Full text of "Nuove curiosita storiche" WebMoving ImagesTextsAudioSoftwareEducationPatron InfoAbout IA Home American Libraries | Canadian Libraries | Universal Library | Project Gutenberg | Children's Library | Biodiversity Heritage Library | Additional Collections Search: All Media Types Wayback Machine Moving Images Animation & Cartoons Arts & Music Computers & Technology Cultural & Academic Films Ephemeral Films Home Movies Movies News & Public Affairs Non-English Videos Open Source Movies Prelinger Archives Spirituality & Religion Sports Videos Videogame Videos Vlogs Youth Media Texts American Libraries Canadian Libraries Universal Library Project Gutenberg Children's Library Biodiversity Heritage Library Additional Collections Audio Audio Books & Poetry Computers & Technology Grateful Dead Live Music Archive Music & Arts Netlabels News & Public Affairs Non-English Audio Open Source Audio Podcasts Radio Programs Spirituality & Religion Software CLASP Education Forums FAQs Advanced Search Anonymous User (login or join us)Upload See other formats Full text of "Nuove curiosita storiche" BIBLIOTECA NAPOLETANA DI STORIA LETTERATURA ED ARTE ENEDETTO CROCE NUOVE CURIOSITÀ STORICHE T'?t\ NAPOLI Riccardo Ricciardi editore MCMXXII o- Proprietà Letteraria Tutti i diritti sono riservati a norma delle vigenti leggi. NAPOLI - TIPI SILVIO MORANO ALL' EDITORE RICCARDO RICCIARDI Caro Riccardo, Or son tre anni, nel raccogliere in volumi alcune serie di miei scritti grandi e piccoli, detti a te un gruzzolo di noterelle di varia erudizione, che mettesti a stampa col titolo di Curiosità storiche. Con mia meraviglia, dopo solo pochi mesi, tu mi an- nunziasti che V edizione se n era spacciata e che conve- niva ristamparla. Dunque, — pensai — nonostante la guerra, nonostante tutti i cangiamenti accaduti nei gusti e nelle idee, nonostante che io quasi non riconosca più la mia Napoli e scontri ora per le sue vie una gente quasi nuova e alla quale mi par d'essere straniero, c'è ancora chi ama le tradizioni locali, V aneddotica storica e letteraria, le mi- nute notizie che valgono a rendere prossimo e come domestico il passato ? Ci sono ancora di quelli coi quali è dato ripigliare o iniziare un animata conversazione, fatta di comuni simpatie, su cose care e, in verità, innocenti ? Ti confesso che questo pensiero mi apportò qualche gioia, e m indusse subito al proposito di trarre dai miei lihriccini d' appunti, e più ancora dalla mia memoria, gli argomenti di altri scrittarelli simili a quei primi. Così sono nate queste Nuove curiosità storiche, che forse non saranno nemmeno Vili le ultime, perchè a me giova, negli intervalli di più gravi lavori, tornare a tale sorta d'indagini quasi come a un giuoco riposante e rinfrescante. Esse, mentre pur servono a determinare particolari e a riempire piccole lacune, in- fondono in chi le coltiva una placida voluttà: la Voluttà che il buon Wagner, il famulus di Faust, provava, quando, nelle lunghe serate d'inverno, solitario al lume della lu- cerna, trascorreva di libro in libro e di carta in carta, e con trepida mano si faceva a svolgere una veneranda pergamena. Abbimi sempre Frascati, IO luglio 1921. Tuo Benedetto Croce I. IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI BENEDETTO DI FALCO La Descrizione dei luoghi antichi di Napoli e del suo amenissimo distretto di Benedetto di Falco è ancora con- sultata dagli eruditi, i quali vi trovano, fra l'altro, parti- colari di costumi e alcune notizie di artisti, importanti perchè sincrone. Ma essa non è un arido notiziario, come potrebbe cre- dersi da questo esclusivo modo di adoperarla e citarla, e io voglio leggerne oggi con voi qualche pagina per mettere in risalto gli affetti e le intenzioni che la ispirano e che determinano disegno e stile dell' operetta, di pic- colo pregio letterario veramente, ma non senza pregio come documento nel quale si rispecchia la vita del tempo. La data stessa della prima composizione e pubblicazione è degna di nota, perchè il 1535 (1) fu Tanno reso solenne dalla venuta a Napoli dell'imperatore Carlo V, reduce dalla (1) L'edizione del 1535 (« in Napoli, per Mattia Canzer da Bre- scia ») sembra perduta, ma fu veduta dal GIUSTINIANI, Saggio storico sullo tipografia del regno di Napoli (Napoli, 1793), p. 238. Mi valgo di quella « stampata in Napoli, appresso Joan Paolo Suganappo in la piazza degli Armieri, MDXXXXVII1I », che certamente è rielaborata e, per così dire, messa al corrente. I 2 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI spedizione di Tunisi; e all'imperatore il Di Falco rivolge direttamente la parola nell'ultima parte del suo scritto. Napoli si riempiva, in quel tempo, del lieto sentimento di avviarsi a degno e prospero avvenire. Terminate con la vittoria di Spagna le lunghe guerre coi francesi, che avevano avuto uno dei loro episodi nel lungo e vano assedio della nostra città ; congiunto ormai saldamente il regno di Napoli a un grande Impero e soggetto al mag- gior dinasta del mondo, del quale da molti secoli non si vedeva il pari ; pacate le fazioni dei baroni , di cui an- che i più riottosi e tenaci nell'odio sembravano conciliati col nuovo dominio ; i nobili e tutto il popolo napoletano accoglievano lietamente Cesare, alle cui imprese guerresche nelle varie terre di Europa e sui lidi di Africa avevano partecipato, e che con la sua presenza veniva come a consacrare e inaugurare quella che pareva la nuova era. La vita sociale rifioriva: i baroni, che in sempre maggior numero si stabilivano in Napoli, vi edificavano nobili pa- lagi, e vi sfoggiavano il lusso delle loro corti ; la lette- ratura ripigliava le gloriose tradizioni del tempo aragonese e sorgevano accademie di letterati e di filosofi ; s' intro- ducevano le rappresentazioni teatrali, non più delle pic- cole farse allegoriche o giocose, ma della nuova com- media e tragedia, che era risalita a Plauto e a Te- renzio. La stessa edilizia della città si trasformava ed ampliava per opera del nuovo viceré, don Pietro di Toledo : Napoli si faceva più ricca, più decorosa e più bella. Tutto ciò dice calorosamente il Di Falco nella fi- nale perorazione: Se a l'esercizio delle armi attendemo, vi potrei infiniti cavalieri a nostri giorni, teneri di età e gravi di senno, raccontare, che a futuri se- I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 3 coli larga speranza nell'arme prometteno, nel cui esercizio travaglian- dosi al tempo debito si vedranno animosamente le imperiali vittoriosis- sime insegne seguire, come gli avi e i padri loro fedelissimamente se- guirono. Se delle lettere ragionamo, già gli antichi studi delle prime Academie se apreno, se ben, come sovra fu detto, per disavventura furo poc' anti interrotti ; gli onorati esercizi s' insegnano, gli animosi fatti si veggono, e i peregrini ingegni di novo in Napoli fioriscono. Già nella Academia de* Sereni si vede di nova luce il biondo Apollo risplendere ; in quella degli Ardenti i sacri accesi incensi della virtù fumano e nell'amicizia degl' Incogniti la conoscenza di sé stesso proponesi. Se della musica dire alquanto volemo, oltre di quello naturale istinto di che par che il Cielo abbi ogni napolitano spirito dotato, ormai particolarmente quasi ciascuno a la natura l'arte giun- gendo, e di giorno e di notte, talor con voci, talor con strumenti, talor con entrambi, diverse armonie in diversi luoghi si sentono con dol- cezza mirabile. Ma che diremo dell'altre arti onestissimamente eserci- tate? Agli edifici le antiche forme si rendeno, a le acque gli usati an- tri chiusi ingegnosamente si appalesano, la terra già sterile si coltiva, le paludi ingorgate si spediscono, e l'aria agli abitanti sana e chiaris- sima rendesi. E se bene alcuni, come si suole, l'error seguono, nulla di meno più gli uomini prudenza, e le donne pudicizia e castitade ab- bracciano, i fanciulli dottrina imparano, i giovani modestia e senno di- mostrano, e i vecchi onorati essempi porgono. I spettacoli ritornano, le scene si ripresentano, e le gare di musica si apparecchiano ; e perciò non è meraviglia se in Napoli furo ed infino ad oggi correno le nazioni lontane. Perchè dalla Alemania, dalla Francia e dalla Spagna vengono gran signori, tutti dal grido della sempre onorata Napoli a meravigliarsi di lei e a goder con lei ; e stupiscono de* ben solcati campi, de' culti monti, de' fioriti lidi, e delle fruttifere valli, degli adorni giardini, delle chiare, fresche e dolci acque, che da verie fontane in diverse guise da napolitane mani in candidi marmi (mercè del gran Toledo) ingegnosa- mente intagliate stillano, con mormorio dolcissimo ; si meravigliano delle industriose arti della riguardevole ed esercitatissima plebbe, della ono- rata cittadinanza, della gentil nobiltà e della valorosa cavalleria; si ral- legrano de' principi, de* duchi, dei conti, de* marchesi suoi, de' quali, mercè della liberalità della Maestà Vostra, la nostra Napoli è così abon- devole : siccome da Parthenio degli sovradetti Incogniti un giorno, nanti 4 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI al dotto e saggio vescovo di Lesina, Museo degli Incogniti, e tra gli amici suoi, fu con lungo discorso raggionato. Prolunghi dunque l'eterno Iddio per Giesù Cristo Signor nostro gli anni e la sanità de l'anima e del corpo a la Maestà Vostra, a gloria sua e beneficio della Christiana Republica, onde vegga i figli de' suoi felicissimi nipoti insino alla quarta generazione, avendo sempre a core la mia fedelissima patria , invece della quale in queste umili carte e in questo basso inchiostro a quella sempre m' inchino. Laus Deo. I Parthenio n degli Incogniti era, come ben s'intende, lui stesso, che apparteneva a quell'Accademia, e n Mu- seo n , il vescovo di Lesina, Baldassarre Maldacea (1). II Di Falco dice nella prefazione che si era ramma- ricato vedendo che Napoli non avesse trovato ancora chi facesse per lei ciò che molti antichi fecero per le loro città, e dei moderni il Sabellico per Venezia, il Biondo per Roma, il Merula per Milano, e altri per al- tre ; e a Partenope, " dolce e bella sirena mia n , rivolge la parola nella prima pagina del libro, e a Napoli, n cara mia madre ", nell'ultima, con poetici modi, dolente solo n di non aver cantato " di lei n con tal grave stile e con tale leggiadria di parole n da rendere il suo Sebeto 1 equale ad Arno e a Sorga n . Napoli era sopranominata, allora, n Napoli gentile n , e questo epiteto il Di Falco illustra e convalida ; ma anche n Napoli fedele n , e questo secondo egli prova il bisogno non solo d'illustrare ma di difendere. Perchè c'era stato un n bugiardo scrittore e maligno n , Pandolfo Col- lenuccio, il quale, nella sua Storia di Napoli, aveva osato dire che " li regnicoli sono di tanta inconstanzia che (1) Cfr. MINIERI RICCIO, Accad. di Napoli, in Arch. stor. nap. t V, 528-9. I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 5 tanto non si ribellano quanto non hanno a chi ribellar- si ". E veramente cocevano ancora al ricordo le ribel- lioni, consuete per tanti secoli, dei baroni, e continue e gravissime sotto gli ultimi aragonesi. Il Di Falco non nega il fatto, ma lo commenta e lo spiega: Quanto a quel che si dice delli Baroni che si ribellaro dal Re Fer- rando vecchio, la Maestà vostra deve sapere che la maggior parte delli Baroni di questo regno sono discesi o da Normanni e da Franzesi an- gioini, o da Tedeschi di Svevia; li quali per loro naturale nobil san- gue non poteano tolerare aver signor lontano dalla nazion loro, e di tali ribellioni in ogni paese e