forma poe- tica nella sua eccellenza : ha raggiunto quello che potrebbe chia- marsi Utopia estetic a, la compinta n^e desimezza della fo rma coii*^ l'idea „. Merita di essere rilevata la formulazione della teoria desanc- tisiana d-lla forma eh' è implicita in questo ^in<^izio: "La form* è lo specchio della idea. Un bambino, vedendo uno specchio, corre colle ìpimi per atte rrare lA persona e ne vi vede: non esìste per lui il vetro. La form a più perfetta è quella che non vi arresta, che voi non credete forma, l. espressióne suoLjBsser£]come uno specchio co- perto dTlnacchìe. Il pensiero, passando attraverso di esso, viene al lettore auajBlàguasto, tratfito , dimezzato. Rarissima è la forma y senza macchia. Omero ed Ariosto, traT~grandi poeti, non hanno ly^ pregiudizii e preoccupazioni ; e sono perfeiLiXoeute ogyrt/f pi ,. Il tono del poema dell'Ariosto è semplice e spedito, tono di conversazione, che rende possibile il toccar tutti i tasti e l'adoprare ogni sorta di linguaggio. L'Ariosto ha trovato la vera ottava italiana: forma- ci sul Poliziano, ha liberato l'eleganza di questo da un certo che monotono e d'impacciato. " Del Tasso riterrete sentenze e versi ; dei- Ariosto ottave intero ; le sue ottave sono veri e ricchi periodi. „ ii De-S. esponeva poi l'ordito dell' 0/7aN 'epico: " le forze individuali riunite e disciplinate in uno scopo so- ale .. E il cavaHere«eo: " le forze individuali sciolte ed operanti lascuna pT suo conto.. E soggiungeva che, come c'è il cavalle- y - 318 _ reSCO dell'azione, così ^^ò__ivn pavallcroapf) <^el_HPnt,inr^ultn Pi Hfllla passione : il sentimento e la passione clje s'impossessano esclusiva- Tiiente dell' animo e scorrono sbrigliati e a precipizio. L' Ariosto rappresenta seriamente la macchina epica del suo poema ; ma , in ultimo, la discioglie con l'ir onia; e co n l' ironia scioglie il cavalle- ragt^n ^ftlv^nd^^i esso j ìiò— chg è umano , e materia del romanzo moderno. Abbiamo dato qui per brevissimi accenni il contenuto di questa parte generale dello studio huW Orlando, per cui si cfr. Storia della letteratura, II, 1-46. Diamo ora una serie di brani che conten- gono tracce di analisi di singoli caratteri ed episodi! del poema. ] § 1. L'angelo Michele. L3Ì L'intervento di Dio non è serio nell'intenzione dell'Ario- sto; ma e un'ironia delle macchine epiche. Ironia non chia- i-amente spiegata, che non giunge sino alla satira; quasi voi non ve ne accorgete ; essa consiste nel dir famigliarmente cose che, dette seriamente, sarebbero poetiche; nell'usare il tono famigliare conveniente al fondo prosaico del pensiero. Anche il Tasso descrive una processione ed una preghiera de' cristiani a Dio, ma come elevato il suo tono, che lascia trasparire la sua commozione! Sulle labbra dell'Ariosto v'è un sorriso. Mostra l'ironia, parlando di queste cerimonie come di mere forme , di pratiche esterne , di cose abituali e senza importanza. Chi penserebbe a trovare esaltazione nel modo in cui dice che l'imperatore fece celebrar messe in Parigi?: L'imperatore, il dì che il dì precesse l>ella battaglia, fé' dentro a Parigi, Per tutto celebrare ulfici e messe A preti, a frati bianchi, neri e bigi ; E le genti che dianzi eran confesse , E di man tolte agi' inimici stigi, Tutte comunicar, non altramente Ch'avessino a morire il dì seguente. È il tono più famigliare, ordinario, indifterente: ed in que- sta familiarità, ordinarietà e indifferenza sta appunto l' ironia. — 319 — Segue la preghiera di Carlomagno : qui l' ironia comincia a svelarsi anche nel tono triviale e nelle cose dette. La pre- ghiera, presa sul serio, è ciò che v'ha di più lirico, come la preghiera di Margherita alla Madonna nel Fausto , o di San Bernardo in Dante. Ma qui Carlomagno comincia col voler persuadere Dio che, aiutando lui, Carlomagno, farà bene a se stesso. — Se non m' aiutate , perderete i vostri partigiani. — È un argomento preso dall'utile. Finisce con ragioni da bottegaio, con un calcolo aritmetico; e la trivia- lità dell'espressione risponde alla trivialità del concetto. Ecco come Dante esprime un'idea analoga: Orribil fnron li peccati miei, Ma la bontà ìnfìoita ha sì gran braccia Che prende ciò clie si rivolge a lei. Qui si sente la serietà dell'espressione. Carlomagno sparisce e viene in iscena Domineddio in per- sona. Non vi è cosa più imbarazzante del dover far par- lar Dio. Se dite che comanda col sopracciglio, il Giove o- merico divien sublime. Ariosto fa parlar Domineddio a Mi- chele come un cape d' affari parla ad un commesso, abiet- tamente: digli da parte mia è il modo più triviale della lingua: e l' Angelo esegue più abiettamente le commissioni l T/ ironia, in tutto questo, è sempre nel tono. V'ho detto che, se l'autore conserva però un certo che d'e- legante, può elevarsi, quando occorre, senza nulla di brusco. L' Ariosto sin qui ha raccontato familiarmente ma sempre con eleganza; onde, quando comincia ad uscir dal fatto qual- cosa di poetico , può cambiar tono a un tratto. Quel tri- vialissimo Angelo, lasciato appena il cielo, è una figura ap- partenente al mondo d'Immaginazione dell'Ariosto ; la forma l'espressione divengono sublimi: Dovunque drizza Michel' angel l'ale, Fuggon le nubi, e toma il ciel sereno; Gli gira intorno un aureo cerchio, quale Veggiam dt notte lampeggiar baleno. — -^20 — Questo tono elevato riesce tanto più sensibile, in quanto contrasta co' versi precedenti e seguenti. Dopo avere stri- sciato, si leva ad un tratto. L'Ariosto è sobrio quando dee rappresentare le parti poe- tiche ; ma poi ritorna al tono precedente : l' ironia a poco a poco va fino alla satira. Di naturale il tono divien co- mico e faceto. L' Angelo comincia un ragionamento sul dove trovare il Silenzio, e finisce per dire, con convincimento, che dev'essere nei monasteri dove sta scritto dappertutto. II co- mico è fin tutto relativo all'angelo. Non è silemio q^iivi... L'ironia sarebbe solo nel fatto: E gli fu ditto Che non v' abita più, fuorché in iscritto. Qui l'ironia si svela; il poeta intende di farvi ridere, e non abbandona più questo campo. Il non trovare il Silenzio è meraviglia per l'Angelo. Avea pensato di trovar con quello altre virtù e non solo non ve le trova, ma vi trova i vizii contrarli : e quel riso mutasi nel riso amaro dell' indegna- zione : Né Pietà, né Quiete, né Umiltade, Né quivi Amor, né quivi Pace mira. Ben vi tur già, ma nell'antiqua etade ; Che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira, Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade. Qui è come un uomo che, vedendo una cosa riprovevole, ma d'apparenza ridicola, prima ride e poi s' indigna. Ritorna il ridicolo, ridicolo obiettivo nelle impressioni del- l'Angelo. L'Angelo, meravigliato nel trovar ivi la Discordia, che credeva di dover cercare in inferno, è rappresentato nel modo più atto a provocare il riso : Pensato avea di far la via d'Averne, Che si credea che tra' dannati stesse; E ritrovolla in questo nuovo inferno, (Ch'il crederia?) tra santi uffìcii e messe. — 321 — Con che abilità ha serbato quel contrasto per l'ultimo: ^a santi ufficn e messe. Ariosto ha qui introdotte figure allegoriche; di solito, s'introducevano figure mitologiche, che erano personificazioni rettoriche, freddamente riprodotte. Nel Voltaire i personaggi allegorici sono ridicoli e freddi, perchè si conducono come esseri viventi. L'Ariosto, con giudizio e misura ammirabili,, s'è limitato alla parte scultoria; a dar loro faccia, e faccia tale che stia in rapporto con le passioni che essi rappre- sentano. Bellissima d' originalità è la forma della Discordia, co'ca- pelli sconvolti che aver pareano lite; e quando poi dice: Avea dietro e dinanzi e d'ambi i lati Notai, Procuratori et Avvocati, il riso diviene irresistibile, e cessa quel non so che d' in- concreto che rimaneva. È la Discordia realizzata negli uomini. A'suoi tempi non erano ancor sorti i gesuiti: ma l'Ario- sto ha saputo indovinarli e rappresentarli nella figura della Fraude, che è il ritratto dell' ipocrita. È impossibile imma- ginar quanta destrezza e varietà di toni v'impieghi. — Sul principio, il poeta è pieno di grazia e soavità : Avea piacevo! viso, abito onesto, Un umil volger d'occhi, un andar grave Fin qui la figura è piacevole, il tono gi*azioso. Poi comin- cia a caricar la mano e vi mette in cospetto della cari- catura : Un parlar si benigno e si modesto, Che parea Gabriel che dicesse: Ave. Dopo avervi cosi condotti col persi flage, passa alia se- conda parte: al pi-orompere dell'orrore interno e del di- ■'■isto: Era brutta e deforme in tutto il resto. Ma nascondea queste fattezze prave Con lungo abito e largo; e sotto quello, Attossicato avea sempre il coltello. De Saxctib — Montoni e tcritti varii. SI - 322 - Comincia graziosamente e finisce tragicamente. La stessa potenza realizzatrice troverete nelle altre cose. La Casa del Sonno è realizzata con tutte le qualità conve- nienti all'eminente personaggio che vi soggiorna. L'ironia, prima nascosta nella ordinarietà dell'espressione, a poco per volta se ne distriga, s'en degagé, prende forza, divien facezia, indegnazione, sarcasmo, e finisce in buff'oneria, quando Michele prende a calci e pugni la Discordia, e, man- cando di rispetto alla Croce, piglia una croce per bastonarla: E pugni e calci le die senza fine. § 2. Rodomonte a Parigi. A mostrare come l'Ariosto sciolga coli' ironia l'elemento epico, guardiamo alla grande battaglia del poema: l'assalto di Parigi. Comincia in modo serio, in tuono di storico. Carlomagno fortifica Parigi ne' punti deboli; Agramante fa i preparativi opportuni. Non v' è qui quella spensieratezza e mattezza in- dividualistica, che fa il fondo della cavalleria. Il poeta non sente ancora interesse estetico, perchè l'interesse cavalleresco non è ancor desto, e perciò scherza. Quando, descrivendo le ferite che fa Rodomonte salito sulle mura parigine, dice: Or si vede spezzar più d'una fronte, Far chieriche maggior delle fratesche, Braccia e capi volare, e nella fossa Cader da' muri una fiumana rossa; si vede che vuol far dello spirito. Più in là, getta nel fos- sato un Morchino, che non adorava altro che il vino; il poeta dice: "Or quivi muore; e quel che più l'annoia E il sentir che nell'acqua se ne muoia- 323 Rodomonte, alla testa delle sue migliaia di uomini, è un capitano alla testa delle sue schiere; non ha nulla ancor di ; cavalleresco. I suoi danno la scalata; è curioso veder come Ariosto la concepisce. Ti slete mai trovato in una folla costretto ad urtar chi vi precede perché urtato da chi vi segue ? Spinge il secondo quel che innanzi sale, Che il terzo lui montar fa suo malgrado. È una maniera comica: il meraviglioso non s'è ancor svi- luppato, si sviluppa quando s'esce dalla condizione storica. Rodomonte è cattivo generale: spicca un salto dal primo muro sul secondo; ma i suoi, da semplici mortali, scendono nel fossato, dove i Cristiani ne uccidono undici mila e ven- totto. Siamo fuori delle condizioni ordinarie e reali ; preci- I pitìamo nell'assurdo cavalleresco. L'impressione dell'autore si rivela nello stile : ha avuto innanzi sei versi di Dante : Diverse lingue orribili favelle, ecc.; ma ha imitato rima- nendo Ariosto. Modifica idee ed armonie, secondo la situa- zione. Ciò che per Dante e tumulto , è per Ariosto un' ali- monia: le strida umane e il crepitar delle fiamme si ac- cordano. Ne' versi di Dante, ricchi e piene d' idee, non v'è compassione ma orrore: Ed io cb'avea d'orror la testa cinta. Ariosto compatisce quegli infelici. Ha mollezza di suoni melodia: si vede che ha innanzi un sogno, non una realtà. Per Dante tutto è serio; Ariosto cerca d'abbellire e di ad- ' dolcire : Aspro concento, orribile armonia D'alte querele, d'ululi e di strida Della misera gente che peria Nel fondo per cagion della sua guida, Istranamente concordar a'udia Col fiero suon della tìamma omicida.... H, se volete misurar tutta la distanza fra il poema dan- - 324 — tesco appassionato e rude, e questo poema dell' immagina- zione, leggete i due versi che chiudono quest' ottava : Non più, Signor, non piìi di questo canto; Ch'io son già rauco, e vo' posarmi alquanto. Questo incendio è il piedestallo creato a Rodomonte, che esce dalle condizioni storiche; è solo, in una città di due- centomila abitanti; i suoi sono arsi: la situazione creata dal poeta per l'eroe è assurda di sublimità; o, se vi place, sublime di assurdità. Il primo movimento di Rodomonte , quando Bivolge gli occhi a quella valle inforna, è un alto grido di bestemmia e rabbia. C'interessiamo a lui; fa dimenticar tutti i combattenti: la battaglia divien lo sforzo d" un solo. Ma l' autore gli volge le spalle ; torna alla guerra, ad altre avventure; va assaporando lentamente il soggetto: lascia per cinque canti Rodomonte in Parigi. Sopravviene un nuovo elemento. La moltitudine, che nei poemi cavallereschi è la vile canaglia , "pecore e zebe , ha vita