Full text of "Nuove curiosita storiche" WebMoving ImagesTextsAudioSoftwareEducationPatron InfoAbout IA Home American Libraries | Canadian Libraries | Universal Library | Project Gutenberg | Children's Library | Biodiversity Heritage Library | Additional Collections Search: All Media Types Wayback Machine Moving Images Animation & Cartoons Arts & Music Computers & Technology Cultural & Academic Films Ephemeral Films Home Movies Movies News & Public Affairs Non-English Videos Open Source Movies Prelinger Archives Spirituality & Religion Sports Videos Videogame Videos Vlogs Youth Media Texts American Libraries Canadian Libraries Universal Library Project Gutenberg Children's Library Biodiversity Heritage Library Additional Collections Audio Audio Books & Poetry Computers & Technology Grateful Dead Live Music Archive Music & Arts Netlabels News & Public Affairs Non-English Audio Open Source Audio Podcasts Radio Programs Spirituality & Religion Software CLASP Education Forums FAQs Advanced Search Anonymous User (login or join us)Upload See other formats Full text of "Nuove curiosita storiche" BIBLIOTECA NAPOLETANA DI STORIA LETTERATURA ED ARTE ENEDETTO CROCE NUOVE CURIOSITÀ STORICHE T'?t\ NAPOLI Riccardo Ricciardi editore MCMXXII o- Proprietà Letteraria Tutti i diritti sono riservati a norma delle vigenti leggi. NAPOLI - TIPI SILVIO MORANO ALL' EDITORE RICCARDO RICCIARDI Caro Riccardo, Or son tre anni, nel raccogliere in volumi alcune serie di miei scritti grandi e piccoli, detti a te un gruzzolo di noterelle di varia erudizione, che mettesti a stampa col titolo di Curiosità storiche. Con mia meraviglia, dopo solo pochi mesi, tu mi an- nunziasti che V edizione se n era spacciata e che conve- niva ristamparla. Dunque, — pensai — nonostante la guerra, nonostante tutti i cangiamenti accaduti nei gusti e nelle idee, nonostante che io quasi non riconosca più la mia Napoli e scontri ora per le sue vie una gente quasi nuova e alla quale mi par d'essere straniero, c'è ancora chi ama le tradizioni locali, V aneddotica storica e letteraria, le mi- nute notizie che valgono a rendere prossimo e come domestico il passato ? Ci sono ancora di quelli coi quali è dato ripigliare o iniziare un animata conversazione, fatta di comuni simpatie, su cose care e, in verità, innocenti ? Ti confesso che questo pensiero mi apportò qualche gioia, e m indusse subito al proposito di trarre dai miei lihriccini d' appunti, e più ancora dalla mia memoria, gli argomenti di altri scrittarelli simili a quei primi. Così sono nate queste Nuove curiosità storiche, che forse non saranno nemmeno Vili le ultime, perchè a me giova, negli intervalli di più gravi lavori, tornare a tale sorta d'indagini quasi come a un giuoco riposante e rinfrescante. Esse, mentre pur servono a determinare particolari e a riempire piccole lacune, in- fondono in chi le coltiva una placida voluttà: la Voluttà che il buon Wagner, il famulus di Faust, provava, quando, nelle lunghe serate d'inverno, solitario al lume della lu- cerna, trascorreva di libro in libro e di carta in carta, e con trepida mano si faceva a svolgere una veneranda pergamena. Abbimi sempre Frascati, IO luglio 1921. Tuo Benedetto Croce I. IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI BENEDETTO DI FALCO La Descrizione dei luoghi antichi di Napoli e del suo amenissimo distretto di Benedetto di Falco è ancora con- sultata dagli eruditi, i quali vi trovano, fra l'altro, parti- colari di costumi e alcune notizie di artisti, importanti perchè sincrone. Ma essa non è un arido notiziario, come potrebbe cre- dersi da questo esclusivo modo di adoperarla e citarla, e io voglio leggerne oggi con voi qualche pagina per mettere in risalto gli affetti e le intenzioni che la ispirano e che determinano disegno e stile dell' operetta, di pic- colo pregio letterario veramente, ma non senza pregio come documento nel quale si rispecchia la vita del tempo. La data stessa della prima composizione e pubblicazione è degna di nota, perchè il 1535 (1) fu Tanno reso solenne dalla venuta a Napoli dell'imperatore Carlo V, reduce dalla (1) L'edizione del 1535 (« in Napoli, per Mattia Canzer da Bre- scia ») sembra perduta, ma fu veduta dal GIUSTINIANI, Saggio storico sullo tipografia del regno di Napoli (Napoli, 1793), p. 238. Mi valgo di quella « stampata in Napoli, appresso Joan Paolo Suganappo in la piazza degli Armieri, MDXXXXVII1I », che certamente è rielaborata e, per così dire, messa al corrente. I 2 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI spedizione di Tunisi; e all'imperatore il Di Falco rivolge direttamente la parola nell'ultima parte del suo scritto. Napoli si riempiva, in quel tempo, del lieto sentimento di avviarsi a degno e prospero avvenire. Terminate con la vittoria di Spagna le lunghe guerre coi francesi, che avevano avuto uno dei loro episodi nel lungo e vano assedio della nostra città ; congiunto ormai saldamente il regno di Napoli a un grande Impero e soggetto al mag- gior dinasta del mondo, del quale da molti secoli non si vedeva il pari ; pacate le fazioni dei baroni , di cui an- che i più riottosi e tenaci nell'odio sembravano conciliati col nuovo dominio ; i nobili e tutto il popolo napoletano accoglievano lietamente Cesare, alle cui imprese guerresche nelle varie terre di Europa e sui lidi di Africa avevano partecipato, e che con la sua presenza veniva come a consacrare e inaugurare quella che pareva la nuova era. La vita sociale rifioriva: i baroni, che in sempre maggior numero si stabilivano in Napoli, vi edificavano nobili pa- lagi, e vi sfoggiavano il lusso delle loro corti ; la lette- ratura ripigliava le gloriose tradizioni del tempo aragonese e sorgevano accademie di letterati e di filosofi ; s' intro- ducevano le rappresentazioni teatrali, non più delle pic- cole farse allegoriche o giocose, ma della nuova com- media e tragedia, che era risalita a Plauto e a Te- renzio. La stessa edilizia della città si trasformava ed ampliava per opera del nuovo viceré, don Pietro di Toledo : Napoli si faceva più ricca, più decorosa e più bella. Tutto ciò dice calorosamente il Di Falco nella fi- nale perorazione: Se a l'esercizio delle armi attendemo, vi potrei infiniti cavalieri a nostri giorni, teneri di età e gravi di senno, raccontare, che a futuri se- I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 3 coli larga speranza nell'arme prometteno, nel cui esercizio travaglian- dosi al tempo debito si vedranno animosamente le imperiali vittoriosis- sime insegne seguire, come gli avi e i padri loro fedelissimamente se- guirono. Se delle lettere ragionamo, già gli antichi studi delle prime Academie se apreno, se ben, come sovra fu detto, per disavventura furo poc' anti interrotti ; gli onorati esercizi s' insegnano, gli animosi fatti si veggono, e i peregrini ingegni di novo in Napoli fioriscono. Già nella Academia de* Sereni si vede di nova luce il biondo Apollo risplendere ; in quella degli Ardenti i sacri accesi incensi della virtù fumano e nell'amicizia degl' Incogniti la conoscenza di sé stesso proponesi. Se della musica dire alquanto volemo, oltre di quello naturale istinto di che par che il Cielo abbi ogni napolitano spirito dotato, ormai particolarmente quasi ciascuno a la natura l'arte giun- gendo, e di giorno e di notte, talor con voci, talor con strumenti, talor con entrambi, diverse armonie in diversi luoghi si sentono con dol- cezza mirabile. Ma che diremo dell'altre arti onestissimamente eserci- tate? Agli edifici le antiche forme si rendeno, a le acque gli usati an- tri chiusi ingegnosamente si appalesano, la terra già sterile si coltiva, le paludi ingorgate si spediscono, e l'aria agli abitanti sana e chiaris- sima rendesi. E se bene alcuni, come si suole, l'error seguono, nulla di meno più gli uomini prudenza, e le donne pudicizia e castitade ab- bracciano, i fanciulli dottrina imparano, i giovani modestia e senno di- mostrano, e i vecchi onorati essempi porgono. I spettacoli ritornano, le scene si ripresentano, e le gare di musica si apparecchiano ; e perciò non è meraviglia se in Napoli furo ed infino ad oggi correno le nazioni lontane. Perchè dalla Alemania, dalla Francia e dalla Spagna vengono gran signori, tutti dal grido della sempre onorata Napoli a meravigliarsi di lei e a goder con lei ; e stupiscono de* ben solcati campi, de' culti monti, de' fioriti lidi, e delle fruttifere valli, degli adorni giardini, delle chiare, fresche e dolci acque, che da verie fontane in diverse guise da napolitane mani in candidi marmi (mercè del gran Toledo) ingegnosa- mente intagliate stillano, con mormorio dolcissimo ; si meravigliano delle industriose arti della riguardevole ed esercitatissima plebbe, della ono- rata cittadinanza, della gentil nobiltà e della valorosa cavalleria; si ral- legrano de' principi, de* duchi, dei conti, de* marchesi suoi, de' quali, mercè della liberalità della Maestà Vostra, la nostra Napoli è così abon- devole : siccome da Parthenio degli sovradetti Incogniti un giorno, nanti 4 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI al dotto e saggio vescovo di Lesina, Museo degli Incogniti, e tra gli amici suoi, fu con lungo discorso raggionato. Prolunghi dunque l'eterno Iddio per Giesù Cristo Signor nostro gli anni e la sanità de l'anima e del corpo a la Maestà Vostra, a gloria sua e beneficio della Christiana Republica, onde vegga i figli de' suoi felicissimi nipoti insino alla quarta generazione, avendo sempre a core la mia fedelissima patria , invece della quale in queste umili carte e in questo basso inchiostro a quella sempre m' inchino. Laus Deo. I Parthenio n degli Incogniti era, come ben s'intende, lui stesso, che apparteneva a quell'Accademia, e n Mu- seo n , il vescovo di Lesina, Baldassarre Maldacea (1). II Di Falco dice nella prefazione che si era ramma- ricato vedendo che Napoli non avesse trovato ancora chi facesse per lei ciò che molti antichi fecero per le loro città, e dei moderni il Sabellico per Venezia, il Biondo per Roma, il Merula per Milano, e altri per al- tre ; e a Partenope, " dolce e bella sirena mia n , rivolge la parola nella prima pagina del libro, e a Napoli, n cara mia madre ", nell'ultima, con poetici modi, dolente solo n di non aver cantato " di lei n con tal grave stile e con tale leggiadria di parole n da rendere il suo Sebeto 1 equale ad Arno e a Sorga n . Napoli era sopranominata, allora, n Napoli gentile n , e questo epiteto il Di Falco illustra e convalida ; ma anche n Napoli fedele n , e questo secondo egli prova il bisogno non solo d'illustrare ma di difendere. Perchè c'era stato un n bugiardo scrittore e maligno n , Pandolfo Col- lenuccio, il quale, nella sua Storia di Napoli, aveva osato dire che " li regnicoli sono di tanta inconstanzia che (1) Cfr. MINIERI RICCIO, Accad. di Napoli, in Arch. stor. nap. t V, 528-9. I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 5 tanto non si ribellano quanto non hanno a chi ribellar- si ". E veramente cocevano ancora al ricordo le ribel- lioni, consuete per tanti secoli, dei baroni, e continue e gravissime sotto gli ultimi aragonesi. Il Di Falco non nega il fatto, ma lo commenta e lo spiega: Quanto a quel che si dice delli Baroni che si ribellaro dal Re Fer- rando vecchio, la Maestà vostra deve sapere che la maggior parte delli Baroni di questo regno sono discesi o da Normanni e da Franzesi an- gioini, o da Tedeschi di Svevia; li quali per loro naturale nobil san- gue non poteano tolerare aver signor lontano dalla nazion loro, e di tali ribellioni in ogni paese e sotto ogni principe sogliono accadere. El re di Franza fu abandonato dai suoi franzesi, dal quale già si ribellò il Du- ca di Borbona ; ed ora, in questo tempo, alcuni principi della vostra Germania non solamente si sono ribellati dalla Maestà vostra, ma an- cora hanno avuto ardimento di ccmparire innanzi al volto del felicissi- mo e potentissimo esercito della Maestà vostra con armate schiere, ben- ché dal valor dell'invitto Imperio sia stato loro posto ragionevole freno. Similmente, per quel che si intende, un cavalliero spagnuolo, della com- pagnia Gerosolomitana di San Giovanni Battista, tradì il Gran Maestro e diede Rodo al Gran Turco ; e di simili errori si potriano scrivere molti riscontri ; di maniera che in diverse provincie si commetteno, in diversi tempi e per diverse cagioni, or giuste or ingiuste, simili errori. Tutti siamo macchiati d'una tintura. E perciò giova meglio contrapporre al male, che è comune a tutti i tempi e popoli, il bene : le prove di fedeltà degli stessi baroni napoletani a re Ferrante nella guerra con Giovanni d'Angiò; le più insigni che furono date al re Cattolico e all' imperatore Carlo dal duca di Termoli Andrea di Capua, da Prospero e Fabrizio Co- lonna, dai marchesi della Pescara e del Vasto, dal prin- cipe di Salerno, dal protonotario Caracciolo , dal conte di Sarno e dal suo figliuolo Vincenzo Tuttavilla , da 6 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI Fabrizio Maramaldo, dal duca di Castro villari. Vero è che anche un vecchio motto, d'accordo col giudizio del Collenuccio, diceva che la insegna di Napoli è " uno animai che, tenendo a dosso la barda vecchia, riguarda la nuova n ! Tale insegna — esclama il Di Falco — io non vidi giammai, essendo la insegna della città un campo d' oro, che è il color del Sole, il quale anticamente adoravano li Napolitani, e mezzo rosso, che è il color della Luna, qual dimostra la matina per li vapori che riceve dalla terra, per esser un pianeta che è più vicino ad essa terra degli altri pianeti, mede- simamente adorata dagli stessi Napolitani. Deh, s'io potessi far qui men- zione della incostanzia d'Italiani e le torombelle della Italia, direi che tale animale con simil barda sarebbe più convenevole al rimanente del- l'Italia ch'a noi Napolitani I Lo stemma, infatti, di Napoli era quale lo descrive il Di Falco ; e il cavallo, variamente atteggiato , si trova invece negli stemmi dei due più antichi e maggiori " se- dili nobili " della città, quelli di Nido e di Capuana, che in certa guisa rappresentarono talvolta la città stessa. Come che sia, in questa affannosa difesa della n fedeltà n politica di Napoli freme il ricordo del passato e trepida la sollecitudine dell'avvenire. Ancora più conforme ai tempi è l'altra e più agevole difesa della n fedeltà n religiosa di Napoli, che il Di Falco non dubita di mettere a confronto con le assai di- verse condizioni in cui si trovava per questa parte il po- polo dominatore, gli spagnuoli. Per la mistura dei barbari Mori e altre genti settentrionali feroci, essi Spagnuoli sono stati infettati e macchiati quanto alla fede di Cri- sto, e acquistarono anche il nome Mauro cioè Moresco, detto « Mar- I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 7 rano », quasi « Maurano » (1). E questo loro non è vergogna, perciò che la forza l'ha causato ; voglio io dire che per la lunga dimora di infedeli Mori non al tutto la setta moresca infedele si ha potuta toglier via. Per la qual cosa ragionevolmente nella Spagna s'inquidono gli Ere- tici, come nell'Alemania coloro che non vogliono osservare li veri e santi precetti della Ecclesia romana... E questo tenemo noi per cosa certa, per la vicinanza di Roma e del Papa, dalli quali ogni dì siamo romanamente ammaestrati, massimamente che Napoli non mai fu signo- reggiata da Mori o da altri uomini infedeli, per li quali ne causasse al- cun sospetto de infedeltà, non essendo noi vicini alli Mori, come la Spagna. E qui il pensiero ricorre subito alla ferma risolutezza dei napoletani contro i tentativi che più volte si erano ripetuti in ogni tempo e non parevano del tutto abban- donati, d'introdurre nella loro città, luminosa per la sua t ^d^ irreprensibilmente cattolica, 1* inquisizione spagnuola ( lo bino ob magnam affinitatem b cum u n . Dirà dell' Y: n Hoc elementum graecum est, et graecis nominibus tantum additur, hac litera in nominibus dumtaxat graecis utimur. At ambigenti cur nostri pueri discentes, legendo ipsam, fio (1) BENEDICTI DE FALCO Neapolitani De origine Hebraicarum grae- carum ac latinarum literarum deque numeris omnibus. Ad Illu. et Reveren- dissimum Petrum Antonium de Capua Archiepiscopum Hydruntinum... Neapoli apud Ioannem Sultzbachium Germanum Marci Romani iussu. Anno Domini MDXXXXI. I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 1 7 nominent, dicendo /, u, x, fio, z; dicimus quod quum latini diphtoneum v cum iota ad imum ipsius scripto in y verte- rint, sic compositum ipsa litera x tensa videtur, a graeco vocabulo cpoto, idest extendo et produco n . Dirà dell'L.: n Cui literae L hominem laqueo vitam finientem plautinus ille servus adsimilavit. Quippe quae in Etruscis cantile- nis iterari ac repeti solet Petrarca : Laura che '1 verde lauro e l'aureo crine n . E così via. Alla fine, in una nota, l'autore domanda scusa per aver adoperato nella stampa le lettere latine a indicare i suoni ebraici, per aver dato il greco senza spiriti e accenti, e per aver omesse le utili postille marginali, per le quali i compositori tipografi di allora s* impazientivano, impres- sores moleste ferunt: proprio come i tipografi odierni, del dopo guerra ! Anche 1* ultimo libro che sia noto del Di Falco, sui barbarismi latini, stampato nel 1548 (1), è composto con lo stesso metodo, perchè il latino vi è di frequerte tradotto a questo modo: n Myrapolium, la potecha del parfumie- ro n ; Ruga, la grinza, la rechieppa n ; n T^ictus, lo musso n . Naturalmente, l'ispirazione è ciceroniana, e grande vi ap- pare 1' aborrimento per i vocaboli del latino medievale, e particolarmente per quelli barbara ac foeda, pertinenti alla dialettica ossia alla scolastica. Il libro è stampato a Sarno, dove da tre anni il Di Falco dimorava, chiamatovi da quel Vincenzo Tuttavilla, (1) 11 titolo esatto è: ZftCulla vocabula barbara a latinae linguae vero ac germano usu remota atque alia studiosis iuvenibus pernecessaria aà institutiones grammaticales pertinentia. Per BENEDICTUM DE FALCO Neapolitanum dudum recognita. In fine: Sarni per Franciscum Fabrum Picenum XV Cai Iunii MDXLVIII. 