sotto ogni principe sogliono accadere. El re di Franza fu abandonato dai suoi franzesi, dal quale già si ribellò il Du- ca di Borbona ; ed ora, in questo tempo, alcuni principi della vostra Germania non solamente si sono ribellati dalla Maestà vostra, ma an- cora hanno avuto ardimento di ccmparire innanzi al volto del felicissi- mo e potentissimo esercito della Maestà vostra con armate schiere, ben- ché dal valor dell'invitto Imperio sia stato loro posto ragionevole freno. Similmente, per quel che si intende, un cavalliero spagnuolo, della com- pagnia Gerosolomitana di San Giovanni Battista, tradì il Gran Maestro e diede Rodo al Gran Turco ; e di simili errori si potriano scrivere molti riscontri ; di maniera che in diverse provincie si commetteno, in diversi tempi e per diverse cagioni, or giuste or ingiuste, simili errori. Tutti siamo macchiati d'una tintura. E perciò giova meglio contrapporre al male, che è comune a tutti i tempi e popoli, il bene : le prove di fedeltà degli stessi baroni napoletani a re Ferrante nella guerra con Giovanni d'Angiò; le più insigni che furono date al re Cattolico e all' imperatore Carlo dal duca di Termoli Andrea di Capua, da Prospero e Fabrizio Co- lonna, dai marchesi della Pescara e del Vasto, dal prin- cipe di Salerno, dal protonotario Caracciolo , dal conte di Sarno e dal suo figliuolo Vincenzo Tuttavilla , da 6 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI Fabrizio Maramaldo, dal duca di Castro villari. Vero è che anche un vecchio motto, d'accordo col giudizio del Collenuccio, diceva che la insegna di Napoli è " uno animai che, tenendo a dosso la barda vecchia, riguarda la nuova n ! Tale insegna — esclama il Di Falco — io non vidi giammai, essendo la insegna della città un campo d' oro, che è il color del Sole, il quale anticamente adoravano li Napolitani, e mezzo rosso, che è il color della Luna, qual dimostra la matina per li vapori che riceve dalla terra, per esser un pianeta che è più vicino ad essa terra degli altri pianeti, mede- simamente adorata dagli stessi Napolitani. Deh, s'io potessi far qui men- zione della incostanzia d'Italiani e le torombelle della Italia, direi che tale animale con simil barda sarebbe più convenevole al rimanente del- l'Italia ch'a noi Napolitani I Lo stemma, infatti, di Napoli era quale lo descrive il Di Falco ; e il cavallo, variamente atteggiato , si trova invece negli stemmi dei due più antichi e maggiori " se- dili nobili " della città, quelli di Nido e di Capuana, che in certa guisa rappresentarono talvolta la città stessa. Come che sia, in questa affannosa difesa della n fedeltà n politica di Napoli freme il ricordo del passato e trepida la sollecitudine dell'avvenire. Ancora più conforme ai tempi è l'altra e più agevole difesa della n fedeltà n religiosa di Napoli, che il Di Falco non dubita di mettere a confronto con le assai di- verse condizioni in cui si trovava per questa parte il po- polo dominatore, gli spagnuoli. Per la mistura dei barbari Mori e altre genti settentrionali feroci, essi Spagnuoli sono stati infettati e macchiati quanto alla fede di Cri- sto, e acquistarono anche il nome Mauro cioè Moresco, detto « Mar- I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 7 rano », quasi « Maurano » (1). E questo loro non è vergogna, perciò che la forza l'ha causato ; voglio io dire che per la lunga dimora di infedeli Mori non al tutto la setta moresca infedele si ha potuta toglier via. Per la qual cosa ragionevolmente nella Spagna s'inquidono gli Ere- tici, come nell'Alemania coloro che non vogliono osservare li veri e santi precetti della Ecclesia romana... E questo tenemo noi per cosa certa, per la vicinanza di Roma e del Papa, dalli quali ogni dì siamo romanamente ammaestrati, massimamente che Napoli non mai fu signo- reggiata da Mori o da altri uomini infedeli, per li quali ne causasse al- cun sospetto de infedeltà, non essendo noi vicini alli Mori, come la Spagna. E qui il pensiero ricorre subito alla ferma risolutezza dei napoletani contro i tentativi che più volte si erano ripetuti in ogni tempo e non parevano del tutto abban- donati, d'introdurre nella loro città, luminosa per la sua t ^d^ irreprensibilmente cattolica, 1* inquisizione spagnuola ( ). Pure, in Napoli lo spirko religioso si moveva allora con libertà, che poi venne soffocata ; e nelle accademie, nei monasteri e nella società elegante, e presso lo stesso po- polino, si notava un fervore di sentimenti e di pensieri che rispondevano al gran moto, mistico della Riforma. E forse lo stesso Di Falco, senza avvedersene, partecipava a quel peccaminoso fervore. Chi era per esempio, quel signor Leonardo Curz, Ale- manno, al quale egli dedica l'opera sua e che chiama n caro figliuolo n , e dice che aveva un fratello , Sigismondo, nella corte imperiale? Che cosa era venuto a fare, o (1) Non sarà inopportuno avvertire chela derivazione di « marrano » è altra : quella parola valeva « maiale » e si dava agli infedeli. (2) Si veda quel che è detto in proposito nel mio libro : La Spagna nella vita Mattana durante la Rinascenza, Bari, Laterza, 1917, pp. 210-213. 8 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI che cosa faceva, a Napoli? Il Di Falco lo conobbe " per un'opera devota " , con la quale il Curz n confortava aìla pazienza cristiana , leggendola di continuo n , e perciò volle essere del numero dei suoi amici, e suo n compa- gno per lo medesimo affetto di Cristo, la cui umana bontà, stampata nei nostri afflitti cuori, fa che nel mezzo di loro seda un eterno onore e un certo spiritual profitto delle divine promesse del cielo ". Il Curz egli ammirava come n pregiato della grazia cristiana, cosa da dovero meravi- gliosa, giovane d'anni e vecchio nei santi pensieri di Cri- sto... ". Par quasi di udire gli accenti coi quali allora favellavano, in Napoli, gli amici di Juan de Valdés. L' operetta del Di Falco si apre con le lodi del sito di Napoli, e poi, cominciando da Posillipo, vien descri- vendo le strade e chiese della città ; tratta anche delle antichità di Pozzuoli e dei bagni, e termina, infine, con le lodi degli abitatori. Vi abbondano digressioni sulle costumanze, e una in particolar modo piacerà leggere, nella quale l'autore de- scrive minutamente le fastose mense e i lauti conviti dei signori napoletani. Questa digressione si trova a propo- sito della n strada degli Orefici n : In questa strada si lavora l'oro e l'argento con ogni artificiosa ma- niera di lavoro. Conciosiacosachè non molti anni addietro li Principi e Baroni del Regno costumavano mangiare ne* vasi d'argento e bevere in oro. Laonde, entrando tu nelle sale de' bei palazzi, harai a mera- viglia, riguardando gli alti riposti adorni di vari vasi scolpiti da di- verse imagini e di nove congetture, quali riposti luoghi i latini chiamano abacos; questi la notte risplendono per li pendenti candelieri di rame ciprio e della Alemania, lucenti di molte fiamme. Poi vedrai un'altra ri- posta lavala, piena d'altretanti vasi di ricco cristallo con diversi smalti e bei lavori, collocati ivi a diverse bevande vari preziosi vini. E nel I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 9 mezzo una comoda mensa torneata di politi e galanti servitori, che ivi con loro piatti d'argento aspettano le minute delicate carni trinciate da un destro e atteggiato trinciante, il qual da greci è detto chìronomon. E di più riguarderai una lunga mensa coperta di due bianchissimi man- dili, o dirai mesali, di sottilissima tela d'Olanda, crespi a spesse pieghe, ripieni di tanti gelsomini odoriferi e bianchi, che veramente paiono ivi vezzosamente piovere, con altre frondi de cedri di celo d'oro, che em- pieno d'odore gli invitati. Questa sontuosa signoril mensa è divisa di convenienti e nettissimi servietti col suo coltellino ad ogni uno il suo; e tra due sta un bel becchiero, pieno del vino detto « vernaccia », dagli antichi « vinacia », in cui si bagnano le vane nevole, dette da lombardi « cialdoni ». E quivi sogliono essere gli antepasti, come sono quei pezzi inzuccarati, quali noi chiamiamo « pignolate », detti latinamente da Hermolao Barbaro « pugillares ex nucleis pineis et saccaro », scrivendo del suntuosissimo convito che fé' il signor Giovan Jacovo di Triulzi quando tolse per moglie la illustrissima signora Donna Beatrice di Da- valos di Aquino, zia del gran Marchese di Pescara. Evvi ancora quel cibo di zuccaro, qual chiamano « pasta reale », e mustaccioli », da la- tini mustacea ; tal ora gli spicoli degli aranci dolci, posti in un qua- dretto d'argento, avvolti nel succaro. E spesso per antepasto pononsi il melato cibo de' cedri e de' limoni, qual cibo Hermolao nomina lymo- niacum pultarium, da noi la « cedronata », paruto alli nuovi Apicii in comminciar da dolci cibi e salsi, come sono li presutti salviati cotti col vino e con la salvia, e le rosse sopressate. Finiti questi primi cibi af- fatto, vengono gli altri antepasti, li quali li latini chiamano ientacula, quali sono i fecatelli arrosti e avvolti nelle frondi del lauro, spasi delle miche del pan bianco, ora le tenere animelle del capretto, ora quel- l'ossa allesse che noi chiamiamo « gammoncelli » della vitella ; e, man- gitisi gli antepasti, udirai la voce dell'accorto maggiordomo, che ha sem- pre l'occhio agl'invitati, con un severo ciglio fare cenno ai paggi, li quali obediscono quasi a tintinno di galera al maggiordomo, detto da sacri dottori « architriclino ». Questi ordinatamente portano con lor candide e nette mani, chi il biancomangiare, grecamente detto leucophagon, chi le carni allesse con varie menestre e vivande, quali i latini chiamano ferculo con vari sapori detti latinamente condimento. E innante che si porta la vivanda arrosta (cosa lodevole e signorile) si tcgliono via li primi servietti e si mettono li secondi. Quivi vedrai cibi tosti arrosti 10 I.-IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI con mirausi, peperati e civeve, a diverse fogge cotti ; e, mentre si man- gia con la cortegiana modestia, udrai alquanti festevoli detti de saggi e honorati cavalieri, e per avventura d'uomini dotti, li quali debbono es- sere di molto pregiati e avuti in tanto prezzo in quanta viltà si di- spregiano li fastidiosi e ignoranti buffoni. Finita la cena sontuosa e varia, sentirai un soave profumo , che fumando riesce dalli panni di lino avvolti a modo d'una torre e a molte pieghe, con suoi palichi po- sti di piega in piega per purgare li denti, per gustare alla fine tanti co- riandri sparsi nella tavola coverta del primo mesale, levatone il secon- do, distribuiti alquanti pezzi della turta marzopane, che Hermolao chia- ma placentam ex nucleis amigdalinis confectam, e altre cose di zuccaro, che una voce chiamano tragemata, e la retinente cotognata, chiamata da Hermolao streitea cotonea ex saccaro. Quinci guarderai tanti ricchi panni di razza (1); quindi tante ricchezze de vari vasi d'argento, e in ogni parte cose belle e di meraviglia. Ora oggi, in cambio degli orefi- ci, sono li cretari, li quali empiono li reposti de vasi de terra, molto disconvenevoli alli grandi personaggi. Li quali in questa avara etade sono assaliti da angusti e avari desiri, che gli astringono quasi a un vivere privato popolare. Erano quelli (come si sente in tutta la descrizione e più chiaramente in queste ultime parole) n tempi senza invidia n , nei quali i popolani tenevano a vanto patrio il lusso che spiegavano i signori nella loro città, e anzi li censuravano e rimproveravano, quando sembrava loro che inclinassero a un " vivere privato e popolare " ! IL Popolano era certamente il Di Falco, e, sebbene di lui manchino notizie biografiche, non è difficile dai suoi libri ricavare che la sua professione principale dovette es- (1) Arazzi. I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 1 1 sere quella del n maestro di scuola n (1). Vocabolari e grammatiche, rimari e prosodie sono tutte le altre sue ope- re, tranne un libretto nel quale trattò un tema di moda in quegli anni, la dottrina dell' amore (2). Il Vocabolario della lingua volgare, che egli aveva com- posto e al quale rinvia nel suo Ternario del 1 535 come a opera che avrebbe messo presto a stampa, rimase pro- babilmente inedito, e, certo, non se ne ha altra notizia. Ma il Rimario (3) è il primo lavoro di qualche ampiezza che comparve in questo genere, come l'autore stesso af- ferma: n Non si è fatto ancor rimario degno da pubbli- carsi e del quale comunemente abbiano voluto servirsi gli scrittori n . L* autore si fonda per esso su dieci autori (laddove i tentativi precedenti erano ristretti al Petrarca, o al Pe- trarca e a Dante): e i dieci autori sono catalogati in que- st'ordine: Petrarca, Boccaccio, Dante, Ariosto, Pulci, San- (1) Alcune notiziole sulle sue amicizie letterarie e sulla stima che godeva in Napoli, raccoglie ora il PÉRCOPO, in Napoli nobiliss., nuova serie, II, p. 4 n. (2) Questo trattato Dell' amore, in volgare, dedicato a Francesco Carafa conte di Pacentro, e stampato in Napoli, presso Giovanni Sulz- bach Alemanno nel 1538, in 4°, è notato nel CHIOCCARELLI , De illustribus scriptoribus neapolitanis, ed. Meola (Napoli, 1 780), pp. 98-9 ; ma 1' ho cercato finora invano nelle biblioteche. Il MlNIERI RICCIO, Biografie degli accademici Jllf omini detti poi pontaniani, p. 110, ri- corda anche una lettera del Falco, preposta alle rime di GlOVAN DO- MENICO Lega (Napoli, 1535), (3) Rimario del Falco: infine: stampato in &£apoli per Martinio Canze da Brescia e ad tnstantia de li honorohili uomini Antonio Iooine et Fran- cesco Vitolo Librari Napoletani compagni MDXXXV adì 8 del mese di Qiuglio. 12 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI nazaro, Bembo, Landino, Machiavelli e l'autore del Cor- tegiano. Può sembrare strano a un lettore moderno, ma è af- fatto naturale rispetto alle idee allora correnti, che a Dante si assegni solo il terzo posto, e per dippiù che si espon- gano a lungo le contrastanti opinioni sul pregio di lui co- me testo di lingua, alcuni negandogli autorità ed altri ri- conoscendogliela: ai quali ultimi si unisce il Di Falco, che perciò n non ha osato togliere dal numero dei buoni autori del parlar toscano sì gran poeta n . Nondimeno, poi- ché furono divulgati i fogli della sua opera, gli fu mosso rimprovero di aver incluso il rozzo Dante tra le sue au- torità; sicché egli, tra per amor proprio che lo spingeva a difendere il partito al quale si era appigliato, e tra per isdegno contro la qualità dei censori, fa di costoro, cioè della doppia classe di costoro, che erano i n pedanti n (ossia i suoi colleghi nella professione dell'insegnare) e la gente di mondo, feroci ritratti satirici. E chiama i primi n huominucci che quando, con una lunga chiave a lato, per aventura vestiti di cotone, ragionano con le madri dei lor discepoli, fingendo esser fedeli amanti, sonettando de la fronte, de la luna, de* capei d'oro, de* denti eburnei, l'avorio, le perle, madonna segnora che siete bianca co- me un cigno, e altre parole simili, pensano trapassare con lor pedantesca fetidità tutti altri divini ingegni n ; e qualifica i secondi come n alcuni oziosi chiamati cavalieri n , e gli par n mirabil cosa di un gentil' hominuzzo, usato spaziarsi per le strade, con piedi fuor de la staffa e con le mani spen- solate sugli umeri de' staffieri, con lo scopino a dietro e '1 specchio nel petto, abbaiando per la via con li denti disgragnati, sgombavando da le finestre di donne, persuaso I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 1 3 da lor vani pensieri " , che " presuma dar giudizio di Dante e d'altri poeti n . Nella foga della difesa, esce perfino a parlare di Omero, per sentire il quale bisogna farsi n ome- rico " e a paragonare Dante con Platone, che è il Dio della filosofia e sta n nei ripostigli aurei de' divinissimi spiriti ", laddove Aristotele n per sua disavventura a tutte l'ore è ne* refettorii e cucine de' frati n . E altresì annunzia di aver composto una speciale apologia di 'Dante. Per un altro verso è curioso un disegno, e una spe- ranza, che balena al Di Falco circa la allora e poi con- troversa unità delle lingua italiana, che egli si acconciava, tra la varietà delle lingue o dialetti d'Italia, a riporre prov- visoriamente nella Toscana e nei buoni scrittori, ma che in modo definitivo gli pareva che potesse essere effettuata, come pel latino da Roma, per l'italiano da Venezia. Ve- nezia era l' orgoglio di tutti gli italiani nella prima età del cinquecento ; ed essa sola (dice il Di Falco) potrà forse " con la consulta de' dotti n riformare l'idioma italiano e farne " una lingua comune a tutti n : seppure (soggiunge, passando di utopia in utopia) l'imperatore Carlo V, ri- ducendo tutto il mondo aria fede cristiana, non darà a tutto il mondo una sola lingua: la lingua universale o la lingua internazionale unica (che non si chiamava ancora il volapiik o 1* esperanto). Il dialetto, per intanto, insidiava da ogni parte il Di Falco, che traduce i vocaboli del suo rimario dal toscano nel napoletano, e sovente egli stesso crede di scrivere in italiano e scrive in dialetto. E questo vezzo, che screditò presso i letterati il suo libro come rozzo e volgare, ne forma ora per noi Y attrattiva principale : come attraenti sono altresì le osservazioni storiche e morali che egli in- 14 I. -IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI tercala qua e là. Alla parola metafora, per esempio, pro- testa contro l'aggettivo n divino ", applicato a " maledici n , col dire il n divino Aretino n , e si meraviglia che i mode- stissimi Veneziani permettessero che questa n prepostera metafora si stampasse n . Il Rimario non ha dedica, perchè (dice l'autore) è de- dicato ai lettori stessi; ma, in cambio della dedica, nel- i introduzione sono celebrati alcuni signori che il Di Falco aveva cari, Fabrizio Gesualdo signore di Consa, Camillo Gesualdo arcivescovo di Consa, Antonio Doria, Scipione Capece, Giovambattista Carafa priore di Napoli, il fio- rentino Antonio di Gagliano; nel corso del libro, tra gli altri, Bernardino Martirano (1); e, nel commiato, si com- pie addirittura un viaggio di ossequio, prima a Gaeta o a Fondi per inchinarsi a Giulia Gonzaga, indi a Siena a salutarvi quei gentiluomini, e a Venezia, a far atto di sottomissione al Bembo, poi a Roma, e finalmente colà dove si trovava la donna dell' amoroso e cortigianesco culto dell' autore, che era la più famosa bellezza campana di quel tempo, la gentildonna aversana Lucrezia Scaglione, vedova di un Carafa. (1) «...L'eccellente signor mio il segnor Bernardino Martirano, se- cretano dignissimo in questo regno de l'Imperator Carlo quinto di Au- stria nostro segnore, che sì come egli è generoso cavaliere di antica prosapia e di bellissimo e giocondissimo aspetto, sì ancora sommo let- terato di belle e recondite lettre, e di savia e molta lezione: una sua opera dottissima e florida in prosa orazione scritta, ne la quale lepi- damente e con uno stil dolce e grave narra gli amori d'Ismene e Isme- nia ». L'Ismene del Martirano era, dunque, un romanzo in prosa, e non, come crede il POMETTI (/ Martirano, Roma, 1897, pp. 61, 68), un « poemetto ». I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 1 5 Ed ovunque sarai interrogato — dice egli al suo libro — rispondi eh' io sono Benedetto da I* insegna del Falcone, ucello rapacissimo e di tenace artiglio, che da colà de 1* assedio di Napoli infino che ad Amor piacerà sta preso et artigliato dagli amorosetti artigli d'un amo- roso ucellin, che vola per le venuste, giovanili, vaghe e belle gote del dolcissimo e divino viso de la eccellente Segnora la Segnora LUCREZIA SCAGLIONE, ricca di bellezza e di virtù, la qual, venuti in Napoli di- versi pittori, da diversi paesi, con diversi pensieri per ritrarla, né la man d'essi quantunque forza né pennel quantunque accorto, né color quantunque fino effigiarla volser mai... Ma il Di Falco ci ritrae la bella donna nelle sue molte sventure domestiche e nella fortezza d'animo, onde tutte le dominava : ...è nata per fronteggiar la fortuna sua perpetua nemica, la qual, in- consulta e incostante, or animosissimi suoi fratelli ha spenti, parte morti negli onorati steccati, parte in servigio sacro dei pontefici, e parte tra- fitti da lei diversamente; ora una sua cara, bella e real figlia, contessa di Piacentro, moglie de 1* eccellentissimo segnore il segnore Raimondo Ursino conte del detto Piacentro, in teneri anni spense... Se col Rimario aveva provveduto ai bisogni dei ver- seggiane in volgare, con le Syllabae poeticae, pubblicate nel 1539(1), provvedeva a coloro che verseggiavano in latino; e dedicava questa prosodia a un giovane, Giovan Tomisio o Giovan Tommaso di Capua, probabilmente suo discepolo. Il quale " giovinetto patrizio " (patricius ado- (1) Ne reco il titolo preciso, perchè è dato arbitrariamente dai bi- bliografi : Syllabae podice (sic) ad rem poeticam necessarie (sic) commo- diori atque faciliori ordine quam pridem ordinate (sic) a BENEDICTO FALCO Neapolitano ad illustrem doctumqueiuvenem Ioannem Thomisium cognomenfco de Capua. In fine: Excusum opus est honesti Marci Antonii Passeri Neap. iussu in officina Matthaei bionensis Die 18 Octobris Anno domini MDXXXIX. 16 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI lescens) due anni dopo poneva la prefazione e la racco- mandazione a un altro libro del Di Falco, De origine he- braicarum, graecarum ac latinarum literarum, deque nu- meris omnibus (1). Evidentemente l'autore era in quel tempo presso i De Capua, perchè all' arcivescovo Pie- tr* Antonio dello stesso casato, vigile rettore delle cose sacre e studioso della legge divina e umana, ma non di- sdegnoso delle belle lettere, è dedicato V opuscolo, nel quale ricorda le dispute intorno a quei tre alfabeti, fatte alla presenza di lui. Il Di Falco ripigliava sul proposito speculazioni che erano già in Platone, ma (diceva il suo raccomandatore) colà tutte ravvolte nelle ambagi e nei labirinti socraticarum argutationum, ironiarum et isago- garum, e presso di lui, invece, che aveva spremuto il succo delle opere platoniche e d'infiniti altri volumi, tutte spiegate e limpide, rese comprensibili anche a giovanetti e fanciulli. Anche queste noterelle sulle singole lettere e sui misteri dei numeri sono piene di ravvicinamenti e di osservazioni curiose. Dirà del B: n Hoc elemento loco u utebantur antiqui, ut Benacus nunc, olim Uenacus, mi- rabili olim mirauilu sic quoque comparabili comparauili, uibo uiuo, bixit uixit... ut apud nos neapolitanos il uino> lo bino ob magnam affinitatem b cum u n . Dirà dell' Y: n Hoc elementum graecum est, et graecis nominibus tantum additur, hac litera in nominibus dumtaxat graecis utimur. At ambigenti cur nostri pueri discentes, legendo ipsam, fio (1) BENEDICTI DE FALCO Neapolitani De origine Hebraicarum grae- carum ac latinarum literarum deque numeris omnibus. Ad Illu. et Reveren- dissimum Petrum Antonium de Capua Archiepiscopum Hydruntinum... Neapoli apud Ioannem Sultzbachium Germanum Marci Romani iussu. Anno Domini MDXXXXI. I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 