drammatica in Ariosto perche sola contro Rodomonte. Tutti gl'impotenti e gli inermi stavano in piazza quando Rodomonte, presentandosi, li sbigottisce. Succede un grido universale, una fuga universale. È una delle magnifiche ot- tave ariostesche: prima cupa, poi tenera e tumultuosa e fi- nalmente ridicola : Quando fu noto il Saracino atroce All'arme istrane, alla scagliosa pelle, Là dove i vecchi e '1 popol men feroce Tendean l'orecchie a tutte le novelle, Levossi un pianto, un grido, un'alta voce, Con un batter di man che andò alle stelle; E chi potè fuggir non vi rimase, Per serrarsi ne' templi e nelle case. - 325 - Che fa Rodomonte ? Px'odezze ? No : fa il guerriero artista. Si diverte sulla moltitudine a dar dei colpi estetici : Qui fa restar con mezza gamba un piede, Là fa un capo sbalzar lungi dal busto: L'un tagliare a traverso se gli vede, Dal capo all'anche un altro fender giusto... Quel giusto vi esprime il voler di Rodomonte: — voglio fare questo colpo in questo modo — : E di tanti che uccide, fere e caccia, Non se gli vede alcun segnare in faccia. Scoppia r infinito disdegno de' poeti cavallereschi per la moltitudine tenuta per men che niente. L'Ariosto, con un tratto sanguinoso, le dà un brevetto di canaglieria: Quel che la tigre dell'armento imbelle Ne campi ircani, o là, vicino al Gange, '1 lupo delle capre e delle agnelle Nel monte che Tifeo sotto si frange; Quivi il crudel pagan facea di quelle Non dirò squadre, non dirò falange, Ma vulgo e populazzo voglio dire, Degno, prima che nasca, di morire. Ma questa moltitudine non è composta di pecore e zebe, ma d'uomini. L'autore, che collettivamente la disprezza, s'inte- nerisce neir analizzarla: Religion non giova al sacerdote. Né la innocenzia al pargoletto giova: Per sereni occhi o per vermiglie gote Mercè né donna né donzella truva. ... Vi è qui , come in doppia faccia , la moltitudine nel senso cavalleresco e la moltitudine nel senso umano. Che farà ora Rodomonte? Continuando, oltrepasserebbe i — 326 — limiti. Questi tratti bastano; egli giunge a produrre tal fra- gore da svegliarci e da farci avvertire l'ironia: Signor, avete a creder che bombarda Mai non vedeste a Padova sì grossa, Che tanto muro possa far cadere Quanto fa in una scossa il Re d'Algiere. Il poeta lo riabbandona per occuparsi d'altro. In una tragedia di Voltaii'e noi sentiamo Clitennestra , trascinata fuori della scena pe' capelli dal figliuolo che vuole ucciderla, gridare ed esclamare: Avrete! E questo matri- cidio, lontano dagli spettatori, ha un'azione estetica molto maggiore che se passasse sotto i loro occhi. Rodomonte, che rimanendo in iscena diventerebbe ridicolo, diviene terribile per gli effetti che produce quando li indovinate indiretta- mente. Uno scudiero, ansante, mezzo insensato, impressionato, corre a chieder soccorso a Carlomagno; è una delle più belle rappresentazioni dell' Ariosto : A lui venne un scudier pallido in volto. Che potea appena trar del petto il fiato : Ahimè ! Signor, ahimè ! replica molto, Prima eh' abbia a dir altro incominciato : Oggi il romano Imperio, oggi è sepolto ; Oggi ha il suo popol Cristo abbandonato: Il Demonio dal cielo è piovuto oggi, Perchè in questa città più non s' alloggi. Tutto r avvenuto non raccontato vi si presenta in lonta- nanza. Carlo Magno viene in Parigi con un esercito. Rodo- monte in faccia alle moltitudini era una situazione esaurita. Quando, mentre Oreste sta sparlando d'Egisto, costui com- parisce cinto di guardie, l'uditorio rabbrividisce, e bisbi- glia: — zitto ! — Questa è l'impressione che ha qui l'autoi'e: un momento solenne d' aspettazione. Si mette a guardare Rodomonte : lo atteggia come una statua : lo ammira belio. - 327 — Solo nella piazza, sta innanzi ad una casa in cui s'era ricoverata la folla fuggente : Rodomonte, d'orgoglio e d' ira pazzo, Solo s'avea tutta la piazza presa ; E l'una man, che prezza il mondo poco, Ruota la spad.i, e l'altra getta il fuoco. Le turbe gli gettano addosso quanto trovano , non per ef- fetto del coraggio ma della paura : hanno in volto il pallor della morte. È notabile l'agitazione e il gridar delle turbe, e la calma di Rodomonte, che vede pur venire Carlo Magno : Sta sulla porta il re d'Algier, lucente Di chiaro acciar, che '1 capo gli arma e '1 busto.... È r estetico del terribile. L' autore passa ad altro ; le sue interruzioni non sono arbitrarie : esaurita una situazione , egli s'interrompe prima di cominciarne un'altra. I Paladini scagliansi su Rodomonte. L' intei*esse è nella moltitudine che, aiutata, divien coraggiosa : Ognun prende arme, ognuno animo prende. Rodomonte s' ingi'andisce di tutto il suo pericolo : non aveva ancora incontrata resistenza nella realtà. L' autore gli fa un risolino in faccia; analizzando graziosissimamente la si- tuazione, fa che Rodomonte concepisca per la prima volta questo pensiero : — bisogna ritirarsi — : e la ritirata 1' in- grandisce anche più : Rivolge gli occhi orribili e pon mente Che d'ogni intorno sta chiusa l'uscita Va vei*so la Senna a passi lunghi e tardi e, prima di get- tarvisi , si scaglia ancora fra i nemici e ne leva di mezzo altri cento. Si salva, e questa fuga l'ingrandisce ancora: Poi che fu giunto a riva, gli dispiacque, Che si vide restar dopo le npalle (Quella città eh' avea trascorsa tutta, £ non r avea tutt' arsa, né distrutta. — 328 — Quest' episodio è preso dal Boiardo ; ma in questo era un semplice abbozzo. § 3. Alcina. Ma se nell'Ariosto l'azione epica svanisce, dalle rovine di essa s'innalza il mondo cavalleresco, ossia l'anarchia delle forze individuali, eh' è la parte viva ed attraente del poema. Il mondo cavalleresco ha un proprio elemento sopranna- turale, le fate, così sbiadite nel Boiardo, che non ha saputo cavarne partito. Le fate rappresentano le forze interne del- l' animo. C è un guerriero, tolto al solito dal Boiardo, in cui l' A- riosto ha rappresentato la lotta di queste forze: Ruggiero. In questo personaggio è alcunché dell'Achille omerico : voler rifare l' eroe omerico è stato l' incubo dei poeti italiani. Ma non ci sono riusciti. In Ruggiero vi sono due uomini : il materiale ed il poe- tico. Atlante ed Alcina rappresentano le potenze sensibili e concupiscibili dell'uomo: Bradamante e Melissa le potenze spirituali. Anche in Omero le divinità rappresentano le pas- sioni umane ; ma sono introdotte come persone reali. Da una parte stanno Bradamante e Melissa, che rappre- sentano l'istinto della gloria, l'amor puro; dall'altra. Atlante, la parte prosaica, l'amore ignobile della vita, ed Alcina, la concupiscenza. Alcina non e una creazione d'una bellezza assoluta. Ha un gran vizio; è una figura quasi allegorica, e non possiede tutto il rigoglio della vita individuale. Se volete sapere che cosa le manchi, ricordatevi di Armida, tanto popolare perchè dietro la maga vi appar la donna, dietro l'allegoria la per- sona ; non è solo una maga ìncantatrice, ma una donna ap- passionata , che ama Rinaldo e lo mostra quando n' è ab- bandonata, quando rinviene e si trova sola e in poche pa- role rivela tutti i suol sentimenti : priuia piange, poi s' ar- — 329 — rabbia, poi vuol vendetta, poi dispera. Fa vibrai'e ben altre corde. Ma questo è un campo ancora nuovo per l'Ariosto; e un ulteriore sviluppo dato dal Tasso alla poesia italiana. Ariosto rimane in un puro campo d* immaginazione. Al- cina non ha bellezza propria come Armida ; ed apparisce magicamente bella, ma in realtà è brutta. Non ha di quei sentimenti che costituiscono la passione ; è una vecchia li- bidinosa; perduto Ruggiero, s'irrita per dispetto. Non può destarle interesse ed emozione seria , ma una emozione di pura immaginazione che non to^ca il cuoi'e. Nessun poeta ha capito meglio dell' Ariosto ciò che voleva fare e 1' ha meglio eseguito. Non restano che le forme esterne , e qui le descrizioni. Quattro sono le principali : un mirto parlante ; un giardino ; la bellezza di Alcina ; Ruggiero che aspetta Alcina nel letto. Astolfo fa il suo ingresso trionfale sulla scena trasformato in mirto. Alcina , dopo averlo avuto per amante , sazia , l' aveva trasformato a quel modo. Questa trasformazione ha lo stesso significato delle trasformazioni di Circe. Ariosto , nel rappresentare un uomo trasformato in albero , ha avuto innanzi niente meno che Dante. Ma anche qui fra le due rappresentazioni vi è la differenza che passa fra una cosa seria ed una buffoneria. In Dante, quel : come d' un stizzo verde, ecc., è uno de' luoghi che fa più raccapriccio ; lo stizzo verde che arde e cigola, le parole e il sangue, spaventano, e quasi sgomen- tano: il sentimento del meraviglioso è sopraffatto dal sen- timento dello spavento. Ariosto ha scartato il tragico, descrive un bel fenomeno: è rimasto Ariosto : Come ceppo talor, che le medoUe Rare e vote abbia, e posto al foco sia, Poi che per gran calor quell'aria molle Resta consunta che in mezzo l'empia, Dentro risuona e con strepito bolle Tanto che quel furor trovi la via ; Cosi murmura e stride e si corracela Quel mirto offeso, e aitine apre la buccia. — 330 — Il conciso di Dante va al cuore ; questa larga esposizione non vi lascia sentire il tragico. Quando Pier della Vigna apre la bocca, parla da uomo offeso ; vi fa pietà : Perchè mi scerpe?; voi sentite le membra dell'uomo strappate sotto i rami dell' albero. Astolfo parla da leggiadro paladino : Onde con mesta e flebil voce uscio Espedi tii e chiarissima favella, E disse : Se tu sei cortese e pio, Come dimostri alla presenza bella.. .. Voi vedete 1' uomo leggiero e vanitoso. Basta questo breve paragone. — Astolfo ammonisce Ruggiero; ma Ruggiero non tien conto dell'avvertimento. Tre sono i giardini poetici italiani: quello del Poliziano, quello d'Armida, questo d'Alcina, eh' è una miniatura. È un giardino molle ed effeminato: Qui dove con serena e lieta fronte Par cb'ognor rida il grazioso Aprile, Gioveni e donne son : qual presso a fonte Canta con dolce e dilettoso stile : Qual d'un arbore all'ombra In Alcina l'Ariosto ha voluto rappresentare la semplice bellezza materiale delle forme , senza grazia o leggiadria. Laura, Beatrice corporalmente sono appena indicate; Alcina è una prima manifestazione del realismo nella poesia ita- liana. Quest'analisi è una specie di anatomia della bellezza materiale: il poeta descrive Alcina dalla chioma fino a'piedi. Il Lessing ha censurato questa descrizione come troppo ma- teriale; ma la materialità è qui il segreto della poesia (1). La finta bellezza di Alcina non può essere rappresentata se non quasi facendone 1' inventario. Ruggiero aspetta Alcina preso da un solletico seraplice- (1) Vedi il Laokoon, § 20. — 331 — mente sensuale, non da amore. È benissimo descritta la sua impazienza. Alcina e vinta da Melissa, che libera tutti i conversi in fonti, in fere, in legni e in sassi e fra questi anche Astolfo. È un fenomeno curioso ed osservabile che la virtù sia quasi sempre prosaica. Melissa non ha forma o figura determi' nata ; Alcina è presente ad ogni memoria di lettore del- l'Ariosto. Perchè ci fa impressione come uomini estetici quello che sprezziamo come esseri morali ? Perchè la virtù si suol rappresentare come dovere, perchè se ne fa la ne- gazione delle passioni ; onde si rappresenta di essa non il positivo ma il negativo. Questo è il difetto del Paradiso e del Purgatorio dantesco, per questo l'Inferno ha mag- gior interesse; l'uomo, nella Commedia, va spassionandosi a poco a poco, finché rimanga un puro spirito, cioè un'a- strazione. Alcina ha, in certo modo, una vita interna ; quindi v' in- teressa. Melissa è senza passioni, fa quel che fa perchè deve farlo ; senz' amore , sdegno , odio ; spassionatamente. Il vii^ tuoso ha le passioni della sua virtù , vedendo uno svergo- gnato che presume di squadrarlo, gli ribolle il sangue (Dante con Filippo Argenti ) : la virtù diventa allora' poetica. Me- lissa è un instrumento prosaico , impiegato dal poeta per esprimervi una idea ; pure, a voi deve esser cara come ì>e- nefattrice d'Astolfo, che per lei ridiventa uomo. § 4. Astolfo. Il damerino Astolfo , provvisto di un libretto de' rimedii degli incanti , della lancia d'oro che atterrava tutti , d' un cavallo alato e di un corno che, a sonarlo, fa fuggir di paura chiunque sente quel suono, diviene l'organo dell'immagina- zione in questo poema ; è nel cavalleresco quello che Dio , — 332 — San Michele e la Discordia sono nell'epico ; ó la macchina soprannaturale, è un uomo destinato a grandi imprese. L'azione epica è l'assedio di Parigi ; l'azione cavalleresca, la pazzia d'Orlando ; mezzi soprannaturali liberano Parigi : mezzi soprannaturali rinsaviscono Orlando : e' è una mac- china epica ed una macchina cavalleresca. Astolfo, il buffone del Pulci, il damerino del Boiardo , diventa qui il braccio di Dio! L'azione epica succede intorno Parigi, e Astolfo si diverte a viaggiar suU' ippogrifo. Gli altri guerrieri lasciano Parigi, incontrano