18 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI che nella Descrizione di Napoli egli aveva lodato pel va- lore dimostrato nei combattimenti presso Algeri, in cui, uccisogli il padre conte di Sarno alla presenza dell* im- peratore, egli seguitò gagliardamente a pugnare, n facendo più istima della servitù imperiale che dell'affetto verso il morto padre ". Diventato poi conte di Sarno, volle che ai giovani di quella terra, suoi vassalli, il Di Falco im- partisse l' insegnamento delle cose grammaticali, latine e volgari. Un umanista, collega del Di Falco nella profes- sione dell* insegnare, il Sidicino, pose in fronte al libro un epigramma encomiastico; e un medico di Sarno, i rin- graziamenti per aver lasciato stampare 1* opera insigne, non a Napoli, come si doveva, ma a Sarno. Ma assai fresca e vivace è la pagina nella quale il Di Falco stesso spiega al lettor cut autor Samum venierit; e perciò mi piace darle in parte tradotta: Candido lettore, tu già vedi che io cessai di esser cittadino e lasciai i fastidi della città e mi ridussi a Sarno. Dove primamente mirai il monte piantato degli alberi di Minerva, sul quale è il castello per na- tura fortissimo, e 1* altro baluardo che si chiama la Torre dell' Orsa. Poi, il suburbio steso in lungo sotto il monte, donde sgorgano copiose, dolci e gelide acque; ma più feconde quelle che fluiscono con rapidi rivoli dalle radici della rupe, sulla quale è fondato il palagio del si- gnore, che si vede da ogni punto. Per di qua le acque formano il fiu- me che si chiama Sarno, che non sorge (come gli altri fiumi) da un sol lato o dal grembo del monte; perchè da una parte del suburbio verso r occidente, nel luogo chiamato le Gole (fauces), dov' è 1* altra forte sicurissima difesa della terra, scaturiscono vivi fonti, e dall'altra parte, verso l'oriente, erompono altri fonti, e gli uni e gli altri subito confluiscono dov* è la selva che ha il nome di Longula. Questi condotti d* acqua e derivazioni di fonti servono da utilissime irrigazioni nei campi e di essi il fiume si accresce, non al modo di altre correnti che si riempiono di acque estranee; ed ora per tortuosa via bagna i colti I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI 19 campi, e passa pel ponte dove è Scafato, e si getta a mezzogiorno nel mare. Ed è pieno in ogni tempo di gamberi, e nell* estate di anguille. Qui amplissimi campi feraci del più sottile lino; colà, un lago abbon- dante di ogni sorte di uccelli, dove l'illustre Conte (come lo chiamano) spesso va a caccia, e si chiama quel luogo « Tar tarilo », dove l'acqua per l'estrema gelidità impietra , e « tartaro » chiamano quel genere di pietra. E di qui si ha alla vista il monte Vesuvio, a cui è prossima Napoli; di là, i colli di Sorrento, e perciò da ogni parte si vede la più bella faccia di tutte le cose. L* amenissimo territorio si chiude con aprici e fertili monti, coronati di molto arbusto, che genera un soave vino, chiamato volgarmente « verniglio » che non si stima meno del- l' antico falerno. Cosa ancora più propizia, il clima è clemente e sa- luberrimo. Il Di Falco trovò, in sì dilettevole soggiorno, ogni bene; rimedio alla podagra di cui soffriva, buona aria, buona gente, cordiali accoglienze, e grandi querceti, che davano a lui vecchio il modo di scaldarsi a buon mercato nel verno, cosa che in Napoli, per la sua povertà, non po- teva; e nell* estate le fresche acque del Sarno, e, soprat- tutto, in ogni tempo il soave vino. n Chi vorrà schernirmi (egli conclude) se lasciai Napoli e mi trasferii a Sarno pel vino, quando è noto che Mezenzio, re di Etruria, lasciò il suo regno e apportò aiuto ai Rutuli contro i La- tini solo condotto dalla mercede del vino, come attesta Plinio ? Chi vorrà schernirmi quando a Sarno ho trovato un così magnanimo conte per Mecenate ? n Ma più beato, forse, egli doveva sentirsi nel tranquillo e confortevole asilo in quegli anni in cui tanta parte della lietezza e prosperità di Napoli, descritta da lui qualche anno innanzi, s'intorbidava e spariva; e l'ultimo dei grandi baroni, il principe di Salerno Ferrante Sanseverino, del quale egli aveva celebrato la fedeltà a Spagna e all'Im- pero, soggiaceva in impari lotta ed era condannato a 20 I. - IL PRIMO DESCRITTORE DI NAPOLI morte e costretto alla fuga e agli esilii; e le accademie dei Sereni e degli Ardenti, e anche la sua, quella de- gli Incogniti, erano disciolte per sospetti di idee politiche non meno che di novità religiose; e il n gran Toledo n lavorava a fiaccare ogni spirito d'indipendenza nel baro- naggio napoletano, e a stendere sulla morente libera cul- tura italiana il sudario dell'incultura spagnuola, e comin- ciavano i tempi grigi, i tempi dell'alleanza tra la reazione cattolica e l'assolutismo degli Asburgo , i tempi della immota pace d' Italia. II. L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA IN UN' INEDITA CRONACA QUATTROCENTESCA Scriveva questa cronaca, intorno al 1 478, Gaspare Bro- glio, figlio del celebre condottiere Tartaglia , e la scri- veva a Rimini, dove si era fermato presso Sigismondo Pandolfo Malatesta (1). Lo scrittore aveva sangue na- poletano nelle vene, perchè suo padre era figlio naturale di Raimondo del Balzo Orsini, principe di Taranto. A un certo punto della sua scrittura piacque al cronista segnare in carta il racconto, che era corso per I' Italia venti anni innanzi, degli amori del gran re Alfonso d'A- ragona con una donzella sua vassalla : famosi amori tut- t'insieme appassionati e casti, e che s'intrecciavano con la politica di quei tempi (2). Il racconto raccoglie i tratti che la fama aveva divulgati e la tradizione fissati, e li accompagna con aneddoti altresì diventati tradizionali; e perciò ha V aria di una leggenda che si narri alla nuova generazione, ed è condotto in forma novellistica o (1) La Cronaca del Broglio è manoscritta nella Biblioteca Gambalun- ga di Rimini, n. 77 ; e debbo l'indicazione e trascrizione delle pagine, che trattano della d' Alagno, all'amico Corrado Ricci. (2) Si veda il saggio su Lucrezia d' Alagno nel mio volume : Storie e leggende napoletane (Bari, Laterza, 1919). 22 II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA romanzesca. Piacerà leggerne qualche brano nell' ori ginale. Come accadde a re Alfonso d'incontrarsi con Lucrezia d* Alagno e sentirsi accendere d'amore per lei ? Regnando in ripeso e tranquillo stato la Sacra Maestà di Re Al- fonso d'Aragona, andando a suo diporto per la sua vaga città di Na- poli, accadde, come cosa disposta dalle influenzie superne, che una no- bile damisella, sospinta da volubile volontà, presentito lo strepito delli cavalli, con alquante sue compagne trascorse alle finestre per vedere. Dove la Maestà del Re alzando gli occhi, quelli in un medesimo tempo si contemplarono nella luce della damisella. Lo splendore della quale parve alla Maestà sua che li raggi delli suoi lustranti penetrassero per insino al core, quasi tutto intenebrato di melodia , non interessando però el sguardo d'essa, [che] ognora più grato gli era. E così, infiam- mato e trafìtto dal colpo di Cupido, se ne ritornò allo real palagio, e, chiamato un suo caro confidente, di subito mandò e intervenne [colui] di chi era figliola questa nobile damisella. Il padre della fanciulla, conosciuto F affetto e la bra- ma del re, subito la concesse in balia del suo sovrano: gratamente illa concedette, e, recevuta che l'avea in sua podestate, fu cologata in un real palagio, con tutte quelle solennità appartenente a qua- lunque altra e degna regina, dalla corona in fuora. Seria cosa inestima- bile a narrarvi le magnificenzie e li preparamenti de arazzi commessi ad oro per le sue camere, le credenzie adornate tutte e piene d'argento con vasi d'oro, cancellieri e sottocancellieri, scalchi e sottoscalchi, mae- stri di stalla con degni palafreni, avianti struzieri con più vari uccelli ra- paci, trombetti, pifari, e più altri maestri di strumenti, cantatori gentili, per sua compagnia di molte damiselle e di nobilissime gentildonne in quantità, d'ogni qualitade ; e, quando isciva ad alcun diporto o al santo officio, cavalieri e nobili erano diputati ad accompagnarla, e sempre con el nobile barone. Li suoi vestimenti erano risplendenti con gemme, perle ed oro di gran valuta : solo la corona li tolleva el nome di regina, ma ogni altro apparato v'era copioso, le rivisitazioni fatte a lei, simiglianti II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA 23 no a regina, ma a ogni imperadrice. Lengua umana non lo porria espre- mere li onori operati a questa nobile creatura ; e dipoi fo appellata MA- DAMA LUCREZIA. Par di udire una fiaba con le improvvise trasformazioni e meraviglie prodotte dal capriccio di una fata o di un mago. Ma alla realtà storica ci richiama quel che segue, confermandoci che la somma attrattiva della donzella na- poletana era segnatamente nella sua insinuante parola, nel suo tatto e garbo. Potreste dire : — Era costei sì bella ? — Rispondo : — Mai no, ma d'una gentile e altiera maniera e vaga, degna d'aspetto; con suave loquela, come melodia, erano le sue parole, che infiammava il core del superno Re. Ne mancano a questo punto le riflessioni morali sul tema di Amore, che non risparmia neppure i re, immersi nei loro gravi pensieri. Quale meraviglia che re Alfonso s'innamorasse come un giovinetto della sua piacente vas- salla, se, non volendo risalire fino a re Salomone, in tempi prossimi il serenissimo e glorioso imperatore Sigismondo s'invaghì in Siena di una bella ragazza, a nome Caterina? El dicto Imperadore aveva delli anni appresso di novanta, tutto bian- co comò armellino, e, così vecchio, sopra li suoi capelli, portava una ghirlandetta degna, e ogni dì, due o tre volte, andava a visitare la sua vaga damisella, per forma che la fortuna lo condusse a morte ; per ditta cagione fu attossicato. Neppure lui, il nostro cronista, contrasta alla generale credenza che gli amori di re Alfonso per Madama Lu- crezia fossero casti ; e anzi le apporta un argomento a sostegno, espresso con ingenuità non meno deliziosa di questo recato del decrepito imperatore Sigismondo, tutto bianco come un ermellino, che si poneva sul capo 1* a- 24 II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA morosa ghirlanderà. Che nessun male fosse in quella re- lazione di re Alfonso, — egli dice — si vede dal fatto stesso del non mai placato ardore del re : Che così fosse la veritade, de ciò pigliarete exemplo d'un sì piccolo uccellino come è el rosignolo, che, mentre che sta in amore, sempre canta e vive lieto ; conseguito el suo appetito, tace. Per semilitudine di- co, che se re Alfonso avesse satisfatto el dissoluto appetito, non avaria seguito così caldamente, continuando l'amore. Re Alfonso, infatti , cantò sempre come usignuolo in amore , ossia galanteggiò, facendo, quasi perpetuo aspi- rante, la più devota e sospirosa corte all'affascinante Lu- crezia (1). Questo tutti vedevano, e ftutti seppero poi che egli tentò, o lasciò tentare da lei, per unirsi con lei, la via regolare del matrimonio, permettendo che Lucrezia (1) Colgo l'occasione per pubblicare alcuni versi di un'epistola di Francesco Fileifo, diretta a Matteo Malferit, nella quale si accenna agli amori del re con Lucrezia. L'epistola è nel Cod. Bibl. Naz. Napoli, IV. F. 19, e comincia « Scire velim, Matthaee, quibus nunc militat armis Inclitus Alfonsus... »; e ne debbo la notizia al prof. M. Campodonico: Die age quam facilem sese Lucretia prestet, diva pucllarum, Regi» ad obsequium. Nam sunt qui referant nondum pia vota precesque regale animum flectere virgineum. Ast alii contra fulvas penetrasse sagittas pectus et ad roseum virginis isse femur ; et quod vulnus erat fellis prius instar amari, nunc ipso factum nectare dulce magis... A proposito delle varie voci che correvano per l'Italia sulla natura di quella relazione amorosa, si veda anche la settima delle Facezie e motti del secolo XV (in Scelta di curios. letter., disp. 1 88), ricordata dal DI FRANCIA, in Giorn. stor. leti, ital., LXXIV, 118. II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA 25 si recasse da papa Callisto a sollecitare 1* annullamento del precedente e sterile matrimonio con la regina Maria. Il cronista ricorda la pomposa cavalcata della donzella napoletana verso Rimini, e par che avesse origliato ascol- tando il dialogo, rimasto agli altri misterioso, tra la bella napoletana e il vecchio papa. Fo ricevuta dal papa gratamente, e, fattala sedere alli suoi piedi, narrò alla sua Santità alcune altre parole appartenenti tra la Maestà del Re e il papa, le quali parole furono assai grate a Sua Santitade, d' alcune cose che la Maestà sua li assentiva. E, fatti lieti alquanto insieme, ma- dama Lucrezia comprese essere comodo tempo di poterse allargare di riferire la sua volontà ; non però che non fosse con timido principio, perchè comprendeva che il dire suo era inonesto. Non ostante, assicurata, levata in piedi, inginocchiandosi alli piedi di sua Santitade, el papa la fece risedere, dicendo : — Lucrezia, dite pure el parere vostro, — cre- dendosi che lei volesse qualche assoluzione. La quale, remessa che fo, disse : — Santo Padre, el momento che vi farò, parrà alla Santità vostra alquanto grave ; chieggo perdono ; ma considerate la ferma e sincera fede che io ho messa nella Sacra Maestà del mio signore Re m'induce e astrenge di volerlo vedere con qualche figliolo legittimo, il quale, dipoi la sua morte, avesse a reditare li suoi reami e a inalzare la pro- genie di Sua Maestade ; dove, avendo la sua Regina sterele e non con- dicente a figlioli, potendo a questo la Santità vostra provedere, seria salutifera cosa alla sua corona. — El Santo Padre non have più pre- sto compreso el dire di Madama Lucrezia, alquanto inalterato disse;— Ne maravigliamo che la Maestà del Re v'abbia concesso e commesso che n'aviate a fare tale richiesta. E si da noi procede come noi ere- demo, sete cascata in uno grande errore ; della quale parte ne meri- tareste grave pena, e farete bene di sì fatto peccato commesso conse- guirne aspra penitenzia, e non comprendemo quale ardire, ma più tosto follia, v'abbia fatto trascorrere in tanto errore, volendeci cemmovere che noi leviamo dall'onere suo sì alta e degna Regina a petizione di una bagascia. Ora levatevene dinanzi da noi e tornatevene, che da noi non potete avere altro. — Deselusa Madama Lucrezia nella sua volontade, pigliò lisentia, alla quale non K fu fatta altra risposta, con grave affanno. 26 II. - L'AMOROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA Tornata a Napoli, addolorata e vergognosa, Lucrezia vi fu accolta e confortata dal re, che non tralasciò alcuna cura e premura per consolarla e risollevarla, assicurandola che egli l'amava non meno di prima, perchè quel fallito tentativo era stato mosso dalla sollecitudine per il bene della real casa, dal desiderio di dare a lui figliuoli e legittimi successori al trono. E qui s* inserisce un aned- doto, che prima era noto solo dalle pagine di un tardo scrittore del seicento, del Capaccio, e che giova restituire dal latino di costui al semplice volgare quattrocentesco : In fra l'altre parti, li mandò a donare uno bacile d'oro, pieno d'al- fonsini (1) ; il quale presentato che li fo, la prefata Madama gratamente li ricevette ; di poi tutti li rimise, e solo uno alfonsino tolse, li quali tutti erano di zecca novi, dicendo all' apparatore : — Riportarete in drieto il ditto presente e direte al mio caro Signore, noi che non n'avemo de necessitade di tanti Alfonsi, perchè ne semo date solo a uno Alfon- so, ringraziando la Sua Maestade, e che a quello avemo deliberato con- seguire e servire. — Tale grata risposta molto entrò nel core della Mae- stà sua ; e fece fare circa a cinquanta pallette tutte d'oro smaltate da cerbottana, e poiché el palagio de Madama Lucrezia aveva un nobile e magno giardino, nel quale più volte Sua Maestade aveva suo diporto, a quello andato, essendo Madama Lucrezia a una finestra della sua ca- mera, ragionando insieme, dipoi la Maestà li trageva colla cerbottana le ditte pallotte d'oro. Il narratore chiude il racconto di questi singolari amo- ri, nei quali Alfonso non cercava soddisfazione di bassi appetiti ma solo n allegrezza di core n e gloria di n co- stanzia n , proponendo ai suoi lettori il quesito : quale fosse stato più costante nel serbare la purità se il magnanimo Scipione, o il duca Giovanni d' Angiò (al quale da un (1) Monete con l'effigie di re Alfonso. II. - L'AM OROSA STORIA DI MADAMA LUCREZIA 27 patrizio genovese, caduto in miseria , vennero offerte a delizia due sue belle figliuole, ed egli le rispettò e man- tenne onorevolmente come figlie), o il re Alfonso ; e per sua parte è disposto a dar la palma a quest'ultimo, n si vero fo che non cascasse nella dessoluta volontade n . Ma non chiude con ciò quello che egli dice di madama Lu- crezia, e discorre ancora delle posteriori vicende di lei e della partecipazione alla guerra dei baroni ribelli contro re Ferrante, e dell'esilio dal Regno, e dei pensieri reli- giosi nei quali trascorse gli ultimi suoi anni. Proprio in quei giorni, Madama Lucrezia moriva in Roma, dove s'era, in ultimo, ritirata ; ed egli le forma il necrologio, riassumendo gli splendori di fortuna che circonfusero la " damisella vergine della Sacra Maestà di re Alfonso ", e terminando : Or trascorso più tempo in questa fragilità umana, compreso da Quel che tutto governa, piacqueli ridurre questa nobile creatura alla regione dove li pose il cuore, in modo che tutti li lascivi gesti di questa nostra vanigloria temporale, e suoi gesti volubili e amatrice delli beni munda- ni, tutti da lei furono, cussi onori e piaceri e delizie e portamento al- tieri, riducendosi serva della dolce umiltà e benefattrice delli poveri. E, per meglio osservare, se ne andò a Roma, dove si toglie ogni grave soma ; e lì, con santa devozione, ha finiti li suoi dì cattolicamente, con opere degne e laudevoli : e però l'ho messa al debito onore con farne memoria. III. LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO Un tempo, all' entrare nella chiesetta dei santi Giuseppe e Cristoforo, che è di fronte a Santa Maria la Nova (e sorse in cambio di una cappella di questa chiesa dedi- cata a san Cristoforo che Consalvo di Cordova, il Gran Capitano, convertì in sua cappella gentilizia), si vedeva sulla facciata un affresco col santo gigantesco chino sotto il peso del radioso Bambino, e si calpestava sulla soglia una lapide tombale, fregiata da una ghirlanda e da em- blemi di libri, con la scritta : HIC. IACET. ALOISIUS. ANTONIUS. SIDICINUS. GRAMMATICUS. ET. ORA TOR. QUI. I. ET. LX. ANNOS. MORTEM. OBIIT. PRIDIE. CAL. MARTII. M. D. LVII. E tanto questa lapide fu calpestata dai visitatori, che già nel settecento era mezzo deleta ; e, quasi del tutto de- leta, serbando appena una tenue traccia degli ornati e qualche lettera, è ora che, tolta dalla soglia, nel recente III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 29 rifacimento della chiesetta, si trova infissa nella parete si- nistra dell'unica navata (1). Non so a quanti sia ancora noto questo nome, per ol- tre due secoli popolarissimo nelle scuole del Napoletano, e anche di altre parti d* Italia, affidato com' era a una grammatica latina , molte volte ristampata , che si soleva designare per l'appunto come n il libro del Sidicino n , o, brevemente, n il Sidicino ". Oggi, in nessuna delle biblioteche della nostra Napoli mi è riuscito trovare copia ne di questo libro famoso, ne dell' altro, le Eleganze, dello stesso autore, entrambi i quali, ai tempi dello Spera, omnibus fere manibus tere- bantur (2) : n eleganza n o n frase n latina , che si po- trebbe questa volta prendere alla lettera, intendendo che i ragazzi napoletani effettivamente li n consumarono n , come suole accadere dei testi scolastici e dei libri po- polari. Ma, per fortuna, ne ho poi trovato copie nelle biblio- teche di Roma ; e, poiché innanzi ad alcune edizioni della grammatica si legge una vita che del Sidicino scrisse il suo nipote Cesare Benenato, sono in grado di fornire sicure notizie sul personaggio, che qui c'interessa. (1) Sopra vi è stato murato un bel frammento di tomba (forse pro- veniente da Santa Maria la Nova) di un Bartolomeo de Bisento, miles medicinalis sciencie professor, morto l'ultimo di settembre del 1351. Nuova prova che i nobili napoletani (milites) solevano nel trecento esercitare la medicina, senza perciò derogare. Cfr. su questo frammento di tomba A. BROCCOLI, Dì un sarcofago nella chiesa dei SS. Giuseppe e Cristofaro, Napoli, 1898 (estr. dagli Atti della Commissione conserva' trice dei monumenti di ^crra di Lavoro). (2) P. A. SPERAE, De nobilitate professorum Qrammaticae et Huma- nitatis utriusque linguae (Neapoìi, 1641), p. 461. 30 111. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO " Sidicinus n era, com' è facile pensare , soprannome umanistico, tratto dal luogo natale dell'autore, Teano Si- dicino ; e il soprannome , nell' edizione delle opere , si completa in n Aloysius Antonius Sompanus Sidicinus n : Luigi Antonio Sompano. Anche n Sompano n , del resto è forma latinizzata del genuino cognome n di Zompa n (1). A Teano egli nacque nel 1496 (2), da civili genitori, che gli dettero a maestro un Giovanni Vexeo o Vesce che fosse, sotto la cui guida compiè rapidi progressi. Ma lo stesso suo nipote e biografo ignora per quali ragioni lo Zompa uscisse dal paese natale e per più anni vagasse per quasi tutta Italia, fintantoché, intorno al 1 520, si fer- mò in Napoli. Dove un prete Taddeo Picone, che aveva fiorente scuola di grammatica (3), volendo partirsene, gli affidò la sua scolaresca, ed egli diresse , e con assidue cure portò a grande riputazione , quella scuola, dalla quale, come da un cavallo di Troia, vennero fuori, per oltre un trentennio, caterve di giovani non solo adorni di umane lettere, ma versati nell'oratoria e nella poetica (4). (1) Nei Fuochi o censimenti di Teano del 1561 (Archivio di Stato di Napoli) ho trovato il cognome « di Zompa ». (2) Il nipote dice, infatti, nell'accennata biografìa, che morì nel 1557 di sessantun anno. L'iscrizione sepolcrale, riferita dal CHIOCCARELLI, De illustribus scriptoribus neapolitanii (ed. Meola, Neapoli, 1780), p. 18, reca « VI et L. annoi » ; ma, in conformità della notizia data dal nipote, io ho corretto di sopra « I et LX annoi », se pur non era « XI et L ». (3) Sul Picone, cfr. SPERA, op. cit„ p. 350, che ricorda un'opera di lui intitolata De itinere chrhtiano. (4) Se si vuole una viva immagine di una scuola napoletana di quel tempo, si legga il testamento di un altro celebre grammatico napoletano di allora, lo Scoppa, pubblicato dal BARONE, in Arch. itor. p. le proc. napoi, XVIII, 92. ili. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 3 1 Anche il futuro cardinale di Santa Severina, il Santori, fu tra i suoi uditori (1). Era il Sidicino un ciceroniano, e ciceronianamente scriveva e favellava ; e considerava come più dotti uomini tra i moderni il Pontano e il Sannazaro, e faceva molto conto anche di Pietro Gravina e di Fran- cesco Brancaleone, dell' accademia degli Incogniti, detto Museo. Egli stesso appartenne all'accademia degli Ar- denti (2), e per alcun tempo ne fu principe. Studioso in- faticabile , rubava le ore al sonno ; divoratore di libri, non c'era novità letteraria che giungesse a Napoli da Ba- silea, Parigi, Lione o Venezia, che egli subito non acqui- stasse. Parchissimo nel cibo, astemio, masticante biscotto piuttosto che pan fresco, bevente agresto per frenare l'ap- petito ed espellere il flegma castissimo, passò la maggior parte della sua vita senza fastidi di moglie, sine uxoris molestia, finche, vinto dalle insistenze degli amici, sposò una donna ben vecchia e senza dote. La podagra, cagio- natagli dalla vita sedentaria e che si mutò poi in idropi- sia, lo condusse a morte a sessantun anno nel 1557, e fu (1) «... Andai in Napoli e sentii misser Lois Antonio Zompa detto volgarmente il Sedicine famoso gramatico ; al quale, essendo passato a miglior vita, io posi un epitaffio, che cominciava così: Elysium urbs Sidicina ferax produxit alumnum Parthenopeque suo suttulit alma sinu ». Così nella Vita del card. Giulio Antonio Santori, detto il cardinal di Santa Severino, composta e scritta da lui medesimo, tratta dal ms. corsinia- no ecc., da G. Cugnoni (Roma, 1 898), p. 6. Una notizia delllo Zompa è nel TAFURI, Istoria degli scrittori del 'Regno di Napoli (Napoli, 1770), IH, parte VI, PP . 340-48. (2) Su questa accademia, MlNIERI RICCIO, accademie di Napoli, in Arch. stor. p. le proo. napol, IV, 1 72-74. 32 III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO sepolto nella chiesetta di San Cristoforo, sotto il marmo del quale egli stesso aveva preparato l'iscrizione (1). Compose parecchie opere, che rimasero inedite e si sono perdute : dialoghi grammaticali, comenti su Virgilio, osservazioni su Orazio, scoli sul T)e partii Virginis, for- mulari della lingua latina, un vocabolario, una Dialettica, una Rettorica, una raccolta di epigrammi dei poeti anti- chi e moderni, molte lettere, molti versi. Dei quali ulti- mi, che il suo biografo loda arguti e soavi, non conosco se non sei distici encomiastici, non adatti a dar la misura del suo valore, che egli scrisse per l'opera sui barbarismi (Multa vocabula, ecc.) di Benedetto di Falco, stampata a Sarno nel 1 548 (2). Ma mise a stampa egli stesso VE- (1) Nella quale si chiama inoltre orator, certo perchè somministrava an- che lezioni di rettorica o di oratoria, Su quest'uso dei grammatici, cfr. SPERA, op. cit., p. 252, che soggiunge di aver udito « memoria pa- trum, quosdam e Grammaticis statini e ludo tr'ansisse in forum, atque in numerum praestantissimorum paironum receptos ». (2) Sono questi : ALOISII ANTONII SIDICINI DE GRAMMATICA D. BENEDICTI FALCONIS Monstrorum ut quondam domitor Tirynthius heros Humano generi commoda multa dedit ; Grammaticae et Hnguae sic tot portenta latinae Diiacerans Falco nos iuvat arte sua. Grammaticos inter vere Tirynthius alter, ^ Qui Latium decorat, barbariemque necat ; Sed patris auxilio potuit perferre labores, Amphytroniades post sua fata deus. Tu quoque, Falco, tui praesenti numine Divi, Qui tibi dexter adest, praesidet atque iuvat, Sarnensisque soli genio suffultus opimo Ad nos barbariae parta trophaea refers. III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 33 legantiarum compendium e le Totius fere grammaticae Epitomae, dapprima col nome di un prete Sergio Sar- mento di Sala, uomo probo e letterato (dice sempre il suo biografo), al quale l'aveva ceduta per danaro (1), e poi col nome di entrambi (2). Tali edizioni, per altro, non sono serbate in nessuna biblioteca, ch'io sappia, ne de- scritte dai bibliografi. Di entrambe le opere si conoscono invece le ristampe con accrescimenti, che ne fece il ni- pote, discepolo e biografo, Cesare Benenato : della Gram- matica, per quel che sembra, a Napoli nel 1 564, e delle Eleganze altresì a Napoli, nel 1566 (3). (1) Il Sarmento mori per una ferita alla testa, inf ertagli da alcuni di Sala in un litigio, nel 1547. (2) Perciò Manfurio, nel Candelaio (1582) del BRUNO, parla del « mio preceptore Aloisio Antonio Sompano Sidecino Sarmento Sala- no, successor di Gio. Scoppa ex voluntate heredis » ( 1 , 5) : cioè, uni- fica in un personaggio ideale i due nomi di autori coi quali furono stampati i libri del Sidicino. Quanto all'ex voluntate heredis, l'allusione non può significare se non che il Sidicino successe in Napoli nel pri- mato della scuola allo Scoppa, e forse che l'erede di costui gli affidò la scuola istituita dallo Scoppa per testamento (cfr. 1' ediz. dello Spam- panato del Candelaio, pp. 41 -2 ri). (3) Con queste date sono segnate le dediche del Benenato. Il TA- FURI, 1. e, cita della Grammatica un' edizione curata dal Benenato, con la vita del Sidicino, di Venezia, Babà, 1 55 1 : data certamente errata, perchè nel 1 55 1 il Sidicino era ancora in vita ; e delle Ele- ganze, una di Venezia, 1573; e conosce inoltre delle Epitomae, ri- stampe di Venezia, della Porta, 1 58 1 , e di Napoli, eredi del Cavallo, 1683, e delle Eleganze, di Venezia, eredi del Sessa, 1598. Io mi valgo di queste edizioni: AL. ANTONII SOMPANl SIDICINI et presb. SERGII SARMENTII SALANI totius fere Grammaticae Epitomae, ex optimis quibusq. Latinae linguae autoribus descriptae nova quadam, ac mirabili docendi ratione in lucem prodeunt Caesaris Benenati industria multo quam 34 III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO Sull'uno e sull'altro libro ormai e* è ben poco da dire, salvochè lodarne i pregi didascalici, che del resto 1* uso secolare nelle scuole comprova. Pure, se essi non son valsi a tramandare direttamente fino a noi il nome del loro autore, hanno fatto sì che in modo indiretto e inconsape- vole quel nome sopravvivesse nel quotidiano eloquio della plebe napoletana. E qui debbo chiedere venia se sono costretto ad accennare immagini di cose dalle quali la buona educazione rifugge, ma non rifugge l'erudizione o filologia, che, come la lingua latina, brave V honnèteté. Ancora il volgo napoletano designa col vocabolo n u sfdece n quella parte del corpo con la quale 1* uomo si siede; e il D'Ambra, nel suo Vocabolario, asserisce che n il traslato è fatto da che il numero sedici del giuoco del lotto è assegnato al sedere ". Senonchè, nel più antico dialetto non si diceva già " lo sfdece n , ma per 1* appunto n lo sedicino n , com* è atte- stato, per non dir altro, da questi due versi del libro sesto ante correctìores et locupletar es, Praeter Sidicini vitam, ac Dialogum de Periodis earumque partibus addidimus huic novae editioni de Equis eo- rumque partibus atque nominibus una cum latini sermonis formulis ac di- cendi modis inter se significatione cognatis opusculum, Caesare Benenato authore, Venetiis, apud Dominicum Farreum, 1 587 ; — Elegantiarum Compendium a Caesare Benenato multa accessione nuper auctum et re- cognitum Aloisio Antonio sompano sidicino et Presbytero Ser- gio SARMENTIO SALANO Autboribut. Addita est praeterea forensium Oerborum et loquendi generum interpretatio ab eodem Caesare Benenato concinnata, Venetiis, 1585, apud haeredes Melchioris Sessae. Conosco inoltre delle Epitomae le edizz. di Venetiis, apud Guerilios, 1652, e di Venezia, Cenzatti, 1667. Di una riduzione fattane da un Vincenzo Antonio, grammatico napoletano (Napoli, Beltrano, 1646), fa cenno il TAFURI, 1. e. Sul Benenato, cfr. SPERA, op. cit., p. 395. IH. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 35 (ott. 43) dell' Iliade napoletana di Nicola Capasso : E ghieia, comme lo iennero 1* azzenna, nzi a la figlia a fruscia lo sedecino. E che n sedicino n stesse in qualche rapporto col nome del nostro grammatico si può sospettare dalla contradit- toria e confusa noterella, che accompagna questa parola nel Vocabolario napoletano degli Accademici Filopatridi(\) t e che è dovuta forse all' abate Galiani : " E giuoco di parola nascente dalla voce sedere, e pare che voglia de- nominare la parte su cui si siede. Siccome l'antica città di Teano della Campania si distinse dal Teano Appula col chiamarsi Sidicino, e vi era un grammatico Donato che dalla sua palria si chiamò Sedicino, vengono quindi vari scherzi su questa equivoca parola". Il grammatico Donato, cioè (credo) Elio Donato che Dante collocò in Paradiso, — n quel Donato che alla pri- ma arte degnò por la mano "> — non ha che vedere ne con Teano ne con la presente questione ; ma ben vi ha che vedere il nostro Sidicino, Luigi Antonio di Zompa o Sompano, e per quali strani legami d' idee accennò uno scrittore settecentesco, Tommaso Fasano, in certe sue curiose lettere, piene di notizie su cose e costumanze del tempo e di varia erudizione (2). Apriamo la vecchia Grammatica del Sidicino e leggia- mo nella sintassi, al capitolo De neutrorum verborum sin- (1) Napoli, 1784, voi. II, P . 112. (2) Lettere del dottor Semplice Rustici al signor Dottore Rufo degli Urbani (Napoli, 1782), pp. 192-3. Sull'attribuzione di queste lettere ll'avvocato Tommaso Fasano, cfr. Napoli nobilissima, VII, 151. 36 IH. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO taxi: n Quartus ordo neutrorum (construitur) cum accusativo a tergo: li lavoratori arano la terra: agricolae arant ter- ram... n . n Quintus ordo neutrorum cum nominativo patiente a fronte et septimo casu (1) a tergo: io mi allegro della tua sanità: gaudeo tua incolumitate... n . n Sextus ordo neu- trorum cum nominativo patiente a fronte et ablativo agente a tergo more passivorum : li scolari sono battuti dal mae- stro: discipuli vapulant a magistro... n . Similmente, al capi- tolo De deponentium sintaxi : ' Primus ordo deponentium (construitur) cum septimo casu a tergo: io mi servo dei tuoi libri: ego utor lihris tuis... n . " Tertius ordo deponen- tium cum accusativo patiente a tergo: tutti noi seguiamo la natura: omnes nos sequimur naturam... n . C era ben più di quanto occorresse perchè i napole- tani, dei quali è stato detto che non e* è caso che si lascino mai sfuggire un bisticcio o equivoco salace, tra- sportassero il nome dell'autore di queste regole, così inge- nuamente formulate, a significare quello che abbiamo visto significare, e, pur troppo, senz' alcun bisogno di pensare all' atto del sedere. Perciò anche è da escludere V interpetrazione del D'Ambra, che il vocabolo presentemente ancora in uso derivi dal libro del lotto o Smorfia. Confesso d'ignorare come sorse la geniale opera della Smorfia, e i criteri lo- gici o le motivazioni psicologiche con cui gli oggetti fu- rono in essa distribuiti secondo i novanta numeri ; ma mi pare fuor di dubbio che il compilatore di quel libro, tro- vando nel parlar napoletano il nome sedicino, ne fu mosso (1) «Settimo caso» si chiamava dagli antichi grammatici l'ablativo senza preposizione. III. - LA TOMBA DEL GRAMMATICO SIDICINO 37 a pensare al numero 16, donde poi, mediatrice la Smorfia, 1' abbreviazione di quel nome nella forma odierna. Ed ecco dove e come Luigi Antonio di Zompa di Teano, denominato latinamente Aloysius Antonius Som- panus Sidicinus, ancora sopravvive. Chi glielo avesse detto al decoroso ciceroniano, al severo maestro di scuola, al- l' heluo librorum, all'asceta a rebus venereis prorsus abhor- rens, docile disposatore di una vecchiarda senza dote, così, per far piacere agli amici ; chi glielo avesse detto di dover finire a questo modo nel ricordo dei posteri ! Era così bello, semplice, dignitoso il suo epitaffio, e i piedi della gente lo hanno cancellato. Era così venerato il suo nome umanistico di maestro, e i napoletani lo distorsero a equivoci indegni. Ah, i napoletani ! Di che cosa non ridono ? Per placare 1* ombra del buon Sidicino, ricorderò che anche Carlo Filangieri, prode duce di prodi soldati na- poletani nel 1815 contro gli Austriaci nell'assalto del ponte di Sant' Ambrogio sul Panaro (dove rimase per morto con sette od otto ferite), era chiamato dai suoi con- cittadini — che non sanno mai resistere, come si è detto, alla seduzione del grasso bisticcio, — V n eroe del Pa- naro ■ (1). (1) « Panaro » vale in dialetto napoletano lo stesso che « sidicino». — 11 prof. E. BARTOLI, Nota etimologica, in La nuova coltura di Napoli, I (1921), pp. 372-5, mette in dubbio l'origine per bisticcio della pa- rola sidicino nel senso anzidetto. Ma il Fasano sembra esattamente informato in proposito. Quanto al fatto che anche nell'alta Italia sedici abbia quel senso, la mediazione della Smorfia, come ho detto, basta a spiegarlo. IV. L'ACCADEMIA DEI SERENI Le accademie dei Sereni, degli Ardenti, degli Inco- gniti, create in Napoli nel 1 546 , furono una luminosa ma breve apparizione, non spentasi già ma brutalmente soffocata, dopo poco più di un anno, dal viceré Toledo. Rimasero, per altro, a lungo nel cuore dei letterati na- poletani, che non cessarono di farvi accenni, pieni di rim- pianto, nei decenni seguenti; e nel 1 585 uno degli ormai vecchi superstiti di esse, il marchese di San Lucido Fer- rante Carafa, — che era stato nel 1 546 presidente degli Ardenti, — tentò di farle risorgere, fuse in una, ch'egli ri- battezzò cattolicamente e spagnolescamente come dei " Se- reni Ardenti di Cristo e di Maria, dell'Austria e dei Gironi " , cioè del Giron duca di Ossuna, allora viceré ( 1 ). Che era un ricordo di quelle antiche accademie, e in- sieme uno scongiuro contro i sospetti che avevano in- dotto il governo spagnuolo a discioglierle ed abolirle. La più particolare notizia che resti di quelle Accade- mie è fornita dal Castaldo, il quale racconta come nel 1545 a Napoli si desse principio da una comitiva di (1) CROCE, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento (Bari, 191 1), pp. 147-8. IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 39 gentiluomini alle recite di commedie , iniziandole con quella degli Ingannati, e come da tale trattenimento ar- tistico si passasse alla fondazione di accademie, dopo che si era sciolta da pochi anni V Accademia Pontaniana (1). Promotore della rappresentazione degli Ingannati, e attore insieme, era stato Giovan Francesco Muscettola, gentiluomo letterato (2); e compagni di lui, Giulio Cesare Brancaccio, Luigi Dentice, Antonio Mariconda, Fabrizio Villano, Scipione delle Palle, l'abate Giovan Leonardo Salernitano, e il fiorentino Matteo da Ricoveri. Ora, lo stesso Muscettola persuase all'istituzione di un'accademia, simile a quelle che erano già in Siena e in altre parti d'Italia; e sorse così l'accademia dei Sereni (o dei " Si- reni i che fossero, giacche insegna di essa era la Sirena), nel seggio di Nido, ma non ristretta ai nobili di quel seggio o ai soli nobili, sibbene aperta anche ai " citta- dini di lettere e di costumi nobili n . Principe ne fu eletto Placido de Sangro, al dir del Castaldo, che ricorda pa- recchi nomi di altri accademici , e soggiunge che egli stesso, n benché indegnamente n , ne fu " creato cancel- liere, ed anco, per favore di quei signori, ammesso per accademico " (3). Altri nomi di accademici raccolse poi» da varie fonti, il Minieri Riccio (4). (1) Nel 1543, pel bando dato al suo presidente Scipione Capece,. sospetto di eresia. (2) Notizie di lui nel TAFURI, Scrittori del Regno di Napoli, III, parte II, 380-1, che da una lettera del Ruscelli reca notizia di due storie, alle quali il Muscettola attendeva, della guerra di Siena e di quella contro i Carafeschi. (3) Cenno storico delle Accademie fiorite in Napoli, in Arch. stor* nap., V, 590-92. (4) Minieri Riccio, o P . cit., IV, 172-4. 40 IV. - L' ACCADEMIA DEI SERENI Di quest'accademia dei Sereni, che fu dunque la prima delle tre, seguita da quella degli Ardenti , istituita nel seggio di Capuana (1), e poi dall'altra degli Incogniti, mi è accaduto di trovare l'inedito statuto di fondazione, con la data del 14 marzo 1546 e il luogo, il seggio di Nido (S. Angelo di Nido), in un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi (2), e piacerà che io lo pubblichi qui testualmente. Non vi appare il nome della Accademia, e s'intitola semplicemente : CAPITULI D'OBSERVARSI DALLI ACCADEMICI DI NAPOLI n Perchè tucte le cose che, non avendo governo, vanno in rovina et se desiando, per questo è de necessità che questa nostra Accademia habia un Principe, dui consi- siglieri et un tesoriere, creati ad voci, al quale Principe tucti habiano da obedire, et alli quali si doni ampia po- testà di creare il lectore et di far ogn' altra cosa che converrà di fare. Et acciochè ogn* uno habia da parte- cipare degli honori, detto Prencepe et consiglieri s'habiano a mutar ogni quattro mesi, et che 1' età di essi officiali debia esser oltre di XXV. (1) Il CASTALDO, 1. e, chiama degli « Incogniti » l'accademia del seggio di Capuana; ma deve trattarsi di una piccola svista. (2) Lo notai percorrendo il catalogo del MOREL FATIO, Dépar- tement des manuscrits espagnoh et des mss. portugais (Paris, 1862), p. 91, n. 208, con la segnatura Esp. 449, e il titolo: «Miscellanea Italiana e Spagnuola ». Debbo la trascrizione dei Capitali, che sono a ff. 22-23 di questo ms„ al d.r Luigi Sorrento, al quale esprimo il mio grato animo. IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 41 " Et il custode de li scripti si muti ogn' anno, acciochè le ricchezze della nostra Accademia non passino excepto che per una mano per un anno al meno. Et più eh* el dicto thesorero non possa dar fori nessuna cosa ne in prosa ne in rima, volgare o latina, senza licentia del Prencepe et conseglieri, alla pena d'esser cacciato in tucto dalla Accademia, ne possi mostrare compositione alcuna senza espresso ordine de dicto Principe e consiglieri. " Che s' habiano da constituire due lettori latini et un volgare, li quali habino da leger Philosophia o Matema- tica et poesia, et dui dì della settimana, cioè il mercodì et la domenica, et la volgare li giorni festivi che correranno. 1 Che nessuno possi arguir allo lectore senza licentia del Prencepe, sotto pena d' esser privato dal consistono delli Accademici. n Et perchè ben si sa quanto sia lodevole il silentio, perciò volemo che s' habia a tacer mentre si lege, né si possa durante detto tempo ragionar con compagno che accosto li stia, sotto pena d' essere privato di nostra com- pagnia per un mese o ad arbitrio del Prencipe. Che nossuno possa riferire le cose che noi consultiamo , alla pena d' esser privato per sempre. n Che ognuno che vorrà esser delia nostra congregatio- ne, o per sé o per altro in suo nome, venga ad proporlo; et, proposto essendo, esca egli personalmente fuori del luogo, finché secondo l'ordine si proveda. n Che non se possi agregar nessuno se prima non si ha notitia della sua vita et de soi costumi ; et ad questo effecto, non essendo persona nota, se deputino dal nostro Principe dui che dimandino et s'informino di lui, et poi venghino a referire. 