1 7 nominent, dicendo /, u, x, fio, z; dicimus quod quum latini diphtoneum v cum iota ad imum ipsius scripto in y verte- rint, sic compositum ipsa litera x tensa videtur, a graeco vocabulo cpoto, idest extendo et produco n . Dirà dell'L.: n Cui literae L hominem laqueo vitam finientem plautinus ille servus adsimilavit. Quippe quae in Etruscis cantile- nis iterari ac repeti solet Petrarca : Laura che '1 verde lauro e l'aureo crine n . E così via. Alla fine, in una nota, l'autore domanda scusa per aver adoperato nella stampa le lettere latine a indicare i suoni ebraici, per aver dato il greco senza spiriti e accenti, e per aver omesse le utili postille marginali, per le quali i compositori tipografi di allora s* impazientivano, impres- sores moleste ferunt: proprio come i tipografi odierni, del dopo guerra ! Anche 1* ultimo libro che sia noto del Di Falco, sui barbarismi latini, stampato nel 1548 (1), è composto con lo stesso metodo, perchè il latino vi è di frequerte tradotto a questo modo: n Myrapolium, la potecha del parfumie- ro n ; Ruga, la grinza, la rechieppa n ; n T^ictus, lo musso n . Naturalmente, l'ispirazione è ciceroniana, e grande vi ap- pare 1' aborrimento per i vocaboli del latino medievale, e particolarmente per quelli barbara ac foeda, pertinenti alla dialettica ossia alla scolastica. Il libro è stampato a Sarno, dove da tre anni il Di Falco dimorava, chiamatovi da quel Vincenzo Tuttavilla, (1) 11 titolo esatto è: ZftCulla vocabula barbara a latinae linguae vero ac germano usu remota atque alia studiosis iuvenibus pernecessaria aà institutiones grammaticales pertinentia. Per BENEDICTUM DE FALCO Neapolitanum dudum recognita. In fine: Sarni per Franciscum Fabrum Picenum XV Cai Iunii MDXLVIII. 18 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI che nella Descrizione di Napoli egli aveva lodato pel va- lore dimostrato nei combattimenti presso Algeri, in cui, uccisogli il padre conte di Sarno alla presenza dell* im- peratore, egli seguitò gagliardamente a pugnare, n facendo più istima della servitù imperiale che dell'affetto verso il morto padre ". Diventato poi conte di Sarno, volle che ai giovani di quella terra, suoi vassalli, il Di Falco im- partisse l' insegnamento delle cose grammaticali, latine e volgari. Un umanista, collega del Di Falco nella profes- sione dell* insegnare, il Sidicino, pose in fronte al libro un epigramma encomiastico; e un medico di Sarno, i rin- graziamenti per aver lasciato stampare 1* opera insigne, non a Napoli, come si doveva, ma a Sarno. Ma assai fresca e vivace è la pagina nella quale il Di Falco stesso spiega al lettor cut autor Samum venierit; e perciò mi piace darle in parte tradotta: Candido lettore, tu già vedi che io cessai di esser cittadino e lasciai i fastidi della città e mi ridussi a Sarno. Dove primamente mirai il monte piantato degli alberi di Minerva, sul quale è il castello per na- tura fortissimo, e 1* altro baluardo che si chiama la Torre dell' Orsa. Poi, il suburbio steso in lungo sotto il monte, donde sgorgano copiose, dolci e gelide acque; ma più feconde quelle che fluiscono con rapidi rivoli dalle radici della rupe, sulla quale è fondato il palagio del si- gnore, che si vede da ogni punto. Per di qua le acque formano il fiu- me che si chiama Sarno, che non sorge (come gli altri fiumi) da un sol lato o dal grembo del monte; perchè da una parte del suburbio verso r occidente, nel luogo chiamato le Gole (fauces), dov' è 1* altra forte sicurissima difesa della terra, scaturiscono vivi fonti, e dall'altra parte, verso l'oriente, erompono altri fonti, e gli uni e gli altri subito confluiscono dov* è la selva che ha il nome di Longula. Questi condotti d* acqua e derivazioni di fonti servono da utilissime irrigazioni nei campi e di essi il fiume si accresce, non al modo di altre correnti che si riempiono di acque estranee; ed ora per tortuosa via bagna i colti I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 19 campi, e passa pel ponte dove è Scafato, e si getta a mezzogiorno nel mare. Ed è pieno in ogni tempo di gamberi, e nell* estate di anguille. Qui amplissimi campi feraci del più sottile lino; colà, un lago abbon- dante di ogni sorte di uccelli, dove l'illustre Conte (come lo chiamano) spesso va a caccia, e si chiama quel luogo « Tar tarilo », dove l'acqua per l'estrema gelidità impietra , e « tartaro » chiamano quel genere di pietra. E di qui si ha alla vista il monte Vesuvio, a cui è prossima Napoli; di là, i colli di Sorrento, e perciò da ogni parte si vede la più bella faccia di tutte le cose. L* amenissimo territorio si chiude con aprici e fertili monti, coronati di molto arbusto, che genera un soave vino, chiamato volgarmente « verniglio » che non si stima meno del- l' antico falerno. Cosa ancora più propizia, il clima è clemente e sa- luberrimo. Il Di Falco trovò, in sì dilettevole soggiorno, ogni bene; rimedio alla podagra di cui soffriva, buona aria, buona gente, cordiali accoglienze, e grandi querceti, che davano a lui vecchio il modo di scaldarsi a buon mercato nel verno, cosa che in Napoli, per la sua povertà, non po- teva; e nell* estate le fresche acque del Sarno, e, soprat- tutto, in ogni tempo il soave vino. n Chi vorrà schernirmi (egli conclude) se lasciai Napoli e mi trasferii a Sarno pel vino, quando è noto che Mezenzio, re di Etruria, lasciò il suo regno e apportò aiuto ai Rutuli contro i La- tini solo condotto dalla mercede del vino, come attesta Plinio ? Chi vorrà schernirmi quando a Sarno ho trovato un così magnanimo conte per Mecenate ? n Ma più beato, forse, egli doveva sentirsi nel tranquillo e confortevole asilo in quegli anni in cui tanta parte della lietezza e prosperità di Napoli, descritta da lui qualche anno innanzi, s'intorbidava e spariva; e l'ultimo dei grandi baroni, il principe di Salerno Ferrante Sanseverino, del quale egli aveva celebrato la fedeltà a Spagna e all'Im- pero, soggiaceva in impari lotta ed era condannato a 20 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI morte e costretto alla fuga e agli esilii; e le accademie dei Sereni e degli Ardenti, e anche la sua, quella de- gli Incogniti, erano disciolte per sospetti di idee politiche non meno che di novità religiose; e il n gran Toledo n lavorava a fiaccare ogni spirito d'indipendenza nel baro- naggio napoletano, e a stendere sulla morente libera cul- tura italiana il sudario dell'incultura spagnuola, e comin- ciavano i tempi grigi, i tempi dell'alleanza tra la reazione cattolica e l'assolutismo degli Asburgo , i tempi della immota pace d' Italia. II. L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA IN UN' INEDITA CRONACA QUATTROCENTESCA Scriveva questa cronaca, intorno al 1 478, Gaspare Bro- glio, figlio del celebre condottiere Tartaglia , e la scri- veva a Rimini, dove si era fermato presso Sigismondo Pandolfo Malatesta (1). Lo scrittore aveva sangue na- poletano nelle vene, perchè suo padre era figlio naturale di Raimondo del Balzo Orsini, principe di Taranto. A un certo punto della sua scrittura piacque al cronista segnare in carta il racconto, che era corso per I' Italia venti anni innanzi, degli amori del gran re Alfonso d'A- ragona con una donzella sua vassalla : famosi amori tut- t'insieme appassionati e casti, e che s'intrecciavano con la politica di quei tempi (2). Il racconto raccoglie i tratti che la fama aveva divulgati e la tradizione fissati, e li accompagna con aneddoti altresì diventati tradizionali; e perciò ha V aria di una leggenda che si narri alla nuova generazione, ed è condotto in forma novellistica o (1) La Cronaca del Broglio è manoscritta nella Biblioteca Gambalun- ga di Rimini, n. 77 ; e debbo l'indicazione e trascrizione delle pagine, che trattano della d' Alagno, all'amico Corrado Ricci. (2) Si veda il saggio su Lucrezia d' Alagno nel mio volume : Storie e leggende napoletane (Bari, Laterza, 1919). 22 II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA romanzesca. Piacerà leggerne qualche brano nell' ori ginale. Come accadde a re Alfonso d'incontrarsi con Lucrezia d* Alagno e sentirsi accendere d'amore per lei ? Regnando in ripeso e tranquillo stato la Sacra Maestà di Re Al- fonso d'Aragona, andando a suo diporto per la sua vaga città di Na- poli, accadde, come cosa disposta dalle influenzie superne, che una no- bile damisella, sospinta da volubile volontà, presentito lo strepito delli cavalli, con alquante sue compagne trascorse alle finestre per vedere. Dove la Maestà del Re alzando gli occhi, quelli in un medesimo tempo si contemplarono nella luce della damisella. Lo splendore della quale parve alla Maestà sua che li raggi delli suoi lustranti penetrassero per insino al core, quasi tutto intenebrato di melodia , non interessando però el sguardo d'essa, [che] ognora più grato gli era. E così, infiam- mato e trafìtto dal colpo di Cupido, se ne ritornò allo real palagio, e, chiamato un suo caro confidente, di subito mandò e intervenne [colui] di chi era figliola questa nobile damisella. Il padre della fanciulla, conosciuto F affetto e la bra- ma del re, subito la concesse in balia del suo sovrano: gratamente illa concedette, e, recevuta che l'avea in sua podestate, fu cologata in un real palagio, con tutte quelle solennità appartenente a qua- lunque altra e degna regina, dalla corona in fuora. Seria cosa inestima- bile a narrarvi le magnificenzie e li preparamenti de arazzi commessi ad oro per le sue camere, le credenzie adornate tutte e piene d'argento con vasi d'oro, cancellieri e sottocancellieri, scalchi e sottoscalchi, mae- stri di stalla con degni palafreni, avianti struzieri con più vari uccelli ra- paci, trombetti, pifari, e più altri maestri di strumenti, cantatori gentili, per sua compagnia di molte damiselle e di nobilissime gentildonne in quantità, d'ogni qualitade ; e, quando isciva ad alcun diporto o al santo officio, cavalieri e nobili erano diputati ad accompagnarla, e sempre con el nobile barone. Li suoi vestimenti erano risplendenti con gemme, perle ed oro di gran valuta : solo la corona li tolleva el nome di regina, ma ogni altro apparato v'era copioso, le rivisitazioni fatte a lei, simiglianti II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA 23 no a regina, ma a ogni imperadrice. Lengua umana non lo porria espre- mere li onori operati a questa nobile creatura ; e dipoi fo appellata MA- DAMA LUCREZIA. Par di udire una fiaba con le improvvise trasformazioni e meraviglie prodotte dal capriccio di una fata o di un mago. Ma alla realtà storica ci richiama quel che segue, confermandoci che la somma attrattiva della donzella na- poletana era segnatamente nella sua insinuante parola, nel suo tatto e garbo. Potreste dire : — Era costei sì bella ? — Rispondo : — Mai no, ma d'una gentile e altiera maniera e vaga, degna d'aspetto; con suave loquela, come melodia, erano le sue parole, che infiammava il core del superno Re. Ne mancano a questo punto le riflessioni morali sul tema di Amore, che non risparmia neppure i re, immersi nei loro gravi pensieri. Quale meraviglia che re Alfonso s'innamorasse come un giovinetto della sua piacente vas- salla, se, non volendo risalire fino a re Salomone, in tempi prossimi il serenissimo e glorioso imperatore Sigismondo s'invaghì in Siena di una bella ragazza, a nome Caterina? El dicto Imperadore aveva delli anni appresso di novanta, tutto bian- co comò armellino, e, così vecchio, sopra li suoi capelli, portava una ghirlandetta degna, e ogni dì, due o tre volte, andava a visitare la sua vaga damisella, per forma che la fortuna lo