avventure e vi ritornano; lui se n' è dimenti- cato ; è come un hors-d' -oeuvre ; è l' espressione più com- piuta del bisogno che abbiamo di gettarci nel fantastico quando la realtà ci par troppo angusta; quel bisogno che vive sempre nella plebe , fanciullo perpetuo , straniero alla civiltà, che tanto più s' appassiona pel meraviglioso quanto meno comprende la realtà, e vive nei ragazzi, che vi ren- derete sempre amici coi racconti fantastici. Il tempo e lo spazio non hanno ragione sopra Astolfo : egli ha unificato la realtà e l' immaginazione. Il corno vi dai^à situazioni comiche, giacché il poeta scher- za con questa macchina e vi getta sopra la sua ironia. A- stolfo viaggia con altri compagni in una terra dominata dalle donne, che non volevano conceder loro di passar oltre ; essi risolvono di aprirsi a forza una via; non riuscendo loro, A- stolfo ricorre al corno. È una delle più stupende descrizioni degli eifetti comici della paura, che accieca e fa cader spesso dal pericolo immìiginario nel reale. E l'autore dice: bene sta: questi sono plebe e fuggono, la paura è natura nella lepre. Ma Marfisa, Guidone, tutti que' famosi guerrieri, scappano anch'essi. Marfisa spaventata, i cavalieri pallidi e tremanti sono epiteti che colpiscono, perchè presentano idee che sem- bravano impossibili anche in sogno. Astolfo giunge in Nubia e trova il Senàpo punito del so- verchio orgoglio con la cecità, e con le visite delle Arpie che, quantunque volte si metteva a mangiare, venivano, o — 333 — parte sporcavano, parte divoravano ogni cosa. Una profezia diceva che il Re ne sarebbe liberato da un cavalier volante. Astolfo vuol cacciarle con la spada, ma invano; ricorre al eorno; suona, e quelle fuggono; le perseguita fino alla buca dell'inferno in cui si cacciano. L'immaginazione esaltata trova angusti i confini della terra. Molti, specialmente inglesi, s'avventurano nel cratere del Vesuvio, cingono funi alla vita e sotto le ascelle e si fanno calar giù dalle guide; finche, respinti dai miasmi mefitici, dalla puzza di zolfo, si facciano cavar fuori. Tal' è la buca infernale in cui si ficea Astolfo , pensando : — Di che ho a temere? Mi posso aiutare sempre col corno! — : Farò fuggir Plutone e Satanasso, E '1 can trifauce leverò dal passo. Dopo pochi passi, il fumo lo costringe a battere in riti- rata. L'inferno e qui divenuto ridicolo, ma la caricatura e più netta nella rappresentazione delle anime infernali. Una ombra, interrogata, risponde ad Astolfo, che li sono tutti gli amanti crudeli, tutte le amanti sorde. Respinto dall'inferno, Astolfo vola sopra un' alta monta- gna in cui trova il Paradiso terrestre. Il poeta comincia con una magnifica descrizione : qui sono tutte le bellezze della terra idealizzate ; quel paese meraviglioso , queir età dell'oro che ogni uomo immagina, e chi la pone nel pas- sato e chi neir avvenire. Anche Dante ha descritto un pa- radiso terrestre; ma per lui tutto e austero, non v' e nulla di voluttuoso come in Ariosto. L'immaginazione popolare, per rappresentare bella una cosa , la paragona a ciò che crede esser più bello; le gemme sono per lei l'ideale della bellezza e l'Ariosto cosi rappresenta il Paradiso terrestre: Zuffir, rubini, oro, topazi e perle E diamanti e crisoliti e iacinti Potriano i fiori assimigliar che per le Liete piagge v'avea l'aura dipinti...^ — 334 — Non guarda alla spiritualità della bellezza, materializza , v' insinua una certa morbidezza, una certa voluttà. Astolfo incontra San Giovanni evangelista, che l'informa della sua missione: — Ti credi un buffone? No, sei un grand'uomo. — Gli danno una bella stanza per la notte, e biada per F ip- pogrifo, e gl'imbandiscono pomi così squisiti che Astolfo trova scusabili Adamo ed Eva. Ecco dove va a finire questo Pa- radiso terrestre : De' frutti a lui del Paradiso dlero, Di tal saper, eh' a suo giudicio, sanza Scusa non sono i due primi parenti, Se per quei fur sì poco ubbidienti. Soddisfatti i suoi bisogni naturali, Astolfo va con San Giovanni nella Luna, Nasce una delle invenzioni originali dell' Ariosto. È originale non 1' invenzione del salir nella Luna, ma il crear il mondo della Luna, dandogli un signi- ficato speciale. Un viaggio nella Luna costituisce 1' oltreter- restre, cui ricorrono i poeti per fissar 1' attenzione nell' in- finito. Per es. , «bellezza divina» è una forma indetermi- nata necessaria ai poeti per esprimere ciò che veggono in un mondo superiore; ma non possono determinare, devono rimanere nel vaporoso. Nessuno ricorda come Dante abbia determinato Giove, Marte o Saturno ; del Paradiso dantesco vi rimangono i caratteri generali dell' oltreterrestre. L' oltreterrestre non serve solo a rappresentar l' ideale , ma anche la vita terrena satiricamente: i poeti hanno im- maginati altri mondi per mettervi la caricatura del nostro. Voltaire, in un saporitissimo romanzetto, «.MicromégasT^, in cui rappresentando un abitante di Sirio che viene in terra con un abitante di Saturno, ridicoleggia i dotti contempo- ranei, adopera il metodo contrario al metodo dantesco: scende a tutti i più piccoli particolari. Il riso poetico nasce dal met- ter l'accidente contro l'essenziale, dandogli l'importanza di questo. In Ariosto e' è una Luna particolare , rappresentata con intenzioni satiriche. Astolfo, nella Luna, vede il mondo a ro- — 335 — veseio, la realtà contraria all'apparenza : trova la Luna gran- dissima ed appena scerne la terra aguzzando gli occhi. Lamartjne espone le impressioni provate su di una mon- tagna, e si lancia nell' intìnito ; e si trattava di una mon- tagna : che sarebbe stato se si fosse trattato della Luna I Ma r Astolfo dell' Ariosto non trova in tutto ciò se non una stranezza. Nella Luna immaginano abitatori ; il poeta non se ne occupa ; dice con indifferenza ch'erano simili a quelli della t^rra. Astolfo, che non era ito lì per considerare il meraviglioso lunare , s' avvia per cercare il senno di Or- lando. Ariosto suppone che nella Luna si fabbrichino le vite umane, e che quindi vi si trovi tutto quello che qui si perde. Il comico sta nel rappresentare la miseria del mondo, in cui si perde, senza che la gente se ne accorga, tanta roba : Le lacrime e i sospiri degli amanti, L' inutil tempo che si perde a giuoco , £ l'ozio lungo d' uomini ignoranti, Vani disegni che non han mai loco Perche Astolfo possa veder tutte queste cose, l'autore ha dato loro delle forme : alcune chiarissime e piene di senso : un mucchio di vesciche gonfie sono i regni perduti da' prin- cipi orientali; alti*e sono immagini popolari, usate simboli- camente. Ci è il proverbio : « ho perduta la minestra » , nato dall'uso de' monaci di dispensar minestre a mezzogiorno che vengono pagate con preghiere dai poveri ; e significa : «ho fatto un benefìzio senza frutto»: un gran mucchio di minestre versate rappresenta le elemosine postume. Diciamo d'una donazione fatta con cattivi fini, che «essa puzza». La donazione di Constantino è rappresentata da un gran muc- chio di fiori già odorosi, ora puzzolenti. In queste immagini e' è attualità , non nelle altre che rimangon sbiadite. Poi giunge dov'era il senno: ma prima finisce l'elenco delle cose perdute con un tratto di spirito : E vi 8on tutte l'occorrenzie nostre : Sol la pazzia non v' è poca né a«sai , Che sta quaggiù, nò se ne parte mai. - 336 — II senno è una specie d'etere, chiuso in ampolle. Astolfo trova il suo proprio senno e lo riprende : Astolfo tolse il suo, che gliel concesse Lo scrittor dell' oscura Apocalisse... Presa la grossa ampolla del senno d' Orlando , prima di lasciar la Luna vanno a veder la fabbrica delle vite umane. Segue la riproduzione della favola delle Parche. Fin qui non v' è comico, ma il fondamento del comico. Un vecchio, il Tempo, porta via que' velli. Astolfo ne vede uno tutt' oro. San Giovanni gli dice che quello avrebbe principio vent'anni prima dell'anno che si nota con l'M e col D. Chi era que- sto grand' uomo che doveva nascere nell' anno profetato ? Uno dei grandi minchioni del tempo: Ippolito d'Este. Astolfo comincia a cantarne le lodi. Come il poeta ride della sua invenzione , come deride sotto i baffi il cardinale ! Ariosto suppone d'avere un'innamorata, e le parla cosi: — Orlando ha perduto il senno ; anch' io 1' ho perduto ; chi andrà a prenderlo in cielo per me! — e dice che non crede che .sia nella Luna: Chi salirà per me, Madonna, in cielo A riportarne il mio perduto ingegno ? Tempo curioso in cui potevano concepirsi e gustarsi tali cose : la libertà era perduta e di recente : lo straniero era in una gran parte d' Italia ; e si rifuggiva dalla realtà in questi sogni fanciulleschi ! Ecco come vien rappresentato Ippolito d' Este : Quegli ornamenti, che divisi in molti A molti basterian per tutti ornarli, In suo ornamento avrà tutti raccolti Costui, di e' hai voluto eh' io ti parli. Le virtudi per lui, per lui soffolti Saran gli studi ; e s' io vorrò narrar li Alti suoi merti, al fin son sì lontano, Cb' Orlando il senno aspetterebbe invaa«>. — 337 — Generalità, fra le quali scorgi una eerta finezza d' ironia» sfuggita senza dubbio all' alto ingegno del Cardinale Ippolito. Ora il comico si s'-^iluppa. Quando dite che nella Luna si trova il perduto in terra, il soggetto comico è beli' e preparato ; ma, parlando delle vite che vi si fabbricano, no ; è necessario che lo cerehia- te. — Vi ricordate, in Dante, di San Pietro che impallidisce e fa impallidire il Paradisa, sdegnandosi col suo successore ? Nelle parole del santo trovate tutto quel misto di pcssioni che ribolliva in petto a Dante: Se io mi trascoloro, Non ti maravigliar ; che, dicend' io, Vedrai trascolorar tutti costoro. Quegli eh' usurpa in terra il loco mio, Il loco mio, il loco mio che vaca Nella presenza del fìgliuol di Dio, Fatto ha del cimitero mio cloaca Del sangue e della puzza, onde il perverso, Che cadde di quassù, laggiii si placa. L'Ariosto ha fatto la caricatura di ciò. Il suo San Giovanni rinnova la scena, toltane la serietà. Perchè s'indegna? Non v'è che un mezzo di fuggir la morte, dice il poeta, beffandosi del- l'arte sua : tenersi amici i poeti. Ed allora non solo sarete sicuri dell'immortalità; ma potrete bricconeggiar senza tema di acquistare una cattiva riputazione. E comincia a dare esempii : Non sì pietoso Enea, né forte Achille Fu, com' è fama, né sì fioro Ettorre ; £ ne son stati e mills e mille e mille Che lor si puon con verità anteporre: Ma i donati palazzi e le gran ville Dai discendenti lor, gli ha fatto porre In questi senza fin sublimi onori Dall'onorate man degli scrittori.... San Giovanni s'indegna, s'accalora, e, meravigliandosene Astolfo, gli dice; — .\nch' io fui scrittore, e celebrai Cristo, De Saxctis — Manzoni e scritti varii. 22 — 338 — ed in ricompensa di ciò sono santo. Ai tempi miei si pre- miavano gli scrittori con un paradiso: ma adesso si è così avari e spilorci verso i poeti ! e non si può aver buon poeta senza buona tavola e buon alloggio. — Notate quanto è ter- ribile quel convenne : £ ben convenne al mio lodato Cristo Rendermi guidardon di si gran sorte .... Angelica. Il primo nome che incontrate nel Boiardo è quello d'An gelica che comparisce nella sommità della bellezza , della potenza , della fortuna. Anche in Ariosto compare per la prima, ma è una donnicciuola non più regina, scortata, di- fesa; ma sola, schernita come una donna di mondo, che fugge dubitosa della vita e dell'onore; Ariosto la getta nel fango per fare la controparte del Boiardo ; la presenta quale po- teva e doveva essere : una donna, non più una maga : una donna bellissima, vana, menzognera, perfida, come la donna di Heine, e la sua perfidia è siffattamente temperata con la beltà che riesce simpatica. Dipinge lo sbigottimento di lei con uno di quei paragoni che sa fissare in una ottava : Qual pargoletta damma o capriola, Che tra le fronde del natio boschetto Alla madre veduto abbia la gola Stringer dal pardo, e aprirle il fianco o '1 petto, Di selva in selva del crudel s' invola, E di paura trema e di sospetto; Ad ogni sterpo che passando tocca, Esser si crede all' empia fera in bocca. La bellezza ò qui nelle passioni animalesche immaginate con tanta verità; la damma non sa cos'è morire, ma ricorda le — 339 — immagini viste. — Angelica, fuggendo, trova un bosclietto di rose, in cui si abbandona, stanca, per riposare. Sopraggiunge Sacripante. Trasformato dall'Ariosto con lo sviluppo del ridicolo non avvertito dal Boiardo, che gli faceva fare seriamente il patito, costui si mette a piangere Angelica perduta: e qui si trova la celebre ottava sulla rosa che l'Ario- -^o imitò dal Poliziano, e che fu imitata poi dal Tasso (1). Angelica gli si mostra, gli promette mille cose ed in cuor suo pensa a farsene scortare fino in India e poi disfarsene. Sacripante fa un altro calcolo; ma, mentre vuol uscire dal ridicolo , un' avventura ve lo caccia dentro di nuovo. — Un cavaliere