42 IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 1 Et acciochè colui che vorrà intrare nell'Accademia non s' habi da lodare ne da lamentare de nessuno, se diano le voci con lupini o con ballotte. n Che s* habiano da creare dei censori, li quali accura- tamente vedano li scritti latini et volgari , et se mutino ogni quattro mesi con lo Prencepe et consiglieri. n Che non sia nessuno che facci questioni o parole che non siano da dir dentro dell* Accademia , sotto la pena della privatione perpetua. " Et per evitar il mormorar d'alcuno, non sia nesuno che disputi della Scriptura sacra, alla pena da commet- tersi all'arbitrio del nostro Prencepe. n Che s* habi da crear un secretano, il quale habi da trascriver le compositioni et poemi, et notar tucto quello che occorrerà et exercitarsi ne l'altre cose che parerando al li nostri officiali; al qual se done in parte della fatiga qualche convenevole provisione. Et più, che s'ordine un Nuncio, eh' habbi da assister appresso del Prencepe et consiglieri per tucto il servitio eh' occorrerà et per intimar gli Accademici et conservar il loco della congregatione, et che non sia obbligato ne impedito in altro et che debia obedire allo detto Prencepe et consiglieri in tucto quello che li verrà imposto, al quale se constituisca debita pro- visione. 1 Ch'avendo da vacar officiale, delli officiali magiori, o per assenza o per infirmiti, possi il detto Principe sur- rogar vicario durante detto tempo d'assentia, finche du- rerà detto impedimento, con licentia del signor Principe et consiglieri. n Et poi che facilmente potria disfarsi ogni cosa non ricevendo forma alla executione, della quale, oltra prin- IV. - L' ACCADEMIA DEI SERENI 43 cipalmente della concordia et obedientia, vi bisogna an- chora qualche nervo di denari, con li quali s* habia da provedere al necessario et convenevole, che tra noi se constituisca una taxa da farsi per ciascheduno secondo le forze et arbitrio voluntario, del quale dinaro se proveda al bisogno del loco, alle provisioni et occorrentie nostre. n Et più, che de dicti denari se facci un exactore dili- gente et fidele, il quale habi da far borsa et notamento dello exacto et speso, et dar conto la dicto Principe te consiglieri mese per mese, et che non debba pagar niente senza mandato in scripto del s. Prencepe et consuli. n Et perchè sarrebbe fatigoso il riscoter di camera, saria bene, quando si potesse, che si consignasse un censo o ver una intrata, o quando ciò non potesse riuscire , che ciascheduno paghi mese per mese, et , occorrendo delle necessità, essendo richiesto, debba pagar la sua rata tucta insiemi. n Et perchè la moltitudine genera confusione, volemo eh* al tempo della nostra congregatione, lectione et ra- gionamento, non habi d'entrar nel loco persona alcuna, excietto persona degna et qualificata , et detto nuntio habi da chiuder et guardar la porta de fuori con ogni diligentia. n Alfine, perchè noi havimo voluto fondar quest'Acca- demia a nostro comodo, exaltatione della virtù et orna- mento della Patria, acciochè questa bona opera la vadi innanci sempre con maggior accrescimento, Noi fondatori giuriamo d'osservar tucte le cose predecte , promettendo tutta l'obedientia debita al detto Prencepe et consiglieri, et così farranno coloro che vorranno agregarsi per 1' adve- nire alla nostra Accademia; la quale sia creata in un 44 IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI ponto così felice che trapassi di gran lunga tutte 1* altre d'Italia. Datum Neapoli apud sanctum Angelum die xiiij Martii 1546. Il s. or Gioan Baptista Gazzella Prencepe. Il s. or Bernardino Rota, consule. Il s. cr Gioan Francesco Brancaleone, consule. Il s. or Giulio Cesare Brancazo. Il s. or Luigi Dentece, custode. Il s. M Ferrante Carraia. Il s. or Giov. Baptista Pignatello. Il s. or Antonio Vicenzo de Bucchis. Il s. or Antonio Maricon [da]. Il s. or Fabritio Villano. Il s. or Ioan Leonardo Salernitano. Il s. or Gio. Paulo Flavio, censore. 11 s. or Paulo Soardino. Il s. or Andrea Romano. Il s. or Vicenzo Severino. Il s. or Gio. Antonio, suo figlio. Il s. or Marchese della Terza. Il s. of Pompeo delli Monti. Il s. or Loisi Vopisco. Il s. or * Paulo Tolosa. Il s. or Gio. Baptista Concha. Il s. or Giov. Francesco Musettola. Il s. or Antonio Caracciolo. Il s. or Fabritio Caracciolo. Il s. or Antonio Bruni. Il s. or don Joan Domenico del Giovane. Il s. or Gio. Thomaso di Capua. IV. - L* ACCADEMIA DEI SERENI 45 Il s. or Tyberio Buccha, censore. M. Lattando Cacciatore, segretario. M. Macteo di Ricoveri, nuncio. " Le speranze, come si vede dal finale augurio , erano grandiose: e n buona n doveva dirsi, in ogni caso V "opera" disegnata ed iniziata, che, a quel che sembra, non con- sisteva soltanto in recite di composizioni dei soci , ma anche in corsi di lezioni, latine e volgari, sulla filosofia e la matematica, e sulla poesia. Tra i nomi dei firmatari si ritrovano quasi tutti coloro che avevano preso parte Tanno innanzi alla recita degli Ingannati: il Muscettola, il Brancaccio, il Dentice, il Vil- lano, l'abate Salernitano e il fiorentino Matteo di Rico- veri. Ma il " principe " o presidente non è quello che il Castaldo ricorda, ne cancelliere è Io stesso Castaldo, che dovette far parte dell'accademia in un secondo mo- mento, come posteriormente aggregati dovettero essere alcuni degli altri, da lui mentovati. Non mi è noto per opere letterarie il " principe " , il Gazella: ma , dei due " consoli ", celebre è il Rota e non ignoto il Branca- leone, che era medico e filosofo , e scrisse in latino un dialogo più volte ristampato: Qaam salubria balnea sint ad sanitatem tuendam (Roma, 1535), e in italiano un *D/- scorso dell'immortalità dell'anima (Napoli 1542), e che sembra fosse poi a sua volta principe di queir accade- mia (1). Percorrendo la serie degli altri, s'incontrano non poche conoscenze familiari agli studiosi della lette- ci) D'AFFLITTO, Scrittori napol, II, 265-6: cfr. CHIOCCARELLI, *De illustribus scriptoribus neapolitanh, pp. 330-1. 46 IV. - L' ACCADEMIA DEI SERENI ratura napoletana, come il Mariconda, autore della 'Phi- lenia e delle Favole dell' Aganippe (1); il Dentice, au- tore dei due dialoghi De musica (Roma, 1 553) (2); Giam- battista d'Azzia, marchese della Terza, che ha parecchie rime nelle raccolte del tempo, e di cui un sonetto in lode di Maria d'Avalos fu commentato dal Ruscelli (3); Giulio Cesare Brancaccio, che militò per circa un mezzo secolo e compose // fljrancatio della vera disciplina et arte militare (Venezia, 1 582) (4); Giovan Paolo Flavio, del quale sono a stampa orazioni latine per la pace tra i re cristiani, per la morte di Carlo V e per la morte di papa Paolo IV (5); Ferrante Carafa , marchese di San Lucido, autore de\Y Austria, poema per la vittoria di Lepanto, e di altre rime ed orazioni (6); Gian Francesco Muscettola, che era stato già dell'Accademia Pontaniana, (1) CROCE, Teatri di Napoli, nuova ediz. (Bari, 1916), pp. 22-4. (2) CHIOCCARELLI, op. cit., p. 18. (3) D'AFFLITTO, op. cit., I, 485-6 ; TAFURI, Scr. nap., voi. Ili, parte I, pp. 452-3 ; cfr. parte VI, pp. 257-8. (4) D'AFFLITTO, op. cit., II, 259-62. Una lettera del Brancaccio, da Napoli, 4 agosto 1 548, è nelle Lettere facete et piacevoli di dioersi huomini grandi et chiari et begli ingegni, raccolte da Francesco Turchi (Venezia, Salicato, 1601), pp. 52-5. Credo che fosse tutt'uno con quel Giulio Cesare Brancaccio, « gentilhomme napolitain, habile joueur de luth », che, nel 1554, messo su da intrighi francesi, cercò di diventare favorito della regina Maria Tudor e mandare in fumo con tal mezzo il disegnato matrimonio di lei con Filippo II. Imprigionato, e offertagli la libertà a patto che lasciasse l'Inghilterra, rifiutò, tanto « il se croyait sur de vaincre » ! Si veda H. FORNERON, Histoire de Philippe II (Paris, 1881), I, 40-41. (5) CHIOCCARELLI, op. cit., p. 344. (6) TOPPI, Bibl. nap., p. 83. IV. - L ACCADEMIA DEI SERENI 47 come si vede da un carme di Alfonso de Gennaro del 1533 (1); e via discorrendo. Uno degli articoli dello statuto sarà stato particolar- mente notato dai lettori : quello in cui, " per evitare il mormorar d'alcuno ", si prescrive: che " non sia nessuno che disputi della Scriptura sacra, alla pena da commet- tersi all'arbitrio del nostro Prencepe ". Era il pericolo che quell'accademia si sentiva già d* intorno, il sospetto d'eresia, contro il quale, con quell' articolò , procurava premunirsi. Ma non le valse, perchè proprio quel sospetto religioso, congiunto col politico , doveva farne ordinare, l'anno seguente, la chiusura. (1) MINIERI RICCIO, Biografie degli Accad. alfonsi™ detti ponto* niani, pp. 139-40. V. I SEGGI DI NAPOLI Una cosa, di cui non mi so dar pace, è che in Napoli siano spariti tutti gli edifizì dei n Sedili " o n Seggi n della città. Si pensi un po' ! Per secoli e secoli , dal medioevo fino ali* anno 1 800, i seggi avevano rappresentato V or- ganamento della cittadinanza napoletana, la distinzione della nobiltà e del popolo, I' amministrazione municipale. 1 Cavaliere di seggio n era la denominazione usuale del patriziato, che risonava accompagnata da ammirazione e re- verenza; e aneddoti e novelle e commedie ne riman- davano a lor modo f eco, quando si facevano a ritrarre scherzosamente i napoletani e le loro vanterie. Di una leggiadra gentildonna si madrigaleggiava, talvolta, che era un n fiore ■ del suo n seggio n ; e n à la fior de Nido " è indirizzata una celebre canzone di Garcilaso de la Vega. Gli stemmi dei sedili — lo sfrenato cavallo di bronzo in campo d' oro di Nido, quello frenato in campo azzurro di Capuana, i tre verdi monti in campo d* argento di Montagna, la porta d' oro in campo azzurro di Portanova, I* Orione o, come si diceva popolarmente, il Pesce Ni- colò di Porto — stavano innanzi agli occhi di tutti, fa- V. - I SEGGI DI NAPOLI 49 miliari geroglifici; e il primo, il cavallo sfrenato, fu sovente tolto in iscambio con lo stemma stesso della città di Napoli. Ai seggi si vedevano recarsi i gentiluomini per le adunanze e votazioni, e quotidianamente per tratte- nimento; i loro deputati, sei per ciascuno dei quattro seggi e cinque per quello di Nido, in complesso ventinove, erano chiamati n i Cinque e i Sei n , e si diceva altresì dei singoli deputati : il " signor Sei " , il n signor Cinque n . Dai sedili uscivano gli Eletti, uno per ciascuno e due per quello di Montagna (che aveva fuso in se il sedile di Forcella), ai quali si unì, dopo il 1495, quello del Popolo, eletto con doppio grado dalle ventinove ottine, nelle quali il popolo si ripartiva ; e i sette eletti forma- vano il tribunale di San Lorenzo ossia il municipio. Dai sedili uscivano le speciali n deputazioni n , come a dire gli assessorati, tra cui si contava quella contro il Sant'Of- fizio, per invigilare che sotto nessuna forma in Napoli s'introducesse l'Inquisizione spagnuola. Nelle feste e processioni, particolarmente di San Gennaro e del Cor- pus Domini, e in altre cerimonie, figuravano i rap- presentanti dei Seggi ; e gli edifizì delle loro adunanze si adornavano di drappi e splendevano di luminarie, e, nel settecento, si soleva anche darvi piccole rappresenta- zioni musicali, o " cantate n . Che cosa erano materialmente i Seggi ? Erano por- tici quadrilateri con cancelli di ferro, e a uno dei lati una sala chiusa per le riunioni, discussioni e delibera- zioni. Senza parlare dei resti che si notavano, fino ad alcuni decenni or sono, in via Mezzocannone e altrove, dei più antichi (perchè i sedili, o logge, o tocchi, o teatri furono dapprima moltissimi con V ufficio di sem- 4 50 V. - l SEGGI DI NAPOLI plici luoghi di riunione nelle varie strade, e poi, formati rassodati gli aggruppamenti sociali e politici e costituiti i sedili propriamente detti, quelli che non servirono a tal uopo rimasero come luoghi pubblici da gridarvi i bandi finche caddero affatto in desuetudine) ; e senza parlare della 1 piazza n del Popolo, che si radunava nel convento di Sant'Agostino; — i cinque seggi nobili si trovavano collo- cati nel seguente modo. Il seggio di Nido, dal secolo de- cimoquinto in poi, sorgeva presso la chiesa di Sant' Angelo a Nido, tra il vico Donna Romita e quello del Salvatore, ora detto dell'Università, di fronte al palazzo Sangro; nella cupola di esso, Francesco de Maria aveva dipinto la Fama, il Corenzio, sulle pareti, 1* entrata di Carlo V in Napoli, e Luigi Siciliano aveva aggiunto gli ornati. Il seggio di Capuana era in Via Tribunali, sulla piazza che ancor oggi si chiama con quel nome, con 1' entrata secondaria nel " Vico del Sedil Capuano n : 1* aveva ornato di dipinti, sui primi del cinquecento, Andrea da Salerno. Il seggio di Montagna era anche nella strada Capuana, tra via San Paolo e la chiesetta di San- t'Angelo a segno, e fu abbellito di dipinture nel 1684. Il seggio di Porto, che prima si trovava nel luogo che reca ancora questo nome, nella prima metà del settecento era stato trasferito presso la chiesa dell* Ospedaletto, co- struito il nuovo edificio dal Canevari, con cupola ricoperta di rame, e il soffitto dipinto da Francesco de Mura. Il seggio di Portanova, infine, si trovava presso la chiesa di Santa Maria di Portanova, posto colà sin dal tempo angioino, ricostruito sul cadere del secolo decimosesto, e di nuovo nel decimottavo su disegno dell' architetto Giuseppe Lucchesi e con pitture a fresco di Nicola Malinconico. V. -I SEGGI DI NAPOLI 51 Dopo i casi del '99, nella restaurazione borbonica, furono aboliti, com' è noto, con editto del 25 aprile 1 800, i sedili e tutto l' antico ordinamento municipale. Gli edi- :fizi, assegnati in un primo momento come rendita al Tri- bunale supremo di nobiltà e dipoi incamerati al Demanio, vennero ben tosto demoliti o trasformati per costruirvi case d'abitazione. Nel 1801, un cronista, nel dar notizia di co- desti mutamenti, non sa celare la tristezza che gli cade sull' animo. n E così (scrive) in poco tempo restò abolita la memoria di tante famiglie nobili di Napoli, godenti nelle rispettive piazze dei loro sedili, nei quali ognuna teneva dipinta la sua impresa n . Specialmente il sedile
  • at in quegli arcani. Nella grande famiglia di Dio ci aggiriamo , bimbi e fanciulli gli uni , altri di età più matura, e se a quelli è non solo inutile ma pe- ricoloso conoscere talune cose, questi talora sono ammessi nella società del governo domestico, in tal modo per altro che le occulte dispensazioni delle cose spettino ai solo padrefamiglia. Egli delle singole scienze mise da parte per se qualche oafàaXfAa, TéyvYjfAa, col quale talora bea i fi- gliuoli, mentre le restanti cose concede anche xolg e£a) " (1 ). Ma, con lo svolgersi del pensiero moderno, mentre la matematica diventava sempre più strumento delle scienze, la filosofia sempre più si liberava da essa, e non era più disposta a ricercare nei numeri gli arcani dell' Essere. Nel Dizionario filosofico del kantiano Krug è dichiarato l'avvenuto rivolgimento. n Si è voluto trovare (egli dice), specialmente dal tempo di Pitagora e della sua scuola, ogni sorta di segreti nei numeri e nei loro sistemi, e per- fino nello zero , e si è cercato anche di trasformare la Filosofìa stessa in un'Aritmetica filosofica. Ma tutto ciò è vuoto almanaccamene ; nei numeri si ripete sempre sol • tanto la stessa operazione del porre, contrapporre e con- giungere ; e certo, tra le combinazioni infinitamente varie che a questo modo sono possibili, se ne trovano anche (1) Op. cit., I, 118-9. Vili. -LIBRI SUI MISTERI DEI NUMERI 91 di quelle che conducono a risultati stupefacenti e che quasi confinano col prodigioso. Ma chi studia e sottilizza in siffatte cose, in ultimo non impara a conoscere altro che rapporti numerici, che sembrano nuovi e mirabili solo perchè non si poteva prevederli da prima e perciò non si aspettavano n . Il Krug , dopo avere recato di ciò in esempio i " quadrati mistici n o n magici n , concludeva: " La filosofia ammonisce fermamente a guardarsi dagli inutili almanaccamene sui cosiddetti misteri dei nu- meri, come appaiono nell'opera di Goldbeck, Bedeutung der Nuli , oder erste Fiamme der Morgenróthe der WahrheiU dove il Numero tiene una formale allocuzione ai suoi avversari, e conclude con le parole : I o il Nu- mero! Con tutto il rispetto verso le matematiche, la filosofia deve dirle per questo riguardo quel che Archi- mede avrebbe detto al soldato romano : Noli turbare circulos meos /, — o anche: — Tieni per te i tuoi misteri aritmetici, perchè io non so che cosa farmene! n (1). Finanche le regolarità, numeriche d'apparenza, che si ponevano nei sistemi filosofici, furono prese in sospetto, come vani giochetti o come indizi di artificio nei sistemi stessi. E nondimeno (pur ammettendo che assai di fre- quente i filosofi peccassero in questo verso) i rapporti su- premi dei concetti, l'unità, la diade, la triade, la tetrade, sono da considerare davvero come numeri sacri: sacri, si potrebbe dire, appunto perchè non sono rapporti numerici, ma rapporti speculativi, nei quali i (1) W. T. KRUG, Allgemeines Handwbrterbuch der pbilosophiscben Wissenschaften (Leipzig, 1829), IV, 513-4. 92 Vili. - LIBRI SUI MISTERI DEI NUMERI numeri stanno con semplici simboli (1). Per questa ragione non piccola importanza rivestono indagini filolo- giche come quelle dell'Usener sulla Triade (2), dalle quali si può desumere come, tra molte cose accidentali, il ritorno di certi numeri nelle religioni e nelle teologie si leghi a profonde esigenze delio spirito umano e a barlumi di verità. (1) Si vedano in proposito gli accenni della mia Logica, terza edi- zione, pp. 184-6. (2) H. USENER, Dreiheit, nel Rheinisches Museum del 1903 : e si vedano intorno a questo lavoro le notizie di N. TERZAGHI, in Atene e Roma, VII, 1904, pp. 134-8, e di E. BODRERO, in Italia moderna di Roma, 1905. IX. GIOVANNI DELLA CARRIOLA E LA SUA ■ STORIA DI MARZIA BASILE n Chi mai ripiglierà in Italia il lavoro, che sulle stampe popolari italiane, e sulla varia storia e poesia che esse ci serbano, conduceva, con dotta industria, negli ultimi anni di sua vita, Francesco Novati ? Non credo che altri col- tivi oggi quel tema portandovi la larghezza d' intenti con la quale egli vi s'era accinto, sebbene in Italia, e anche all'estero, non manchino studiosi che vi recano particolari contributi (1). (1) Ricevo proprio ora dal Dr. Karl Christ, bibliotecario della Bi- blioteca prussiana di Berlino, un importante scritto : Aeltere Drucke Oob\stumlicher italienischer Dichtung in der Preussischen Staatsbibliothek (estratto dai Fiinfzehn Jahre Kbnigl. und StaatsbibL, omaggio allo Har- nack, 1921). Tra le stampe popolari napoletane, che vi sono indicate» noto una nuova e più antica edizione dell'Opera di Belardinello musico, nella quale ragiona delle cose di Napoli, dal tempo di Re Marocco fina al dì di oggi, nuovamente ristampata (In Venetia, in Frezzaria, al se- gno della Regina, 1590). Per numero e ordine di ottave essa non dif- ferisce da quella di Venezia, 1616, ristampata da me neìYArch. stor. nap„ XXXIX, 81-94 ; e le varianti sono lievi, come vedo da uno spo- glio di essa che il Dr. Christ mi ha favorito. Anche della Farsa delli massari il Christ ha trovato una stampa, di pari luogo e data, col titolo; // lamento di Janni, Anluoni e Parmieri, della lor disgratie e delle lor moglieri. Ma essa contiene solo 25 ottave e di queste solo 15 trovano 94 IX. - GIOVANNI DELLA CARRIÒLA Il Novati, qualche mese innanzi la sua morte immatura, pubblicò un saggio (1), nel quale ricostruì una parte del patrimonio letterario di un rimatore popolare della fine del Cinque e dei primi del Seicento , che era noto fin allora solo pel ricordo che di lui si legge presso il Cor- tese, il Basile e lo Sgruttendio : Giovanni della Carreiòla o della Carriòla (2). Egli ritrovò tre composizioni di questo cantastorie po- polare : un Dialogo del Povero e del Ricco, del quale offerse un largo sunto, un contrasto Sdegno d'amanti che riferì per intero, e una Istoria di Marzia Basile, che si riprometteva di ristampare, avendo ricevuto da me i do- cumenti che illustravano il caso a cui si riferiva quel poe- metto e ne fermavano la data, il 1603. Ma quest'ultimo lavoro gli fu tronco dalla morte, ed io avevo pensato di compierlo in vece del compianto amico, se mi fosse stato possibile avere (e, nonostante che gentili persone vi si adoperassero per me, non mi fu possibile) copia del poemetto del quale il Novati aveva visto un'u- nica stampa dei primi del secolo decimonono, uscita forse rispondenza nel testo edito da me in Atti dell'Accad. Pontaniana, vo- lume IX (1910). Della stessa stampa il Novati aveva citata un'edizione del 1 580, ma senza avvedersi dell' identità con la Farsa delti massari ; v. in Lares , Bollettino della Società etnografica italiana , voi. II, 1913, P . 