condusse a morte ; per ditta cagione fu attossicato. Neppure lui, il nostro cronista, contrasta alla generale credenza che gli amori di re Alfonso per Madama Lu- crezia fossero casti ; e anzi le apporta un argomento a sostegno, espresso con ingenuità non meno deliziosa di questo recato del decrepito imperatore Sigismondo, tutto bianco come un ermellino, che si poneva sul capo 1* a- 24 II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA morosa ghirlanderà. Che nessun male fosse in quella re- lazione di re Alfonso, — egli dice — si vede dal fatto stesso del non mai placato ardore del re : Che così fosse la veritade, de ciò pigliarete exemplo d'un sì piccolo uccellino come è el rosignolo, che, mentre che sta in amore, sempre canta e vive lieto ; conseguito el suo appetito, tace. Per semilitudine di- co, che se re Alfonso avesse satisfatto el dissoluto appetito, non avaria seguito così caldamente, continuando l'amore. Re Alfonso, infatti , cantò sempre come usignuolo in amore , ossia galanteggiò, facendo, quasi perpetuo aspi- rante, la più devota e sospirosa corte all'affascinante Lu- crezia (1). Questo tutti vedevano, e ftutti seppero poi che egli tentò, o lasciò tentare da lei, per unirsi con lei, la via regolare del matrimonio, permettendo che Lucrezia (1) Colgo l'occasione per pubblicare alcuni versi di un'epistola di Francesco Fileifo, diretta a Matteo Malferit, nella quale si accenna agli amori del re con Lucrezia. L'epistola è nel Cod. Bibl. Naz. Napoli, IV. F. 19, e comincia « Scire velim, Matthaee, quibus nunc militat armis Inclitus Alfonsus... »; e ne debbo la notizia al prof. M. Campodonico: Die age quam facilem sese Lucretia prestet, diva pucllarum, Regi» ad obsequium. Nam sunt qui referant nondum pia vota precesque regale animum flectere virgineum. Ast alii contra fulvas penetrasse sagittas pectus et ad roseum virginis isse femur ; et quod vulnus erat fellis prius instar amari, nunc ipso factum nectare dulce magis... A proposito delle varie voci che correvano per l'Italia sulla natura di quella relazione amorosa, si veda anche la settima delle Facezie e motti del secolo XV (in Scelta di curios. letter., disp. 1 88), ricordata dal DI FRANCIA, in Giorn. stor. leti, ital., LXXIV, 118. II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA 25 si recasse da papa Callisto a sollecitare 1* annullamento del precedente e sterile matrimonio con la regina Maria. Il cronista ricorda la pomposa cavalcata della donzella napoletana verso Rimini, e par che avesse origliato ascol- tando il dialogo, rimasto agli altri misterioso, tra la bella napoletana e il vecchio papa. Fo ricevuta dal papa gratamente, e, fattala sedere alli suoi piedi, narrò alla sua Santità alcune altre parole appartenenti tra la Maestà del Re e il papa, le quali parole furono assai grate a Sua Santitade, d' alcune cose che la Maestà sua li assentiva. E, fatti lieti alquanto insieme, ma- dama Lucrezia comprese essere comodo tempo di poterse allargare di riferire la sua volontà ; non però che non fosse con timido principio, perchè comprendeva che il dire suo era inonesto. Non ostante, assicurata, levata in piedi, inginocchiandosi alli piedi di sua Santitade, el papa la fece risedere, dicendo : — Lucrezia, dite pure el parere vostro, — cre- dendosi che lei volesse qualche assoluzione. La quale, remessa che fo, disse : — Santo Padre, el momento che vi farò, parrà alla Santità vostra alquanto grave ; chieggo perdono ; ma considerate la ferma e sincera fede che io ho messa nella Sacra Maestà del mio signore Re m'induce e astrenge di volerlo vedere con qualche figliolo legittimo, il quale, dipoi la sua morte, avesse a reditare li suoi reami e a inalzare la pro- genie di Sua Maestade ; dove, avendo la sua Regina sterele e non con- dicente a figlioli, potendo a questo la Santità vostra provedere, seria salutifera cosa alla sua corona. — El Santo Padre non have più pre- sto compreso el dire di Madama Lucrezia, alquanto inalterato disse;— Ne maravigliamo che la Maestà del Re v'abbia concesso e commesso che n'aviate a fare tale richiesta. E si da noi procede come noi ere- demo, sete cascata in uno grande errore ; della quale parte ne meri- tareste grave pena, e farete bene di sì fatto peccato commesso conse- guirne aspra penitenzia, e non comprendemo quale ardire, ma più tosto follia, v'abbia fatto trascorrere in tanto errore, volendeci cemmovere che noi leviamo dall'onere suo sì alta e degna Regina a petizione di una bagascia. Ora levatevene dinanzi da noi e tornatevene, che da noi non potete avere altro. — Deselusa Madama Lucrezia nella sua volontade, pigliò lisentia, alla quale non K fu fatta altra risposta, con grave affanno. 26 II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA Tornata a Napoli, addolorata e vergognosa, Lucrezia vi fu accolta e confortata dal re, che non tralasciò alcuna cura e premura per consolarla e risollevarla, assicurandola che egli l'amava non meno di prima, perchè quel fallito tentativo era stato mosso dalla sollecitudine per il bene della real casa, dal desiderio di dare a lui figliuoli e legittimi successori al trono. E qui s* inserisce un aned- doto, che prima era noto solo dalle pagine di un tardo scrittore del seicento, del Capaccio, e che giova restituire dal latino di costui al semplice volgare quattrocentesco : In fra l'altre parti, li mandò a donare uno bacile d'oro, pieno d'al- fonsini (1) ; il quale presentato che li fo, la prefata Madama gratamente li ricevette ; di poi tutti li rimise, e solo uno alfonsino tolse, li quali tutti erano di zecca novi, dicendo all' apparatore : — Riportarete in drieto il ditto presente e direte al mio caro Signore, noi che non n'avemo de necessitade di tanti Alfonsi, perchè ne semo date solo a uno Alfon- so, ringraziando la Sua Maestade, e che a quello avemo deliberato con- seguire e servire. — Tale grata risposta molto entrò nel core della Mae- stà sua ; e fece fare circa a cinquanta pallette tutte d'oro smaltate da cerbottana, e poiché el palagio de Madama Lucrezia aveva un nobile e magno giardino, nel quale più volte Sua Maestade aveva suo diporto, a quello andato, essendo Madama Lucrezia a una finestra della sua ca- mera, ragionando insieme, dipoi la Maestà li trageva colla cerbottana le ditte pallotte d'oro. Il narratore chiude il racconto di questi singolari amo- ri, nei quali Alfonso non cercava soddisfazione di bassi appetiti ma solo n allegrezza di core n e gloria di n co- stanzia n , proponendo ai suoi lettori il quesito : quale fosse stato più costante nel serbare la purità se il magnanimo Scipione, o il duca Giovanni d' Angiò (al quale da un (1) Monete con l'effigie di re Alfonso. II. - L'AM OROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA 27 patrizio genovese, caduto in miseria , vennero offerte a delizia due sue belle figliuole, ed egli le rispettò e man- tenne onorevolmente come figlie), o il re Alfonso ; e per sua parte è disposto a dar la palma a quest'ultimo, n si vero fo che non cascasse nella dessoluta volontade n . Ma non chiude con ciò quello che egli dice di madama Lu- crezia, e discorre ancora delle posteriori vicende di lei e della partecipazione alla guerra dei baroni ribelli contro re Ferrante, e dell'esilio dal Regno, e dei pensieri reli- giosi nei quali trascorse gli ultimi suoi anni. Proprio in quei giorni, Madama Lucrezia moriva in Roma, dove s'era, in ultimo, ritirata ; ed egli le forma il necrologio, riassumendo gli splendori di fortuna che circonfusero la " damisella vergine della Sacra Maestà di re Alfonso ", e terminando : Or trascorso più tempo in questa fragilità umana, compreso da Quel che tutto governa, piacqueli ridurre questa nobile creatura alla regione dove li pose il cuore, in modo che tutti li lascivi gesti di questa nostra vanigloria temporale, e suoi gesti volubili e amatrice delli beni munda- ni, tutti da lei furono, cussi onori e piaceri e delizie e portamento al- tieri, riducendosi serva della dolce umiltà e benefattrice delli poveri. E, per meglio osservare, se ne andò a Roma, dove si toglie ogni grave soma ; e lì, con santa devozione, ha finiti li suoi dì cattolicamente, con opere degne e laudevoli : e però l'ho messa al debito onore con farne memoria. III. LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO Un tempo, all' entrare nella chiesetta dei santi Giuseppe e Cristoforo, che è di fronte a Santa Maria la Nova (e sorse in cambio di una cappella di questa chiesa dedi- cata a san Cristoforo che Consalvo di Cordova, il Gran Capitano, convertì in sua cappella gentilizia), si vedeva sulla facciata un affresco col santo gigantesco chino sotto il peso del radioso Bambino, e si calpestava sulla soglia una lapide tombale, fregiata da una ghirlanda e da em- blemi di libri, con la scritta : HIC. IACET. ALOISIUS. ANTONIUS. SIDICINUS. GRAMMATICUS. ET. ORA TOR. QUI. I. ET. LX. ANNOS. MORTEM. OBIIT. PRIDIE. CAL. MARTII. M. D. LVII. E tanto questa lapide fu calpestata dai visitatori, che già nel settecento era mezzo deleta ; e, quasi del tutto de- leta, serbando appena una tenue traccia degli ornati e qualche lettera, è ora che, tolta dalla soglia, nel recente III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 29 rifacimento della chiesetta, si trova infissa nella parete si- nistra dell'unica navata (1). Non so a quanti sia ancora noto questo nome, per ol- tre due secoli popolarissimo nelle scuole del Napoletano, e anche di altre parti d* Italia, affidato com' era a una grammatica latina , molte volte ristampata , che si soleva designare per l'appunto come n il libro del Sidicino n , o, brevemente, n il Sidicino ". Oggi, in nessuna delle biblioteche della nostra Napoli mi è riuscito trovare copia ne di questo libro famoso, ne dell' altro, le Eleganze, dello stesso autore, entrambi i quali, ai tempi dello Spera, omnibus fere manibus tere- bantur (2) : n eleganza n o n frase n latina , che si po- trebbe questa volta prendere alla lettera, intendendo che i ragazzi napoletani effettivamente li n consumarono n , come suole accadere dei testi scolastici e dei libri po- polari. Ma, per fortuna, ne ho poi trovato copie nelle biblio- teche di Roma ; e, poiché innanzi ad alcune edizioni della grammatica si legge una vita che del Sidicino scrisse il suo nipote Cesare Benenato, sono in grado di fornire sicure notizie sul personaggio, che qui c'interessa. (1) Sopra vi è stato murato un bel frammento di tomba (forse pro- veniente da Santa Maria la Nova) di un Bartolomeo de Bisento, miles medicinalis sciencie professor, morto l'ultimo di settembre del 1351. Nuova prova che i nobili napoletani (milites) solevano nel trecento esercitare la medicina, senza perciò derogare. Cfr. su questo frammento di tomba A. BROCCOLI, Dì un sarcofago nella chiesa dei SS. Giuseppe e Cristofaro, Napoli, 1898 (estr. dagli Atti della Commissione conserva' trice dei monumenti di ^crra di Lavoro). (2) P. A. SPERAE, De nobilitate professorum Qrammaticae et Huma- nitatis utriusque linguae (Neapoìi, 1641), p. 461. 30 111. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO " Sidicinus n era, com' è facile pensare , soprannome umanistico, tratto dal luogo natale dell'autore, Teano Si- dicino ; e il soprannome , nell' edizione delle opere , si completa in n Aloysius Antonius Sompanus Sidicinus n : Luigi Antonio Sompano. Anche n Sompano n , del resto è forma latinizzata del genuino cognome n di Zompa n (1). A Teano egli nacque nel 1496 (2), da civili genitori, che gli dettero a maestro un Giovanni Vexeo o Vesce che fosse, sotto la cui guida compiè rapidi progressi. Ma lo stesso suo nipote e biografo ignora per quali ragioni lo Zompa uscisse dal paese natale e per più anni vagasse per quasi tutta Italia, fintantoché, intorno al 1 520, si fer- mò in Napoli. Dove un prete Taddeo Picone, che aveva fiorente scuola di grammatica (3), volendo partirsene, gli affidò la sua scolaresca, ed egli diresse , e con assidue cure portò a grande riputazione , quella scuola, dalla quale, come da un cavallo di Troia, vennero fuori, per oltre un trentennio, caterve di giovani non solo adorni di umane lettere, ma versati nell'oratoria e nella poetica (4). (1) Nei Fuochi o censimenti di Teano del 1561 (Archivio di Stato di Napoli) ho trovato il cognome « di Zompa ». (2) Il nipote dice, infatti, nell'accennata biografìa, che morì nel 1557 di sessantun anno. L'iscrizione sepolcrale, riferita dal CHIOCCARELLI, De illustribus scriptoribus neapolitanii (ed. Meola, Neapoli, 1780), p. 18, reca « VI et L. annoi » ; ma, in conformità della notizia data dal nipote, io ho corretto di sopra « I et LX annoi », se pur non era « XI et L ». (3) Sul Picone, cfr. SPERA, op. cit„ p. 350, che ricorda un'opera di lui intitolata De itinere chrhtiano. (4) Se si vuole una viva immagine di una scuola napoletana di quel tempo, si legga il testamento di un altro celebre grammatico napoletano di allora, lo Scoppa, pubblicato dal BARONE, in Arch. itor. p. le proc. napoi, XVIII, 92. ili. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 3 1 Anche il futuro cardinale di Santa Severina, il Santori, fu tra i suoi uditori (1). Era il Sidicino un ciceroniano, e ciceronianamente scriveva e favellava ; e considerava come più dotti uomini tra i moderni il Pontano e il Sannazaro, e faceva molto conto anche di Pietro Gravina e di Fran- cesco Brancaleone, dell' accademia degli Incogniti, detto Museo. Egli stesso appartenne all'accademia degli Ar- denti (2), e per alcun tempo ne fu principe. Studioso in- faticabile , rubava le ore al sonno ; divoratore di libri, non c'era novità letteraria che giungesse a Napoli da Ba- silea, Parigi, Lione o Venezia, che egli subito non acqui- stasse. Parchissimo nel cibo, astemio, masticante biscotto piuttosto che pan fresco, bevente agresto per frenare l'ap- petito ed espellere il flegma castissimo, passò la maggior parte della sua vita senza fastidi di moglie, sine uxoris molestia, finche, vinto dalle insistenze degli amici, sposò una donna ben vecchia e senza dote. La podagra, cagio- natagli dalla vita sedentaria e che si mutò poi in idropi- sia, lo condusse a morte a sessantun anno nel 1557, e fu (1) «... Andai in Napoli e sentii misser Lois Antonio Zompa detto volgarmente il Sedicine famoso gramatico ; al quale, essendo passato a miglior vita, io posi un epitaffio, che cominciava così: Elysium urbs Sidicina ferax produxit alumnum Parthenopeque suo suttulit alma sinu ». Così nella Vita del card. Giulio Antonio Santori, detto il cardinal di Santa Severino, composta e scritta da lui medesimo, tratta dal ms. corsinia- no ecc., da G. Cugnoni (Roma, 1 898), p. 6. Una notizia delllo Zompa è nel TAFURI, Istoria degli scrittori del 'Regno di Napoli (Napoli, 1770), IH, parte VI, PP . 340-48. (2) Su questa accademia, MlNIERI RICCIO, accademie di Napoli, in Arch. stor. p. le proo. napol, IV, 1 72-74. 32 III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO sepolto nella chiesetta di San Cristoforo, sotto il marmo del quale egli stesso aveva preparato l'iscrizione (1). Compose parecchie opere, che rimasero inedite e si sono perdute : dialoghi grammaticali, comenti su Virgilio, osservazioni su Orazio, scoli sul T)e partii Virginis, for- mulari della lingua latina, un vocabolario, una Dialettica, una Rettorica, una raccolta di epigrammi dei poeti anti- chi e moderni, molte lettere, molti versi. Dei quali ulti- mi, che il suo biografo loda arguti e soavi, non conosco se non sei distici encomiastici, non adatti a dar la misura del suo valore, che egli scrisse per l'opera sui barbarismi (Multa vocabula, ecc.) di Benedetto di Falco, stampata a Sarno nel 1 548 (2). Ma mise a stampa egli stesso VE- (1) Nella quale si chiama inoltre orator, certo perchè somministrava an- che lezioni di rettorica o di oratoria, Su quest'uso dei grammatici, cfr. SPERA, op. cit., p. 252, che soggiunge di aver udito « memoria pa- trum, quosdam e Grammaticis statini e ludo tr'ansisse in forum, atque in numerum praestantissimorum paironum receptos ». (2) Sono questi : ALOISII ANTONII SIDICINI DE GRAMMATICA D. BENEDICTI FALCONIS Monstrorum ut quondam domitor Tirynthius heros Humano generi commoda multa dedit ; Grammaticae et Hnguae sic tot portenta latinae Diiacerans Falco nos iuvat arte sua. Grammaticos inter vere Tirynthius alter, ^ Qui Latium decorat, barbariemque necat ; Sed patris auxilio potuit perferre labores, Amphytroniades post sua fata deus. Tu quoque, Falco, tui praesenti numine Divi, Qui tibi dexter adest, praesidet atque iuvat, Sarnensisque soli genio suffultus opimo Ad nos barbariae parta trophaea refers. III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 33 legantiarum compendium e le Totius fere grammaticae Epitomae, dapprima col nome di un prete Sergio Sar- mento di Sala, uomo probo e letterato (dice sempre il suo biografo), al quale l'aveva ceduta per danaro (1), e poi col nome di entrambi (2). Tali edizioni, per altro, non sono serbate in nessuna biblioteca, ch'io sappia, ne de- scritte dai bibliografi. Di entrambe le opere si conoscono invece le ristampe con accrescimenti, che ne fece il ni- pote, discepolo e biografo, Cesare Benenato : della Gram- matica, per quel che sembra, a Napoli nel 1 564, e delle Eleganze altresì a Napoli, nel 1566 (3). (1) Il Sarmento mori per una ferita alla testa, inf ertagli da alcuni di Sala in un litigio, nel 1547. (2) Perciò Manfurio, nel Candelaio (1582) del BRUNO, parla del « mio preceptore Aloisio Antonio Sompano Sidecino Sarmento Sala- no, successor di Gio. Scoppa ex voluntate heredis » ( 1 , 5) : cioè, uni- fica in un personaggio ideale i due nomi di autori coi quali furono stampati i libri del Sidicino. Quanto all'ex voluntate heredis, l'allusione non può significare se non che il Sidicino successe in Napoli nel pri- mato della scuola allo Scoppa, e forse che l'erede di costui gli affidò la scuola istituita dallo Scoppa per testamento (cfr. 1' ediz. dello Spam- panato del Candelaio, pp. 41 -2 ri). (3) Con queste date sono segnate le dediche del Benenato. Il TA- FURI, 1. e, cita della Grammatica un' edizione curata dal Benenato, con la vita del Sidicino, di Venezia, Babà, 1 55 1 : data certamente errata, perchè nel 1 55 1 il Sidicino era ancora in vita ; e delle Ele- ganze, una di Venezia, 1573; e conosce inoltre delle Epitomae, ri- stampe di Venezia, della Porta, 1 58 1 , e di Napoli, eredi del Cavallo, 1683, e delle Eleganze, di Venezia, eredi del Sessa, 1598. Io mi valgo di queste edizioni: AL. ANTONII SOMPANl SIDICINI et presb. SERGII SARMENTII SALANI totius fere Grammaticae Epitomae, ex optimis quibusq. Latinae linguae autoribus descriptae nova quadam, ac mirabili docendi ratione in lucem prodeunt Caesaris Benenati industria multo quam 34 III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO Sull'uno e sull'altro libro ormai e* è ben poco da dire, salvochè lodarne i pregi didascalici, che del resto 1* uso secolare nelle scuole comprova. Pure, se essi non son valsi a tramandare direttamente fino a noi il nome del loro autore, hanno fatto sì che in modo indiretto e inconsape- vole quel nome sopravvivesse nel quotidiano eloquio della plebe napoletana. E qui debbo chiedere venia se sono costretto ad accennare immagini di cose dalle quali la buona educazione rifugge, ma non rifugge l'erudizione o filologia, che, come la lingua latina, brave V honnèteté. Ancora il volgo napoletano designa col vocabolo n u sfdece n quella parte del corpo con la quale 1* uomo si siede; e il D'Ambra, nel suo Vocabolario, asserisce che n il traslato è fatto da che il numero sedici del giuoco del lotto è assegnato al sedere ". Senonchè, nel più antico dialetto non si diceva già " lo sfdece n , ma per 1* appunto n lo sedicino n , com* è atte- stato, per non dir altro, da questi due versi del libro sesto ante correctìores et locupletar es, Praeter Sidicini vitam, ac Dialogum de Periodis earumque partibus addidimus huic novae editioni de Equis eo- rumque partibus atque nominibus una cum latini sermonis formulis ac di- cendi modis inter se significatione cognatis opusculum, Caesare Benenato authore, Venetiis, apud Dominicum Farreum, 1 587 ; — Elegantiarum Compendium a Caesare Benenato multa accessione nuper auctum et re- cognitum Aloisio Antonio sompano sidicino et Presbytero Ser- gio SARMENTIO SALANO Autboribut. Addita est praeterea forensium Oerborum et loquendi generum interpretatio ab eodem Caesare Benenato concinnata, Venetiis, 1585, apud haeredes Melchioris Sessae. Conosco inoltre delle Epitomae le edizz. di Venetiis, apud Guerilios, 1652, e di Venezia, Cenzatti, 1667. Di una riduzione fattane da un Vincenzo Antonio, grammatico napoletano (Napoli, Beltrano, 1646), fa cenno il TAFURI, 1. e. Sul Benenato, cfr. SPERA, op. cit., p. 395. IH. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 35 (ott. 43) dell' Iliade napoletana di Nicola Capasso : E ghieia, comme lo iennero 1* azzenna, nzi a la figlia a fruscia lo sedecino. E che n sedicino n stesse in qualche rapporto col nome del nostro grammatico si può sospettare dalla contradit- toria e confusa noterella, che accompagna questa parola nel Vocabolario napoletano degli Accademici Filopatridi(\) t e che è dovuta forse all' abate Galiani : " E giuoco di parola nascente dalla voce sedere, e pare che voglia de- nominare la parte su cui si siede. Siccome l'antica città di Teano della Campania si distinse dal Teano Appula col chiamarsi Sidicino, e vi era un grammatico Donato che dalla sua palria si chiamò Sedicino, vengono quindi vari scherzi su questa equivoca parola". Il grammatico Donato, cioè (credo) Elio Donato che Dante collocò in Paradiso, — n quel Donato che alla pri- ma arte degnò por la mano "> — non ha che vedere ne con Teano ne con la presente questione ; ma ben vi ha che vedere il nostro Sidicino, Luigi Antonio di Zompa o Sompano, e per quali strani legami d' idee accennò uno scrittore settecentesco, Tommaso Fasano, in certe sue curiose lettere, piene di notizie su cose e costumanze del tempo e di varia erudizione (2). Apriamo la vecchia Grammatica del Sidicino e leggia- mo nella sintassi, al capitolo De neutrorum verborum sin- (1) Napoli, 1784, voi. II, P . 112. (2) Lettere del dottor Semplice Rustici al signor Dottore Rufo degli Urbani (Napoli, 1782), pp. 192-3. Sull'attribuzione di queste lettere ll'avvocato Tommaso Fasano, cfr. Napoli nobilissima, VII, 151. 36 IH. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO taxi: n Quartus ordo neutrorum (construitur) cum accusativo a tergo: li lavoratori arano la terra: agricolae arant ter- ram... n . n Quintus ordo neutrorum cum nominativo patiente a fronte et septimo casu (1) a tergo: io mi allegro della tua sanità: gaudeo tua incolumitate... n . n Sextus ordo neu- trorum cum nominativo patiente a fronte et ablativo agente a tergo more passivorum : li scolari sono battuti dal mae- stro: discipuli vapulant a magistro... n . Similmente, al capi- tolo De deponentium sintaxi : ' Primus ordo deponentium (construitur) cum septimo casu a tergo: io mi servo dei tuoi libri: ego utor lihris tuis... n . " Tertius ordo deponen- tium cum accusativo patiente a tergo: tutti noi seguiamo la natura: omnes nos sequimur naturam... n . C era ben più di quanto occorresse perchè i napole- tani, dei quali è stato detto che non e* è caso che si lascino mai sfuggire un bisticcio o equivoco salace, tra- sportassero il nome dell'autore di queste regole, così inge- nuamente formulate, a significare quello che abbiamo visto significare, e, pur troppo, senz' alcun bisogno di pensare all' atto del sedere. Perciò anche è da escludere V interpetrazione del D'Ambra, che il vocabolo presentemente ancora in uso derivi dal libro del lotto o Smorfia. Confesso d'ignorare come sorse la geniale opera della Smorfia, e i criteri lo- gici o le motivazioni psicologiche con cui gli oggetti fu- rono in essa distribuiti secondo i novanta numeri ; ma mi pare fuor di dubbio che il compilatore di quel libro, tro- vando nel parlar napoletano il nome sedicino, ne fu mosso (1) «Settimo caso» si chiamava dagli antichi grammatici l'ablativo senza preposizione. III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 37 a pensare al numero 16, donde poi, mediatrice la Smorfia, 1' abbreviazione di quel nome nella forma odierna. Ed ecco dove e come Luigi Antonio di Zompa di Teano, denominato latinamente Aloysius Antonius Som- panus Sidicinus, ancora sopravvive. Chi glielo avesse detto al decoroso ciceroniano, al severo maestro di scuola, al- l' heluo librorum, all'asceta a rebus venereis prorsus abhor- rens, docile disposatore di una vecchiarda senza dote, così, per far piacere agli amici ; chi glielo avesse detto di dover finire a questo modo nel ricordo dei posteri ! Era così bello, semplice, dignitoso il suo epitaffio, e i piedi della gente lo hanno cancellato. Era così venerato il suo nome umanistico di maestro, e i napoletani lo distorsero a equivoci indegni. Ah, i napoletani ! Di che cosa non ridono ? Per placare 1* ombra del buon Sidicino, ricorderò che anche Carlo Filangieri, prode duce di prodi soldati na- poletani nel 1815 contro gli Austriaci nell'assalto del ponte di Sant' Ambrogio sul Panaro (dove rimase per morto con sette od otto ferite), era chiamato dai suoi con- cittadini — che non sanno mai resistere, come si è detto, alla seduzione del grasso bisticcio, — V n eroe del Pa- naro ■ (1). (1) « Panaro » vale in dialetto napoletano lo stesso che « sidicino». — 11 prof. E. BARTOLI, Nota etimologica, in La nuova coltura di Napoli, I (1921), pp. 372-5, mette in dubbio l'origine per bisticcio della pa- rola sidicino nel senso anzidetto. Ma il Fasano sembra esattamente informato in proposito. Quanto al fatto che anche nell'alta Italia sedici abbia quel senso, la mediazione della Smorfia, come ho detto, basta a spiegarlo. IV. L'ACCADEMIA DEI SERENI Le accademie dei Sereni, degli Ardenti, degli Inco- gniti, create in Napoli nel 1 546 , furono una luminosa ma breve apparizione, non spentasi già ma brutalmente soffocata, dopo poco più di un anno, dal viceré Toledo. Rimasero, per altro, a lungo nel cuore dei letterati na- poletani, che non cessarono di farvi accenni, pieni di rim- pianto, nei decenni seguenti; e nel 1 585 uno degli ormai vecchi superstiti di esse, il marchese di San Lucido Fer- rante Carafa, — che era stato nel 1 546 presidente degli Ardenti, — tentò di farle risorgere, fuse in una, ch'egli ri- battezzò cattolicamente e spagnolescamente come dei " Se- reni Ardenti di Cristo e di Maria, dell'Austria e dei Gironi " , cioè del Giron duca di Ossuna, allora viceré ( 1 ). Che era un ricordo di quelle antiche accademie, e in- sieme uno scongiuro contro i sospetti che avevano in- dotto il governo spagnuolo a discioglierle ed abolirle. La più particolare notizia che resti di quelle Accade- mie è fornita dal Castaldo, il quale racconta come nel 1545 a Napoli si desse principio da una comitiva di (1) CROCE, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento (Bari, 191 1), pp. 147-8. IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 39 gentiluomini alle recite di commedie , iniziandole con quella degli Ingannati, e come da tale trattenimento ar- tistico si passasse alla fondazione di accademie, dopo che si era sciolta da pochi anni V Accademia Pontaniana (1). Promotore della rappresentazione degli Ingannati, e attore insieme, era stato Giovan Francesco Muscettola, gentiluomo letterato (2); e compagni di lui, Giulio Cesare Brancaccio, Luigi Dentice, Antonio Mariconda, Fabrizio Villano, Scipione delle Palle, l'abate Giovan Leonardo Salernitano, e il fiorentino Matteo da Ricoveri. Ora, lo stesso Muscettola persuase all'istituzione di un'accademia, simile a quelle che erano già in Siena e in altre parti d'Italia; e sorse così l'accademia dei Sereni (o dei " Si- reni i che fossero, giacche insegna di essa era la Sirena), nel seggio di Nido, ma non ristretta ai nobili di quel seggio o ai soli nobili, sibbene aperta anche ai " citta- dini di lettere e di costumi nobili n . Principe ne fu eletto Placido de Sangro, al dir del Castaldo, che ricorda pa- recchi nomi di altri accademici , e soggiunge che egli stesso, n benché indegnamente n , ne fu " creato cancel- liere, ed anco, per favore di quei signori, ammesso per accademico " (3). Altri nomi di accademici raccolse poi» da varie fonti, il Minieri Riccio (4). (1) Nel 1543, pel bando dato al suo presidente Scipione Capece,. sospetto di eresia. (2) Notizie di lui nel TAFURI, Scrittori del Regno di Napoli, III, parte II, 380-1, che da una lettera del Ruscelli reca notizia di due storie, alle quali il Muscettola attendeva, della guerra di Siena e di quella contro i Carafeschi. (3) Cenno storico delle Accademie fiorite in Napoli, in Arch. stor* nap., V, 590-92. (4) Minieri Riccio, o P . cit., IV, 172-4. 40 IV. - L' ACCADEMIA DEI SERENI Di quest'accademia dei Sereni, che fu dunque la prima delle tre, seguita da quella degli Ardenti , istituita nel seggio di Capuana (1), e poi dall'altra degli Incogniti, mi è accaduto di trovare l'inedito statuto di fondazione, con la data del 14 marzo 1546 e il luogo, il seggio di Nido (S. Angelo di Nido), in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi (2), e piacerà che io lo pubblichi qui testualmente. Non vi appare il nome della Accademia, e s'intitola semplicemente : CAPITULI D'OBSERVARSI DALLI ACCADEMICI DI NAPOLI n Perchè tucte le cose che, non avendo governo, vanno in rovina et se desiando, per questo è de necessità che questa nostra Accademia habia un Principe, dui consi- siglieri et un tesoriere, creati ad voci, al quale Principe tucti habiano da obedire, et alli quali si doni ampia po- testà di creare il lectore et di far ogn' altra cosa che converrà di fare. Et acciochè ogn* uno habia da parte- cipare degli honori, detto Prencepe et consiglieri s'habiano a mutar ogni quattro mesi, et che 1' età di essi officiali debia esser oltre di XXV. (1) Il CASTALDO, 1. e, chiama degli « Incogniti » l'accademia del seggio di Capuana; ma deve trattarsi di una piccola svista. (2) Lo notai percorrendo il catalogo del MOREL FATIO, Dépar- tement des manuscrits espagnoh et des mss. portugais (Paris, 1862), p. 91, n. 208, con la segnatura Esp. 449, e il titolo: «Miscellanea Italiana e Spagnuola ». Debbo la trascrizione dei Capitali, che sono a ff. 22-23 di questo ms„ al d.r Luigi Sorrento, al quale esprimo il mio grato animo. IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 41 " Et il custode de li scripti si muti ogn' anno, acciochè le ricchezze della nostra Accademia non passino excepto che per una mano per un anno al meno. Et più eh* el dicto thesorero non possa dar fori nessuna cosa ne in prosa ne in rima, volgare o latina, senza licentia del Prencepe et conseglieri, alla pena d'esser cacciato in tucto dalla Accademia, ne possi mostrare compositione alcuna senza espresso ordine de dicto Principe e consiglieri. " Che s' habiano da constituire due lettori latini et un volgare, li quali habino da leger Philosophia o Matema- tica et poesia, et dui dì della settimana, cioè il mercodì et la domenica, et la volgare li giorni festivi che correranno. 1 Che nessuno possi arguir allo lectore senza licentia del Prencepe, sotto pena d' esser privato dal consistono delli Accademici. n Et perchè ben si sa quanto sia lodevole il silentio, perciò volemo che s' habia a tacer mentre si lege, né si possa durante detto tempo ragionar con compagno che accosto li stia, sotto pena d' essere privato di nostra com- pagnia per un mese o ad arbitrio del Prencipe. Che nossuno possa riferire le cose che noi consultiamo , alla pena d' esser privato per sempre. n Che ognuno che vorrà esser delia nostra congregatio- ne, o per sé o per altro in suo nome, venga ad proporlo; et, proposto essendo, esca egli personalmente fuori del luogo, finché secondo l'ordine si proveda. n Che non se possi agregar nessuno se prima non si ha notitia della sua vita et de soi costumi ; et ad questo effecto, non essendo persona nota, se deputino dal nostro Principe dui che dimandino et s'informino di lui, et poi venghino a referire. 42 IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 1 Et acciochè colui che vorrà intrare nell'Accademia non s' habi da lodare ne da lamentare de nessuno, se diano le voci con lupini o con ballotte. n Che s* habiano da creare dei censori, li quali accura- tamente vedano li scritti latini et volgari , et se mutino ogni quattro mesi con lo Prencepe et consiglieri. n Che non sia nessuno che facci questioni o parole che non siano da dir dentro dell* Accademia , sotto la pena della privatione perpetua. " Et per evitar il mormorar d'alcuno, non sia nesuno che disputi della Scriptura sacra, alla pena da commet- tersi all'arbitrio del nostro Prencepe. n Che s* habi da crear un secretano, il quale habi da trascriver le compositioni et poemi, et notar tucto quello che occorrerà et exercitarsi ne l'altre cose che parerando al li nostri officiali; al qual se done in parte della fatiga qualche convenevole provisione. Et più, che s'ordine un Nuncio, eh' habbi da assister appresso del Prencepe et consiglieri per tucto il servitio eh' occorrerà et per intimar gli Accademici et conservar il loco della congregatione, et che non sia obbligato ne impedito in altro et che debia obedire allo detto Prencepe et consiglieri in tucto quello che li verrà imposto, al quale se constituisca debita pro- visione. 