sopraggiunge. Sacripante, indispettito, lo sfida e n'è rovesciato. Mentre Angelica lo aiuta a rialzarsi, sopraggiunge tale che lo informa esser egli stato abbattuto da una donzella. Le sue mortificazioni non sono finite. Angelica non ha più fiducia in lui, sicché, vedendosi venire iacontro Rinaldo, gli dice: fuggiamo! Sacripante duella con Rinaldo, è il primo gran duello del Furioso senz' armi incantate : Ariosto ha raccolto in un' ottava tutti i movimenti della scherma : Fanno cr ccn lunghi, ora con fìnti e scarsi Colpi veder che mastri son del giuoco Una delle sue più felici ottave , infelicemente imitata dal Tas?o. Angelica se ne scappa. L'autore non la risparmia. Questa disprezzatrice di tanti eroi cade in mano ad un romito estenuato dalla vecchiaia, ma in cui la vista di tanta bellezza ridesta la superbia della carne. L' eremita 1' addormenta magicamente ; e mentre fa vani sforzi per goderla, son presi dai pirati, e la regina del Catai vien attaccata nuda ad uno scoglio per servir di pasto ad un'orca. Ruggiero, sul cavallo alato, la salva, e le rida il suo a- nello. Appena lo ha, rivela tutta la protervia del suo carat- (1) Cfr. Storia della letteratura, 11,27-8, 182, 220-1. — 340 — tere. Si prende spasso de' cavalieri eri'anti, ruba Telmo ad Orlando, e. dopo aver mostrato tanto disprezzo per tutti, ul- tima ironia, s'innamora d'un giovanetto bello ma di umile condizione, ed offre trono e mano a Medoro. Quanta ironia ! L'Ariosto distrugge col suo persi/lage l'An- gelica del Boiardo. Il carattere d'Angelica è uno de' più pro- fondamente studiati, e la coscienza che il poeta ne ha tra- sparisce dalle poche ottave in cui descrive l' innamoramento ( XIX , 26 sgg. ). Vi sdegnate dell' arroganza di Angelica , e pure le volete bene , perchè è tutta donna. §6. La pazzia ci' Orlando. L'originalità della creazione ariostesca è l'ironia che emerge dalla natura stessa del personaggio. Napoleone a S. Elena e una ironia del destino; rimane grande. L'ironia d'Ange- lica non è nel fatto, nel destino; ma nel carattere stesso di lei : ciò che ella fa in ultimo, è l' ironia di ciò che crede e annunzia nel principio. Il concetto d'Orlando non è meno originale né men profon- do. Orlando, nell' Ariosto, acquista un sembiante cosi fiero da fare impressione anche su Mandricardo. Con questa fi- gura paurosa è congiunto il massimo della forza fisica; ha una foi-za muscolare prodigiosa. Comparisce attaccato a tra- dimento da Cimosco, ed è solo, e con un colpo di lancia ne infilza sei. Il poeta fa gustare a poco a poco in un' ottava questa caricatura della forza fisica : II cavalier d'Anglante ove più spesse Vide le genti e l'arme, abbassò l'asta ; Ed uno in quella e poscia un altro messe, E UD altro e un altro, che sembrar di pasta: E fin a sei ve n'infilzò ; e li resse Tutti una lancia ; e perch' ella non basta A più capir, lasciò il settimo fuore Ferito sì, ohe di quel colpo muore. — 341 — Questa è la forza del braccio. Volete veder quella de' piedi? Pers^uita a piedi Cimosco a cavallo e lo raggiunge in poco tempo. Per digressione, vi farò notare una leggiadra inven- zione dell'Ariosto. I poeti sogliono, parlando di tempi anti- chi, fare presagire i tempi moderni. L'Ariosto immagina che Cimosco avesse inventato lo schioppo, e che sparasse sopra Orlando; onde ne prende occasione per descrivere lo schiop- po. Vedete qui qualche cosa di profondo. Lo schioppo ha ag- guagliato il valore e la codardia; la forza fisica non ha più la prima parte ; lo schioppo annulla la cavalleria : quindi r indegnazione di Orlando. Invenzione leggiadra di Ariosto, ma poco accarezzata. Camminando in cerca d'Angelica, entra in una caverna, dove trova una bellissima ragazza ; sopraggiungono i ma- landrini, una ventina. Il capo, vedendo la bella veste bruna d'Orlando, se ne invoglia. Orlando uccide i malandrini. Come? Con una tavola da pranzo, intorno alla quale mangiavano i malandrini : Nella spelonca una gran mensa siede Grossa duo palmi e spaziosa in quadro, Che sopra un mal pulito e grosso piede Cape con tutta la famiglia il ladro. Con queir agevolezza che si vede Gittar la canna lo Spagnuol leggiadro, Orlando il grave desco da sé scaglia Dove ristretta insieme è la canaglia. A chi '1 petto, a chi '1 ventre, a chi la testa, A chi rompe le gambe, a chi le braccia... Orlando, tanto forte, il rappresentante della forza fisica nella cavalleria, ha altro carattere distintivo: alla forza congiunge quell'equilibrio interno chiamato senno. Non è iracondo: non è millantatoi-e, né vano, né leggiero: conserva sempre calma e sangue freddo, che spesso gli fu vincere guerrieri pari a lui di valore. Nel combattimento con Mundricardo giunge cosi a togliere la briglia al cavallo di questo. Paragoniamo Man- dricardo ed Orlando. Mandricardo muore pel suo carattere - 342 — stesso, per l'impeto e l' iracondia, non pel caso. Orlando esce pazzo, non per caso : la sua stessa natura , la sua assenna- tezza lo conducono alla pazzia. La pazzia d'Orlando costituisce il vero significato interno del poema. Orlando è il più serio de' cavalieri erranti. Quando trovate Rodomonte a Parigi, Grifone a Damasco, quando la cavalleria si spiega in tutta la sua magnificenza, vedete un pazzo attraversare la scena e sparire. Si può dire che Orlando fa la parodia della ca- valleria più profondamente di Don Chisciotte, perchè è una parodia tutta spontanea. Ma è notabile anche pel modo in cui è rappresentata. La pazzia d'Orlando è ciò che mieglio mostra la seria rappre- sentazione del poema. Fra i romanzi moderni v' è il ro- manzo psicologico ; la poesia italiana fornisce pochi esempii della poesia psicologica, la poesia italiana è scultoria. Il solo Petrarca potrebbe esserne esempio ; ma Petrarca rappre- senta, non studia sé stesso. Il primo esempio se ne trova in questa pazzia d'Orlando. Per trovarne altri esempii, bisogna poi giungere a Shakespeare. In altro campo, faceva analisi sottilissime Machiavelli. Orlando non e capace di passioni leggiei^e, e per questo im- pazza. Gli altri innamorati d'Angelica pensano a lei quando essa è lì. Ma Orlando ha concepito per lei una passione pro- fonda. Comparisce come innamorato serio: è a letto, sogna d'Angelica, si alza e parte per cercarla: non ha che una fis- sazione: trovarla ; se giunge presso Cimosco, se entra nella grotta, non è che cercando Angelica. Liberata Isabella, li- berato Zerbino, bastonatosi con Mandricardo , si allontana. È il solo cavaliere errante che abbia amici : Brandimarte e Zerbino , presentimenti del Tancredi del Tasso. Stanco ed assetato, giunge ad un bel praticello con un ruscello chiaris- simo; qui scavalca e si riposa. Questa è l'apertura della follia d'Orlando. Spesso, quando stiamo allegri, una voce misteriosa ci avverte della nostra sventura. Una delle più belle scene del Tasso è il duello di Tancredi e Clorinda. I due guerrieri - 343 - si riposano, e Tancredi si rallegra di vedere il nemico più offeso. Una tremenda apostrofe del poeta lo interrompe: Oh nostra folle Mente eh' ogni aura di fortuna estolle I Misero, di che godi ? oh quanto mesti Fiano i trionfi ed infelice il vanto I.... Simile a questo è il primo movimento poetico rappresentata in Orlando, quando si sdraia tutto contento sull' erba : Giunse ad un rivo che parea cristallo, Nelle cui sponde un bel pratel fioria, Di nativo color vago e dipinto, E di molti e belli arbori distinto. Il poeta non si mescola personalmente all' azione , come il Tasso apostrofando Tancredi. Orlando, mentre si accinge a riposarsi, vede delle lettere negli alberi di mano di Angelica. Corre a guardare, e legge: Angelica e Medoro, e la seconda impressione è il dubitare che sia scrittura di Angelica : sarà un' altra Angelica ! Va col pensier cercando in mille modi Non creder quel eh' al suo dispetto crede : Ch' altra Angelica sia creder si sforza, Ch' abbia scritto il suo nome in quella scorza. Poi, convinto che è quello il carattere d'Angelica, s'imma- gina che intenda parlar di lui. Orlando, col nome di Medoro : Finger questo Medoro ella si puote: Forse che a me questo cognome mette. Perchè non crede a questo? S'alza in piedi, e dimentica il riposo; l'autore lo paragona ad un uccello invischiato: Come r incauto augel, che si ritrova In ragna o in visco aver dato di petto, Quanto più batte l'ale e più si prova Di disbrigar, più vi ai lega stretto. — 344 — Si rimette in cammino, giunge ad un monte in cui s'apre una grotta , coverta da edere e virgulti. Orlando v' entra e vi trova un'iscrizione di Medoro in cui celebra le voluttà da lui godute con Angelica e raccomanda quel luogo alla be- nigna cura dei passanti : Liete piante, verdi erbe, limpid' acque, Spelunca opaca, e di fredde ombre grata. Dove la bella Angelica, che nacque Di Galafron, da molti invano amata, Spesso nelle mie braccia nuda giacque.... Que' particolari distruggono ogni illusione. Orlando non può credere ai suoi occhi ; legge e rilegge, e poi rimane di sasso. È un momento doloroso , ma Ariosto non ci conduce mai fino allo strazio. Trova un paragone magnifico, che distrae l'animo. Le lacrime non gli vogliono uscire dagli occhi: Così veggiam restar l'acqua nel vase Che largo il ventre e la bocca abbia stretta : Che nel voltar che si fa in su la base, L' umor che vorria uscir tanto s' affretta, E nell'angusta via tanto s'intrica, Ch' a goccia a goccia fuore esce a fatica. Quest'ultimo verso, che vuole cinque pause, è stupendo: Che a goccia a goccia fuore esce a fatica. L'amore di Angelica e Medoro: prima sono nomi; poi una iscrizione; poi voce umana, racconto d'un pastore. Queste gradazioni esterne corrispondono a gradazioni interne nel- l'animo di Orlando. Orlando sorbisce il veleno a poco a poco, fluttuando tra il timore e la speranza ; ed il poeta ha più campo di spiegare le sensazioni di lui. Nel primo stadio il sentimento non si rivela con tutta la sua forza, perchè l'imone l'adito aperto a sofismi consola- tori. Nella grotta, la certezza aumenta; riceve una tale im- pre.ssione che subito si riconosce che non si ha da fai*e con un — 345 — uomo dalle passioni deboli. Ma il fatto giunge ad un terzo momento. Oliando lascia la grotta, creandosi sofismi. Crede e vuole e spera, che qualcuno abbia fatta quella iscrizione per infamare Angelica. L' Ariosto non si mescola con Or- lando. Si tien sempre distante ed indifferente; le passioni in lui sono sempre temperate dall' immaginazione. Mentre Or- lando cammina in sì poca speranza, il poeta descrive certe scene pastorali che distraggono la fantasia. Vede il fumo sui tetti, ode i muggiti degli armenti, i latrati dei cani ; ci presenta i garzoni affaccendati intorno ad Orlando, giunto all'albergo. L'albergo era la casa dove aveva soggioi'nato Angelica con Medoro : Corcarsi Orlando e non cenar domanda, Di dolor sazio e non d' altra vivanda. Sulle mura, sulle finestre, sulla porta vede scritto A e M : . . . dell'odiato scritto ogni parete, Ogni uscio, ogni finestra vide piena. Ecco l'ultima gradazione che deve sviluppare gli ultimi sen- timenti d' Orlando. Fin qui soffocava non avendo a chi do- mandare: ora gli viene in mente di chiamare il pastore; ma si arresta e gli manca il coraggio ; e potendo chiarirei, pre- ferisce rimaner nel dubbio, perche sapeva che i suoi, in fondo, erano sofismi. Qui avviene un altro cambiamento di scena. Non vi e mai ristagno; il poeta trova nuovi motivi ed espedienti. Il pa- store si presenta non chiamato, e da rozzo pastore, per con- solarlo, gli racconta hi storia d'Angelica e Medoro. Con quanto artifizio e narrata lu storia dal pastore, che batte e ribatte sulle circostanze più strazianti per Orlando e finisce per dire come Angelica si fosse condotta : A farsi moglie d' un povero fante. — 346 — Versi prosaici che sembrano sfuggiti per negligenza , e sono così belli per esprimere quella situazione. Finalmente , il pastore presenta una gemma regalatagli da Angelica, cui era stata regalata da Orlando. L'animo di Orlando non può più dubitare; è certo d'esser tradito, il suo dolore va crescendo a poco a poco sino alla pazzia. Si mette a piangere. Sta a letto e non può trovar riposo. Quel letto diviene duro come un sasso , pungente come un'ortica ; se la piglia col letto. Gli viene un pensie- ro. Si sono maritati qui, hanno forse consumato il matrimo- nio in questo letto ; sbalza di letto, si arma e parte. Eccolo nella campagna. Piange, urla, tutta la notte. Ag- giorna, si guarda intorno e si trova innanzi alla grotta. E in uno stato differente dalla prima volta , in uno stato di rabbia e di furore. Ve ne accorgete alle prime parole : — Non verso lacrime; le lacrime hanno una fine; sono i miei spiriti vitali che m' escono per gli occhi. Non traggo sospiri : i sospiri hanno tregua, io non sono Orlando, sono 1' ombra di Orlando. — In questi vaniloquii cominciate a scorgere un cervello che si sta guastando. Nel vedere la iscrizione, co- mincia a tirar con la spada sulle pietre, sugli