161. (1) Giovanni della Carretòla: un cantastorie napoletano del sec. XVI ed i suoi contrasti, nel Libro e la stampa, a. Vili, f. 6, nov.-dic. 1914 (ma pubblicato nel secondo semestre del 1915). (2) Che tale e non della Carretòla, come per errore tipografico della tarda stampa, fosse il nome, provò agevolmente F. RUSSO, Un canta' storie napoletano, Napoli, ed. Vela Latina, 1917. IX. - GIOVANNI DELLA CARRIÒLA 95 da torchio bolognese, che faceva parte della raccolta Bertarelli, donata alla Braidense e non ancora ordinata. Senonchè, giorni addietro, guardando libri antichi nella bottega del libraio sig. Giacomo Puccinelli, in Roma, a piazza San Lorenzo in Lucina, mi venne tra mano una miscellanea di storie popolari napoletane, tra cui è proprio quella della Basile. L* edizione ha la data In Napoli 1820, e il frontespizio adorno di una vignetta, ritraente un'esecuzione di giustizia, con due impiccati, una donna che sta per essere decapitata, fratelli confortatori, soldati e popolo. La cortesia del sig. Puccinelli mi ha con- sentito di trarne copia e mi mette ora in grado d'infor- mare i curiosi intorno al poemetto del quale il Novati non potè darci 1" illustrazione. L'edizione napoletana del 1 820 conta, come quella vista dal Novati, cinquantuna ottave, e comincia con gli stessi versi di quella , in forma alquanto più corretta ; ma non termina col distico, riferito dal Novati e contenente il nome dell'autore : " Ed io Giovanni della Carreiòla — Fermo la penna, inchiostro e la parola ", sostituito in questa edizione, per opera di un rimaneggiatore, da una sentenza morale. Anche il titolo suona alquanto diverso : Morte — di Marzia Basile — La quale fu decollata per la crudel morte data al suo — marito per causa dell* a- mante, — e la morte della sua serva e d'uno sbirro, che — come complici del delitto, furono impiccati. Nel poemetto si narra come questa giovane napoleta- na, moglie di un Domizio e madre di una bambina, presa d'amore per altro uomo e temendo della gelosia del marito che le aveva rivolto minacce, procurasse, con l'aiuto dell'a- mante, di una serva e di uno sbirro, la morte del marito. 96 IX. - GIOVANNI DELLA CARRIÒLA Il delitto fu scoperto poco stante, per un detto imprudente della serva complice; e i rei (tranne l'amante, che si mise in salvo) vennero imprigionati, condannati a morte e, non ostante che molti si movessero a favore della bella Marzia, giustiziati fuori Porta Capuana. I documenti della Congrega dei Bianchi della Giustizia, da me consultati (1), individuano il fatto e correggono qualche inesattezza del cantastorie. Nel libro degli Atti del 1602-03 si legge: Ai dì maggio 1603 si eseguì la giustizia di un huomo et una donna che fumo appiccati nel borgo di S. Antonio, et d'un'altra donna, alla quale fu tagliata la testa nell* istesso luogo. I nomi dei tre erano questi : Per ordine di Sua Eccellenza (il Viceré) la donna decollata (2) si chiamava Martia Basilia di anni 20 in circa; la appiccata Desiata Conte, di anni 45 in circa ; l'altro appiccato si nominava Giovan Angelo Spi- nello, alias Giamelio di Casalicchio del Cilento, di anni 33 in circa. Dalle notizie sulle famiglie dei tre (tutti e tre erano coniugati con figliuoli) si ricava che il marito assassinato si chiamava, non Domizio (come dice il cantastorie), ma Muzio, e aveva cognome Guarniero, e che Marzia lasciava due figliuole, Tolla (Vittoria) di circa otto anni, che era allora nell* Ospedale degli Incurabili, e Beatrice, di circa quattro, che era a Migliano, presso Lauro, a balia. Le circostanze del delitto non sono riferite negli Atti dei Bianchi, salvochè vi si leggono le ritrattazioni delle (1) Si vegga il volume: Capece, scrivano: 1 602-1 603, fol. 38-9. (2) Intendi : la donna che fu giustiziata per ordine ecc. IX. -GIOVANNI DELLA CARRIÒLA 97 due donne circa false accuse da esse pronunziate, nei loro interrogatori, contro innocenti : Desiata dello Conte... ha detto alla prima disamina fatta in presenza di Carlo Tirone, che lo cocchiere [che] deportò Muzio Guarniero oc- ciso dentro suo cocchio, haveva occiso detto Mutio; il che non è vero, atteso che detto cocchiere non è intervenuto a detto homicidio. Martia Basile, decollata come di sopra, ha detto che Ferrante Cam- marota et Capitan Canino si ritrovarono alla morte di Mutio Guarniero suo marito , et questo lo disse per sdegno che aveva con li detti, atteso che detto Ferrante et Capitano non eran presenti al detto omicidio: et questa è la verità. Vi si nota altresì che la giustizia fu ritardata di alcune ore, n dovendo compire il signor Vicario di Napoli certa esamina del Santo Officio che aveva cominciata la pre- detta donna alla quale si tagliò la testa ". E probabile che la disamina avesse per oggetto qualche stregoneria di cui la Basile era sospettata, perchè il cantastorie dice che ella resistette dapprima così bravamente alle torture cui fu sottomessa che si dubitò d* incantamento, onde le furono rasi i capelli. Termina la nota dei Bianchi : Uscì la giustizia di queste due donne et un uomo dalla Vicaria a 23 hore, perchè trattenuta dal signor Vicario di Napoli, che finì di esa- minare detta Martia Basilia in materia di Santo Officio ; et andò per Palazzo, et alla Piazza dell'Olmo (di Porto) si debilitò detta Martia in modo che bisognò portarla in una sedia fino al Talamo, dove era in- numerabile gente, et tanto concorso di popolo che si passò pericolo dai fratelli (della Congregazione dei Bianchi) ; et essendo già imminente la esecuzione della Giustizia, la predetta Martia, secondo ha riferito il Pa- dre Agostino, a cui toccò di attendere a farla ben morire , fece una escolpatione, dicendo che quanto aveva detto nell'esamina fatta avanti 98 IX. - GIOVANNI DELLA CARRIÒLA il signor Vicario contro qualsivoglia persona, non era vero; et si tardò tra l'andar per la città et l'eseguirsi questa giustizia, che li fratelli se ne tornarono nell' Oratorio essendo già quattro hore e mezza di notte. Dopo di che, recherò io per intero il poemetto di Gio- vanni della Carriòla, come disegnava il Novati? La ra- rità estrema deiropuscoletto, pure ristampato molte volte per circa quattro secoli, mi vi consiglierebbe ; ma la tri- vialità del caso in esso narrato e Io scarso pregio arti- stico della forma (sebbene non del tutto priva di vivacità ed evidenza popolaresche) me ne sconsigliano. Basterà, mi sembra, darne la trama e trascriverne per saggio al- cune ottave : Se voi benigna udienza mi donate, di Marzia Basile (1) vi vo* dire, della sua morte, della sua beltate, come il marito suo fece morire. Uomini e donne, esempio ne pigliate di tanti enormi falli e tanto ardire; che sentirete l'aspro e rio lamento, e di Marzia gentil morte e tormento. Se ne stava Marzia in casa, con una figliuola e una serva, e si arrovellava contro il marito. Perchè ? Sedeva Marzia alla scuola d'Amore sul fior degli anni e fior della bellezza ; a molti amanti avea ferito il core con gli occhi suoi e con l'aurate trezze ; e il marito, geloso nell'onore, le disse, bastonandola con asprezza : — Se il tale in casa ti fai più venire, peggio che morte ti farò soffrire I (1) Nella stampa; gentile. IX. -GIOVANNI DELLA CARRIÒLA 99 Essa rompe in lagrime; in questo sopraggiunge l'amante, le domanda la cagione del pianto, e, saputala, le propone di liberarla presto d'ogni affanno, sopprimendo il marito. I due si concertano con la serva e con uno sbirro per ammazzarlo la sera : Oh se il marito potesse sentire il consiglio crudel che lor fatt* hanno, ch'a primo sonno gli convien morire ! Non pensa Marzia di pagarne il danno. Chi di cortello fere ha da morire, ed il fine pagar del suo malanno ; non pensa di Prudenza anconetana, e d'Apollonia ancor la morte strana. Erano, queste due, altre famose adultere e viricide, delle quali correvano storie popolari : come si può tener certo per l'Apollonia, su cui non posseggo particolari no- tizie, ma come è comprovato per " Prudenza anconeta- na ", la quale era una Prudenza da Trani, sposata in Ancona da un fiorentino, Matteo Cecchi, ch'essa fece av- velenare, onde il 25 aprile 1 549 fu giustiziata a Firenze sulla piazza di S. Apollinare. Nel compianto destato per la triste fine di questa giovane donna si levò la voce di un poeta , che cantò il Lacrimoso lamento che fece la signora Prudenza Anconetana prima che fosse condotta alla giustizia per aver avvelenato il suo marito , ristam- pato dal 1549 fin quasi ai giorni nostri (1). Giovanni (1) Lo riproduce in corretta edizione e lo illustra ampiamente il NO- VATI, La raccolta di stampe popolari italiane della biblioteca di Fran- cesco Reina, in Lares cit., Il, 1 50- 1 70. Alle dieci edizioni descritte dal Novati posso aggiungerne un'altra, da me posseduta, « in Napoli, per 100 IX. - GIOVANNI DELLA CARRIÒLA della Carriòla , dunque , proseguiva una prediletta tradi- zione letteraria dei cantastorie, quella formata dai rac- conti di genere erotico-sanguinario, con orpello moralistico, che avevano a loro eroine donne ree per amore ed espianti il delitto sul palco della giustizia. Segue la scena dell'agguato e dell'assassinio : Ecco la sera il povero marito la moglie accoglie con tutto l'amore. Disse : — Mi sento, ohimè, tutto smarrito, mesto, sospetto, e tremolante il core. Vorrei mangiare e non sento appetito, mi sento male senza alcun dolore. — Disse la moglie, e finge umilemente : — Mangia, marito mio, che non è niente. — La bella e . sontuosa ultima cena buone ha vivande e prezioso vino. Dopo cenato, la serva lo mena al letto, a ritrovar l'aspro destino. E addormentossi il meschino con pena : ecco l'amante vien con l'aguzzino, e l'assaltorno con ira e tempesta ; l' iniqua moglie gli tiene la testa. Tralasciamo il sèguito dell'atroce descrizione : il risve- gliarsi del misero ai primi colpi, il chiedere pietà o, al- meno, confessione, il vano lottare, il soccombere; e poi il trasporto del corpo in carrozza, sette miglia lontano, a un fiume, dove fu gettato. Marzia, dopo il delitto e po- Nicola Monaco », che mi sembra secentesca o settecentesca. Al caso della Prudenza accenna anche U. SCOTI BERTINELLI, Sullo stile delle commedie in prosa di G.M. Cecchi (Città di Castello, Lapi, 1 906), pp. 40-1 . IX. -GIOVANNI DELLA CARRIÒLA 101 tendo ormai godere indisturbata l'amante, rimase tuttavia in preda a contrari sentimenti : Dubbiosa allegrezza e non sicura, or contentezza n' ha or pentimento, or sta contenta e lieta, or s'appaura, or allegrezza fa ed or lamento ; ora le sape forte, or non si cura, or n' ha piacere e festa, ora tormento. Così tra due pensier di guerra e pace, or li par bene il fatto, or li dispiace. Non passò molto tempo, e in conseguenza di un litigio di Marzia con l'amante, la serva confida a una vicina il de- litto che era stato consumato, e quella ne informa un suo amico, scrivano della Vicaria (come a dire, cancelliere della corte criminale). Così i rei furono imprigionati e si iniziò il processo, nel quale lo sbirro e la serva presto confessarono ed ebbero condanna di morte; e Marzia, in- vece, stava per essere salvata, " per grazia e per favore ", protetta com' era dai molti amici e vagheggiatori che aveva in Napoli. Ma dello sbirro la fedel consorte di volo se n'andò da Sua Eccellenza, dicendo : — Mio marito va alla morte, dovendo Marzia patir la penitenza : ella, che fé* morire il suo consorte, la vogliono far passar pien d* innocenza. — E questo espose nel memoriale, che si castiga quel eh* ha fatto male. Comanda Sua Eccellenza che il processo si legga e veda nel Collaterale ; ben presto venne inteso il caso espresso, visto e rivisto il tutto a mano a mano... 102 IX. -GIOVANNI DELLA CARRIÒLA E probabile che il memoriale fosse recapitato al nuovo viceré, conte di Benavente , venuto in Napoli ai primi dell'aprile 1 603, il quale non si fece sfuggire l'occasione di dar subito prova della sua inflessibile giustizia. Co- munque , continuando a leggere la n storia n , dopo gli ordini severi del viceré, Marzia fu sottoposta ai tormenti, e, poiché li sosteneva con fermezza e punto non confes- sava, le furono, come si è detto, rasi i capelli. Quando i capelli d'or vidde tagliati, resta sospetta, attonita e confusa; con pianti e con sospir gli ha radunati, e dentro un canestrello poi gli pose ; e così caramente gli ha serbati, come ognun fosse pietra preziosa. Si crede al certo non dover morire ; piangendo, queste parole prese a dire ; •■ — Ah quante volte il dì v* ho profumati, capelli che non siete più li miei ! Quanti amanti per voi furon legati ! Forse ogni giorno più di cinque o sei. Ora, dal capo mio disseparati, per li capricci miei vani e rei ! — Ed al specchio si mira e il dolor cresce ; e quanto più si mira, più gì' incresce. Si vede trasformata nell'aspetto, sospira, piange e n' ha grande cordoglio ; pare esser divenuta un giovanetto... Dopo questa operazione del taglio dei capelli, risotto- messa alla tortura, confessò ogni cosa per filo e per segno, e fu condannata. Nei giorni che seguirono d' incertezza e d'ansia, ella ora si abbandonava e rassegnava alla puni- zione, sentendo in cuor suo che il versato sangue del marito gridava vendetta, ora sperava di ottenere la grazia. IX. - GIOVANNI DELLA CARRIÒLA 103 Molti in Napoli pur sempre la favorivano e cercavano di trarla a salvamento. Oh quanti cavalier, quanti signori procuraron che fosse liberata ! Chi per denari assai, chi per favori, non ne poteron mai trovar la strada. A giudici, avvocati, procuratori da mille e mille fu raccomandata ; mille scudi s'offerse e cinque teste (1), ma invano fumo tutte le richieste. E un giorno, ali* improvviso, ella si vide entrare nella cella i Bianchi, i confortatori all' estremo passo. Tremò, cadde in deliquio, fu fatta rinvenire. Dissero i confrati : — O figlia mia, sta allegramente, e non ti spaventare (2) ; a Gesù Cristo, figlio di Maria, umilemente ti vogli inchinare. Renditi in colpa d'ogni pena ria, pregalo che ti voglia perdonare ; se morte pigli per li tuoi peccati, a goder anderai con li Beati. — A due s'appoggia e cala finalmente la bella, afflitta e sconsolata Marzia. Corre a vederla innumerabil gente, nà della sua beltà nullo si sazia. Vien Monsignor Vicario incontanente, li fa tornar con sua benigna grazia ; 1* interroga : confessa ed assoluta se ne va Marzia già più risoluta. (1) Intendi: cinque teste di banditi. (2) La stampa « sbigottire ». 104 IX. -GIOVANNI DELLA CARRIÒLA E questo V indugio di cui parla il diario dei Bianchi, cagionato dall' intervento del Vicario del Santo Officio dell* Inquisizione. Si avvia il triste e crudele corteo dei condannati, che percorre, girando in pompa, un gran tratto della città. Va la meschina dolorosa e mesta, ed esce fuori del gran Tribunale. L'orribil tromba suona e manifesta a tutti il suo delitto e il fatto male, dicendo : — A questa si tronca la testa, perchè al marito fu micidiale. — Il capitano disse che si vada, facendo far largura per la strada. Avanti Marzia va col viso adorno, come vuol sua sciagura iniqua e dura ; segue lo sbirro con timore e scorno, e sopraggiunta vien la notte oscura. Le torce fan parer di mezzogiorno ; va capo chin la serva, afflitta e scura : un ramo di speranza ancora ha Marzia, forse di non morire e d'aver grazia. Ad ogni suon che tocca la trombetta, corre la gente con gran confusione. Fanno d* intorno, con gran folla, stretta ; ognun n ha pietà, compassione. Al fin fu posta dentro una seggetta, stanca e lassa, con grande afflizione ; move il core di tutti e gli occhi al pianto : son li confrati all'uno e all'altro canto. Cammina, gira, giunge al Lavinaro ; corre la gente da vichi e vinelle. Oh quanto spiace e dole il caso amaro a donne, vecchie, figliuole e zitelle ! Le torce fan parere il cielo chiaro, e Marzia meschina a queste e a quelle IX. -GIOVANNI DELLA CARRIÒLA 105 con bel modo e con gentil maniere dicea : — Ditemi, per pietà, un miserere I — Come fu giunta a Porta Capuana, di cavalli e di cocchi un rumor sente ; di fuor, dentro e intorno la fontana vede gran moltitudine di gente. Essa con debil voce, umile e piana : — Che cosa è questa? — disse umilemente. Disse un confrate mansueto e pio : — Son gente che per voi pregano Dio. — Il supplizio è descritto nei più minuti particolari. Lo sbirro fu primo a morire e morì compunto; ma la serva si rivoltò astiosa, assalita dal sospetto che si volesse, morta lei, far grazia sul palco alla padrona, che era stata la vera autrice del delitto commesso e della comune rovina. Ci volle l'opera dei confortatori per calmarla e ridurla a pensieri di perdono e religione : Dissero i confrati : — Oh figlia mia, vedi che st'odio ti farà dannata I — Salir la fanno con parole accorte ; disse il credo e poi giunse alla morte. Anche Marzia riluttava a sottomettersi al supplizio, e ci vollero minacce, lusinghe, buone parole per persuaderla, e infine fu messa a morte con un inganno usatole dallo esecutore della giustizia : Allo cader che fece la mannara, — Gesù I Gesù ! — gridorno i circostanti ; ognun si dole di tal morte amara, a pianger cominciaron tutti quanti. La bella donna, sì tenuta cara, perse ad un tempo la beltà e gli amanti. Chi al male si confida, questo aspetta, morir con strazi, tormento e vendetta. 106 IX. - GIOVANNI DELLA CARRIÒLA Donde la finale esortazione : Uomini e donne, che seguite Amore, di questa morte esempio ne pigliate ; pensi ognun prima che facci l'errore, e nel mal fare mai vi confidate ; che chi offende Iddio nostro Signore delle lor colpe sono castigati. Perciò facciamo bene e mai mal opre, che chi fa mal alfin sempre si scopre. Esortazione, senza dubbio, sincera, ma che è da dubi- tare fosse il diretto motivo ispiratore di queste storie di sangue ed espiazione, nelle quali e* è sempre una certa curiosità e compiacenza malsana, che spiega la fortuna che trovarono e trovano presso ascoltatori e lettori, e non sempre sulle sole piazze dove s'aduna il volgo, avido di rozze commozioni. Con la notizia che abbiamo data della Storia di Marzia Basile è compiuta la rassegna di quel che rimane, o piut- tosto di quel che finora è riuscito d' identificare, della copiosa opera poetica di Giovanni della Carriòla, del- l'umile cantastorie, che sulla fine del Cinque e i primi del Seicento ebbe in Napoli quel soprannome, forse n a ca- gione del carrettino che egli spingeva , o nel quale da se stesso si trascinava perchè probabilmente storpio o paralitico n ( 1 ). (1) F. RUSSO, op. cit., P . 