1 Ch'avendo da vacar officiale, delli officiali magiori, o per assenza o per infirmiti, possi il detto Principe sur- rogar vicario durante detto tempo d'assentia, finche du- rerà detto impedimento, con licentia del signor Principe et consiglieri. n Et poi che facilmente potria disfarsi ogni cosa non ricevendo forma alla executione, della quale, oltra prin- IV. - L' ACCADEMIA DEI SERENI 43 cipalmente della concordia et obedientia, vi bisogna an- chora qualche nervo di denari, con li quali s* habia da provedere al necessario et convenevole, che tra noi se constituisca una taxa da farsi per ciascheduno secondo le forze et arbitrio voluntario, del quale dinaro se proveda al bisogno del loco, alle provisioni et occorrentie nostre. n Et più, che de dicti denari se facci un exactore dili- gente et fidele, il quale habi da far borsa et notamento dello exacto et speso, et dar conto la dicto Principe te consiglieri mese per mese, et che non debba pagar niente senza mandato in scripto del s. Prencepe et consuli. n Et perchè sarrebbe fatigoso il riscoter di camera, saria bene, quando si potesse, che si consignasse un censo o ver una intrata, o quando ciò non potesse riuscire , che ciascheduno paghi mese per mese, et , occorrendo delle necessità, essendo richiesto, debba pagar la sua rata tucta insiemi. n Et perchè la moltitudine genera confusione, volemo eh* al tempo della nostra congregatione, lectione et ra- gionamento, non habi d'entrar nel loco persona alcuna, excietto persona degna et qualificata , et detto nuntio habi da chiuder et guardar la porta de fuori con ogni diligentia. n Alfine, perchè noi havimo voluto fondar quest'Acca- demia a nostro comodo, exaltatione della virtù et orna- mento della Patria, acciochè questa bona opera la vadi innanci sempre con maggior accrescimento, Noi fondatori giuriamo d'osservar tucte le cose predecte , promettendo tutta l'obedientia debita al detto Prencepe et consiglieri, et così farranno coloro che vorranno agregarsi per 1' adve- nire alla nostra Accademia; la quale sia creata in un 44 IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI ponto così felice che trapassi di gran lunga tutte 1* altre d'Italia. Datum Neapoli apud sanctum Angelum die xiiij Martii 1546. Il s. or Gioan Baptista Gazzella Prencepe. Il s. or Bernardino Rota, consule. Il s. cr Gioan Francesco Brancaleone, consule. Il s. or Giulio Cesare Brancazo. Il s. or Luigi Dentece, custode. Il s. M Ferrante Carraia. Il s. or Giov. Baptista Pignatello. Il s. or Antonio Vicenzo de Bucchis. Il s. or Antonio Maricon [da]. Il s. or Fabritio Villano. Il s. or Ioan Leonardo Salernitano. Il s. or Gio. Paulo Flavio, censore. 11 s. or Paulo Soardino. Il s. or Andrea Romano. Il s. or Vicenzo Severino. Il s. or Gio. Antonio, suo figlio. Il s. or Marchese della Terza. Il s. of Pompeo delli Monti. Il s. or Loisi Vopisco. Il s. or * Paulo Tolosa. Il s. or Gio. Baptista Concha. Il s. or Giov. Francesco Musettola. Il s. or Antonio Caracciolo. Il s. or Fabritio Caracciolo. Il s. or Antonio Bruni. Il s. or don Joan Domenico del Giovane. Il s. or Gio. Thomaso di Capua. IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 45 Il s. or Tyberio Buccha, censore. M. Lattando Cacciatore, segretario. M. Macteo di Ricoveri, nuncio. " Le speranze, come si vede dal finale augurio , erano grandiose: e n buona n doveva dirsi, in ogni caso V "opera" disegnata ed iniziata, che, a quel che sembra, non con- sisteva soltanto in recite di composizioni dei soci , ma anche in corsi di lezioni, latine e volgari, sulla filosofia e la matematica, e sulla poesia. Tra i nomi dei firmatari si ritrovano quasi tutti coloro che avevano preso parte Tanno innanzi alla recita degli Ingannati: il Muscettola, il Brancaccio, il Dentice, il Vil- lano, l'abate Salernitano e il fiorentino Matteo di Rico- veri. Ma il " principe " o presidente non è quello che il Castaldo ricorda, ne cancelliere è Io stesso Castaldo, che dovette far parte dell'accademia in un secondo mo- mento, come posteriormente aggregati dovettero essere alcuni degli altri, da lui mentovati. Non mi è noto per opere letterarie il " principe " , il Gazella: ma , dei due " consoli ", celebre è il Rota e non ignoto il Branca- leone, che era medico e filosofo , e scrisse in latino un dialogo più volte ristampato: Qaam salubria balnea sint ad sanitatem tuendam (Roma, 1535), e in italiano un *D/- scorso dell'immortalità dell'anima (Napoli 1542), e che sembra fosse poi a sua volta principe di queir accade- mia (1). Percorrendo la serie degli altri, s'incontrano non poche conoscenze familiari agli studiosi della lette- ci) D'AFFLITTO, Scrittori napol, II, 265-6: cfr. CHIOCCARELLI, *De illustribus scriptoribus neapolitanh, pp. 330-1. 46 IV. - L' ACCADEMIA DEI SERENI ratura napoletana, come il Mariconda, autore della 'Phi- lenia e delle Favole dell' Aganippe (1); il Dentice, au- tore dei due dialoghi De musica (Roma, 1 553) (2); Giam- battista d'Azzia, marchese della Terza, che ha parecchie rime nelle raccolte del tempo, e di cui un sonetto in lode di Maria d'Avalos fu commentato dal Ruscelli (3); Giulio Cesare Brancaccio, che militò per circa un mezzo secolo e compose // fljrancatio della vera disciplina et arte militare (Venezia, 1 582) (4); Giovan Paolo Flavio, del quale sono a stampa orazioni latine per la pace tra i re cristiani, per la morte di Carlo V e per la morte di papa Paolo IV (5); Ferrante Carafa , marchese di San Lucido, autore de\Y Austria, poema per la vittoria di Lepanto, e di altre rime ed orazioni (6); Gian Francesco Muscettola, che era stato già dell'Accademia Pontaniana, (1) CROCE, Teatri di Napoli, nuova ediz. (Bari, 1916), pp. 22-4. (2) CHIOCCARELLI, op. cit., p. 18. (3) D'AFFLITTO, op. cit., I, 485-6 ; TAFURI, Scr. nap., voi. Ili, parte I, pp. 452-3 ; cfr. parte VI, pp. 257-8. (4) D'AFFLITTO, op. cit., II, 259-62. Una lettera del Brancaccio, da Napoli, 4 agosto 1 548, è nelle Lettere facete et piacevoli di dioersi huomini grandi et chiari et begli ingegni, raccolte da Francesco Turchi (Venezia, Salicato, 1601), pp. 52-5. Credo che fosse tutt'uno con quel Giulio Cesare Brancaccio, « gentilhomme napolitain, habile joueur de luth », che, nel 1554, messo su da intrighi francesi, cercò di diventare favorito della regina Maria Tudor e mandare in fumo con tal mezzo il disegnato matrimonio di lei con Filippo II. Imprigionato, e offertagli la libertà a patto che lasciasse l'Inghilterra, rifiutò, tanto « il se croyait sur de vaincre » ! Si veda H. FORNERON, Histoire de Philippe II (Paris, 1881), I, 40-41. (5) CHIOCCARELLI, op. cit., p. 344. (6) TOPPI, Bibl. nap., p. 83. IV. - L ACCADEMIA DEI SERENI 47 come si vede da un carme di Alfonso de Gennaro del 1533 (1); e via discorrendo. Uno degli articoli dello statuto sarà stato particolar- mente notato dai lettori : quello in cui, " per evitare il mormorar d'alcuno ", si prescrive: che " non sia nessuno che disputi della Scriptura sacra, alla pena da commet- tersi all'arbitrio del nostro Prencepe ". Era il pericolo che quell'accademia si sentiva già d* intorno, il sospetto d'eresia, contro il quale, con quell' articolò , procurava premunirsi. Ma non le valse, perchè proprio quel sospetto religioso, congiunto col politico , doveva farne ordinare, l'anno seguente, la chiusura. (1) MINIERI RICCIO, Biografie degli Accad. alfonsi™ detti ponto* niani, pp. 139-40. V. I SEGGI DI NAPOLI Una cosa, di cui non mi so dar pace, è che in Napoli siano spariti tutti gli edifizì dei n Sedili " o n Seggi n della città. Si pensi un po' ! Per secoli e secoli , dal medioevo fino ali* anno 1 800, i seggi avevano rappresentato V or- ganamento della cittadinanza napoletana, la distinzione della nobiltà e del popolo, I' amministrazione municipale. 1 Cavaliere di seggio n era la denominazione usuale del patriziato, che risonava accompagnata da ammirazione e re- verenza; e aneddoti e novelle e commedie ne riman- davano a lor modo f eco, quando si facevano a ritrarre scherzosamente i napoletani e le loro vanterie. Di una leggiadra gentildonna si madrigaleggiava, talvolta, che era un n fiore ■ del suo n seggio n ; e n à la fior de Nido " è indirizzata una celebre canzone di Garcilaso de la Vega. Gli stemmi dei sedili — lo sfrenato cavallo di bronzo in campo d' oro di Nido, quello frenato in campo azzurro di Capuana, i tre verdi monti in campo d* argento di Montagna, la porta d' oro in campo azzurro di Portanova, I* Orione o, come si diceva popolarmente, il Pesce Ni- colò di Porto — stavano innanzi agli occhi di tutti, fa- V. - I SEGGI DI NAPOLI 49 miliari geroglifici; e il primo, il cavallo sfrenato, fu sovente tolto in iscambio con lo stemma stesso della città di Napoli. Ai seggi si vedevano recarsi i gentiluomini per le adunanze e votazioni, e quotidianamente per tratte- nimento; i loro deputati, sei per ciascuno dei quattro seggi e cinque per quello di Nido, in complesso ventinove, erano chiamati n i Cinque e i Sei n , e si diceva altresì dei singoli deputati : il " signor Sei " , il n signor Cinque n . Dai sedili uscivano gli Eletti, uno per ciascuno e due per quello di Montagna (che aveva fuso in se il sedile di Forcella), ai quali si unì, dopo il 1495, quello del Popolo, eletto con doppio grado dalle ventinove ottine, nelle quali il popolo si ripartiva ; e i sette eletti forma- vano il tribunale di San Lorenzo ossia il municipio. Dai sedili uscivano le speciali n deputazioni n , come a dire gli assessorati, tra cui si contava quella contro il Sant'Of- fizio, per invigilare che sotto nessuna forma in Napoli s'introducesse l'Inquisizione spagnuola. Nelle feste e processioni, particolarmente di San Gennaro e del Cor- pus Domini, e in altre cerimonie, figuravano i rap- presentanti dei Seggi ; e gli edifizì delle loro adunanze si adornavano di drappi e splendevano di luminarie, e, nel settecento, si soleva anche darvi piccole rappresenta- zioni musicali, o " cantate n . Che cosa erano materialmente i Seggi ? Erano por- tici quadrilateri con cancelli di ferro, e a uno dei lati una sala chiusa per le riunioni, discussioni e delibera- zioni. Senza parlare dei resti che si notavano, fino ad alcuni decenni or sono, in via Mezzocannone e altrove, dei più antichi (perchè i sedili, o logge, o tocchi, o teatri furono dapprima moltissimi con V ufficio di sem- 4 50 V. - l SEGGI DI NAPOLI plici luoghi di riunione nelle varie strade, e poi, formati rassodati gli aggruppamenti sociali e politici e costituiti i sedili propriamente detti, quelli che non servirono a tal uopo rimasero come luoghi pubblici da gridarvi i bandi finche caddero affatto in desuetudine) ; e senza parlare della 1 piazza n del Popolo, che si radunava nel convento di Sant'Agostino; — i cinque seggi nobili si trovavano collo- cati nel seguente modo. Il seggio di Nido, dal secolo de- cimoquinto in poi, sorgeva presso la chiesa di Sant' Angelo a Nido, tra il vico Donna Romita e quello del Salvatore, ora detto dell'Università, di fronte al palazzo Sangro; nella cupola di esso, Francesco de Maria aveva dipinto la Fama, il Corenzio, sulle pareti, 1* entrata di Carlo V in Napoli, e Luigi Siciliano aveva aggiunto gli ornati. Il seggio di Capuana era in Via Tribunali, sulla piazza che ancor oggi si chiama con quel nome, con 1' entrata secondaria nel " Vico del Sedil Capuano n : 1* aveva ornato di dipinti, sui primi del cinquecento, Andrea da Salerno. Il seggio di Montagna era anche nella strada Capuana, tra via San Paolo e la chiesetta di San- t'Angelo a segno, e fu abbellito di dipinture nel 1684. Il seggio di Porto, che prima si trovava nel luogo che reca ancora questo nome, nella prima metà del settecento era stato trasferito presso la chiesa dell* Ospedaletto, co- struito il nuovo edificio dal Canevari, con cupola ricoperta di rame, e il soffitto dipinto da Francesco de Mura. Il seggio di Portanova, infine, si trovava presso la chiesa di Santa Maria di Portanova, posto colà sin dal tempo angioino, ricostruito sul cadere del secolo decimosesto, e di nuovo nel decimottavo su disegno dell' architetto Giuseppe Lucchesi e con pitture a fresco di Nicola Malinconico. V. -I SEGGI DI NAPOLI 51 Dopo i casi del '99, nella restaurazione borbonica, furono aboliti, com' è noto, con editto del 25 aprile 1 800, i sedili e tutto l' antico ordinamento municipale. Gli edi- :fizi, assegnati in un primo momento come rendita al Tri- bunale supremo di nobiltà e dipoi incamerati al Demanio, vennero ben tosto demoliti o trasformati per costruirvi case d'abitazione. Nel 1801, un cronista, nel dar notizia di co- desti mutamenti, non sa celare la tristezza che gli cade sull' animo. n E così (scrive) in poco tempo restò abolita la memoria di tante famiglie nobili di Napoli, godenti nelle rispettive piazze dei loro sedili, nei quali ognuna teneva dipinta la sua impresa n . Specialmente il sedile