alberi, e fi- nalmente cade a terra, stanco: una prostrazione folle suc- cede ad un impeto di concitazione pazzo. Per tre giorni ri- mane cosi : al quarto si alza furioso. Tal' è una scena di pazzia, tanto più ammirabile, in quanto che in tutta la poe- sia precedente non v' era un pazzo ; la scena è uscita tutta viva dal suo capo, come Minerva armata dal cervello di Giove. Dopo avei'ci presentato così Orlando, si spassa a sue spese, ne caricatureggia la forza fisica e l' intelletto. Il suo primo atto di pazzia è strappar querce come fi- nocchi. Incontra due villani con un asino : gli dicono di farsi da lato : Orlando non risponde altro a quel detto, Se non che con furor tira d' un piede, E giunge a punto l'asino nel petto Con quella forza che tutt' altre eccede ; — 347 — Ed alto il leva sì, eh' uno augelletto Che voli in aria sembra a chi lo vede. Quel va a cadere alla cinta d' un colle, Ch' un miglio oltre la valle il giogo estolle. Nel tempo stesso e' è la caiicatura dell' intelletto. Incontra Angelica, non la riconosce, ma se n' invoglia e le corre ad- dosso ; Angelica si mette 1' anello in bocca e cade di ca- vallo. Orlando corre appresso alla giumenta : Già già la tocca ed ecco 1" ha nel crine, Indi nel freno, e la ritiene al fine. Comincia a carezzar la giumenta come se fosse Angelica, la fa camminare senza posa e senza pranzo. La giumenta si spalla. Orlando se la reca addosso; poi se ne scarica e le dice: — cammina! — e non camminando essa, le attacca il freno al piede e se la trascina dietro. Si gitta nello stretto di Gibilterra a cavallo: il cavallo muore ed Orlando giunge a nuoto in Africa, dove trova Tesercito accampato a Biserta, È riconosciuto dai baroni, fra i quali era Astolfo che doveva rinsavirlo. Ma bisognava chiapparlo. I cavalieri erranti si sfor- zano d' afferrarlo ; ed Orlando ne concia male parecchi ; si trascina dietro tutta quella gente, finché non l'affunano e lo atterrano, gli chiudono la bocca e gli approssimano l'ampolla al naso; e cosi rinsavisce. Succede la riabilitazione d'Orlando. Conquista Biserta, uc- cide Agramante , mostra il suo amore per Brandimarte e sparisce dalla scena. È un tipo di cavaliere errante che ha del serio insieme col ridicolo. Rodomonte, invece, è il tipo di tutte le stravaganze del cavaliere errante. Rodomonte. Orlando vi .•< . > .>^ere ormai famigliui--. i. nu iìhìuìck- errante, e perciò ha anch'cgli del ridicolo; ma internamente é l'uomo moderno che sa frenarsi, resistere alT istinto; ha — 348 — moderazione ; è cortese, costumato, generoso, leale. Il vero tipo del cavaliere errante non è Orlando, ma Rodomonte, che è in uno stato perpetuo di pazzia. Rodomonte si trova nel Boiardo, dove lui e Marfisa sono il tipo de' cavalieri. Ri- cordate la entrata in iscena di Marfisa. Rodomonte compari- sce in un consiglio , sta per acciuffare chi consiglia pace , s'imbarca per un tempo tempestoso e sbarca in Francia. Perchè gli ha l'Ariosto data un'importanza maggiore che non agli altri cavalieri erranti ? L'Ariosto, incontrando un ca- rattere, lo sviluppa, e se l'arido Boiardo può introdurre parec- chi tipi di cavalieri erranti, Ariosto non può introdurne se non uno. Perchè Rodomonte è cavaliere errante? La cavalleria ha per soggetto sostanziale l' anarchia. Il cavaliere errante , fortissimo e fiduciosissimo in se stesso , vuole tutto perchè può tutto. Rodomonte è il tipo di questa fiducia illimitata in se stesso. Discende da Nembrotte, ne ha l'armi e la su- perbia. Che diventa un uomo che non riconosce nulla al di sopra di sé? Una bestia feroce: segue i suoi stimoli cieca- mente. L' Ariosto ha spinto questo concetto fino all'estremo \)ev farne la caricatura : è giunto alla stravaganza ed alla bestialità. Rodomonte, da principio, è un eroe. Come prima ha fatto eroico Orlando e poi ne ha fatto la caricatura, così per Ro- domonte; l'ha fatto sublime in Parigi; poi, di gradazione in gradazione , lo fa ridicolo. — Era fidanzato a Doralice, mentre usciva da Parigi ; un nano gli annuncia che Man- dricardo gliel'ha rubata. Lascia tutto per correrle appresso, e qui è uomo ancora. Sapete come andò la ricerca. È pu- nito nella sua superbia: non immaginava che potesse esser- gli preferito un altro. È la prima volta che si accorge che v'è qualche cosa di superiore a lui. Si ribella, e pretende che il suo destino non debba dipendere da una donna. Ab- bandona il campo. Qui comincia la sua caricatura ; egli ci appare uomo plebeo , quasi una femminuccia. Comincia a parlar solo; e dice cose grossolane di concetto o di forma. — 349 — La passione gli turba il giudizio, desidera che Agramante perda tutto e ricorra a lui, che lo salverà. Tutto ciò va a finire in una scena da taverna. A eavallo per bai'ca, la sua cura lo perseguita. Giunge ad un'oste- ria, s' ubbriaca, e comincia a dir male delle donne. Segui- tando a camminare, s'installa in una chiesetta. Gli occorre Isabella, dimentica ogni cosa e tratta un monaco che la custo- diva come Orlando l' asinelio. Succede 1' avventura d' Isa- bella ohe Rodomonte, ingannato, uccide. Per punirsi, fa co- struire un ponticello stretto stretto, su cui sfidava a batta- glia tutt' i cavalieri, per porsi così a rischio di cadere nel fiume, bere acqua ed espiare la colpa del vino. Spoglia tutti, e ne appende le armi. Una mattina, s' in- contra con Orlando; comincia per minacciarlo, lottano, non sappiamo chi sia il più pazzo; e traboccano entrambi nel fiume. Dov'è il bestiale di questa scena? Rodomonte voleva pu- nirsi e puniva gli altri. Finché fa queste pazzie, vi fa paura e non osate riderne. È punito dove ha peccato. Bradamante con Rabicano e la lancia d' oro, lo rovescia ; e trionfa il senso comune. Rimane senza parole, abbraccia le armi e scappa, e fa il voto di serrarsi in una caverna per un anno, un mese e un giorno. Dipoi, riacquista la libertà; la guerra era finita, Ruggiero e Bradamante si maritavano , si presenta e sfida Ruggiero come traditore. Prende armi e cavalli cattivi per combattere Ruggiero con Balisarda, Frontino e le armi di Ettore. Ed è ucciso per la sua superbia. §8- La morte di Rodomonte. Rodomonte ed Orlando sono i due caratteri più originali del poema ; ma Orlando non interessa sempre. Rodomonte invece interessa sempre , come un attore ottimo in mezzo ad una compagnia mediocre. Rodomonte solo è sempre il benvenuto. Donde nasce questa simpatia? Riunisce in sé il — 350 — doppio meraviglioso , epico e cavalleresco. Dei fatti ordi- narli possono fare effetto altamente estetico: è falso che il poeta non debba rappresentar la realtà, la quale, anche ple- bea, può divenir poetica quando il poeta sa presentarla non superficialmente. Due innamorati che si sposano è fatto or- dinariissimo; ma farà sempre impressione quando 1' autore sappia rappresentare in esso l'eterna storia del cuore umano. L'Ariosto tende a rappresentare sempre cose fuori della realtà ordinaria, come tutti i poeti de' tempi in cui non si era ancora preso a soggetto principale della poesia 1' analisi del cuore umano. Vi mette innanzi fatti straordinarii, stravaganti. La poesia cavalleresca rappresenta quell'epoca della civiltà in cui la sensazione soverchiava il sentimento. Rodomonte è meraviglioso, come una macchina tremenda. È lo spirito indi- viduale spinto sino alla follia. V'ho tracciato tutta la sua storia finché si presenta a Carlomagno. È la fine di Rodomonte , e non è stato mai tanto interessante quanto nel morire. Si presenta alla fine del poema che languiva con gli amori matrimoniali di Bra- damante e Ruggiero , colla desolazione del talamo e della teda nuziale , in cui il poeta s' intrattiene con compiacenza da cortigiano. Ma ecco un guerriero, ospite non invitato , che ci sveglia , rompe l' idillio e conchiude epicamente il poema. Questo matrimonio è un romanzo aggiunto, ed indi- pendente dal poema, che termina con la morte di Agramante. Tutto a un tratto, mercè questa apparizione di Rodomonte, vien ricongiunto al poema. Rodomonte era sparito e crede- vate che r Ariosto se ne fosse dimenticato come di Sacri- pante , ed ecco che ritorna. È una reminiscenza epica, un ultimo carattere epico, aggiunto alla poesia che degenerava in un romanzo idillico. E il più superbo de' cavalieri erranti; fortissimo quanto Orlando. Ed eccolo in una situazione tragica come una vit- tima del djctino. Dapprima desta curiosità co' panni neri, — 351 — in quella festa. Si avanza senza salutare, le sue parole sono brevissime: Son, disse, il re di Sarza, Rodomonte, Che te, Ruggiero, alla battaglia sfido; E qui ti vo', prima che '1 sol tramonte, Provar ch'ai tuo signor sei stato infido: E che non merti, che sei traditore, Fra questi cavalieri alcun onore. É una sfida brevissima. Non ha più né le armi né la spada di Ettore. Ha delle armi procurate. Ruggiero è co- perto d'armi incantate; ha Balisarda, che ucciderebbe Or- lando, il fatato. Comincia il duello. Rodomonte rompe la lancia sullo scudo di Ruggiero, che gli passa lo scudo e l'avrebbe ucciso se avesse avuto lancia più forte. Sembrerebbe dovesse essere un duello senza interesse. Eppure, non ve n'è altro più interessante. Dopo tanti duelli , questo è tutto nuovo. Ariosto non è stanco; egli non dorme mai; è sempre fresco e giovane. Gli accidenti del duello nascono dalla forza e dal corag- gio di Rodomonte, che non è vinto da Ruggiero ma dal fato. Le peripezie del duello nascono dal suo orgoglio indoma- bile. Rodomonte percuote invano, Ruggiero gli fora le ar- mi. Rodomonte reagisce contro il destino. Getta lo scudo , prende la spada a due mani e comincia a picchiare sul capo di Ruggiero; lo stordisce, ma al terzo colpo la spada si rom- pe Ruir acciaro incantato. Un guerriero assennato avrebbe strappato Balisarda. Ma il securo Rodomonte corre addosso a Ruggiero : Oli cinge il collo col braccio possente; £ con tal nodo e tanta forza afferra, Che dell' arcion lo STell«, e caccia in terra. Ruggiero è a piedi, illeso e armato. Rodomonte, a cavallo, ferito e senza spada, l' urta col cavallo, che Ruggiero ferma, e ferisce Rodomonte: E di due punte fé sentirgli angoscia, L'una nel fianco e l'altra nella coscia. — 352 — Rodomonte gli mena con l'elsa al capo. Ruggiero lo tira (li cavallo. Terzo cambiamento di scena : sono entrambi a terra. Ro- domonte ha premura di venire alle mani, ma Ruggiero : Per lui non fa lasciar venirsi addosso Un corpo così grande e così grosso. Rodomonte scaglia l'elsa in fronte a Ruggiero e lo fa traballare. Rodomonte corre per afferrarlo, ma cade per la coscia ferita. Ruggiero gli corre addosso. Quarto cambiamento di scena. Ruggiero vede il suo van- taggio. La lotta è un giuoco di destrezza; si tratta come in strategia di riunire tutte le forze sopra un punto indifeso dell' avversario. Ruggiero adopera tutte le sue forze sul fianco e la co- scia ferita e finisce per farlo cadere , gli mette il pugnale agli occhi e Rodomonte par perduto. Ruggiero gli dice: — Renditi! — Rodomonte tace, scioglie il braccio e tenta di ferire. Ruggiero l' uccide. Questo duello ha ispirato il Tasso. Ma, nell'Ariosto, è una scena meravigliosa : il duello cam- bia faccia tante volte, e Rodomonte va sempre ingrandendosi; non s'abbandona mai: Ma quel che di morir manco paventa, Che di mostrar viltade a un minimo atto, Si torce e scuote, e per por lui di sotto Mette ogni suo vigor, nò gli fa motto. È audace e dignitoso fino all'ultimo. La verità non è mai stata tanta, nei minimi particolari. Il poeta, che scherza, si può dire, in ogni battaglia, in ogni duello, qui ha perduto il suo riso; tutto è serio. Oltre questa serietà di colorito , ci è 1' evidenza plastica. Quando Rodo- monte afferra Ruggiero : Qli cinge il collo col braccio possente. - 353 — Ecco nna seconda figura: Rodomonte che cade: Del capo e delle scljene Rodomonte la terra impresse. Notate: la terra impresse: e tal fu la percossa, Che dalle piaghe sue, come da fonte, Lungi andò il sangue a far la terra rossa. Il Tasso dice così: Il cader dilatò le piaghe aperte ; E il sangue espresso dilagando scese. Vedete un raffinamento di parole. Gli ultimi momenti sono più pittoreschi. Ruggiero sopra Rodomonte : L'una man col pugnai gli ha sopra gli occhi. L'altra alla gola, al ventre gli ha i ginocchi. Vedete tutto: una figura in due vei*si. Rodomonte sotto Ruggiero: Come mastin sotto il feroce alano, Che fissi i denti nella gola gli abbia. Molto s' affanna e si dibatte invano Con occhi ardenti e con spumose labbia, E non può uscire al predator di mano, Che vince di vigor non già di rabbia; Cosi falla al pagano ogni pensiero D' uscir di sotto al vincitor Ruggiero. Ma la parie dove il poeta ha sorpassato se stesso sono gli ultimi momenti : E due e tre volte nell'orribil fronte, Alzando, più che alzar si possa il braccio. Il ferro del pugnale a Rodomonte Tatto nascose e si levò d'impaccio. Dx Sakctis — Manzoni e tcritti varii. — 354 — E quando Rodomonte è cadavere, il poeta ne riassume