7. X. SHAKESPEARE, NAPOLI, E LA COMMEDIA NAPOLETANA DELL'ARTE Non mi è noto che, fra i tanti raccostamenti di cose lontane, dei quali abbonda la letteratura critica ed erudita shakespeariana — raccostamenti assai spesso stravagantis- simi (1), — il nome dello Shakespeare e quello di Napoli siano stati messi mai in relazione. Si concederà che ciò faccia ora un critico napoletano, per curiosità storica ma forse anche per trarne lume su qualche particolare, sia pure ben lieve, dei drammi shakespeariani. Il quale critico napoletano rinunzia preliminarmente al- l'attraente motivo del grande influsso, che sullo Shakespeare, e più propriamente sul personaggio e sulle meditazioni di Amleto, avrebbe esercitato il filosofo napoletano di lui (1) Eccone uno, per esempio; curioso per noi italiani: Shakespeare è — Garibaldi. Infatti, Gariwald o Gerwald (nome di un duca bavaro del sesto secolo), — che in Francia divenne nome di famiglia, Giraud, Guerault, ecc., e trapassò coi Normanni in Inghilterra nella forma di Gerald, e sopravvive in nomi composti, Fitzgerald, — si risolve etimo- logicamente in Ger (ingl. spear, lancia) e wald (ingl. wield, brandish, shake, scrollare, squassare); sicché l'uno e l'altro nome significano Crol- lalanza. Si veda un articoletto in Notes a. Queries, n. 238, tradotto in Jahrb. der deutsch. Shakespeare Gesellschaft, voi. XX, 1885, pp. 335-6. 108 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA contemporaneo, Giordano Bruno. Il raccostamento fu fatto pel primo, che si sappia, da Moritz Carriere, nella sua Phi- losophische Weltanschauung der Reformationszeit (1847), e poi dal Tschischwitz nelle Shakespeare-Forschungen (1868); fu svolto in una monografietta di W. Koenig, Shakespeare und Giordano Bruno (1876) (1), e riecheg- giato da parecchi critici tedeschi de\Y Amleto, anche dal Vischer (2) ; finche venne ripreso in esame nel 1 889 da R. Beyersdorff (3), il quale concluse che, dei riscontri citati, alcuni non hanno significato filosofico, e molto meno bruniano, e altri si riportano ai libri del Montaigne e del Lily : neir ultimo dei quali si trova, fra l'altro, adombrato il carattere di Polonio nella figura di un old gentleman in Naples. Questa conclusione — che cioè la Bruno Hypo- these manchi di ogni positive Begrùndung — si può dire per ora concordemente accettata dagli studiosi (4). (1) In Jahrbuch cit., XI, 97-139. (2) Shakespeare- Vortràge, I 3 , 254. (3) Giordano Bruno und Shakespeare, in Jahrbuch cit., XXVI, 1891, pp. 259-324. (4) Si possono aggiungere questi scritti inglesi, che trovo citati nella monografia deH*lNTYRE sul Bruno: Quarteria Review, e il FURNESS nel New Variorum Shakespeare. Il risultato negativo è anche raccolto nella nota opera divulgativa di GIORGIO BRANDES, William Shake- speare (trad. ted., 1 898), pp. 492-505. — Ciò non ha impedito a un noto affastellatore italiano di ripresentare testé, su pe' giornali, tra la ammirazione degli inesperti, 1* ipotesi bruniana come una scoperta ori-* ginale : v. P. ORANO, Amleto è Giordano Bruno ? (Lanciano, Carab- ba, 1916); nel qual opuscolo (pp. 34-5) si legge: «Che Amleto possa essere stato concepito dal genio dello Shakesprare alla lettura delle opere di Bruno vagabondo a Parigi e a Londra in cerca di vecchi mondi da distruggere, non soltanto non è mai passato X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA 109 Sarà il caso, invece, di accennare alla risonanza che del nome e della storia quattrocentesca di Napoli si ha neh" Henry VI, dove nella prima parte è tra i personaggi 1 Reignier, duke of Anjou, and titular King of Naples n , il nostro " re Renato ", il cavalleresco avversario di Al- fonso d'Aragona. Al quale Renato non sono risparmiati sarcasmi per la sua povertà, sicché egli fa, in quei drammi, un pò* la figura del n re Teodoro " (nel melodramma dell'abate Casti). n II povero re Renato (si dice, parte II, I, 1 ), la cui aria grandiosa non ben s'accorda con la ma- grezza della sua borsa n : ... the poor King Reignier, whose large style agrees not with the Ieanness of his purse. Questo disprezzo pel pretendente senza danaro ritorna nelle invettive lanciate contro la figliuola di lui, una delle più terribili figure shakespeariane, la regina Margherita. Il pi- rata, che mette a morte Suffolk, inveisce contro costui, che era stato l'amante della regina, e tradiva un potente re per la figlia " of a worthless £/ng Having neither su- bjecU wealth, nor diadem ■ (ivi, IV, 1 ). E Riccardo, duca di York, allorché essa vuol farlo arrestare, esclama: O blood-bespotted Neapolitan, outcast of Naples, England 's bloody scourge !... (Ivi, V, 1). per il capo del pubblico, ma neanche per quelli degli studiosi, quantunque la spulciatura (sic) comparativa (sic) a scopo di raffronto generico (sic) sia stata tentata (sic) da qualche (sic) sofo (sic) alemanno » ! 110 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA Con maggiore violenza ancora, nel momento in cui quella furia di Margherita sta per metterlo a morte, Riccardo impreca contro di lei, rinfacciandole il padre miserabile: She-wolf of France, but worse than wolves of France, whose tongue more poisons than the adder *s tooth !... But that thy face is, visard-like, unchanging, made impudent with use of evil deeds, I would assay, proud queen, to malte thee blush. To teli thee whence thou camest, of whom derived, were shame enough to shame thee, wert thou not shameless. Thy father bears the type of King of Naples, of both the Sicily and Jerusalem, yet not so wealthy as an English yeoman. Hath that poor monarch taught thee to insult ?... (Parte terza, I, 4). Similmente poi, i due figliuoli di lui, il duca di Gloucester e il duca di Clarence, il primo dei quali la chiama: Iron of Naples hid with English gilt, whose father beers the title of a King — as if a channel should be tali 'd upon the sea, — shamest thou not, knowing whence thou are extraught, to let thy tongue detect thy base-born heart ? e il secondo dice: What will your grace have done with Margaret ? Reigneir, her father, to the King of France hat pawn'd the Sicily and Jerusalem, and hither have they sent it for her ransom. (Ivi, II. 2) (1). (I) Superfluo dire che sulla figura drammatica della regina Marghe- rita e' è una monografia tedesca (e su quale argomento non e' è una monografia tedesca ?) : KARL SCHM1DT, Margareta von Anjou vor und X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA 1 1 1 1 Napoli " e " napoletano n ricorrono altresì nei drammi dello Shakespeare a proposito di una certa malattia, che nel Cinquecento prese denominazione, tra 1* altro, dal no- stro paese. n After this (dice Tersite nel Troilus and Cressida, II, 2) the vengeance on the rohole camp ! or, rather, the Neapolitan bone-ache /... " o anche, come la chiama Pandaro, che ne è affetto (ivi, V, 1 ) : n the rotteti disease of the south n . Neil* Othello, ai musici che Cassio reca a suonare sotto le finestre del generale, dice il clown, alludendo agli effetti dello stesso malanno: What, masters, have your instruments heen in Naples, that they speak ¥ the nose thusì " (III, 1). Si direbbe che qualcosa del ritratto satirico, assai di- vulgato nel Cinquecento (1), dei gentiluomini napoletani, vantatori delle loro ricchezze, del loro lusso e della loro varia abilità, si avverta in quel luogo del Merchant of Venice, in cui, tra gli aspiranti alla mano di Porzia, viene catalogato un " principe napoletano n : NEPESSA.— First, there is the Neapolitan prince. PORTIA. — Ay, that 's a colt indeed, for he doth nothing but talk of hirs horse ; and he makes it a great appropriation to his own good parts, that he can shoe him himself. I am much afeard my lady his mother played with a smit. (A. I, 2). bei Shakespeare (Berlino, 1906: nella raccolta Palaestra, voi. LIV). Vi si cerca, tra l'altro, di provare che quel carattere shakesperiano ha su- bito l' influsso del racconto di Polidoro Virgilio, il quale, a sua volta, s'era ispirato al ritratto che Livio (I, 46) fa della romana Tullia. (1) Si veda in proposito il mio saggio: « 11 tipo del Napoletano nella commedia», in Saggi sulla letteratura italiana del seicento (Baiti, 1911), p. 370 sgg. 112 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA Mi tornano qui a mente, tra l'altro, certe parole del Va- sari, nella vita di Polidoro da Caravaggio: " Avvenne che, stando egli (Polidoro) in Napoli, e veggendo poco stimata la sua virtù, deliberò partire da coloro che più conto tenevano d'un cavallo che saltasse, che di chi facesse con le mani le figure dipinte parer vive n (1). Ma il solo dramma shakesperiano, che veramente ci ri- chiami per più rispetti a Napoli è The Tempest(\6\ 1 ?) (2), sulle cui fonti assai si è disputato, particolarmente negli ultimi anni, e noi non ritorneremo sull'argomento per non ripetere cose che si possono trovare in ogni buon manuale, o raccogliere dagli spogli del Jahrbuch della Società shake- speriana tedesca. Basterà dire, in compendio, che le due fonti principali sarebbero il racconto del naufragio di sir George Somers alle isole Bermude, e una novella, di cui è ignota la versione che lo Shakespeare avrebbe letta, ma che trova riscontro in una delle novelle inserite nelle Noches de invierno di Antonio de Eslava (1609) e nella tela di un dramma tedesco deli'Ayrer (3). (1) Vite, ed. Milanesi, V, 151. (2) Il dramma è di quelli in cui i baconiani trovano criptogrammi, che ne dimostrerebbero autore Bacone 1 Infatti, gli ultimi due versi del- l'epilogo : « As $ou from crimes would pardon' d be, Let you indulgence set me free », trasportando le lettere e aggiungendo un a, rivelerebbero: « Tempest of Francis Bacon Lord Verulam. Do \;e ne'er divulge me, $e words ! » (in Jahrbuch cit., XXXIX, 381). Testé, un prof. A. Lefranc (v. Reoue des deux mondes, 1 febbraio 1919, pp. 606-7) lo ha asse- gnato a colui che, a suo parere, sarebbe autore di tutti i drammi sha- kesperiani, il conte di Derby, perchè solo un conte, un gran signore, e non mai un vile istrione, poteva osare di portare in iscena magie e stregonerie, regnante un Giacomo I, avversario dell'arte magica ! (3) Per maggiori particolari sulle ricerche più recenti, cfr. Jahrbuch X. -SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA 113 Nella Tempest, com* è noto, hanno parte Alonso re di Napoli, suo fratello Sebastiano, suo figlio Ferdinando, Gonzalo nobile napoletano, e, in un altro gruppo, Pro- spero, duca di Milano, sua figlia Miranda, Antonio suo fratello ed usurpatore del ducato ; e i reali di Napoli, insieme con Antonio, nel tornare da Tunisi dalle nozze di Ciambella, figlia del re di Napoli, col re di Tunisi, sono sbattuti da tempesta nell' isola dove dimorano Pro- spero e la figliuola, e dove Ferdinando e Miranda s'in- namorano T un dell* altro. "77/ make you the queen of Naples n , dice il giovane principe naufrago alla bella Mi- randa (I, 2). Già il Bonghi ebbe a congetturare che i nomi di Alonso e di Ferdinando, e le loro relazioni coi duchi di Milano, si riportino agli avvenimenti della storia napoletana sulla fine del secolo decimoquinto (I); e questa congettura è stata poi ripresa da un erudito tedesco, ignaro dello scritto del Bonghi, dal Sarrazin, che iden- tifica le figure di Alonso e di Ferdinando con quelle di Alfonso II d'Aragona e di Ferdinando, dei quali il primo sposò una figliuola del duca di Milano, Ippolita Sforza, e in Gonzalo vede un ricordo di Gonzalo de Cordova, il gran Capitano, al quale il regno di Napoli dovè la sua salvezza contro i francesi (2). Un precedente ricercatore cit., XLIII, 155-68, 375, XLVII, 231, L. 151-2. Alla controversia ha partecipato RUDYARD KIPLING , con l* opuscolo : The stilhexed Ber- mootbes, a Letter on a possible source of the Tempest (1906). (1) BONGHI, Horae subsecivae (Roma, 1883), pp. 222-3. (2) GREGOR SARRAZIN, Neue italienische Skizzen zu Shakespeare: 7. Die Vertreibung des Herzogs Prospero, in Jahrbuch cit., XLVI (1906), PP . 179-86. 114 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA o almanaccatore (1) ritrovava nel nome del duca discac- ciato quello di Prospero Colonna ; e identificava 1' isola della Tempesta, Y isola di Sicorace, con quella di Pan- telleria (2) ; e nella n Calibia n dell'Africa settentrionale scorgeva la probabile origine del nome di " Calibano ". Ma tutti codesti sono giochetti, specie quando si consi- deri che lo Shakespeare aveva così precise cognizioni geografiche sull' Italia meridionale da porre Tunisi a di- stanza immensa, quasi invalicabile, da Napoli (3). Si può ammettere soltanto che lo Shakespeare adoperasse nomi resi familiari all'orecchio dalle storie italiane degli ultimi del Quattro e dei primi del Cinquecento, notissime allora e poi. Nuova, ma più importante e più solida affermazione è, invece, che quel dramma ha qualche rapporto con la let- teratura italiana. Ciò balenò in forma di sospetto al War- burton, nel Settecento (4), che si fondava per questo so- spetto sulla regolare osservanza della unità, che c'è nella (1) TH. ELZE, Italienische Skizzen, in Jahrbucb cit., XV (1880), PP . 251-3. (2) Un rev. J. Hunter la identificò invece con V isola di Lampe- dusa: secondo una notizia della ed. New Variorum del Furness (Lon- dra, 1882). (3) She that is queen of Tunis: she that dwells ten leagues beyond man *s lire ; she that from Naples can have no note, unless the sun were post, — the man in the moon *s too slow, — till new-born chins be rough and razorable, ecc. (A. II, 1). (4) The Works of Shakespear, in eight Volumes... by Mr. POPE and Mr. WARBURTON (London, 1 774) : voi. I, p. 87 : « In reading this play, I ali along suspected that Shakespeare had taken it from some Italian writer ... ». X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA 1 1 5 Tempesta e manca agli altri drammi dello Shakespeare, sull'essere in essa tutti i personaggi italiani , e sopra un giuoco di parole, che vedremo più oltre. Ma troppo poco il Warburton era versato nella conoscenza del teatro italiano da condurre a buon fine 1* idea che gli era sorta in mente; e, sebbene nell'opera del Riccoboni, cercasse e trovasse titoli di due commedie col negromante (il iVe- gromante dell' Ariosto e il Negromante palliato dei Petrucci), neanche quelle potè vedere , e del resto non facevano al caso. Anche oggi scarse e insufficienti sono le inda- gini rivolte agli influssi che sul teatro inglese potè eser- citare la commedia dell'arte italiana, che veramente gio- verebbe considerare più da vicino. Influssi i quali non sono da restringere, a mio avviso, solo all'opera dei comici italiani che sappiamo aver recitato allora in In- ghilterra, e di quelli che con tanto maggiore frequenza recitavano in Francia ; ma alla divulgazione, che cer- tamente dovevano avere i copioni e gli scenari italiani nei teatri delle varie parti d'Europa, e i tanti drammi italiani d' ogni sorta, che furono messi a stampa sulla fine del Cinquecento e nei primi del Seicento, che ancora aspettano il bibliografo e V esploratore. Il breve lavoro del Wolff, Shakespeare und die Commedia dell* arte (1), non è bene informato della letteratura critica italiana e delle molte raccolte di scenarii venute in luce negli ul- timi decenni, talché si fonda ancora solamente sul Teatro della Scala. (1) In Jahrbuch cit., XLVI (1910), pp. 1-20. Gli sono sfuggiti anche i buoni accenni dello SCHERILLO, La commedia dell'arte, in Vita ita- liana del seicento, pp. 475-80. 116 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA E merito del Neri (1) di avere, pel primo, rivolto la attenzione e lo studio intelligente al gruppo di scenari che risalgono al secolo decimosesto, dell* Arcadia incan- tata, e di averne scorto la relazione con The Tempest. 1 La tempesta (egli dice raccogliendo i tratti di quegli scenari), che disperde i naviganti in un' isola lontana, per volontà di un mago che guida tutta Fazione in un giorno d* incanti, dopo il quale spezzerà la sua verga; una terra selvaggia popolata da spiriti ; due gruppi di personaggi, i nobili ed i plebei, rivolti i primi all'ambizione e allo amore (con le nozze finali), i secondi al godimento bru- tale e riserbati allo scorno ; par bene che sia questa la nuda trama dell'ultima commedia dello Shakespeare n . Ed aggiunge : n Si potrebbe scendere a un confronto più minuto ; i selvaggi che adorano per lor nume Arlecchino e lo rimpinzano di cibi, e poi si accorgono dell'inganno, si ritrovano in Calibano, prostrato dinanzi ai grossi marinai: Ariele trascina e delude gli smarriti: 1* isola è piena di ru- mori, di suoni, di dolci arie dilettose: a volte, mille strumenti risuonano all'orecchio di Calibano, e se pure egli si è destato da un lungo sonno, lo fanno addormentare di nuovo. Anche la rivalità fra il mago ed i naufraghi, ed infine la loro paren- tela, viene accennata in qualche scenario n (2). Giova leggere i primi righi delle redazioni di quegli scenari : Prima scena. Selva — Mago : l'arrivo dei forastieri : dice che non partiranno senza suo volere ; tratta la decisione de pastori e ninfe delle selve, che lui fa : doppo incanto, via. (1) FERDINANDO NERI, Scenari delle Maschere in Arcadia (Città di Castello, Lapi, 1913). (2) Op. cit., pp. 33-4. X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA 1 17 Mare tempestoso, con nave naufragandosi — Pollicinella, da mare; so- pra la tempesta passata, la perdita ed il naufragio de padroni e servi, suoi compagni. In questo Coviello, dall'altra parte : 1* istesso di Pollicenella. Si accorgono uno con l'altro, fanno lazzi di paure; infine, dopo lazzi di toccarsi, si chia- riscono esser salvi; dicono la perdita del compagno e del padrone (1). Per mia parte, stimo del tutto comprovate le conclu- sioni del Neri ; e solamente, riattaccandomi a un* osser- vazione che ebbi a fare già sin dal 1898 sulla napole- tanità del nome di uno dei due marinai ebbri di The Tempest, Trinculo (2), ardisco esprimere Y avviso che la commedia italiana che, in modo più o meno indiretto, venne a notizia dello Shakespeare, e che egli tenne pre- sente o ricordò nel comporre The Tempest, doveva es- sere una commedia o uno scenario elaborato da comici napoletani, con parti buffe napoletane. Tornerebbe difficile altrimenti spiegare come in The Tempest si sia introdotto il nome di n Trinculo ", che non solo non ha riscontro in altre lingue, ma nemmeno nella lingua italiana. Vero è che 1* Elze non dubitò di etimo- logizzarlo con " trincare, trincone n , germanesimi impor- tati nella lingua italiana dai lanzichenecchi tedeschi (3) ; ma quella forma derivata non esiste in italiano, ne potè esserne derivata dallo Shakespeare. Laddove, se si apre un canzoniere napoletano dei primi anni del Seicento, s'in- contrerà subito : Cecca, pecche l'aruta te mettiste ncopp' a ssa trezza ionna de natura, (1) Pubbl. in app. all'op. del NERI, p. 87. (2) CROCE, Saggi della letteratura italiana del seicento, 1. e, p. 303 n. (3) TH. ELZE, in Jahrb. cit., XV, 253. 