il carattere in un' ultima immagine : Alle squallide ripe d'Acheronte, Sciolto dal corpo più freddo che ghiaccio. Bestemmiando fuggì l'alma sdegnosa, Che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa. I! Tasso ha voluto imitarlo: Moriva Argante, e tal moria qual visse : Minacciava morendo, e non languia: Superbi, formidabili e feroci Gli ultimi moti fur, l' ultime voci. Aaronizza da eroe, ma meno degnamente di Rodomonte che tace, e non bestemmia se non dopo morto. Orlando e Rodomonte rappresentano il cavalleresco guer- riero ; ma la cavalleria ha un secondo aspetto , quello dei sentimenti teneri. Ariosto ritrac anche questa parte senti- mentale della cavalleria: l'amicizia, l'amore. Bradamante e Ruggiero. V adulazioni^ affli Estensi. L'antitesi dei sentimenti non comparo nelle letterature dell'antichità. Nei tempi moderni, la troviamo forse prima che altrove tra gli Spagnuoli : basterà citare il Old : l' a- more e l' onore messi in contrastò. Il primo italiano che abbia introdotto l'antitesi nel mondo cavalleresco è il Bo- iardo : ricorderete l'episodio d' Iroldo e Prasildo. L'Ariosto ha generalmente situazioni semplici, tranne che alla fine del poema, nell'episodio di Bradamante e Ruggiero. Questi erano fidanzati fin dal principio del poema; se non elio, durante tutto il poema, si fa un po' come a gatta cieca. Se qualche volta s' incontrano, tornano a pei'dersi di vista ben — 355 — presto. Ma, finito il poema, battezzato Ruggiero e promes- sagli Bradamante da Rinaldo, sorge il romanzo. Leone domanda Bradamante in isposa, ed Amone glierac- corda. Qui comincia la situazione del romanzo. Leone ha per lui Amone, Ruggiero ha Rinaldo. Ruggiero s'arma, s'in- cammina per uccidere Leone. Sconfigge i Greci che scon- figgevano i Bulgari, i quali lo proclamano re. Ruggiero, per- seguitando Leone, ciipita in una città greca, dov'è ricono- sciute, è sorpreso in letto ed imprigionato. La zia di Leone vuol che muoia perchè le aveva ucciso un figlio. Ma Leone lo libera senza sapere che fosse Ruggiero. Ruggiero se gli oflfre : nasce già la collisione in Ruggiero. In questo frattem- po Bradamante dichiara che accetterà chi le saprebbe stare a fronte un giorno intiero. Ruggiero è pregato da Leone di combattere con Bradamante per lui. L'amicizia di Ruggiero e posta in lotta con l'amore. Bradamante è vinta da Rug- giero, che, dopo, abbandona Leone. Sono entrambi disperati. Una fata s' interessa a loro, perchè da loro deve nascere il Cardinale Ippolito d' Este. Melissa conduce Leone da Rug- giero, che gli confessa la verità. Leone gli cede Bradamante, lo conduce innanzi a Carlomagno ed ha luogo il matrimonio. Il centro del racconto è il duello fra Bradamante e Rug- giero. Momenti poetici : il lamento di Bradamante, quello di Ruggiero, la loro disperazione. In che modo se n' è saputo ca- vare l'Ariosto. Questo momento e straziante. Ruggiero con- ceda o conservi Bradamante , ne dovrebbe nascere sempre strazio. In Ariosto, invece, non v' è strazio, ma meraviglioso. Voi rimanete con lui nel puro campo dell' immaginazione. Ruggiero lascia tacitamente Bradamante per uccider Leone: Bradamante ondeggia fra il timore e la speranza. Non vi .•strazia ; si lamenta, facendo de' paragoni. Si paragona all'a- varo che teme sempre che il suo tesoro gli sia rubato. En- trata in questa via, continua a far paraironi , paruironn se alla terra, Ruggiero al sole; eccetera. Cos'è questo lamento? Una specie di variazione sopra una melodia: Deh torna a me, Ruggiero! Un solo sentimento - 356 — semplice con mille variazioni. Non v' è niente di serio nella mente di Bradamante. Viene la situazione drammatica del racconto, 11 duello. Esso ci ricorda il duello di Tancredi e Clorinda. Ma qui sappiamo già che non vi sarà nulla di serio; sarà un assalto di scherma. Questo racconto ci raifredda perchè ci vediamo uno scopo cor- tigiano. Che importa, direte, lo scopo? Nell'Ariosto il fine penetra nell'esposizione de' fatti. Allorché egli è preoccupato dalle lodi degli Estensi, è punito nel suo peccato. Dove caccia quelle lodi, divien — lui, Ariosto! — noioso, quasi illeggibile. Tutto ciò che riguarda gli Estensi è prosaico ; noi saltiamo quelle serie di ottave. Voi sapete poi in qual modo egli giunga a parlare di Lucrezia Borgia ! Queste parti ci rimangono indifferenti, per quanto il poeta aduli spesso spiritosamente , e sia inesauribile nel modo di lodare. Sono invenzioni alle quali egli stesso non prende in- teresse, come il Tasso; si ride sotto i baffi della famiglia d'Este ; scappellandosi , fa loro le fiche. Era trattato inde- gnamente e se ne risentiva. Solo in qualche raro caso s' in- teressa in qualche modo alle sue invenzioni encomiastiche; e ciò rende tanto ricordevole il principio del canto XLVI. È giunto all'ultimo canto. Credeva interminabile il lavoro : temeva di morire prima di compierlo, di morire prima d'ac- quistar fama. 11 Gibbon lavorò per circa venti anni alla sua storia, e lasciò scritto nel suo giornale nel punto di finirla: — «Il giorno, o meglio, la notte del 27 giugno 1787, tra le un- dici e mezzanotte, scrissi l'ultima linea della mia ultima pagina iu un chiosco del mio giardino. Deposta la penna, feci pa- recchi giri in un viale coperto di acacie , donde la vista si estende sulla campagna , il lago e le montagne. L' aria era dolce, il cielo sereno, il disco argenteo della luna si ri- fletteva nelle acque del lago, e tutta la natura era immersa nel silenzio, lo non dissimulerò le primo emozioni della mia gioia in questo momento che mi rendeva la mia libertà, e forse avrebbe stabilito la mia fama; ma i movimenti del mio orgoglio si calmarono subito, e sentimenti, meno tumul- — 357 — tuosi ma più malinconici, s' impadronirono della mia anima, quando io pensai che stavo per prender congedo dell'antico e piacevole compagno della mia vita e che , a qualunque età sarebbe pervenuta la mia storia , i giorni del suo sto- rico non potevano essere ormai se non molto brevi e pre- cari! ». Termina la sua storia con un gemito. L' Ariosto meno sentimentale manda un grido d' allegrezza : si sente le spalle più leggiere. Qui sentiamo l'uomo e prendiamo in- teresse. Sentiamo l'uomo che ha terminato il suo lavoro. Un uomo, sepolto in un simile lavoro per tanti anni, non appartiene al mondo. Si considera separato dal mondo reale, ome un viaggiatore che ritoma, che rientra fra contempo- ranei. Ritorna sopra una piccioletta barca, i suoi amici gli muovono incontro sul lido, è in cospetto della sua Ferrara ohe temeva di non più rivedere. Tutti corrono sul lido per inconuai e il loro glorioso cit- tadino e salutarlo con grida. È una delle più amene , più fantastiche, e più sentite scene del poema : Or se mi mostra la mia carta il vero, Non è lontano a discoprirsi il porto ; Sì che nel lite i voti scioglier spero A chi nel mar per tsnte vie m' ha scorto ; Ove, o di non tornar col legno intero O d'errar sempre, ebbi già il viso smorto. Ma mi par di veder, ma veggo certo, Veggo la terra e veggo il lito aperto. Sento venir per allegrezza un taono, Che fremer l'aria e rimbombar fa l'onde; Odo di squille, odo di trombe un suono Che l'alto popolar grido confonde. Or comincio a discemere chi sono Questi eh' cmpion del porto arabe le sponde. Par che tutti s'allegrino ch'io !*\m. Venuto a fin di così lunga via. Sono le due più belle ottave di questa immaginazione. Ma il poeta ha raccolto sul lido tutti i più illustri italiani del tempo; il sup canto è un turibolo pieno d'incenso agi- — 358 — tato in favore di tutta quella gente. Perché possiate sen- tire come tanti, che oggi sono grandi, domani saranni ignoti, sentite i giudizii dell'Ariosto. Egli mette insieme Cappello, aflfatto ignoto, e Bembo ; mette in un fascio Pico della Mi- randola e un Pio, che nessuno più ricorda. Questa galleria piace poco , non solo per tale miscuglio, ma anche per la mancanza di uomini veramente grandi. Ecco come parla di Bembo: Bembo, che '1 puro e dolce idioma nostro, Levato fuor del volgar uso tetro, Qual esser dee, ci ha col suo esempio mostro. Si vede uno scolare che ammira il maestro. Ma passi Bembo : parlando di un altro : E quel che per guidarci ai rivi ascrei Mostra piano e più breve altro cammino, Giulio Camillo... Chi conosce più Giulio Camillo ? Fu un pedante, e l'Ariosto pretende che gli abbia insegnato poesia. Non v' è se non un sol movimento poetico. Viveva in que' tempi Sannazaro, che godeva di fama immensa. Ariosto desidera di vedere San- nazaro e lo riconosce nel lido : ... l'uomo che di veder tanto desio, lacobo Sannazar, eh' alle Camene 1 Lasciar fa i monti, ed abitar l'arene. Per giudicar questa poesia, vi ricorderete il limbo di l)ant<>, un Panteon di tutti gli antichi, tanto grandi che, appena nominati, ci fanno fremere: Cesare armato coti occhi gri- fagni — il Maestro di color che sanno — il signor dell'al- tissimo canto , Che sopra gli altri come aquila vola — E il mondo moderno ancor piccolo, inginocchiato innanzi agli antichi. — L'Ariosto avrebbe dovuto guarcjare meno ai con- — 359 — temporanei; doveva farsi accogliere dai grandi uomini; e non da tante mediocrità ! § 10. Cloì'idano e Medoro. Nell'Ariosto accanto all'epico e al cavalleresco, ossia al passato disciolto dall' ironia, e' è il presentimento dello spi- rito moderno: dopo la negazione, si ha l'affermazione. Parlo dell' elemento umano : Cloridano e Medoro, Isabella e Zer- bino, Brandimarte e Fiordiligi, Olimpia e Bireno : fatti che accadono tuttodì : il romanzo moderno. Quella di Cloridano e Medoro è un invenzione che si riat- tacca su su fino ad Omero (spedizione notturna d' Ulisse e Diomede). Ma nell' episodio omerico non appare il sentimento d'amicizia; son due guerrieri riuniti dal caso, e da uno scopo comune. Virgilio ha imitato questo fatto, e vi ha aggiunto l'elemento affettuoso: ha fatto amici Eurialo e Niso , che vanno ad avvertire Enea lontano del pericolo dei Troiani. In Virgilio il romanzo comincia a far capolino. L'elemento epico è soverchiato dal romanzesco. Ariosto ha imitato il fatto. Qual è il movente in Omero e Virgilio? La patria. Il uvente di Cloridano e Medoi'o è cavalleresco, è un senti- iuento cavalleresco. E, come in Virgilio il sentimentale so- verchia l'epico, nell'Ariosto il sentimentale soverchia il ca- ■illeresco. 11 Tasso ha voluto anche lui imitare il fatto (spedizione notturna d'Argante e Clorinda) ; ed anche qui il sentimen- tale sopravvanza 1' epico e noi non prendiamo molto inte- resse alla torre che i due vanno a distruggere. Neil' episodio che esaminiamo, Ariosto conserva una per- fetta indipendenza di spirito. Ogni uomo assorbe i costumi e r idee del suo tempo e non sa libei'arseno : e scrive sotio r influenza de' libri e delle teorie correnti : anche gli uomini superiori hanno certi lati di pedanteria; e Dante e Tasso — 360 — hanno avuto il loro ramo di pedanteria. Ma Ariosto é il più indipendente de' poeti : non suole avere innanzi a sé se non la situazione che deve trattare. Cloridano e Medoro fanno la spedizione notturna perchè il re loro è morto e spiace loro che debba rimanere Per' lupi e cerbi, oimè, troppo degna esca. Questo motivo è però il pretesto dell'azione. Se ne fosse il centro, il poeta dovrebbe rappresentare largamente questa relUgio sepulcri, questo principio d'onore cavalleresco. Ma egli ha voluto rappresentare due amici che si amano fino alla morte , ed il motivo cavalleresco è appena accennato. Quando Ariosto rappresenta una società epica o cavalleresca, ride; ma, rappresentando affetti umani, non ride più. Questo fatto non finisce con la caricatura. È serio , ma non fino alla serietà del Tasso ; alla serietà dell' Ariosto basta che un fatto non abbia nulla della caricatura. Il proprio del Tasso è r elemento umano , ed il poeta cerca di commuo- vervi. Nell'Ariosto avete solo un presentimento di quest'arte; .^e rappresentasse con pieno vigore e passione i fatti sc- rii, ne verrebbe una dissonanza in un poema d' immagina- zione, come è il suo. Tempera perciò la serietà con qualche scherzo comico, con lusso d' immagini, con paragoni pitto- reschi. Notate che tutto ciò è essenziale per intendere la varietà delle intonazioni del poema ariosteseo e nel tempo stesso la mirabile unità, in cui tutte si fondono. L'interesse dell'episodio non ènei desiderio di seppellire il re, ma nel carattere de' due amici. Due amici debbono essere differenti; Medoro e Cloridano sono due caratteri per- fettamente opposti. Medoro è un giovane ingenuo ed entu- .siasta ; propone la spedizione a Cloridano, che, essendo uomo di maggior esperienza, risponde: — è una stravaganza! — Questo diverso carattere lo vedete anche nella persona: Cloridan, cacciator tutta sua vita. Di robusta persona era ed isnella. — 361 — Medoro sembra una giovanetta. Chi più interessa e Cloridano , 1' uomo che sembra pro- saico, che non disprezza i nobili sentimenti anzi li rispetta, ma non è disposto a parteciparli. Non si beffa di Medoro: Stupisce Cloridan che tanto core, Tanto amor, tanta fede abbia un fanciullo.... Rimane stupefatto, ma cerca di fargliene capir la strava- ganza. Pure, ostinandosi Medoro, gli dice: — E verrò anch'io: Anch'io vo' pormi a sì lodevol pruove. Anch'io famosa morte amo e desio. C^ual cosa sarà mai che più mi giove, S' io resto senza te, Medoro mio ? Morir teco con Tarme è meglio molto. Che poi di duol, s' avvien che mi sii tolto. Questi pochi versi bastano a riconciliarci seco. Quali' e, con cui incominciano le sue parole, ci fa vedere l'interna lotta del suo pensiero. Non va per seppellire il corpo del re , ma perchè non vuol esser tenuto a vile da Medoro. Quanto e tenero quel : Medoì-o mio! Questa è l'introduzione del racconto. Ma siamo giunti ad un momento di tenerezza , e 1' Ariosto tempera il vosti*© intenerimento , facendovi il quadro di un macello , presen- ito comicamente: Poi se ne vien dove col capo giace Appoggiato al barile il miser Grillo: Avealo voto e avea creduto in pace Godersi un sonno placido e tranquillo. Troncógli il capo il Saraceno audace : Esce col sangue il vin per uno spillo.... Giungono i due guerrieri nel campo. Un poeta da doz- zina consumerebbe quattro o cinque ottave a descriverne — 362 — l'aspetto. Ariosto l'ha rappresentato unicamente per rispetto a Glori dano e Medoro. Cos'è un campo di battaglia per due guerrieri che cer- cano fra tanti un cadavere? Un caos, una confusione: Vengon nel campo, ove fra spade ed archi E scudi e lancie in un vermiglio stagno Giacciono poveri e ricchi, e re e vassalli, E sozzopra con gli uomini i cavalli. Quattro versi, non più : ma evidenti e propri!. Riconoscono il corpo: Fu il morto re sugli omeri sospeso. Mentre camminano, sono sorpresi da Zerbino coi cavalieri cristiani. Ora l' interesse nasce dall' opposto carattere de' due. Cloridano, vedendosi venire la cavalleria addosso: Frate, bisogna (Cloridan dicea) Gettar la soma e dar opra ai calcagni; Che sarebbe pensier non troppo accorto Perder duo vivi per salvar un morto. Qui si rivela tutto Cloridano: il cadavere per lui è una soma: gittare mestica il poco prezzo che gli dava; ed al- l' ultimo fa ridere scoprendo il suo modo materiale di pen- sare in quella faccenda che stava tanto a cuore a Medoro. E dice tutto ciò con tanta buona fede che si crede imitato da Medoro, e si dilegua correndo. Ma quel cadavere non era una soma per Medoro. Clori- dano fugge senza voltarsi, lìnchè non sente più rumore. Si volge e non vede più Medoro: Ma quando da Medor si vede absente Gli pare aver lasciato addietro il core. Non sa rendersi conto come Medoro non gli sia venuto — 363 — dietro. Medoro, in questa situazione, forse si sarebbe messo a piangere. Cloridano, invece, risolutamente: nella torta via Dell'intricata selva si ricaccia; Ed onde era venuto si ravvia, £ torna di sua morte in su la traccia. Scorge il pericolo: Ode i cavalli e i gridi tuttavia. Pure non si arresta: Air ultim' ode il suo Medoro e vede Che, tra molti a cavallo, è solo a piede. Il fatto è giunto all'ultimo della tragedia. Cloridano aveva chiamata quel cadavere una sorna : ma per Medoro è un < aro peso. Cloridano aveva àeiio -. gittare ; Medoro: Vha losato al fin sull'erba. Non sa allontanarsene. Qui la situazione è troppo tesa. L'Ariosto subito l'addol- -l'e con un magnifico paragone, quello dell'orsa: Come orsa che l'alpestre cacciatore Nella pietrosa tana assalita abbia .... Verso imitativo : sentite il fremito. Mentre sta accovac- ciata , muove r unghia , muove le labbra. L' Ariosto è uno de' migliori rappresentatori degli animali. Cloridano uccide con una freccia uno scozzese di Zerbino, ^lovimento comico: tutti si voltano dond' «^ partito il colpo non scorgono nessuno. Ogni ottava e un nuovo movimento drammatico. Zerbino , tratto dall' impeto dolio sdeirno , dice a Medo- ro: — Ne farai tu penitenza! — : Stese la mano in quella chioma d' oro, £ strascinollo a sé con violenza: Ma come gli occhi in quel bel volto mise, Oli ne venne pietade, e non l'uccise. — 364 — Ma uno de' seguaci di Zerbino ferisce Medoro a tradi- mento : Cloridan che Medor vede per terra, Salta del bosco a discoperta guerra. È spinto dall' ira, e dal pensiero che, morto Medoro, non può sopravvivere : E getta l'arco e tutto pian di rabbia Tra gli nimici il ferro intorno gira, Più per morir che per pensier eh' egli abbia Di far vendetta che pareggi Tira. Ma è ferito, si sente finire: E tolto che si sente ogni potere. Si lascia accanto al suo Medor cadere. § 11. Zerbino. Voi siete ben disposti per Zerbino : s' è arrestato, nell' atto di uccidere Medoro, innanzi alla bellezza del giovane. Questo personaggio è quanto di più sensibile abbia creato l'Ariosto. E l'anello tra la cavalleria fantastica e la cavalleria umana (Tasso). Zerbino è il modello di Tancredi. Dategli un po' di malinconia e di sentimentalità, ed avrete Tancredi. In che consiste questa umanità di Zei'bino? Non è un cavaliere er- rante come gli altri; non fa saltare asini e frati a tre mi- glia di distanza: rimane nelle condizioni umane. Quando lo vedete alle prese con gli altri cavalieri, esseri quasi sopran- naturali, palpitate per lui. E innamorato; ò amico in vita e in morte di Orlando: l'amore e l'amicizia lo rendono in- tei'essante. Ma innamorati sono anche gli altri : amici sono anche gli altri; perchè Zerbino riesce più interessante? Per- che quelli rimangono in una sfera d'immaginazione, non ci sono vicini. In Zerbino sentiamo noi stessi; ecco perchè fa -- 365 — in noi maggior effetto. Queste qualità non rimangono inerti in Zerbino; vi sono situazioni che le sviluppano. Vedendolo alle prese con que' cavalieri di forze straordinarie, tremiamo pensando al suo pericolo. Dapprima crede morta Isabella, poi la ritrova, poi muore ai suoi piedi. Orlando salva la vita a Zerbino, l'onore ad Isabella, e Zerbino muore per difen- derne le armi. Così e' interessa come guerriero, innamorato, ed amico. La vita di Zerbino è semplicissima; potreste farne una tragedia; rimane come un episodio staccato nel poema. Foi*- miamo questa tragedia. Tre atti ed un prologo. 11 prologo sarebbe un'azione, preludio della tragedia. Avete una ca- verna oscura, una vecchia, Gabrina, che vi custodisce Isa- bella: sopraggiunge Orlando, che stermina i malandrini e li- bera Isabella. Qui trovate anche il nòcciolo dell'azioni. Isa- bella, separata da Zerbino, è liberata da Orlando. Avete gli antecedenti dell'amore, il germe dell'amicizia, e l'appari- zione di Gabrina. Il primo atto è un lungo scroscio di risa, che finisce in un grido lugubre. Il secondo vi dà Zerbino sulle forche, e salvato da Orlando: Zerbino è felice. Atto terzo: Zerbino combatte e muore. Nel primo atto incontrate Gabrina in abiti da sposa. — Più gli abiti sono belli , più la bertuccia è ridicola. Stuz- zicate la scimia, o la vecchia; s' irriterà e diventerà vie più brutta. Quest'è il fondo d'una stupenda ottava: Avea la donna (se la crespa buccia Può darne indicio) più della Sibilla, E parea, così ornata, una bertuccia, Quando per muover risa alcun vestilla ; Ed or più bruita par, che si corruccia, E che dagli occhi l'ira le sfavilla; Ch* a donna non si fa maggior dispetto Che quando o vecchia o brutta le vien detto. E Zerbino aveva detto vedendola : — quanto è brutta — 366 — questa vecchia! — È accompagnata da Marfisa. Zerbino co- mincia a motteggiare con Marfisa: — Guerrier, tu sei pien d'ogni avviso ; Che damigella di tal sorte guidi, Che non temi trovar chi te la invidi. Ben vi sete accoppiati: io giurerei, Com' ella è bella, tu gagliardo sei. Questo è quello che ho chiamato uno scz'oscio di risa. Marfisa sa rispondere con spirito. Zerbino è scavalcato e co- stretto a prender in protezione e guida Gabrina. Ma la vec- chia finisce per disgustarvi, dopo avervi fatto ridere. Giura di vendicarsi di Zerbino. Il secondo atto è lo sviluppo dell' odio di Gabrina. Tro- vano Pinabello morto. Gabrina va dal padre di Pinabello; denunzia Zerbino, eh' è tratto alla forca quando sopravviene Orlando, che lo libera, e gli rida Isabella. Sembra tuttavia come se l' autore non avesse preso interesse a questa parte: il solo interesse è l'agnizione di Zerbino e d' Isabella. Terzo atto : Zerbino deve espiare la sua felicità. Trovano in una campagna le armi d'Orlando, sparse qua e là, ed ap- prendono la sua follia. Zerbino fa un trofeo di quelle armi , e vi scrive sopra : Armatura d'Orlando paladino: Come volesse dir: Nessun la mova Che star non possa con Orlando a prova. Sopraggiunge Mandricardo, che prende Durindana. Zerbino gli si precipita addosso. Che differenza di forza fra' due an- tagonisti ! L' interesse è tutto per Zerbino , anche dal lato estetico. Mandricardo non esiste : è una torre, una macchina; alza ed abbassa la spada, non altro : ciò che è animato nel duello è Durindana, non Mandricardo. Ma, dal lato avversario, ci è tutto r uomo. Zerbino supplisce alla mancanza di foi'ze _ 367 — ^.•ol coraggio e la destrezza. Maudricardo riman ferino come un cinghiale, assalito da cani: Benché Zerbin più colpi e fugga e schivi, Non può schivare alfin eh' un non gli arrivi. Questa ferita micidiale è tanto estetica che il poeta vi dice : — guardate Zerbino quanto è bello — : Così talora un bel purpureo nastro Ho veduto partir tela d'argento Da quella bianca man più eh' alabastro . Da cui partire il cor spesso mi sento. Vi rattempera l'angoscia della tragedia. Isabella si accosta a Dorai ice : E la priega e la supplica per Dio, Che partir voglia il fiero assalto e rio. Si separano i guerrieri. Zerbino deve morire solo con Isabella. I cavalieri erranti sogliono morire d'una morte sconsolata di pianto. Sono interessanti solo nel rigoglio della vita fisica. Ma non così quelli tra i guerrieri dell'Ariosto che appartengono all'elemento umano. Brandimarte muore con un amico vicino che piange, con una moglie lontana che piange. Così Zerbino muore accanto alla sua amata. Una morte come quella di Zerbino si affaccia per la prima volta nella poesia moderna. La poesia cavalleresca è crudele come un fanciullo che vuol guardare e ridere; l'uomo spunla quando il cuore comincia a palpitare. La cavalleria fa come il pubblico romano che gridava : — viva ! — al gladiatore che cadeva bene. La morte di Zerbino è espressa in poche ottave. Un poeta i ulgare presenterebbe subito Zerbino come morente. La col- lera non fa avvertire il dolore. Zerbino non sente il dolore — 368 — delle ferite, incollerito contro Mandricardo e contro se stesso. Non pensa : — sono un uomo morto : Che il lasciar Duiindana sì gran fallo Gli par, che più d' ogni altro mal gì' incresce, Quantunque appena star possa a cavallo, Pel molto sangue che gli è uscito ed esce. Potrei citarvi una situazione simile del Tasso. Clorinda e Tancredi sembrano non aver più forze, e pur continuano per ira a battersi : Oh che sanguigna e spaziosa porta Fa r una e 1' altra spada, ovunque giugna, Nell'arme e nelle carni 1 e se la vita Non esce, sdegno tienla al petto unita. Nel Tasso non solo vi è una forma patetica (esclamativa), ma il concetto della forza morale che rimpiazza la fisica. L'Ariosto afferra immediatamente la natura in ciò che ha di reale, senza aver bisogno di riflettere. Il Tasso ha riflet- tuto sulla situazione. Ma, passata la collera, comincia ad avvertire il dolore: Or poiché dopo non troppo intervallo Cessa con 1' ira il caldo, il dolor cresce. Che naturalezza ! Il dolore non cresce ; ma è avvertito. Né sente solo crescente il dolore, ma presente la morte : Cresce il dolor si impetuosamente, Che mancarsi la vita se ne sente. Cade di cavallo vicino a una fontana: Per debolezza più non potea gire- L' endecasillabo nella sua struttui*a include tutti gli altri versi. Per pronunziare questo verso secondo le regole, bi- sognerebbe fermarsi su più; ma sarebbe un controsenso. Per — 369 — debolezza deve essere separato: potea dovrebbe essere ac- centato; ma l'accento cade sulla nona invece* che sull'ottava; vi sono quattro pause: Per debolézza più non potèa gire. Zerbino agonizza : guardate Isabella : è disperata. Vi ri- cordate Ugolino immobile innanzi al figlio che dice : Padre mio, che non nC aiuti? È la statua della disperazione. Qui Isabella : Non sa che far né che si debba dire , Per aiutarlo, la donzella umana. Ugolino è natura energica, che rimane chiusa fino all'ul- timo. Isabella, debole ragazza, prorompe : Ella non sa, se non invan dolersi. Prima i suoi lamenti sono inarticolati, poi acquistano voce e senso. Zerbino raccoglie le sue forze per calmar Isabella , e consolarla. Il suo sentimento ricorda quello di Farinata, quando dice : Ciò mi tormenta più che questo letto. L'infinito dell'altro mondo rende colossale il dolor mo- rale. Neil' Ariosto , non vi sono le circostanze gigantesche. Qui non vi ò sublime , ma patetico. Il sublime non si de- scrive, Zerbin, eh' i languidi occhi ha iu lei conversi, Sente più doglie eh' ella si querele, Che della passion tenace e forte Che r ha condotto ornai vicino a morte. Zerbino parla. C è in lui , ora , qualcosa che lo fa pro- fondamente interessante. Muore, e l'amore gli sopravvive, e si mostra geloso. Non dice , brutalmente : io temo che tu mi tradisca, — ma: Così, cor mio, vogliate (le diceva). Dopo eh' io sarò morto, amarmi ancora Db Sahctis — Manzoni e scritti varii. 