118 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA e fra trincole e smincole la iste a mettere a ssa rossa legatura ?... (1). Meglio ancora : consultando la descrizione in versi di Napoli e delle sue costumanze, fatta da un contempora- raneo dello Shakespeare, da Giambattista del Tufo nel 1588, si troverà tra i gridi dei venditori ambulanti che risonavano allora quotidianamente per le vie di Napoli : Trincole e mincole! Chi accatta lazze e spingole ? (2). E la parola (se non più il grido) è ancor oggi viva, e il vocabolario dell' Andreoli la spiega " con fronzoli, nin- noli, cianfrusaglie, gingilli ". {]) La tiorba a taccone di FILIPPO SGRUTTENDIO, corda I, son. 53 (ed. Porcelli, p. 53). (2) Ritratto o modello della grandezza, delitie et meraviglie della no- bilissima Città di Napoli (1588). Ms. della Bibl. Naz. di Napoli. XIII» C, 96. Riferisco per disteso il brano : Se le scarpe e pantofoli son rotti, ecco per strade il conciator di quelli : Chi vuò solar chianelli ? Poi con dolci altri motti : Zeppale con lo mele ! E cento insieme ancor : Chi vuò candele ? Cetrangole e lomingelle, e legna e frasche insiem con sarcinelle ? Chi vuò conciatinielle ? Ma poi con altri ancor : Tringole e mingole f Chi accatta lazze e spingole ? Così di quando in quando sentireste passare centomila altre cose da comprare... (Ms. cit., f. 27). X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA 119 Or bisogna ricordare che, sul finire del secolo deci- mosesto, si formarono e corsero pel mondo una folla di personaggi comici napoletani, Coviello, Pascariello, Poli- cinella, Cola, Maramao, Ciccio Sgarra, Meo Squacquara, Spaccasirummolo, ecc., dei quali parecchi si vedono de- lineati nei rami del Callot (1), che li osservò nella stessa Napoli, dove venne probabilmente nel 1721. Non è fuor di probabilità che che , fra quei tanti nomi buffoneschi, formati spesso su mere analogie e bizzarrie foniche, fosse anche quello di un n Trinculo ". Anche il nome di " Stefano n risale forse a un ori- ginale napoletano. Il Warburton (2) pensava che le pa- role di Stefano, atto V, v. 286 : " O, touch me noi: — I am noi Stephano, bui a cramp ", richiamassero un giuoco di parole dell'originale italiano, che egli supponeva fosse, per es.: n Non sono Stefano (sic), ma staffilato (sic) ", in rela- zione con le punture (looth 'd briers, sharp furzes, pricing goss and thorns), inflittegli sulla pelle da Ariele. Senza presumere di ricostruire per congettura il probabile gioco di parole napoletane, è da ricordare, a ogni modo, che ff Stefano n , in gergo furbesco, valeva e vale n ventre, pancia ' ; donde le frasi napoletane n egnersi (riempirsi) lo Stefano n ; ■ farse tanto de Stefano n , e simili (3) ; e questo significato agevolava la formazione di equivoci, per es. tra Stefano (ventre) e stentino (budello), o Stefano e granco (ritiramento di muscoli, contorsioni, cramp). (1) CROCE, / teatri di Napoli dal rinascimento alla fine del secolo decimottavo, nuova edizione (Bari, 1916), pp. 31-33. (2) Ed. cit., 1. e. (3) Si veda il D'Ambra e gli altri lessicografi napoletani. 120 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA Trinculo risponde perfettamente ali* Arlecchino delle commedie fantastiche italiane. Egli è dato bensì come un marinaio appartenente alla ciurma della nave che la tem- pesta spinse ali* isola di Prospero ; ma intrinsecamente (come avvertiva lo Steevens) " is not a sailor, bui a je- ster, and is so called in the ancient dramatis personae ; he therefore wears the petty-coloured dress of one of these characters " (1). Appartiene (osserva una scrittrice che ha studiato l'umorismo dello Shakespeare) alla categoria dei servi astuti, ed è, in tutto il suo essere, un clown, un domestic buffoomh codardo e senza cervello, e il vino scatena in lui solo impulsi bassi ; onde la sua comicità è passiva, esterna, di situazione, e il suo spirito formale e ottuso. Accanto a lui, il suo compagno Stefano è " su- periore così per temperamento come per qualità di beone " ; rimane più padrone di se , e verso Trinculo rappre- senta la parte del signore e del timoniere (2). La co- micità di entrambi (notò già il Tieck) non è quella di caratteri che abbiano singolare spicco e attirino forte la attenzione (per es., quella di Falstaff), ma è leggiera e ovvia, perchè servono solo a svagare lo spettatore, accrescendo insieme il meraviglioso e l'effetto dell'intero dramma (3). Dopo il naufragio, quando l'uno aveva creduto morto l'altro, s' incontrano entrambi nel!' isola, presso Calibano, e si riconoscono, come negli scenari della corrispondente commedia italiana : (1) Cito dall'eoi, dei Complete Works of W. S., ed. Chalmers (Paris, 1844), I, 24. (2) HELEN RICHTER, Der Humor bei Sh., in Jahrbuch cit., LXV (1909), cfr. pp. 13-4. (3) LUDWIG TIECK, Kritische Studlen (Leipzig, 1848), I, 59. X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA 121 TRINCULO — Stephano ! If thou beest Stephano, touch me, and speak to me ; for I am Trinculo — be not afeard, — thy good friend Trinculo. STEPHANO — If thou beest Trinculo, come forth : I '11 put thee by the lesser legs : if any be Trinculo *s legs, these are they. Thou art very Trinculo indeed! How camest thou to be the siege of this moon calf ? can h e vent Trinculos ? TRINCULO — I took him to be killed with a thunder-stroke. But are not drowned, Stephano ? I hope thou art not drowned. Is the storm overblown ? I hid me under the dead moon-calf 's gaberdine for fear of the storm. And art thou living, Stephano ? O Stephano, two Nea- poletans escaped ! (II, 2). 1 Two Neapolitan escaped ", " due napoletani salva- tisi n , che a Napoli erano stati altra volta Coviello e Po- licenella, e altrove, nella commedia delPalta Italia, Bri- ghella e Arlecchino. Con questi zanni, italiani e napo- letani, i due personaggi shakespeariani hanno comune il fare spensierato e scherzevole ; onde il loro pronto ami- carsi con Calibano e il bonario loro divertirsi a far bere, godere e ubbriacare il mostro, che hanno incontrato : il n signor mostro ", come lo chiamano, ridendo di se e di lui. A leggere quelle scene, par di sentire 1* eco di si- mili o affini scene pulcinellesche, che ci sono sfilate in- nanzi tante volte nelle commedie e farse dei teatri na- poletani (1). (1) E non sarebbe opportuno condurre una simile ricerca nei drammi e scenari italiani per le Pene d'amor perdute, delle quali s' ignora la fonte, e che ha tanta aria italiana, e presenta personaggi comunissimi nella com- media italiana della seconda metà del Cinquecento, il Pedante e lo Spagnuolo? Al qual proposito non è da considerare impossibile che lo Sha- kespeare avesse qualche notizia diretta o indiretta della commedia // Can- delaio del Bruno. Il giuoco di parole contro il pedante Holof-rnes, ha, 122 X. - SHAKESPEARE E LA COMMEDIA NAPOLETANA pron. be (V, 1), riesce oscuro e inesplicabie senza il riferimento al motto di « pe », « pecorone », contro il pedante Marfurio, nel Cande- laio, III, 7. Anzi un mio ingegnoso amico è giunto a pensare che. cerne nei Secondi frulli del Florio, noto allo Shakespeare, e di cui v'è traccia forse in questa commedia (IV, 2), il Bruno appare come « Nolano », così nelle Pene d'amor perdute egli avesse suggerito il nome del più vi- vace personaggio di quella commedia. « Biron », infatti, è una corre- zione che si trova dal secondo in-folio in poi ; ma nelle due stampe originali il nome è scritto costantemente « Berowne »; cfr. The Works of W. Sh., ed. by W. Aldis Wright (London, Macmillan, 1894), voi. II, p. 230. Ora « Berowne » ±± Brown =: Bruno! Si trastulli chi vuole con questa nuova « ipotesi brunian?* », che avrebbe per lo meno il merito di non perdersi a fantasticare sulla filosofia bruniana, studiata dallo Shakespeare, ma di restringersi alla probabile aneddotica della vita lon- dinese, nella quale la figura di Bruno non passò inosservata. D* altra parte, nella scena IV, 1 , si accenna a « a phantasime, a Monarcho », sul quale i commentatori inglesi raccolgono notizie che dimostrano es- sere una figura della commedia italiana, e appartenere al mondo e ai motti di « Bergamasco e (Arlecchino). Rimetto questo tema di studio a miglior tempo, o piuttosto, ad altro e migliore ricercatore. [Posterior- mente è tornato sulla questone delle fonti italiano della Tempesta E. D. GREY negli Studies on modem philolog^ della Università John Hop- kins, giugno 1920 : cfr. un cenno nel giornale Le lettere di Roma, II, 3, 18 febbraio 1921. Per le cognizioni in genere delle cose italiane che ebbe lo Sh. è da vedere la recente monografia di LONGWORTH CHAMBRUN, Giovanni Florio, Un apotre de la Renaiseance en Angle- terre a l'epoque de Shakespeare, (Paris, Payot, s. a., 1921.] XI. G. B. VICO E LA FAMIGLIA ROCCA Poiché il Vico passò parecchi anni, e dei più feconda della sua giovinezza in casa dei Rocca, a Vatolla, pia- cerà apprendere qualcosa di più particolare intorno alla famiglia che l'ebbe ospite. Quello dei Rocca, che il Vico conobbe per primo, e che a lui offerse l'ufficio di precettore dei suoi nipoti, il vescovo Geronimo, è anche il più noto, perchè lo ricordano rUghelli(l) e il Giustiniani (2). Vescovo d'Ischia dal 1673 al 1691, era nato a Catanzaro, e " si esercitò non poco (dice il Giustiniani) nei tribunali sì ecclesiastici che laici n di Napoli e di Roma, acquistando reputazione e protezioni. Dalle sue molte allegazioni forensi trasse un'opera in due volumi di Disputationum iuris selectatum cum decisionihus super eis prolatis, stampata due volte, a Napoli, dal Paci, 1686-1688, e a Coloniae Allobrogum (Ginevra), presso i fratelli De Tournes, 1693, cioè due (1) Italia sacra (editio, II Venetia, 1720), VI, 237-8. (2) Memorie istoricbe degli scrittori legali dei regno di Napoli (Napoli, 1788, II, 113-14). L' Ughelli lo loda, come vescovo, per le opere che compì in Ischia, non solo di religione, ma di comodo civile, strade, con- dotti di acqua potatile, e simili. 124 XI. -G. B. VICO E LA FAMIGLIA ROCCA anni dopo la morte dell* autore (morì nel 1691). "Giu- reconsulto chiarissimo, come le sue opere dimostrano ", lo dice il Vico; ma il Giustiniani, che non aveva ragione di essere altrettanto riguardoso, giudica che il Rocca, nelle sue disquisizioni, " maneggia la legge, ma le più volte si attacca ali* autorità dei dottori, e suole spesso versarvi <.o\ sacco le citazioni n , sebbene conceda che, per le molte e varie cose di cui tratta, possa " prestare non poco aiuto a chi si addice nel foro e sappia ritrovare Toro in mezzo al loto n (1). Quando nel gennaio del 1674, morto il vicario gene- rale, Tarcivescovo di Napoli, cardinale Innico Caracciolo, chiamò a quell'ufficio il vescovo Rocca, fu un gran malu- more nel clero di Napoli ; e un cronista, che da quei preti tolse 1* ispirazione, scrisse parole di fuoco contro questa preferenza data a " un calabrese di bassa statura e di aspetto miserabile, ordinariamente guernito di ma- teria legale, gentiluomo di Catanzaro assai più che povero, superbo quanto Lucifero, fratello d'omicidiari, avendo un suo fratello ucciso di mezzogiorno alla cappella di San Marino anni sono un gentiluomo di casato Catalano, ed un altro suo fratello, gesuita, ammazzò un altro gesuita di casa Caracciolo dentro il Collegio dei Gesuiti di Na- poli ". E via di questo passo! Ma, un paio di mesi dopo, poiché il Rocca, non avendo ottenuta licenza di esimersi (1) Nell'esemplare dell'opera del GIUSTINIANI, in Bibl. Naz. di Nap., ms. XII. Z. 6, con note del Minieri Riccio, sono segnati allegazioni « pareri del Rocca sparsamente stampati, tra i quali noterò un Discorso prattico dell'emendamento delle sete in Calabria, dell'abusi et inconvenienti e (Bari, Laterza, 1914); 5. [E. Allodoli], La duchessa di Malfi di QioVanni Webster, trad. e prefaz. (Lanciano, Carabba, s. a., ma 1913); 6. L. GAMBERALE, // diavolo bianco o Vittoria Corombona; La condanna di Vittoria Corombona, del Webster, saggio di versioni (Pescara, 1916: estr. dal Nuovo convito); 7. lo stesso, Tre scene della " Duchessa d'Amalfi 9 (ivi, 1916); 8. lo stesso, Alcune scene della tragedia « Annabella e Giovanni » di John Ford (Napoli, 1917; estr. dal Nuovo convito, 1917); 9. lo stesso, // diavolo bianco o Vittoria Corombona, tragedia tradotta in versi (Agnone, tip. Sammartino-Ricci, 1922): dà intero il dramma, e promette l'altro del Webster e quello del Ford. (1). (1) A queste opere italiane sarebbe da aggiungere il mio saggio Shakespeare, nella Critica, XVII, nn. 3-4 maggio-luglio 1919, raccolto poi nel voi.: Ariosto, Shakespeare e Corneille (Bari, 1921), e tradotto in inglese ed in tedesco ; e aggiungere altresì le parecchie recensioni, gli articoli e gli opuscoli, ai quali quel saggio ha dato occasione. Ciò si nota per chi vorrà continuare questa bibliografia. XXI. UN NAPOLETANO COMMENTATORE DI DANTE RAFFAELE ANDREOLI Tutti hanno o hanno avuto tra le mani il commento alla Divina Commedia di Raffaele Andreoli, del quale da mezzo secolo la casa editrice Barbèra moltiplica le edi- zioni scolastiche. Senza ricorrere a superlativi compara- tivi, il cui uso è sempre pericoloso, e senza far torto agli altri assai pregevoli commenti danteschi che ora possedia- mo (tra i quali rifulge quello del Torraca), è lecito affer- mare che il commento dell* Andreoli e dei meglio condotti per chiarezza e sobrietà, buon senso e buon gusto, e per semplice eleganza di dettato; e che venir leggendo sotto questa guida discreta il poema sacro è un vero piacere, un piacere che, purtroppo, altri commentatori contrastano o non agevolano al desioso lettore. Ma accade per questo libro il contrario di quel che accade in altri casi, nei quali Fautore è noto e i suoi libri non sono letti da nessuno : qui il libro è notissimo e dell'autore non si sa nulla. Più volte m' è stato domandato da uomini di lettere e da n dantisti n : — Ma chi era 1* Andreoli? Conoscete notizie di lui? — E in uno degli ultimi fascicoli del Bullettino della Società dantesca ho incontrato queste parole : n . . . . un XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE 239 modesto commentatore, il cui nome molto non suona, e me- riterebbe forse di più, TAndreoli ... n (I). Ora io non ho conosciuto FAndreoli (sebbene in una sua lettera del 1 885, che ho dinanzi, ritrovi il mio nome, e insieme la manifestazione del gentile proposito da lui espresso di voler fare la mia conoscenza personale quando fosse venuto a Napoli); ma egli era amico di miei con- giunti e fu anche segretario particolare di mio zio Silvio Spaventa negli anni in cui lo Spaventa resse il ministero dei lavori pubblici. Ciò mi mette in grado, e mi fa quasi obbligo, di scrivere questo cenno della sua vita e della sua operosità letteraria. L'Andreoli era napoletano, nato in Napoli il 5 otto- bre 1823, e cominciò poeta, dando fuori a vent* anni, nel 1844, un volumetto di novelle (2), romantiche nel con- tenuto ma ariostesche nel trattamento dell' ottava. Erano intitolate: // consiglio, in quattro canti, L'amor coniugale, canto unico, L'amor supposto, tre canti, // barone, quattro canti ; e di esse una fu da lui ristampata con lievi ritocchi e col mutato titolo La trappola , quarant* anni dopo, tra F imperversare della più rozza letteratura veristica, come attestato di affetto ai vecchi modi patri (3). Il volumetto del 1844, ora quasi introvabile (4), recava (1) E. G. PARODI, in Bullettino eh., voi. XXV, marzo-settembre 1918, p. 15. (2) // Preludio di RAFFAELE ANDREOLI (Napoli, Giuseppe Barone tipografo, 1844: in 16, di pp. 264). (3) La trappola, novella in ottava rima (Firenze, Barbera, 1883). (4) Ne ho trovato una copia presso il chimico signor Francesco de Crescenzo, marito di una sua nipote, il quale ha messo cortesemente a mia disposizione le poche carte lasciate dall' Andreoli. 240 XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE in luogo di prefazione un sonetto, che mi piace trascri- vere, non per merito poetico che abbia, ma perchè gio- vanilmente autobiografico : Passa il quarto mio lustro, e tanto appena ancor m' avanza del paterno stento, quanto a viver mi basta, ma con pena : il resto, ohimè, se Y ha portato il vento. La legge io studio amara e disamena, ma per necessità, non per talento : amor del bello a poetar mi mena, né d'ostacolo alcuno mi sgomento. Napoli, agli occhi cara, £.1 genio ingrata, mi die la culla, ed io di tanto amore n' ardo, che i torti dei suoi figli obblio. Lievemente or preludo: ma se grata sarà mia voce, quant' io pur desio, canto trovar saprò forse maggiore. Studiava infatti giurisprudenza, e in quella facoltà prese la laurea nel 1847, nell' università napoletana; e si sarebbe disposto a far 1* avvocato o P impiegato, se, dopo i casi del 1848 (1), l'essersi trovato il suo nome unito a quello del Settembrini nelP istruttoria pel processo della setta I* Unità italiana, non gli avesse serrate le porte del foro e tolto l'adito a ogni pubblico impiego. Fu costretto dunque, nel decennio della reazione, a campar la vita col dar lezioni private di materie legali e di letteratura, e ad aiutarsi con lavori pei librai. Così (1) Un suo quarantottesco sonetto contro re Ferdinando II è ristam- pato in Cose di Napoli (che cito più oltre), p. 121. In qual modo fosse compromesso nel processo, e il suo nome unito a quello del Settembrini racconta egli stesso nella prefazione alla 2. a ed. del Commento. XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE 241 tradusse nel 1853 il Manuale di diritto romano del Ma- ckeldey e nel 1857 il Trattato del possesso del Savigny (1), e annotò per le scuole alcuni testi di lingua (2), e altresì una scelta di canti popolari toscani (3). Simile occasione ebbe il commento su Dante, al quale venne sollecitato da un libraio, avendone egli già n la materia pronta per il lungo studio e il grande amore con cui aveva studiato sempre il poema di Dante n . Nella prima edizione, che fu del 1 856 (4), scriveva : " Offro al pubblico un Com- mento, in cui profittando dell* opera di quanti mi pre- cedettero, da Pietro figliuolo di Dante fino al Bianchi, e sapendone a tutti il debito grado, ho pure e nella so- stanza e nella forma posto tanto di mio, che ben posso quanto molti altri chiamarlo un nuovo Commento " . Il lavoro piacque ai n dantisti " napoletani, tra i quali erano allora alcuni assai valenti è viveva ancora l'autore del Veltro, rinnovatore o addirittura fondatore dello studio storico di Dante, Carlo Troya : " le cui cortesi parole (scrive TAn- dreoli, preludendo alla seconda edizione) parecchi dei suoi amici probabilmente non hanno obliate, ed io certa- mente ricorderò finche viva n . (1) Manuale di diritto romano contenente la teoria delle istituzioni di F. MACKELDEY, nuova traduzione italiana con annotazioni dell'avvo- cato Raffaele Andreoli (Napoli, G. Pedone Lauriel, 1853); Trattato del possesso secondo i principi di diritto romano di F. C. SAVIGNY, tradu- zione ecc. (ivi, 1857). (2) I fioretti di san Francesco, con note di R. Andreoli (Napoli, Pe- done Lauriel, 1852); C. TOLOMEI, Lettere, annotate da R. Andreoli (Napoli, 1859). (3) Canti popolari toscani, scelti e annotati (Napoli, G. Pedone Lau- riel, 1857). (4) Napoli, Perrotti, 1856. 