24 - 370 - Mentre siete inteneriti, un réve grazioso sparge vaghezza sul lamento : Che se in sicura parte m' accadeva Finir della mia vita l'ultima ora, Lieto e contento e fortunato appieno Morto sarei, poi eh' io vi moro in seno. Virgilio dice : o ierque quaterque beati! Ariosto dice ; Lieto e contento e fortunato appieno. Ma poiché '1 mìo destino iniquo e duro Vuol eh' io vi lasci, e non so in man di cui ; Per questa bocca e per questi occhi giuro, Per queste chiome onde allacciato fui.... È unita la ricordanza del primo incontro e il dolore di lasciarla. Scoppia la disperazione: Che disperato nel profondo oscuro Vo dello 'nferno, ove il pensar di vui, Ch' abbia così lasciata, assai più ria Sarà d' ogn' altra pena che vi sia. Voi ricordate il ciò mi tormenta dantesco. Isabella intende la gelosia dell'amante: s'inchina e lo bacia in bocca ; sono les fiangaiUes de la mort. E un mo- mento si bello che 1' Ariosto si ferma a guardare e anche qui, con la grazia d'un paragone, addolcisce lo strazio: A questo la mestissima Isabella, Declinando la faccia lagrimosa, E congiungendo la sua bocca a quella Di Zerbin, languidetta come rosa. Rosa non còlta in sua stagion, sì oh' ella Impallidisca in su la siepe ombrosa, Disse: Non vi pensate già, mia vita. Far senza me quest* ultima partita. Quant' è ben scelto quel : mia vita ! Di ciò, cor mio, nessun timor vi tocchi; Ch' io vo' seguirvi o in cielo o nello 'nferno — 371 — E seguita a baciarlo; e come Ariosto esprime questo bacio I lon vi è nulla di voluttuoso: Cesi dicendo, le reliquie estreme Dello spirto vital che morte fura, Va rìcogliendo con le labbra meste, Fin eh' una minima aura ve ne reste. Zerbino sente tornare una nuova forza e pronunzia le sue ultime parole, esortando Isabella a non uccidersi, e a non dimenticarlo : Zerbin, la deboi voce rinforzando, Disse : Io vi priego e supplico, mia diva, Per quell'amor che mi mostraste, quando Per me lasciaste la paterna riva ; E se comandar posso, io ve '1 cumaudo, Che, finché piaccia a Dio, restiate viva; Né mai per caso pogniate in oblio, Che, quanto amar si può, v' abbia amato io. Dopo quest' ultimo sforzo, si sente venir meno. Impressione straziante d'Isabella: Chi potrà dire appien come si duole, Poiché si vede pallido e disteso, La giovinetta, e freddo come ghiaccio, 11 suo caro Zerbin restar in braccio ? Sentite quanto cuore aveva l'Ariosto! — Questa rappresen- tazione ha due sorelle : la morte di Brandimarte, e l'abban- dono di Olimpia. § 12. Olìmpia abbandonata. \j& situazione esaminata l' ultima volta è originale, unioa fino all'Ariosto, perche draiuumticji, ed è la prima e l'unica — 372 — tale in Ariosto. Bradamante si duole di Ruggiero , Fiordi- ligi di Brandimarte morto : ma sono soliloquii , scene liri- che. Ne' tanti romanzi di cavalleria non vi è nulla di dram- matico, ma scene liriche in gran copia. Le concezioni del Boiardo sono dimenticate pei difetti che abbiamo più volte esaminati. Ma ne' poeti antichi vi sono spesso scene liriche: p. e. il lamento della madre di Eurialo, che attrae per la sua eleganza e tenerezza virgiliana : eleganza e tenerezza che fanno giudicar Virgilio da Lamartine il primo poeta del mondo. Ed ancora ricordo il pianto di Arianna abbandonata ■da Teseo, in Ovidio, poeta non tenero né elegante come Vir- gilio, ma che gli è stato spesso preferito pel lusso dell'im- maginazione. Ma Ovidio è come il ragazzo nella masche- rata di Gòthe ; la sua immaginazione scorre per la super- ficie, anziché penetrare nei fondo dell'animo. I pedanti rim- proverano ad Ariosto il furto dell' episodio da Ovidio. Ma leggete Ovidio ed Ariosto. Non e' è un pensiero rubato. Olimpia, abbandonata da Bireno, è un misto d'immagina- zione, tenerezza e grazia. Quest'episodio ha per soggetto: il dolore d'una donna abbandonata. D'una donna, non d'un uomo, che si rialza, che sfida, che provoca a guerra, dolore cupo, che finisce nella disperazione, e nel sublime. La donna, invece, non ha volontà: il suo dolore è bello, è tenero. Il dolore virile é il patetico, il femminile e il molle, il com- movente, das Ruhrende, per dirlo in tedesco. La bellezza propria del dolore femminile è il grazioso. Poeta nato per esser tenero e grazioso è il Petrarca , na- tura femminile. Il legame fra il grazioso e il commovente è formato dall'immaginazione. L'uomo dispera o pensa al- l'azione, non si abbandona all' immaginazione; la donna im- magina, si commuove e piange. Tre scene: 1.° Bireno abbandona Olimpia. 2." Risveglio. •'{.'' Dolore di Olimpia. Donde nasce qui il commovonte? Dall'interesse per Olim- pia. L'autore fa come i compositori; comincia con un ma- gniflco prologo, composto di pensieri opportuni (quattro — 373 — ottave). Olirapia è fedele: merita d'essere amata: vi voglio l'accentare che cosa ha fatto Bireno. Fra quanti amor, fra qaante fedi al mondo Mai si trovar, fra quanti cor constanti. Fra quante, o per dolente o per giocondo Stato, fèr prove mai famosi amanti ; Piuttosto il primo loco, ch'il secondo Darò ad Olimpia ; e se pur non va innanti, Ben voglio dir che, fra gli antiqui e novi, Maggior dell' amor suo non si ritrovi. Accanto a questo primo prologo, ce n' è un altro arbitra- rio, che tempera il tenero che deve seguire. L' Ariosto fa un' ammonizione alle donne per esortarle a non credere agli amanti: ed è bello paragonare la maestà dell'ottava in cui si sdegna con Bireno con la futilità di quella che tratta l'altro argomento. Se la piglia con tutti i giovani; e, svi- luppata questa seconda parte, viene la buffoneria; esorta le donne a contentarsi degli uomini maturi : Guardatevi da questi che sul fiore De' lor begli anni il viso han ai polito ; Che presto nasce in loro e presto muore, Quasi un foco di paglia, ogni appetito. Cominciano i legni a scorrer sul mare. L'Ariosto accenna appena alle parti prosaiche e si ferma sui punti poetici. Vi mostra la velocità de' legni nel numero. Giungono nel- neir isola. Olimpia e Bireno si ritirano in un padiglione. Ariosto vuol mostrare la bassezza di Bireno : e dice di una damigella, ch'era stata promessa per moglie al fratello di Bireno : Ma a dire il vero, esso r'avea la gola, Che vivanda era troppo delicata: E riputato avria cortesia sciocca, Per darla altrui, levarsela di bocca. Olimpia dorme, Bireno, no; raccoglie i suoi panni e fugge. — 374 — Per mostrare la lunghezza e gravezza del sonno di Olimpia, il poeta lo espone in una ottava : Il travaglio del mare e la paura, Che tenuta alcun dì l'aveano desta ; Il ritrovarsi al lito ora sicura, Lontana da rumor nella foresta, E che nessun pensier, nessuna cura, Poiché il suo amante ha seco, la molesta ; Fu cagion eh' ebbe Olimpia sì gran sonno Che gli orsi e i ghiri aver maggior noi ponno. Accanto a quest'ottava così lenta, vedete la precipitazione dell'altra che descrive la fuga dell'amante: Il falso amante, che i pensati inganni Vegghiar facean, come dormir lei sente. Pian piano esce dal letto; e de' suoi panni Fatto un fastel, non si veste altrimente ; E lascia il padiglione; e, come i vanni Nati gli sian, rivola alla sua gente, E li risveglia; e senza udirsi un grido. Fa entrar nell'alto, e abbandonare il lido. Sentite questo incalzarsi di e. — Queste due ottave sono due capolavori. Bireno se ne va. Si sente come un gemito : Rimase indietro il lido e la meschina Olimpia Olimpia comincia a risvegliarsi e pensa a Bireno : Né desta né dormendo, ella la mano Per Bireno abbracciar stese, ma invano.... Si sveglia in tutto, e corre al mare. Qui viene la seconda parte della situazione. Il primo atto di Olimpia è il correre verso il lido, guardando e gridando: E va guardando (che splendea la Luna) Se veder cosa, fuor che 'I lito, puote; Né, fuor che '1 lito, vede cosa alcuna. Bireno chiama; e al nome di Bireno Rispondean gli antri, che pietà n' avieno. — 375 — Quest'ultima idea, cosi gentile, vi fa precipitare nel tenero. Sale sopra un sasso : E di lontano le gonfiate vele Vide tuggir del suo signor crudele. E lo chiama e richiama : invano. — Queste sono le illu- sioni d'un dolore femminile. Perde ogni speranza, ritorna al letto e si abbandona a' suoi ultimi lamenti. Impreca a Bireno : poi si spaventa e teme : teme delle belve, de* corsari : Cosi dicendo, le mani si caccia Ne' capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia. Succede la furia: e poi la spossatezza: si siede sopra un sasso : Né men d'un vero sasso, un sasso pare. [Nelle ultime lezioni il De-S. , dopo aver fatto un riassunto del suo esame dell'Ariosto, entrava a discorrere delle impressioni che dell'Orlando avevano avuto i contemporanei, e dei critici del poema, e dei continuatori dell'epopea cavalleresca. Accennava aìV Angelica dell'Aretino, e in ispecie alle Maccaronee del Folengo, via via, fino al Ricciardetto dei Forteguerri. Ecco alcuni giudizii epigrammatici su quest' ultimo autore. " Il Forteguerri pretende far ridere e fa piangere chi pensa alla nostra decadenza d'allora Le sue storie fantastiche testimoniano d'una immaginazione canonicale deprava» ta. .. Il Forteguerri è la nullità poetica della vita e della forma. Non rapprestnta caratteri, non svolge passioni, in lui il verso non esiste più : sono sillahe misurate sul colascione „. Faceva poi un confronto tra l' Ariosto e il Cervantes , e sulla loro posizione ri- spettiva. Se in Italia gli epigoni dell' Ariosto non rappresentarono uno svolgimento dopo di lui, ma una corruzione, questo svolgimento si aveva, invice, in Spagna col Cervantes. "Nell'Ariosto l'elemento serio e il satirico sono fusi insieme: non v' è intenzionalità di sa* tira. Il Cervantes ha degagé i due elementi della unità ariostesca : ha opposto il mondo moderno all'antico: in lui il mondo moderno è il rappresentato : la navalloria è un sogno del passato, é la fissa» zione di un matto „. L'ultimo poema cavalleresco, del quale il De-S. s'occupò, nel suo cor.- scudiere arricchito e fatto marchese. Marfisa, promessa a Terigi, corre sempre dietro a Filinoro, finché Terigi non rompe il contratto. Rug- giero ricorre a Turpino, che propone di rinchiuder Marfisa in un monastero, in cui essa entra credendo di trovarvi Filinoro. Marfisa cade in convulsioni isteriche. Trova in un romanzo dell'Abate Chiari che parecchie monache sono fuggito dal convento ; fugge in Spagna. Ruggiero le corre dietro. Marfisa incontra Filinoro trasformato in vin giuocator di bussolotti, che dice male di Marfisa; questa lo basto- na. Sopraggiunge Ruggiero. Marfisa diviene divota e fa la monaca di casa; spia, sparla e vive ancora trent'anni. — Peccato che a que- sta concezione magnifica non rispondano i particolari e l' esecuzione; onde il poema è dimenticato. Carlo Gozzi non era mai uscito dal suo piccolo mondo: qualche marchese, qualche letteratuzzo , un caffè ^ una compagnia comica; Marfisa è una marchesa veneziana, ed Astolfo un damerino veneziano. La grande concezione viene cosi rimpiccio- lita. La forma poi è nulla. £ questo è l'ultimo poema cavalleresco „ ]. FINE DEL PRIMO VOLUME. INDICE DEL VOLUME L Phepazioki:. . . . p'jg- Parte I. Maxzoki. Studii e lezioni I. Il mondo epico-lirico del Manzoc' ... II. La poetica del Manzoni IH. La materia dei Promessi sposi IV. La forma dei Promessi sposi Appendice di lezioni. 1. Adelchi ed Ermengarda 2. Il Cinque Maggio 3. Il Conte di Carmagnola. . 4. La Battaglia di Maclodio ó La Morale cattolica e i Promesiti sposi 6. Don Abbondio Parte II. Abticoli politici e letterari i.— Lezioni sv POESIA CAVALLERESCA ( 1866-1869). I. Il Murattismo. Polemica 1. L'Italia e Murat 2. La quiatione napoletana 3 Bianchi-Giovini e il Murattismo II. Una commedia nuova. La Clelia o la Plulomania -1 O. Oattinelli III. La Fedra di Bacine IV. La poesia cavalleresca. Pulci. Boiar.lo, Arir>^r,._. Ap punti di lezioni . . 1. II Morgante 2. L' Orlando innamoralo ... 3. L" Orlando furioso - lUó • - 122 • . 135 • • ^ 144 - 149 ■ . - IM r.LA -, 177 . 179 • - 181 -, 193 223 285 Si: — ::578 — § 1. L'angelo Michele,?. 318- § 2. Rodomonte a Parigi, p. 322 — § 3. Alcina, p. 328— § 4. Astolfo, p. 331 - § 6. An- gelica, p. 338 — § 6. La pazzia d'Orlando, p. 340— § 7. Ro- domonte, p. 347— § 8. La morte di Rodomonte, p. 349— § 9. Brada mante e Ruggiero L'adulazione agli Estensi, p. 354— § 10. deridano e Medoro, p. 369— § 11. Zerbino, p. 364 — § 12. Olimpia abbandonata, p. 371 — Conclusione, p. 375-6. 4732 1398 :>anctis, Mancese Scritti varii PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SUPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO UBRARY