16 242 XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE AH* avvicinarsi dei nuovi tempi, nel 1859, l'Andreoli ebbe dal governo borbonico la nomina di ufficiale di prima classe nel dicastero dell' Interno; ma non I* accettò per non prestare giuramento, e in quell'ufficio entrò solo dopo il plebiscito, nel 1 860, al tempo della Luogotenenza, quando appartenne anche alla Guardia nazionale. Fu poi capo- sezione nel ministero dell' Interno, a Torino e a Firenze, e, più tardi, consigliere di prefettura a Firenze e a Na- poli. Nel 1864 scrisse su documenti ufficiali, per inca- rico dello Spaventa allora sottosegretario di Stato per l' Interno, una relazione sul brigantaggio, diretta a pro- vare che il brigantaggio attingeva forza ed alimento da Roma, ossia dal papa e dal re Francesco II, rifugiato colà; i quali n coi modi adoperati dall' uno per conservare e dall'altro per riprendere la propria dominazione, non po- tevano meglio dimostrare quanto e l'uno e l'altro avessero meritato di perderla n . Ma non tralasciò del tutto gli studi letterari, e compose alcuni articoli su storie e costumanze napoletane, e alcuni versi, che poi nel 1875 raccolse in un volumetto da offrire agli amici ( 1 ) ; e nel 1 863 fece una riedizione del suo commento su Dante (2), con ritocchi e con nuova prefazione. In questa prefazione egli osserva che Dante sarà com- ( I ) Cose di Napoli, offerte ai suoi amici da RAFFAELE ANDREOLI (Roma, tip. elzeviriana, 1 875). Contiene un bozzetto: // molo di Napoli, del 1865; la relazione Un anno di brigantaggio; un articolo sugli Usi e costumi napoletani del De Bourcard, del 1 866 ; alcuni capitoli di una storia del Regno di Napoli, interrotta nel 1859; e alcuni versi italiani e dialettali. (2) Napoli, tip. nazionale, 1863. Se ne fece una ristampa in tre vo- lumi a Voghera, 1864. XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE 243 mentalo in modo sempre nuovo con lo svolgersi della vita intellettuale, morale e civile del popolo italiano ; ed esem- plifica questo concetto (che ha del vero, senza dubbio, ma è colorito alquanto politicamente) con una effusione patriot- tica e politica. " Coll'unità d'Italia sotto uno scettro costitu- zionale si è già attuata la parte migliore del sistema di Dante; un' altra parte non meno importante poco può tardare ad attuarsene con la cessazione del papale dominio ; e il commento di oggi potrebbe non servire domani, appunto come quello di ieri non fa più per oggi. Tanto che Italia vivrà, converrà ben lasciarla in molta parte commentare il suo poema da se. Io credo che la lupa di Dante da nes- suno sia stata dichiarata meglio che dall' Antonelli (1/ cardinale), e dal Merode; e che fra tanti spositori del Veltro, che la caccerà per ogni villa, nessuno lo abbia interpetrato meglio di Vittorio Emmanuele n . Alcuni anni dopo, Gaspare Barbèra, volendo arricchire di un Dante con commento la sua Collezione scolastica, domandato in proposito parere a Domenico Carbone, ebbe da costui T indicazione del lavoro dell' Andreoli, n il più bel commento moderno che si possegga n (I); ed egli l'ac- colse nella sopradetta collezione nel 1870 e lo ristampò molte volte non senza qualche ritocco introdottovi dall'au- tori (2), e, come si è detto, si ristampa ancora dalla sua casa in edizione stereotipa (3). Era l' Andreoli nel 1 873 consigliere di prefettura a Na- (1) Annali bibliografici del Barbèra (Firenze, 1904), p. 301. (2) 11 quale die fuori anche un fascicoletto di Appunti su Dante {Roma, libr. Manzoni, 1878). (3) Ho innanzi la ristampa del 1918. 244 XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE poli, quando lo Spaventa, — che già l'aveva avuto presso di se nel 1861 nel periodo della luogotenenza e di nuovo a Torino nel 1 863-4, e ne aveva sperimentato la probità e la capacità grande, — divenuto ministro dei lavori pub- blici, gli scriveva (Roma, 18 luglio 1873): "Caro An~ dreoli, Avrei bisogno di te. Senza un uomo che ti somi- gli, il mio carteggio particolare non va. Vorresti tu venire in Roma in missione presso di me ? Serberesti il tuo posto in cotesta prefettura. Io non potrei offrirti che le inden- nità d'uso. Rispondimi subito. Tuo S. Spaventa ". L'An- dreoli accettò, e per quasi tre anni, cioè fino al famoso 18 marzo del 1876, fu capogabinetto dello Spaventa. Il quale rimase sempre teneramente ricordevole di lui e non cessava dal lodare e dal rimpiangere quel collaboratore, che ™ gli leggeva nel cervello n (come soleva dirmi), in- terpetrando il suo pensiero a perfezione e traducendolo nelle limpide lettere che sottometteva alla sua firma. Ma il 18 marzo, che segnò la catastrofe della Destra, fu anche in certo modo la catastrofe dell' Andreoli, uomo di Destra e fedelissimo a quel partito, in un tempo in cui l'adesione a un partito era effetto di profondo convinci- mento e formava impegno d'onore. Egli fu balzato subito dal ministro Nicotera, partigiano e vendicativo, in piccole residenze di provincia; e a queste vicende allude nella prefazione al suo Vocabolario napoletano, dove scrive con amaro sarcasmo : "... quando le bieche ire di parte mi condannarono alla solitudine ed al letargo di una remota e meschina residenza, ingannai col più geniale lavoro della compilazione di quest'opera gli ozi a me fatti da tutt'altri che un Dio w . Dimorò, tra l'altro, parecchi anni, per ragioni di ufficio, XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE 245 nella riviera ligure , a Oneglia e a Porto Maurizio ; e dei luoghi di quella riviera cercò le memorie storiche, e compose e die fuori nel 1878 la Storia di San Remo (1), e nel 1881 una storia di Oneglia (2), ed egli celiava, in un sonetto rimasto inedito, su questa piccola città, sul cervello dei suoi uomini che però han poca voglia di la- vorare, sulle piacenti e gentili sue abitatrici dalla lingua aguzza, e concludeva : Io le vo' bene a questa leggiadretta, ed essa me ne volle almen quel giorno che nome a me di cittadin suo diede. Nella mia gran città riporre il piede io pur dovrò; ma a te, mia piccoletta, so che spesso il mio cor farà ritorno. In altri suoi versi, che hanno sapore quasi di cosa quat- trocentesca, si diverte a fare un vivace e grazioso boz- zetto della spiaggia di Porto Maurizio : Quando a bagnarmi son entrato in mare, v' erano sette tra donne e donzelle, giovani tutte e quasi tutte belle; e facevano un chiasso, un diavolio, che dubitai contro Anfitrite irata si fosser le Nereidi ribellate. Quale ad un'assicella era aggrappata, qual de' sugheri avea sotto l' ascella, e tal due zucche accosto alle mammelle... (3). (1) Storia di San Remo, brevemente narrata da RAFFAELE AN- DREOLI (Venezia, stab. Antonelli, 1878). (2) Oneglia avanti il dominio della casa di Savoia (Oneglia, tip. di Gio. Ghilini, 1 88 1 ) : con ritr. dell'autore. (3) Bagno di mare, Porto Maurizio, 1885. 246 XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE Die fuori anche in quel tempo una traduzione del Can- tico dei cantici (1) e un volumetto d'istituzioni lettera- rie (2); ma il lavoro principale, a cui allora attese, fu il Vocabolario napoletano-italiano, del quale aveva concepito 1* idea sin da prima del 1 870, dimorando come consigliere di prefettura in Firenze, e aveva raccolto colà gran parte del materiale. n La mia salute è buona (scriveva a un amico (3) da Porto Maurizio, 29 dicembre 1 885), ed io ne profìtto per dare le ultime cure al mio Voca- bolario napoletano-italiano, frutto di parecchi anni di un vero lavoro di benedettino. Esso è già bello e terminato e non mi resta che rileggerlo e farvi gli opportuni ritoc- chi. Fra tre o quattro mesi al più tardi, esso sarà pronto per la stampa, la quale però non potrà aver luogo che costà e sotto i miei occhi. Stampato che sia, canterò con Simeone : Nunc dimitte servum tuum, Domine ; perchè mi parrà di aver fatto quel poco (pochino davvero), che po- tevo fare per il mio Paese n . Il Vocabolario (4), stampato presso il Paravia, venne in luce nel 1887 (5). Ed è una delle migliori, e forse senz'altro la migliore, attuazione dell' idea manzoniana dei vocabolari dialettali indirizzati a favorire in Italia la for- ti) // cantico dei cantici, recato in versi da RAFFAELE ANDREOLI (Oneglia, Ghilini, 1884). (2) Nozioni fondamentali dell' arte del dire, proposte agli insegnanti da RAFFAELE ANDREOLI (Firenze, Barbèra, 1888. (3) A mio zio, signor Raffaele Ferrarelli. (4) Vocabolario napoletano-italiano, compilato da RAFFAELE AN- DREOLI (Torino, Paravia, 1887 : in 8.° gr., pp. XI-805). Porta in fronte la dedica : « Alla mia città natale — questo istrumento d'italiana coltura — umile pegno dell' amor mio — consacro ». (5) L' edizione fu fatta a spese dell' autore in tremila copie. XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE 247 mazione dell* unità della lingua. L'Andreoli aveva, circa la lingua italiana, un concetto non certo profondo e filo- sofico, ma praticamente di buona efficacia : che cioè alla perizia in essa concorrano 1* uso vivente fiorentino e la conoscenza dei buoni scrittori (I), o, come scrisse nella prefazione al Vocabolario, che n la lingua italiana è l'i- dioma fiorentino, regolato, rimondato, ed arricchito dai buoni scrittori di tutta la nazione n . Con questo tempe- rato manzonismo, studiò assai il parlare fiorentino " in più anni di stabile e studiosa dimora nella cara Firenze n ; e col suo lavoro lessicografico ebbe V intento n di aiutare i suor compaesani a tradurre il dialetto napoletano in buona e viva lingua italiana tt . E gran peccato che questo Vo- cabolario, in cui alla sicura conoscenza dei vocaboli na- poletani si unisce la non meno sicura conoscenza degli equivalenti toscani o italiani, e che può prestare ottimi servigi, sia, da più anni, affatto esaurito in commercio. Allo stesso amico, a cui è diretta la lettera riferita in- nanzi, FAndreoli scriveva (23 ottobre 1885): n ...Penso che ho terminato i miei venticinque anni di servizio o ser- vitù che si voglia dire, e che con lo spirare del prossimo dicembre terminerò pure il triennio del mio ultimo stipen- dio. Il 1886 mi troverà dunque pensionabile, se non pen- sionato ; ed è già un gran che per chi non aspira ad altro che al riacquisto della sua libertà n . Ottenne in effetto, nel luglio del 1887, il collocamento a riposo; e se ne tornò nella sua città natale. Dove visse presso che soli- tario, visitato da qualche raro e vecchio amico; e vi morì quattro anni dopo, il 28 giugno 1891. (1) Nozioni cit., p. 57. 248 XXI. - UN COMMENTATORE DI DANTE Dalle notizie che sono venuto offrendo della vita e delle opere dell'Andreoli esce chiara, a me sembra, la fìsono- mia di questo caro e modesto uomo, che si chiamava da se stesso " dilettante n , e nondimeno fu il contrario del dilettante, perchè la vita sua e tutti i suoi lavori si mo- strano informati a un unico concetto, a quel concetto di cultura ed educazione nazionale, che era 1' anima della scuòla liberale moderata italiana. Da quel pensiero nacque il commento al nostro maggior poeta ; da quello, le storie delle piccole terre d* Italia ; da quello, infine, ¥ opera del vocabolario educatore, che sollevasse dal parlare plebeo al parlar colto, dallo spirito dialettale allo spirito nazio- nale. Il suo commento a Dante è da oltre sessant* anni sussidio all'agevole intendimento di quella poesia; il vo- cabolario è stato consultato e adoperato con frutto, e potrà giovare ancora se sarà rimesso in circolazione. Quanti scrittori, di assai maggior fama di lui, possono vantare un'efficacia, benefica e tangibile, pari alla sua? INDICE DEI NOMI Alagno (cT) Lucrezia, 21-27. Albergato V., 61. Alfonso d'Aragona, re di Napoli, 21-27. Altamura S„ 187. Andreoli R., 193, 238-47. Angaran O., 71. Apollonia, 99. Aquino (d*) T., principe di Casti- glione, 146. Aranda (conte di), 164. Aragonesi (principi) di Napoli , 113-4. Ardenti (degli) accademia, 3, 20, Ariosto G., 74-5. Ariosto L., 11, 74-82, 115. Ariosto 0..74-82. Ariosto V., 75. Aristotile, 13, 77, 78. Ayrer, 122. Ascalona (di) duca, viceré di Na- poli, 138, 139. Auriemma L., 87. Azzia (d') G. B., marchese della Terza, 44, 46. Balzac, 190. Balzo (del) R„ principe di Ta- ranto, 2 1 . Barbaro E, 9, 10. Barbèra G., 243. Barotti G. A., 74, 75. Basile G. B., 94. Basile Marzia, 93-106. Belisa Larissea : v. Pignone del Carretto I. Bellarmino R., 66. Bembo P., 12, 14. Benavente (di) conte, viceré di Na- poli, 102. Benenato C, 29, 33. Bernhardt Sara, 210. Besso M., 73. Bidera G. E., 188. Bisento (de) B., 29. Boccaccio G., 1 1 . Boglio G., 21. Bonghi R., 113. Bongo P., 83, 84, 87, 88. Borbone (di) Conestabile, 5. Bourcard (de) E., 191-2. Bourcard (de) F., 187-99. Brancaccio G. C., 39. 44-6. Brancaleone F., 31, 44. I nomi che appaiono nella Bibliografia shakespeariana, a pp. 228-37 del volume, non sono trasfusi in questo indice. 250 INDICE DEI NOMI Broschi C, 167. Bruni A., 44. Bruno G., 33, 60, 108-9, 122. Bucca T., 45. Bucchis (de) A., 44. Buccino A. : v. Caracciolo A. Buccino Luisa, 213. Bulifon A., 143-45. Buonafede A., 64-66. Cacciatore L., 45. Caffarello: v. Maiorana G. Callisto V. papa, 25. Canevari A., 50. Cantelmo R., duca di Popoli, 1 42, 147-48. Capasso N., 35, 141. CapeceG., 14 1,146, 148,150,151. Capece S., 14, 39. Capua (di) G. T., 15-16, 44. Capua (di) A., duca di Termoli, 5. Capua (di), principe della Riccia, 132, 134. Caracciolo A., 44. Caracciolo A., principe di Melis- sano, 210-20. Caracciolo F., 44. Carafa A., generale, 139. Carafa F., marchese di S. Lucido, 38, 44, 46. Carafa G. B., 14. Carafa M., 132, 133-34, 145. Carafa T., 132, 140, 141, 150. Cardia V., 130. Carani L., 64. Caravaggio (da) P., 112. Carbone D., 243. Carlo di Borbone, re di Napoli, 158, 162. Carlo II, re di Spagna 148. Carlo V, imperatore, 1. Carlo Vili, re di Francia, 55. Carlotta di Borbone, principessa del Brasile, 170-71. Carolina, regina di Napoli, 163. Carretto (del) F. 6., ministro, 194. Carriola (della) G., 93-106. Casanova G., 169. Castagna N., 191. Castaldo A., 38-39, 45. Castelvetro L, 62. Castiglione B., 12. Castrovillari (di) duca, 6. Catullo, 129. Cecchi Prudenza, 99. Celere D., 84-87. Cesareo (di) duca, 194. Charlet, 190. Christ W., 93 n. Cialdini E., 192. Cirillo G. P., 136, 153, 154, 158-60, 186. Cocco P., brigante, 201-204. Cocceij, barone, 165. Coccio di Fano, 64. Collenuccio P., 4-5. Collison Morley L., 221-22. Colombier Marie, 210, 213, 217, 218. Colonna F., 5. Colonna P„ 5. Colucci R., 191. Conca G. B., 44. Cortese G. C, 94. Consalvo di Cordova, 28. Coppola L., 188. Corenzio B., 50. Cossovich E., 188. Croce B., 71, 73, 237. Curz L., 7-8. Dalbono C. T., 188, 192. Dante, 11-13, 225, 238-47. Dentice L., 39, 44, 45, 46. Domenichi L., 64. Donato, grammatico, 35. Doria A., 14. Duclère T., 187. Elze Th., 117. Emili (d*) E., 64. Enrico VI, imperatore, 54. INDICE DEI NOMI 25 1 Erasmo da Rotterdam, 58-73. Eslava (de) A., 1 12. Falco (di) B., 1-20, 32. Faria (di) marchese, 170. Farinello : v. Broschi C. Fausto da Longiano, 64. Federico II, re di Prussia, 165. Ferdinando IV, re di Napoli, 51, 52, 57. Ferdinando II, re di Napoli, 194. Fergola, generale, 192. Ferrante I d'Aragona, re di Na- poli, 5. Ferrarelli G., 150. Ferrari G., 128, 137. Filangieri C, 37. Filelfo F., 24. Filippo II, re di Spagna, 46. Filippo V. 138-39. Flamini F., 58. Flavio G. P., 44, 46. Folengo T., 58. Fonseca (de) Pimentel Eleonora, 170-178. Franco N., 59,60. Gagliano (di) A., 14. Galiani F„ 35. Gambacorta, principe di Macchia, 146. Garzoni T., 60. Gatti, litografo, 190. Gazzella G. B., 44-45. Gentile C., 200-209. Gentile D., 136 n. Genoino G., 56. Genovesi A., 186. Gesualdo C., 14* Gesualdo F., 14. Gioberti V., 226. Giovane (del) G. D., 44. Giovanna I, regina di Napoli, 55. Giovanni d'Angiò, 26-27. Giovio P., 60. Giovo N., 155. Giraldi Cintio G. B., 76. Giudice, principe di Cellamare, 1 42. Goethe, 161. Goldbeck, 91. Goyzueta (de), duchessa di Luscia- no, 162-63. Goyzueta (de) F., 162-69. Gonzaga Giulia, 14. Grandville, 190. Granito A., 139. Gravina P., 31. Grineo, 66. Guarniero M., 96-97. Gundolf F., 222-23. Incogniti (degli) accademia, 3, 4, 20. Janin J., 190. Karr A., 190. Krug W. T., 90-91. Landau M., 149, 150. Landino C., 12. Landò O., 61. Latouche, ammiraglio, 1 77. Lauro P., 62-64. Lauzières (di) A., 188. Leoniceno N., 59. Leopoldo, imperatore, 148. Lorenzini F., 154. Lombardi M., 191. Lucchesi G., 50. Luciano, 60, 72-73. Machiavelli N., 12. Maiorana G., 184 n. Malatesta S., 21. Manzoni A., 223. Maramaldo F., 6. Mackeldey, 241. Maiello C., 141-42, 146-48, 151. Maio (marchese) 194. Malinconico N., 50. Maria (de) F., 50. Maria Teresa, imperatrice, 167. 252 INDICE DEI NOMI Maria Tudor, reg. d'Inghilterra, 46. Maldacea B., 4. Margherita d* Angiò, 1 09- 1 1 0. Mariconda A., 39, 44, 46. Marino G. B., 64-65, 66. Martorano B., 14. Masaniello, 56. Mastriani F., 187, 189. Mazzacane G. C, 128-29. Mazzini G., 221, 223. Metastasio P., 166. Medinaceli (di) duca, viceré di Na- poli, 142, 147. Meissonier, 190. Meursio G., 88. Miguel (don) di Braganza, 171. Mirelli G. , principe di Teora , 214-16. Mocenigo Z., 164. Monnier Marco, 52. Monti (delli) P., 44. Morhof D. G., 88-90. Mura (de) F., 50. Muscettola G. F., 39, 44, 45, 46. Museo : v. £%Caldacea B. Napoletani, 111. Napoli (mal di), 111. Neri F., 116, 117. Nicolai D., marchese di Canneto, 185-86. Nicotera G., 243. Nodier C., 190. Novali F., 93-94, 98. Nulli S. A., 222-26. Omero, 13, 225. Orgitano G., 188. Orsini (card.), 133. Osio T., 88, 159. Pacifico O., 155 Pagano M., 128. Palizzi F., 187, 189. Palle (delle) S., 39. Palmieri D., 194. Pansini S., 133. Parthenio : v. Falco (di) B. Palizzi N., 187. Pastore R., 68, 70. Penello S„ 64. Persio A., 61. Petrarca F., 11. Petruccelli della Gattina F., 191. Petrucci, 1 1 5. Picone T., 30. Pigna G. B., 74-82. Pignatelli G. B., 44. Pignone del Carretto Isabella, du- chessa d'Erce, 153-61. Pinto, conte, 168. Pio A., 64. Pisanti F., 187. Pitagora, 90. Platen (di) A., 161. Platone, 13, 16. Polese F., 71-72. Pontano G., 31. Possevino, 66. Pulci L., 11. Quercia F„ 188. Regaldi G. 188. Renata di Francia, duchessa di Ferrara, 63. Renato d* Angiò, re di Napoli, 1 09. Ricci A. M., 67. Ricoveri (da) M., 39, 45. Rocca (fam.), 123-36. Rocca D., 126-27. Rocca F., 127, 128, 134, 135. Rocca G., 123-5. Rocca Giulia, 128-31. Rocca C. A., 127. Rocca G. O., 125. Rocca G., generale, 125. Rocca O., 136 n. Rocca P., 64. Rocca S. 127, 128, 132-36, Rocco E., 188. Romano A., 44. Rota B., 44, 45. INDICE DEI NOMI 255 Ruscelli G., 81. Ruspoli B. 212. Russo F., 94 rx, 106 Salazar L., 211, 217. Salernitano G. L., 39, 45. Salerno (da) A., 50. Sanctis (de) F., 221 226. Sangro (di) C, 146, 148, 150, 151. Sangro (di) P.. 39. Sannazaro I., 11-12, 31. Sanseverino F., principe di Saler- no, 19. Santacroce, cavaliere, 168. Santori G. A., card., 3 1 . Sarmento S., 33. Savigny F., 241. Saxen-Hildburghausen (di) princi- pe, 166. Scaglione Lucrezia, 14-15. Scala F., 115. Scoppa G., 33. Sereni (dei) accademia, 3,20,38-47. Settembrini L., 240. Severino G. A., 44. Severino V., 44. Sgruttendio F., 94. Shakespeare, 107-22, 221-37. Siciliano L., 50. Sidicino : v. Zompa (di) L. Sigismondo, imperatore, 23-24. Siracusa (di) contessa, 215. Soardino P., 44. Somma G., 191. Sompano : v. Zompa (di) L. Spaventa S., 239, 242, 243. Spera G., 29. Spinelli V., principe di Tarsia, 156-58. Stetler, 214-16. Stosch, bibliotecario, 168. Tansillo L., 58. Tanucci B., 1 63. Tartaglia, ccndottiere, 21. Tasso T., 75. Tesi Vittoria, 166-67. Tieck L., 120, 161. Toci E., 71, 73. Toledo (di) Pietro, viceré di Na- poli, 2, 3, 19, 38. Tolosa P., 44. Torelli G., 191. Torraca F., 238. Trinculo, 117-19. Trivulzio G. G., 19. Troya C„ 241. Tufo (del) G. B„ 118. Tuttavilla, conte di Sarno, 5, 17-18. Ulloa P., 184. Usener H., 92. Valdés (di) G., 8. Valeriani G., 191. Valletta G., 143. Vannetti C., 71-72, 73. Vargas Machuca F„ 48. Vega (de la) G., 48. Velardiniello, 93-94 n. Ventresca, brigante, 201-204. VicoG. B., 123-152,156, 158-60, 225. Villano F., 39, 44, 45. Voltaire, 165. Vopisco L., 44. Warburton, 114, 115. Wieland, 161. Wolff, 115. Zompa (di) L. A., 18, 28-37. Zumbini B., 58. INDICE I. Il primo descrittore di Napoli — Benedetto di Falco . . 1 il. L'amorosa storia di Madama Lucrezia in un* inedita cronaca quattrocentesca 21 III. La tomba del grammatico Sidicino 28 IV. L'accademia dei Sereni . 38 V. I Seggi di Napoli 48 VI. Sulle traduzioni e imitazioni italiane dell' « Elogio » e dei « Colloqui » di Erasmo 58 VII. Postille manoscritte di Orazio Ariosto ai «Romanzi» del Pigna 74 Vili. Libri secenteschi sui misteri dei numeri 83 IX. Giovanni della Carriola e la sua « Storia di Marzia Basile » 93 X. Shakespeare, Napoli e la commedia napoletana dell'arte. 107 XI. G. B. Vico e la famiglia Rocca 123 XII. G. B. Vico e la congiura di Macchia XIII. Gli scrupoli di Belisa Larissea 153 XIV. Il viaggio per l'Europa di un gentiluomo napoletano nel 1774-76 162 XV. Un oratorio inedito di Eleonora de Fonseca 1 70 XVI. Il « Seminarista calabrese » 179 XVII. Una visione dell'ultima Napoli borbonica 187 256 INDICE XVIII. Versi di un pastore abruzzese 200 XIX. « Courte et borine » 210 XX. La letteratura shakespeariana in Italia 221 XXI. Un napoletano commentatore di Dante — Raffaele An- dreoli 238 Indice dei nomi 249 University of Toronto library DO NOT REMOVE THE CARD FROM THIS POCKET Acme Library Card Pocket Uader Pat. 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